(23.01.13) Un emendamento in sede di conversione in legge del "Decreto sviluppo" sospende la Direttiva nitrati. La Direttiva è del 1991. In Italia sinora si è riusciti ad evitare la piena applicazione
Nitrati: licenza di
inquinamento delle acque
di Michele Corti
Le regioni padane non riescono a risolvere i problemi di qualità dell'acqua e dell'aria. La recente "sospensione" della Direttiva nitrati va in un senso totalmente sbagliato. Sarà causa di procedure di infrazione (sacrosante) da parte dell'Europa (che in questo caso tutela la salute) e non fa che ritardare una reale soluzione dell'eccessiva intensità zootecnica in alcune aree della pianura padano-veneta. Ricordiamoci, però, che i nitrati sono "sottoprodotti" di quella carne, salumi, latticini di cui ancora troppi di noi si ingozzano con pregiudizio per la propria salute, per quella dell'ambiente e per quella del prossimo
Mentre la direttiva sulla qualità dell'aria (96/62/Ce) continua ad essere non osservata e si continano ad aumentare i camini e la produzione di polveri sottili (vedi centrali a biomasse e biogas) anche sul fronte della qualità delle acque si fa di tutto per non rientrare in parametri accettabili previsti dai piani di risanamento.
La telenovela infinita della Direttiva Nitrati (91/676/Ce) la dice lunga. L'atteggiamento del governo centrale e delle regioni padane (quelle maggiorrmente interessate al problema nitrati per via della presenza della zootecnia intensiva) è stato caratterizzato da una tattica dilatoria che ha portato solo con il DLgs 152/2006 e il DM 7 aprile 2006. Ad esso sono seguiti negli anni una serie di provvedimenti regionali che parlano di piani, misure per consentire l'adeguamento ecc. ecc. Il tutto, ancora una volta, per prendere tempo e cercare di rimandare in illo tempore la reale applicazione della Direttiva. Il succo della quale prevede che nelle aree a rischio (dove i nitrati sono presenti in concentrazione elevata nelle acque di falda tanto da rendere i pozzi inutilizzabili per l'uso potabile) di dove la quantità di azoto da reflui zootecnici sparsa sui campi non può essere 340 kg per ettaro (come nella generalità dei terreni agricoli) ma deve (avrebbe dovuto) essere 'tagliata' a 170 kg.
Nel 2006 quando il governo emanò il suddetto DL l'Italia si è salvata in extremis dall'applicazione di pesanti sanzioni. Al momento le regioni padane hanno dovuto accettare un allargamento delle Zone Vulnerabili ai Nitrati dal momento che i dati sugli elevati carichi zootecnici e sulle concentrazioni di nitrati nei pozzi (superiori al limite di legge di 50µg/l) non lasciavano scampo. Ma è stata una accettazione tattica destinata sin da subito ad una rimessa in discussione. In ogni caso, in attesa di una nuova invocata zonizzazione il 57% della pianura lombarda è inserita nelle AV (Aree Vulnerabili). Le aree vulnerabili della Lombardia - rimaste largamente sulla carta - rappresentano oltre 800mila ettari, l'81% della superficie agricola utilizzabile, ancora peggio vanno le cose in Veneto (717mila ettari, ovvero l'87,5% della Sau) e nel Friuli Venezia Giulia (183mila ettari; 80%), un po' meglio in Emilia Romagna (661mila ettari; 62%) e in Piemonte (390mila ettari; 37%) .
Per compensare questa estensione delle aree vulnerabili le regioni padane hanno chiesto una deroga all'abbassamanto da 340 a 170 kg di azoto per ettaro. Impegnando grandi risorse nella dimostrazione che i sistemi clturali padani possono ricevere senza provocare lisciviazione dei nitrati nelle falde più di 170 kg di N esse sono alla fine riuscite nel 2011 ad ottenere la deroga (limitatamente a determinati piani colturali) che consente di spingersi sino a 250 kg.
Esse, però, non hanno rinunciato a rimettere in discussione la zonizzazione. Il motivo addotto è che essa non tiene conto che in alcune realtà l'inquinamento delle acque è di origine civile e industriale e non zootecnica. Nel 2011 la Conferenza Stato Regioni si era espressa sollecitando la riclassificazione delle zone vulnerabili sulla base di nuove indagini che tenessero conto di questi fattori. Un rilievo in teoria giusto ma che non tiene conto che il problema nitrati si presenta anche in aree dove non vi sono insediamenti industriali e dove la densità di popolazione è bassa.
