Aiuti di stato alle “grandi Dop”
ma la vera crisi è per gli “altri formaggi duri”…e se gli aiuti venissero condizionati
a impegni sul fronte del rispetto ambientale e del miglioramento della qualità?
di MicheleCorti
Pubblicato in Caseus. Arte e cultura del formaggio, anno XIV (2009), n. 1,
(Gennaio-Febbraio)
Riassunto. Il
sostegno del governo ai consorzi del Grana Padano e
del Parmigiano Reggiano lascia perplessi perché riflette
più il peso politico dei consorzi stessi che la gravità
della crisi di mercato. Quest'ultima ha colpito maggiormente
gli 'altri formaggi duri'. Per di più la grande quantità
di formaggio ritirata dal mercato e offerta gratuitamente
agli 'indigenti' non potrà non avere ripercussioni negative
sulla domanda del comparto. E' poi con un pizzico di
arroganza che i Consorzi dichiarano di non avere
alcuna intenzione di ridurre l'offerta. 'Noi produciamo
quanto ci pare, poi Pantalone sostenga il prezzo' pare
vogliano dire. Quanto alle accuse alla Gdo che deprimerebbe
i prezzi con le offerte promozionali si deve constatare
che i vilissimi prezzi di vendita non sono solo
legati alle promozioni ma che c'è un segmento da 'primo
prezzo' che viene venduto costantemente a prezzi stracciati e
per il quale si pone un problema di compatibilità della
modesta qualità che lo caratterizza con le pretese di
'garanzia' e 'eccellenza' della Dop.
Nel clima generale di corsa alle misure “anticrisi” sono
state messi da parte, tanto rapidamente quanto spregiudicatamene, decenni di
predicazioni liberiste e vige la nuova ortodossia “interventista”. Non c’è
quindi da stupirsi se non si siano sollevate voci di dissenso rispetto alle massive
misure che hanno riguardato il sostegno al mercato delle principali produzioni
casearie nazionali: il Parmigiano Reggiano Dop e il Grana Padano Dop. Il bando
AGEA (Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura),
atteso sin da dicembre, dovrebbe uscire a giorni e prevede l’esborso di 50
milioni di € (27 per il Parmigiano Reggiano Dop e 23 per il Grana Padano Dop).
L’operazione, consentirà di togliere dal mercato 100.000 forme per ciascuna
delle due produzione destinandole agli “indigenti”. Ma non è finita. La strategia di riduzione
dell’offerta sul mercato nazionale comprende anche interventi senza precedenti
sui mercati internazionali. Il Consorzio del Parmigiano Raggiano Dop ha deciso
di ritirare dal mercato 50.000 forme, di stagionarle a sue spese e di inserirle
in un progetto promozionale finalizzato all’ampliamento della presenza sui
“mercati emergenti”. Anche in questo caso l’impegno finanziario sarà sostenuto
– in buona misura – dalla mano pubblica attraverso Buonitalia S.p.A., la società per la
promozione, l'internazionalizzazione e la tutela dell'agroalimentare italiano,
promossa dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali [1]. Sono
previsti 5 milioni di euro per ciascuna delle due Dop.
Ma la crisi è davvero tale da giustificare questi
interventi? Gli interventi perfettamente paralleli a sostegno delle due
produzioni sono giustificati da altrettanto parallele dinamiche di mercato? E
la colpa della crisi è solo della GDO, come sostengono dalle parti di Desenzano
del Garda e di Reggio Emilia? Tutte domande più che lecite.
Innanzitutto i consumi. Il rallentamento dei consumi tanto
esorcizzato non c’è stato. C’è stato, invece, un aumento significativo dei
consumi. Nel bimestre ottobre-novembre i consumi di Grana Padano, secondo le
rilevazioni Nielsen, sono cresciuti dell’1,4% portando l’aumento annuale
dicembre 2007-novembre2008 ad un ragguardevole 2,6%. Dati simili dovrebbero
essere stati registrati per il Parmigiano Reggiano, considerato che i dati del
CRPA, per i primi undici mesi del 2008, indicavano un più modesto incremento
dell’1,2% per entrambi i prodotti. Va
subito osservato che questi incrementi sono stato conseguiti a fronte di segno
pesantemente negativo per gli “altri formaggi duri” che hanno registrato un
calo di vendite al dettaglio pari a 8,2%.
