Ruralpini

 

 

Az. Agr. Caprivalcuvia di Peloso Paride

Via San Pietro, 12 21030, Rancio Valcuvia (VA), Loc. Fraz. Cantevria

0332 994044

338 1017119

caprivalcuvia@hotmail.it

 

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Tesori 'minori':

 

la costellazione degli zincarlin

 

 

testo e foto di Michele Corti

 

Con questo articolo inizio un viaggio nel mondo degli zincarlin e affini. I testi del presente articolo  sono ricavati dalla ricerca originale svolta dall'autore per conto della provincia di Varese  nell'ambito della procedura di inserimento del  Zincarlìn de Varès  nell'elenco dei PAT - prodotti agroalimentari tradizionali della Regione Lombardia.

 

 

Oltre allo  zincarlin de la val da Mücc  presidio Slow Food vi è anche lo  zincarlin  comasco (in diverse versioni) e quello di Varese. Nella fascia collinare e di alta pianura del varesotto lo  zincarlin  era preparato in quasi ogni casa a partire dalla  furmagina, un formaggio ottenuto senza caglio in modo casalingo. La tradizione non è scompara. Anzi, grazie a diversi produttori di formaggi caprini aziendali è un fase di grande rilancio. Qui voglio parlarvi della storia dello  zincarlin de Varés  e della sua radicata tradizione popolare di preparazione e di consumo.

 

Premesse

 

Il  Zincarlin de Varées  fa parte di una ‘famiglia’ di  Zincarlin  insubrici che, dall’Ossola al Comasco, presentano - sotto la stessa denominazione - caratteri ben distinti. Nell’Ossola e nel Comasco lo  Zincarlin  è preparato a partire dalla  maschèrpa  (ricotta grassa), nel Ticino lo  Zincarlin  è preparato a partire da una cagliata lattica di latte vaccino che, una volta spurgata in teli, viene messa in forma (di tazza capovolta) e sottoposto quotidianamente a spugnature con vino bianco. Lo  Zincarlin de Varées  si distingue da queste specialità perché è ottenuto ancor oggi in prevalenza da formaggi di latte caprino e perché la maturazione avviene in contenitori (tradizionalmente di terraglia) aperti e con ampia imboccatura, non assume pertanto una forma propria ma presenta consistenza spalmabile e viene venduto in vaschette di plastica o barattoli di vetro. Gli  Zincarlin  fanno parte, a loro volta, di un’ampia categoria di preparazioni tradizionali ottenute da derivati del latte caprino e vaccino diffusa sull’Arco Alpino e nelle aree prealpine. L’origine storica comune: necessità di conservare e recuperare formaggi e ricotte.

Gli  Zincarlin  insubrici, come la costellazione dei prodotti analoghi, non sono dei formaggi ma delle preparazioni alimentari a base di diversi tipi di formaggi (sia a pasta dura che molle) e/o ricotte, con aggiunta di latte o altri derivati del latte (siero, panna), spezie (normalmente pepe) e erbe (di solito aglio, prezzemolo); in qualche caso anche olio o alcolici. In provincia di Varese, nella parte più montuosa del territorio (Valli del Luinese), è presente un altro esempio di questa costellazione: il  furmag’ de (la) ségia.

La preparazione di questi prodotti prevede un processo di rifermentazione di durata molto variabile (anche sino a diversi mesi) con proteolisi spinte e, a volte, fermentazione alcolica. In alcuni casi la tradizione è evoluta nella preparazione di un semplice amalgama di una ricotta (o di formaggio a coagulazione lattica) con aromatizzazione, cui può seguire il consumo fresco o una breve maturazione.  Oltre alle due tipologie principali (a base di ricotta e a base di formaggi) si conoscono anche tipologie intermedie con utilizzo sia di formaggi molli (e/o ricotta) che duri. Quanto alla forma si osserva che spesso il prodotto viene modellato a forma sferica, ovale, a cupola rovesciata ma che - altrettanto spesso - viene mantenuto in forma sfusa in contenitori di varia foggia (o anche in cumuli) sino al momento del consumo.