Si è cercato di rimettere tutto in discussione non solo su questa base ma anche su quella, ancora più discutibile, che ci sono ritardi nel definire e finanziare i piani delle regioni per il "rientro" (attraverso l'incentivazione della "esportazione" dell'eccesso di azoto verso aree non zootecniche o l'adozione di tecnologie per rimuovere l'azoto dai liquami).
La follia della "rimozione dei nitrati": una doppia perdita energetica
1) "smontare" l'azoto organico per liberare nell'aria l'azoto elementare è una follia energetica. Servono 4 litri di petrolio o 560 litri di metano (se lo si produce a partire dall'ammoniaca) per sintetizzare un kg di urea (principale concime chimico azotato). In più per far assimilare alle piante questo azoto si spende un bel po' di energia fossile per far marcaiare le macchne agricole, sollevare con le idrovore l'acqua d'irrigazione, trasportare il raccolto ecc. 2) per "eliminare" l'azoto dai liquami si deve procedere con un sistema di depurazione anaerobico-aerobico che prevede una forte spesa energetica per l'insuffluazione di aria (ossigenazione) e l'agitazione meccanica della massa. |
Così, in sede di conversione in Legge del Decreto Sviluppobis (221/2012), alla fine dello scorso anno, con un emendamento del sen Ghigo (ex. presidente del Piemonte) si impone alle Regioni l’aggiornamento delle zone vulnerabili e di conseguenza si prevede che per un periodo di un anno – nelle Zone vulnerabili ai nitrati (Zvn) – si applichino le stesse regole valide nelle zone non vulnerabili. Un vero gioco delle parti perchè le Regioni, questa volta, sono felici di farsi "imporre" quello che invocano per menare il can per l'aia. I problemi di cui si discute sono sul tappeto da decenni e chiamare in causa i "ritardi" verrà valutato a Bruxelles come è giusto che sia.
Già perchè Bruxelles dopo aver concesso a malincuore la deroga di cui sopra ora si sente presa per i fondelli dall'Italia. ).
Solo la regione Emilia Romagna ha fatto presente che in questo modo si violano platealmente le competenze regionali (lo stato centrale in materia agricola stabilisce solo delle linee guida ma non può dire che si deve nelle campagne del lodigiano si devono spandere 170 kg di N piuttosto che 250 o 340).
Chi è irresponsabile?
A questo punto viene da dire: "È irresponsabile la regione Emilia Romagna che ignora il grido di dolore dei suoi allevatori che non possono ancora adeguarsi a una direttiva del 1991 o sono irresponsabili Milano, Venezie e Torino che procrastinano all'infinito il risanamento della qualità delle acque dimostrando scarsa sensibilità per la salute dei loro cittadini?"
Alcuni dati forse contribuiscono a fornire una risposta. In Lombardia negli ultimi anni le concentrazioni di nitrati aumentano e i carichi zootecnici non solo non calano ma aumentano. Basti pensare che a Cremona dove il 20% delle superficie agricola utiizzata è destinato alle agrienergie le vacche sono aumentate e si impiantano o si ingrandiscono porcilaie e pollerie industriali. Perché? Perché c'è il business sfacciato del biogas e delle biomasse (la pollina si brucia che è un piacere, emissioni nocive a parte). Con i soldoni della "tariffa onnicomprensiva" (l'enormità di 0,28 €/kW/h) si comprano più mangimi e chissenefrega dell'ambiente e della salute. Galline dalle uova d'oro verrebbe da dire. Peccato che Re Mida non possa vedere questi suoi emuli del terzo millenio. Trasformano la merda in oro, che bravi. Una bravura, per inciso, uguale a quella di chi di punta un coltello e ti sfila il portafoglio. Qui c'è il sovraprezzo sulla bolletta dell'energia di casa. Ma sempre rapina (di stato) è.