Sempre secondo il CRPA, nei primi undici mesi del 2008
il valore delle vendite dettaglio è cresciuto rispettivamente del 6,8% (Parmigiano
Reggiano) e del 8,5% (Grana Padano), mentre gli altri formaggi duri diminuivano
del 3,7% in valore.
Quanto
alla produzione del Grana Padano essa è cresciuta del 2%, riportandosi ai
livelli del 2006 (quando, però, i prezzi all’ingrosso erano nettamente più
bassi di quelli osservati nel 2008). Le scorte di Grana Padano nel 2008 sono
calate del 7,12% rispetto al 2007, attestandosi a 1.084.163 forme (rispetto
alle 1.167.300 dell’anno precedente), e raggiungendo il livello più basso degli
ultimi dieci anni. La produzione del Parmigiano Reggiano è invece calata del -2,13.
Da
questo quadro è possibile iniziare a fornire qualche risposta agli
interrogativi di cui sopra. Innanzitutto
è evidente che non siamo di fronte a quella catastrofe che i consorzi volevano
dipingere qualche mese fa con il malcelato scopo di “stimolare” gli interventi
di sostegno. I prezzi all’ingrosso sono
diminuiti rispetto al 2007 (di circa il 2,5%), ma sono rimasti superiori a
quelli del 2006. I consumi sono cresciuti.
Tabella – Prezzi ingrosso Parmigiano Reggiano
24 mesi (CCIAA di Parma)
|
2007
|
2008
|
Variazione
(%)
|
Gennaio
|
7,8
|
8,88
|
13,85
|
Febbraio
|
8,1
|
8,57
|
5,80
|
Marzo
|
8,1
|
8,3
|
2,47
|
Aprile
|
7,97
|
8,22
|
3,14
|
Maggio
|
8,01
|
8,3
|
3,62
|
Giugno
|
7,9
|
8,31
|
5,19
|
Luglio
|
7,88
|
8,3
|
5,33
|
Agosto
|
8,31
|
8,25
|
-0,72
|
Settembre
|
8,79
|
8,21
|
-6,60
|
Ottobre
|
8,98
|
8,15
|
-9,24
|
Novembre
|
9,06
|
8,1
|
-10,60
|
Dicembre
|
9,03
|
7,93
|
-12,18
|
Media anno
|
8,33
|
8,29
|
-0,41
|
Tra le due produzioni è evidente, però, che ci sono
differenze con una maggiore difficoltà per il Parmigiano. E’ un fatto
registrato da tempo: il PR è un prodotto più “maturo”. Ma quello che colpisce maggiormente
è che la crisi di queste due produzioni è legata alla forbice tra prezzo
all’ingrosso e prezzo al consumo, mentre per gli altri formaggi duri, la crisi
di mercato è crisi strutturale, con una domanda che cede in modo consistente. Però,
a parte gli interventi annunciati per il Pecorino sardo (in vista delle
elezioni regionali) di quali altri sostegni godono gli “altri formaggi duri”?
Si dice che grazie alle due “corazzate” (PR e GP,
tutto il settore ne viene “trainato”). Ma sono affermazioni puramente
statistiche: le economie locali, quelle delle tante “altre produzioni” di
questo “traino” non vedono alcun beneficio.
Veniamo ora alla “colpa” della GDO. La già citata forbice
tra i prezzi è innegabile, ma l’aumento dei prezzi al dettaglio tende, in buona
sostanza, a contraddire le lamentele dei consorzi, che imputano la crisi
all’utilizzo strumentale delle due “eccellenze del Made in Italy” per
operazioni promozionali “civetta”, tese a contendersi i consumatori e condotte
grazie ad acquisti di grosse partire “sottocosto”. Queste ultime sono operazioni che colpiscono
molto l’immaginazione del consumatore ma che non incidono più di ntanto dui
prezzi medi.