 

L'ula  di terraglia utilizzata tradizionalmente per preparate il  Zincarlin

 

L’analisi etimologica sembra indicare come, all’origine delle varie preparazioni appartenenti a questa ‘famiglia’ vi sia un modello arcaico basato sull’utilizzo di metodi per la conservazione della ricotta (e poi della ricotta stessa e/o di altri formaggi) . Ogni tradizione ha cercato di esprimere soluzioni in grado di risolvere i problemi legati alla conservazione di questi prodotti: evitare la friabilità e l'eccessiva secchezza, garantire una lunga conservazione al riparo dei rischi di infestazione delle larve di  Phiophila caesei  (in qualche caso, peraltro, tutt’altro che sgradita)(1), evitare sapori amari e le conseguenze di una maturazione troppo ‘spinta’ (anche in questo caso con la precisazione che la soglia di percezione dell’amaro e del piccante dei ‘vecchi’ era molto diversa da quella attuale). Dalla varietà delle soluzioni adottate è nato un ventaglio di prodotti con caratteristiche diverse.

È probabile che l’esigenza di conservazione di altri tipi di latticini e di recupero di formaggi non idonei al consumo o alla conservazione abbia determinato una parallela evoluzione di metodi di conservazione di latticini (molli ma anche molto duri) attraverso processi di rifermentazione. Per quanto riguarda, invece, l’utilizzo di formaggi freschi a coagulazione lattica (quale è il caso dello  Zincarlìn de Varées) è interessante osservare che l’utilizzo di questi ultimi, in ragione delle caratteristiche della pasta (altrettanto plastica di una ricotta fresca) consente di realizzare preparazioni con la stessa forma e lo stesso nome di quelle ottenute a partire dalla ricotta.

Ciò è evidente nel caso del basso Ticino (e in qualche caso delle confinati aree comasche) dove le forme dello  Zincarlin, ottenute da pasta di formaggio fresco, sono accuratamente modellate a forma di  balòt(palla) o di tazza rovesciata in analogia ad alcuni tipi di  Zincarlin  derivati dalla  maschèrpa. Nomi (vedi le successive note etimologiche) e forme tendono ad restare fedeli ad un modello comune, verosimilmente arcaico, ma dietro a questa forma il contenuto si è evoluto e differenziato.

E’ il caso dello  Zincarlìn de Varées.  A Varese non osserviamo mai una produzione a partire dalla ricotta. A nostro avviso ciò è legato all’assenza di veri e propri alpeggi dove, nel periodo estivo, la disponibilità di importanti quantitativi di latte metteva a disposizione una grandi quantità di siero e imponeva – anche in ragione delle difficoltà di trasporto - l’adozione di metodi di conservazione della  mascàrpa  (ricotta grassa) per la successiva commercializzazione (già nel medioevo la  maschèrpa  è citata per il pagamento di affitti di pascoli e di decime). Nel circondario di Varese, in assenza di gestioni d’alpeggio di tipo alpino (come si osservano già nel centro Lario e in Ossola), la lavorazione casearia era legata anche in estate a una dimensione famigliare, di sussistenza nell’ambito della quale limitate quantità di ricotta erano oggetto di (auto) consumo. Vi era, però, una maggior disponibilità di formaggette e formaggini caprini e/o misti.

 

Una famiglia numerosa

 

L’elenco delle specialità alpine della categoria è lungo: Brous, Cachat, Cachaille (Provenza),  Bruss (Langhe, Piemonte),  Salgnun  (Torinese),  Salignun, Salagnun, Sargnon, Serniun  (Biellese, Valsesia),  Sancarlin (Biellese),  Zingarlén, Zancarlin, Sancarlìn, Zincarlin, Masarèt  (Ossola),  Zincarlin, Sancarlìn, Sancarlign, Zancarlìn, (Canton Ticino),  Zìgher, Zìngher, Zincarlìn, Sancarlin, Zingherlìn  (Comasco),  Zìgher, Zigar  (Alta Valtellina),  Zieger  (Canton Grigioni),  Ziger  (Canton Glarona),  Zieger  (Alto Adige),  Zigher, Schiz  (Dolomiti bellunesi). Spesso il nome del prodotto deriva dal recipiente tradizionale (in legno o terracotta) utilizzato per la preparazione. E’ il caso del  Furmag’ de (la) ségia  della provincia di Varese. Molti prodotti riportati nell’elenco rimandano alla voce ‘zígher’ (tedesco  Ziger/Zieger)(2).  Zieger  è il termine utilizzato dal tedesco moderno per denominare la ricotta. Tale termine è pervenuto nel tedesco moderno dalle parlate tedesco alpine che, a loro volta, l'avrebbero preso dal gallico. Esso non pare connesso a  ziege  (= capra) anche se una relazione con la derivazione di molti prodotti, almeno  ab antiquo, dal latte di capra non si può certo escludere. La voce tedesca  zieger  (pronuncia  "zìgher") deriverebbe da *dwi gro-s  dell'antico gallico, da cui *dwi -gra  del tardo gallico dove  *dwi  ha significato di due (con chiaro parallelismo con in latino, l'inglese e il tedesco) e la radice  ger  quello di ‘cuocere, bollire’ e significherebbe quindi ... ‘ricotta’ (3). La rotazione consonantica dalla *d gallica all'affricata z- del tedesco indicherebbe come probabile la mediazione del tedesco nel passaggio alle lingue galloromanze ed escluderebbe un passaggio diretto dal gallico (4).