Basta guardare la situazione della concentrazione zootecnica lombarda per capire che non ci siamo proprio. Ampie zone della pianura (classificate vulnerabili) vedono una produzione di N/ha superiore non solo a 170 kg/ha, ma anche a 250 e 350. Come si vede non bastano le deroghe o i pannicelli caldi. Si arriva superare produzioni di 1.000 kg per ettaro. Dove vanno a finire? Le soluzioni sulla carta esistono. Affitto un pascolo in Alto Adige o sull'appennino emiliano. Poi, che ci vadano quattro bestie o anche nessuna, sulla carta posso dimostrare di avere centinaia di ettari dove si "spalma" il mio carico animale. Tutta una balla ma le carte sono a posto. I tecnici ablitati firmano e i burocrati delle provincie controfirmano. Quelli della regione controllano e tutto è OK. meno platealmente si pagano degli agricoltori o proprietari di terreni per ottenere (contratti registrati dal notaio, per carità) "concessioni di spandimento". metto nel mio POA/PUA i mappali e il gioco è fatto. E vado avanti a caricare di 1000-1500 kg d azoto i miei terreni (o discariche?). Per monitorare il fenomeno è stato proposto di sistemare dei sensori sigillati nelle vasche di stoccaggio dei liquami. Ad ogni abbassamento sospetto del livello (magari in inverno con terreno gelato o coperto di neve) scatterebbe un controllo (che serve a poco perché anche in caso di bonze pescate sul fatto a spargere in tempi e condizioni meteo proibite non scattano quasi mai le denunce). Un altro sistema consisterebbe nel fissare come sui mezzi pesanti (TIR) dei gps per tracciare tutti i tragitti della botte. Tempo perso perché con i carichi zootecnici che ci sono è inutile mettere in atto procedure sofisticate. Sappiamo che le cose non vanno. Tutto il resto è melina. Il problema, peraltro, non è solo legato ai nitrati. L'agricoltura lombarda contribuisce pesantemente anche alle emissioni atmosferiche inquinanti con il sostanze il 31% del totale delle sostanze acidificanti, il 90% dell'ammoniaca (74% zootecnica), l'85% del protossido d'azoto, il 10% dei gas climalteranti (fonte ARPA).
La lenta e tortuosa applicazione ha indotto un atteggiamento comprensibilmente sospettoso da parte della Eu, dove paesi come l'Olanda hanno dovuto ridimensionare il loro sistema zootecnico e non sono certo disposti a concedere ulteriori sconti alla Padania (che ha un sistema lattiero più intensivo di quello Olandese). Il rischio concreto è che questa volta le procedure di infrazione
scattino sul serio. Pesanti. Così anche molti agricoltori che non c'entrano nulla con le fabbriche di liquami, biogas, biomasse, bioballe pagheranno le conseguenze in termini di mancata corresponsione dei premi PAC. Intanto, però, anche chi "sfora" alla grande e che aumenta sempre di più il bestiame, continua ad intascare premi che presupporrebbero - sempre sulla carta - il rispetto della "condizionalità" (ovvero dell'ambiente e delle direttive in materia).
Così va l'Italia. Un copione che per molto aspetti ricorda quello delle quote latte.
Ma la colpa è solo degli allevatori?
Presentate così le cose verrebbe da dare la croce addosso alla "categoria". Ma le cose sono così semplici e lineari? Cattivi inquinatori da una parte e bravi cittadini dall'altra? Forse no anche se ha fatto benissimo Legambiente a denunciare alla Commissione europea la "sospensiva" della Direttiva nitrati. certo a giudicare e posto che gli alti lai elevati dalle OOPPAA emiliane contro l'assessore all'ambiente. Particolarmente irritanti le parole del presidente della Confagricoltura Enrico Chiesa: " Siamo basiti di fronte alle parole dell'Assessore Freda. Gli agricoltori non immettono nitrati nell'acqua, ma apportano sostanza organica ai terreni". Si vede che per essere eletti alla presidenza della Confagfricoltura la conoscenza dell'agricoltura e dell'agronomia sono optional.
I reflui contengono si sostanza organica ma qui si sta parlando di azoto e l'elevata quantità di azoto ammoniacale una volta convertito a nitrito e quindi nitrato se non viene assorbita dalle piante finisce nelle acque (superficiali o profonde).
Poi una parte diventa ossido di azoto (gas serra) e una parte dell'ammoniaca va nell'aria (acidificazione, piogge acide).