Di fatto le vendite di PR e GP al dettaglio aumentano
grazie alla forte crescita delle vendite presso i discount e a quella. più contenuta in percentuale ma maggiore in
volume, degli ipermercati. E, aggiungiamo, grazie all’aumento molto forte delle
vendite di prodotto grattugiato e cubettato. Senza questi canali, e senza le
operazioni “promozionali” sarebbe stato possibile allargare i consumi? Qualcuno
direbbe “sputare nel piatto dove si mangia”.
Ma poi, di che qualità è il prodotto che finisce in
“saldo”? Lo ammettono gli stessi
consorzi che c’è un problema di qualità calante. Non viene regalato l’oro! “Per migliorare e mantenere la qualità
occorrono prezzi adeguati [ha detto il presidente del Consorzio del GP, Baldrighi]
lavorando sottocosto la qualità decade
inesorabilmente”.
Il punto della qualità ci consente di allargare le
considerazioni alla filiera e di tornare agli argomenti cari a questa rubrica e
a questa rivista: com’è la qualità del latte che arriva ai caseifici? Le lunghe stagionature, le categorie
“export”, “oro” ecc. non presuppongono una materia prima di alta qualità?
L’aumento costante, anno dopo anno, della produzione
unitaria per vacca, la concentrazione del patrimonio zootecnico in poche grandi
stalle, dove spesso vi è una eccessiva densità di capi (sempre più numeri e
sempre meno oggetto di prevenzione e controllo), l’aumento delle quote latte,
l’alimentazione spinta a base di mais (anche insilato nel caso del GP), sono
elementi che favoriscono la qualità? No e lo si vede nell’aumento dei Clostridi
nel latte.
Quando si parla di ampliare l’export e si favoleggia
di enormi mercati “emergenti” da conquistare sembra che la filiera sia una
macchina che possa girare ancora più veloce, basta schiacciarel’acceleratore.
Ma la macchina gira già molto veloce, troppo! A parte le elevatissime
produzioni per vacca (con pochi riscontri al mondo), c’è anche un grande
impiego di concimi chimici (anche da parte di quegli allevatori che producono
unità di azoto in eccesso rispetto ai fabbisogni colturali) e la produzione di
liquami è al massimo, come testimoniano le vicende di questo inverno. Ha
piovuto, ha nevicato, è vero, ma, a parte che si è trattato di fenomeni che
rientrano nella normalità delle cose, le vasche erano piene già a dicembre,
molto prima della scadenza del “fermo” trimestrale. E molti hanno sparso su terreno innevato.
Buone pratiche agronomiche, non c’è che dire!
L’uso dei diserbanti per il mais è cresciuto da 1,1 a
2,4 kg di principi attivi per ha tra 2001 e 2007 (Istat) e non solo il Po, ma
anche gli affluenti, presentano troppo spesso concentrazioni di erbicidi
superiori ai limiti di legge (Ispra). Il sistema è già troppo intensivo e se i
consorzi, i caseifici, gli allevatori si disinteressano degli impatti
ambientali il governo, prima di sovvenzionare un sistema così intensivo e con
impatti così elevati, dovrebbe pensarci un attimo e, semmai, condizionare i
programmi di massicci aiuti a qualche target di riduzione di impatti.
In conclusione vorremmo spendere qualche parola anche sulla
violazione palese del principio di equità. Si privilegiano le “grosse Dop” con
elevato peso politico e si ignorano quelle produzioni (ce ne sono sia al Nord
che al Sud) realmente in sofferenza, che hanno alle spalle filiere meno
intensive, che tengono in vita le aree rurali di collina e di montagna e
presentano impatti ambientali nettamente più favorevoli delle grandi produzioni
padane. La grande diversità di prodotti legati a territori e tradizioni
specifiche è il giacimento più importante del Made in Italy. Ma dalle parti del
Ministero, di BuonItalia ecc. non pare che ci sia la volontà di “uscire dal
seminato” e di fare cose diversa dal foraggiare i grandi consorzi.
Buonitalia è costituita
dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (MiPAAF),
dall’Istituto Nazionale per il Commercio Estero (ICE), dall’Istituto di Servizi
per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA) e dall’Unione Italiana delle Camere
di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura (UNIONCAMERE) e opera in
sinergia con il Ministero degli Affari Esteri, il Ministero del Commercio
Internazionale e le Regioni italiane i cui rappresentanti siedono nel Consiglio
di Amministrazione.
|