In Canton Ticino (Leventina, Maggia, Verzasca), a conferma di queste ipotesi etimologiche la ricotta prende il nome di  Zigra  voce che risulterebbe pertanto molto vicina a quella gallica. Dalla voce lombarda e ladina  Zìgher  è ragionevole intravedere un chiaro legame di derivazione delle voci  Zincarlin  Sancarlin, attraverso una catena di corruzioni di cui permangono vive le forme intermedie (o almeno la loro memoria scritta o orale):  Zìgher  →  Zingher  →  Zingherlin  →  Zingarlén  →  Zincherlin  →  Zincarlin  →  Zancarlin  →Sancarlin  →  Sancarlign  →  Cingherlin. Da  Zigra  l’unica derivazione pare  Zìgar  (Canton Ticino, Valfurva, Alta Valtellina).

 

Oggi la lavorazione del  Zincarlin  parte spesso dal caprino lattico stagionato 'che cola'

 

La denominazione prevalente e le attestazioni storiche

 

In provincia di Varese sono ben attestate le voci  Zincarlin Sancarlin  (con la variante  San Carlin  in esplicito riferimento al santo) e, meno frequentemente,  Zincarlen Zancarlin; in disuso la variante Cingherlin  (a volte italianizzata in Cingherlino). Quest’ ultima è citata oltre che dall’Atlante dei formaggi edito a cura dell’Insor (5) (che la riferisce genericamente al ‘Varesotto’) anche dalla Guida alle specialità regionali italiane di Monica Cesari Sartoni: “cingherlin o zìncarlin formaggio di latte caprino ma anche misto, prodotto ai pascoli tra Varese e Como, con buon centro in Besozzo. Viene stagionato dalle tre alle quattro settimane per conferirgli un sapore piccante. E’ tradizione servirlo con olio, aceto e sale, insieme a fagioli lessati e cipolle crude”(6). E’ bene precisare che il riferimento a Besozzo quale centro di produzione del  Zincarlìn  che si trova anche in altre fonti è stato ripreso dai diversi autori (un po’ pedissequamente come capita nella letteratura non specialistica sui prodotti tipici) dalla guida ‘Lombardia’ di Luigi Veronelli che risale al 1968 (7).

La voce Zincarlin viene riferita al dialetto di Malnate dal Dizionario Reto-Romancio del 1938 (si tratta di una testimonianza importante) (8) ed è presente, ad indicare una presenza radicata nelle abitudini alimentari locali, nel Vocabolario Viggiutese (9).

Pietro Colombo nel suo ‘Ul mangià di nost vecc. Varese e Varesotto (10) riferisce sia la voce Zincarlin cheSancarlin: ‘Con una ulteriore lavorazione la formaggina  era trasformata in “Sancarlin”, formaggio particolarmente piccante chiamato anche “Zincarlin”’.  Sancarlìn  è il termine utilizzato dalla guida del Touring Club (11) e nel numero speciale (3/1985) sulla gastronomia varesina della rivista ‘Lombardia Nord Ovest’ della CCIAA12. Utilizza la variante  Zincarlen  Anselmo Carabelli nella sua opera ‘Mangià e tradizione nel Varesotto’(13) . Nel calendario della Famiglia Bosina del 1967 troviamo invece un interessante riferimento al  Zancarlen  perché cita espressamente la Valcuvia: ‘La Valcuvia e Cabaglio hanno tutt’ora la specialità dei formaggini e dell’esplosivo ultra fermentato “zancarlin”, il formaggino di capra tutto brulicante appunto di “carlin” vivi e saltellanti nella massa del formaggio a delizia dei buongustai!’ (14)

 

L'amalgama per la preparazione del  Zincarlin

 

L’area di produzione

 