A parte questo folklore più serie e importanti sono altre considerazioni. Una parte almeno degli allevatori "inquinatori" non sono degli speculatori consapevoli di far business alla spalle dell'ambiente e della salute, ma - a loro volta - vittime di una spirale che ha visto una crescente da costose tecnologie e un altrettanto vcrescente trasferimento di valore aggiunto ai soggetti a valle della filiera (industria e, soprattutto, GDO). le "soluzioni" che fanno affidamento a nuove tecnologie sono, come abbiamo visto, delle trappole pericolose. Sevono a menare ancora il can per l'aia e ad alimentare una serie infinita di studi, ricerche, sperimentazioni, progetti pilota (a buon pro di centri di ricerca, professionisti, consulenti, industrie). Il problema si risolverà solo tornando ad un rapporto più equilibrato tra allevamento e coltivazione, favorendo la diversificazione (invece che accentuando la monocoltura). Da questo punto di vista gli "imprenditori agricoli" che si sono adagiati nella PAC, nel conformismo produttivo, nel prestare fede agli interessati "consigli" di per nulla disinteressati esperti hanno la loro buona parte di colpa.
Consumiamo troppo suolo, ma anche troppi prodotti animali
C'è, però, un altro elemento da considerare, un aspetto che riguarda un tema chiave della gestione del territorio: il consumo di suolo agricolo. In Lombardia, ma anche nelle altre regioni, la capannonite, la creazione di centri commerciali, l'espansione caotica delle aree suburbane, hanno sottratto enormi superfici di buona terra agricola. Nel frattempo la produzione zootecnica non è diminuita. Si vogliono nuove autostrade per andare direttamente da Brescia e Milano, si vuole produrre energia "verde" destinando decine e decine di miliaia di ettari alle colture energetiche e ... si vuole mangiare anche più di prima. I vecchi dicevano che il cemento e l'asfalto non danno da mangiare. Li si prendeva in giro pensando che tanto il mercato globale è in grado di fornirci tutto a buon mercato. Il made in Italy non dipende dalla materia prima, dicono gli industriali, ma dall'italian style, dal know how. Quindi potresti fare Parmigiano con latte non solo lituano ma anche cinese. Però le cose no non stanno proprio così e chi vuole continare a mangiare deve contare su un buon margine di autosufficienza ... o praticare la sobrietà.
E qui veniamo a un punto etico e politico cruciale. Come cittadini siamo (almeno in molti) virtuosi: protestiamo per l'inquinamento dell'aria che ci fa respirare polveri sottili e ci toglie anni di vita, per i nitrati nelle acque che fanno chiudere i pozzi e aumentare i consumi di "minerale" (che dietro il mancato risanamento delle acque ci sia un disegno di privatizzazione e business dell'acqua è più che una ipotesi teorica). Come cittadini votiamo referendum sull'acqua, ci ribelliamo alle pseudo energie rinnovabili con i loro impatti non compensati da vantaggi (se non privati), ecc. ecc.
Però come consumatori, bisogna ammetterlo siamo (almeno in molti) dei grandi inquinatori. Chi mangia i prosciutti ottenuti dalle cosce di quei maiali la cui cacca e urina rappresenta un così grande problema? Per risparmiare tempo vogliamo viaggiare in treno a 300 all'ora (in futuro a 600), non vogliamo perdere un minuto per prepararci il cibo. Prosciutto, formaggio o la braciolina sono di nulla o facile preparazione, così i consumi di prodotti animali restano alti a dispetto della Piramide alimentare. Se fossimo consumatori consapevoli, e quindi non cittadini dissociati come il Dr Jekyll e Mr Hyde, cercheremmo di applicare una Piramide alimentare che tenga conto non solo della nostra salute (compromessa da un consumo in eccesso di prodotti animali) ma anche di quella dell'ambiente.
Un nuovo ecologismo sociale non può prescindere dalla fusione dei due piani. Non si difende la salute e l'ambiente se non si opera in primo luogo come consumattori, come soggetti consapevoli che la scelta alimentare è un atto agricolo e che questo è il più politico degli atti.
Tagliare i consumi (eccessivi) di carne e insaccati e in minor misura di latticini consente di risolvere il problema nitrati e non solo quello.