Le informazioni raccolte consentono di identificare con l’alta pianura e la fascia collinare (dal Ceresio al Verbano) le aree dove la tradizione di preparazione dello Zincarlìn/Sancarlìn era più radicata (e con essa le voci in questione). Nella parte più alta della provincia, in Valtravaglia, Dumentina e Veddasca al posto del Zincarlin  troviamo invece il  formag’ de (la) ségia. Ne deriva una chiara geografia produttiva che tende anche a qualificare la produzione attuale alla luce di un chiaro e preciso legame territoriale. Già abbiamo visto che anche in area montana (Valli del Luinese) la produzione casearia fosse limitata anche in periodo d’alpeggio a prodotti prevalentemente per l’autoconsumo. Queste considerazioni, a maggior ragione, valgono per la fascia collinare e di alta pianura dove il numero di capi allevato era ridottissimo e dove era diffusa – specie nelle famiglie che possedevano solo capre - la tecnica casearia più idonea alla lavorazione di limitatissimi quantitativi di latte (specie se esclusivamente caprino o misto): la coagulazione lattica. Con il drastico ridimensionamento dell’allevamento caprino nelle aree di alta pianura e collinari (tra il ‘600 e l’inizio dell’ ‘800) la tradizionale cagliata lattica caprina – con eccezione per qualche ambito collinare - ha continuato ad essere più spesso realizzata in ambito casalingo con l’unica vaccherella allevata dalle famiglie (tenendo presente che la produzione di una vaccherella ottocentesca non superava di media i 5 kg giornalieri di latte). Oltre alla continuità con la tradizione di lavorazione del latte caprino il ricorso alla coagulazione lattica è espressione di un contesto di autoconsumo in cui non vi è la possibilità di disporre di abomasi di vitello o di capretto e di dedicare alla preparazione del caglio le necessarie attenzioni richieste dalla sua preparazione (in assenza di alcuna aggiunta di caglio diveniva necessario per via termica la precipitazione della caseina destabilizzata ponendo il recipiente con la ‘quagiada’ sulle ceneri calde del focolare domestico). Ne derivava la  Furmagina, base per la preparazione casalinga tradizionale dello Zincarlìn. Nonostante il ricorso (imposto dalle circostanze) al latte vaccino lo Zincarlìn nelle fonti citate ha continuato ad essere considerato come un tipico derivato del latte caprino Nella montagna una situazione più evoluta dal punto di vista del caseificio (per quanto famigliare) continuava a consentire la produzione di burro e formaggi a coagulazione presamica (vaccini e caprini); di qui la disponibilità di diversi tipi per produrre il corrispondente dello  Zincarlin: il  Furmag’ de (la) ségia. 1- continua

 

 

 

Note

 

1. Oggi sono praticamente scomparsi, almeno in provincia di Varese, gli estimatori del ‘formaggio che cammina’

2. M. Corti, M. Curtoni, S. Lamberti, G.  Bosoni, La maschèrpa de l aalp molto più di una ricotta: in Caseus

VIII (2003), n. 2 pp 4-13. e in: La Valle Intelvi, Quaderno n. 9, 2003, pp. 85-96.

3. Hubschmied J.L., Ausdrücke der Milchwirtschafr gallischen Ursprungs, Vox Romanica, 1, 1936, 88-105.

4. Remo Bracchi, comunicazione personale.

5. Ministero Agricoltura e Foreste. Atlante dei prodotti tipici: I Formaggi a cura dell’Insor, Roma, 1991

(p.188).

6. M. Cesari Sartoni, Mangia italiano. Guida alle specialità regionali italiane, Morellini Editore, Milano, 2005  (p.48).

7. L. Veronelli, Lombardia, Garzanti, Milano, 1968, (p. 39).

8. C. Pult, A. Schorta, Società retorumantscha, Dicziunari rumantsch-grischun, Bischofberger, Coira, 1938,  Vol. III (p. 75).

9. ‘Zancarlìn = formaggio con pepe’. Vocabolario viggiutese in: http://www.franzi franzi.it/

quaderniviggiutesi/Vocabo/Vocaboli.html

10. P. Colombo, Ul mangià di nost vécc. Varese e Varesotto, Macchione, Varese, 2004, (p. 75-76).

11. Varese e provincia: le prealpi, le valli, i laghi : ville, monasteri, castelli, Touring Editore, 2002. Il ‘sancarlin’  è citato a pag. 26 tra i prodotti della gastronomia provinciale.

12. Alimentazione e gastronomia ‘regionale’. Lombardia Nord Ovest, n. 3, 1985 (pp 7-40).

13. ‘fatta la furmagina  con una ulteriore elaborazione si preparava ul zincarlen’. A. Carabelli, Mangià e tradizione  nel Varesotto, Macchine, Varese, 2008, (p. 84).

14. A. Banchieri, La gastronomia del varesotto, in: Calendari do ra Famiglia Bosina, 1967 (pp. 67-69).

 

 

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