Vino e formaggi: si continua ad
andare in direzioni opposte
Pubblicato in Caseus.
Arte e cultura del formaggio, anno XIV (2009), n. 3,
pp. 13-14 (Maggio-Giugno)
di Michele
Corti
Riassunto.
Mentre nel campo dei vini DOCG si prosegue nella strategia
di differenziazione attraverso la valorizzione dei cru
sulla base di sottodenominazioni geografiche o di altri
criteri, nei formaggi il peso della componente industriale
delle Dop punta a valorizzare il minimo comun denominatore
del marchio (con conseguenze pèrevedibili sulla qualità).
Le sottodenominazioni, nel mondo delle Dop casearie, sono
legate a circostanze particolari. I privilegiati
sono il Trentin Grana (Grana Padano, ma 'deiverso')
e la Mozzarella campana. Per altre produzioni le richieste
di sottodenominazioni sono precluse. Due pesi e due
misure verrebbe da dire. Chi ci rimette sono i formaggi
di montagna (non quelli fatti genericamente in montagna),
i formaggi di pascolo. Una politica miope che non
favorisce la valorizzazione delle eccellenze casearie
e che, al di là dell'economia lattiera penalizza l'indotto
turistico e la tutela di risorse ambientali e culturali.
Per i formaggi le sottodenominazioni sono un privilegio
concesso agli uni negato agli altri
La scorsa primavera abbiamo appreso che
il Consorzio Tutela Barolo Barbaresco
Alba Langhe e Roero ha
proposto la delimitazione dei confini delle menzioni geografiche aggiuntive del
Barolo. Il Comitato Vitivinicolo Regionale ha espresso parere favorevole sulle
menzioni proposte. Dopo l’approvazione del Comitato Nazionale per la Tutela e
la Valorizzazione delle Denominazioni di Origine e delle Indicazioni
Geografiche Tipiche dei Vini interno al Ministero, la pubblicazione del decreto
ministeriale renderà pienamente legittimo l’utilizzo di questi nomi geografici
in etichetta, così come è già avvenuto per il Barbaresco nel febbraio del
2007. L’operazione è frutto di anni di
studi. Tutto il territorio della Docg è stato mappato e suddiviso in aree
contraddistinte da una menzione geografica aggiuntiva. L’operazione di mappatura si è anche tradotta
nella realizzazione di un “Sistema Informativo Territoriale” su piattaforma
internet (GIS-WEB) contenente, oltre alle mappe digitali delle “sottozone” del
Barolo e del Barbaresco, anche supporti cartografici territoriali, quali la
Carta Tecnica Regionale, le Mappe Catastali Numeriche, la carta delle
esposizioni e quella delle pendenze. Ai comuni utenti sarà quindi consentita
un’approfondita analisi di tipo territoriale. Complimenti.
Si tratta comunque di un’operazione che
risponde a precise logiche di mercato per un prodotto di alta gamma che aspira a
valorizzare al meglio la “gerarchia” qualitativa (in termini di segmentazione
del mercato); essa consente anche di esaltare il legame tra prodotto e
territorio, di offrire la massima chiarezza in etichetta a vantaggio del
consumatore. Di tenere alto il prestigio di un prodotto, insomma.
Nel mondo del vino queste tendenze sono
confermate da quanto sta succedendo con il Sagrantino di Montefalco (Docg
umbra). E’ infatti in corso un progetto pilota (attuato dal Consorzio di tutela
su incarico del Ministero) che mira alla classificazione (in etichetta) di
tutta la produzione sulla base di alcuni criteri che ricalcano quelli dei cru
francesi. Differenziazione quindi, sia sulla base di criteri geografici che di
altri criteri, ma che differenziazione sia, possibilmente nella trasparenza.
Ricordo che stiamo parlando di Docg, ovvero del “vertice” del sistema di
denominazioni di origini dei vini. Eppure il vertice (o forse potremmo dire
“proprio il vertice”) sente il bisogno di differenziare, segmentare.
Invece nel mondo dei
formaggi Dop le cose vanno diversamente. La differenziazione (tramite menzioni e marchi
aggiuntivi a quello della Dop stessa) che fanno riferimento a qualificazioni
aggiuntive è in generale scoraggiata, la sottodenominazione geografica
aborrita. Questo sulla base del principio che è il marchio Dop, la
denominazione che qualifica il prodotto. Che queste scelte abbiano la
responsabilità di “trascinare al ribasso” la qualità della produzione e che
siano tali da favorire la componente più industrializzata della produzione lo
abbiamo già più volte detto in questa rivista e in questa rubrica.
Aggiungiamo a vantaggi del
lettore un po’ di considerazioni. Nell’ambito della produzione del Bitto Dop la
produzione realizzata nella ristretta “area storica” (le valli del Bitto) si
batte - sin dal riconoscimento della Dop (1996) - per la sottodenominazione.
L’uso della marchiatura aggiuntiva con una minimalista V, un marchiettino a
fuoco che rimandava, con un po’ di immaginazione, alle Valli del Bitto. Eppure
quella V, che era stato frutto di un difficile accordo nell’ambito del
Consorzio di tutela, è stata oggetto di diffida ministeriale, tanto che nel
2006 i produttori storici – delusi dalla piega assunta dalla vicenda - sono
usciti dal Consorzio. Ma nell’ambito dei
formaggi Dop le sottodenominazioni geografiche esistono, eccome.
La Mozzarella campana Dop
può fregiarsi delle qualificazioni geografiche aggiuntive “Piana del Sele”,
“Piana del Volturno” (o “Aversana”),
“Pontina”. Ciò a condizione non solo che il prodotto sia ottenuto
nell’ambito della sottozona geografica ma anche che rispecchi le tecniche
tipiche e differenziate delle aree stesse e che (limitatamante al Casertano e
al Lazio) ci sia ricorso al pascolamento. Il parallelismo con il Bitto della
sottodenominazione “Valli del Bitto” (ottenuto nell’ambito di criteri di
produzioni più rigorosi) è perfetto. Eppure la sottodenominazione Bitto è
sempre stata bocciata come “impossibile”.
Nel campo delle Dop
casearie un altro caso di sottodenominazione è il Grana padano Dop
sottodenominazione Trentingrana. A parte che, anche nell’ambito della
comunicazione istituzionale di parla senza troppi scrupoli di rispetto della
“normativa sulel Dop” di Grana trentino, Grana di montagna e si occulta
accuratamente che trattasi di Grana padano, anche il nuovissimo disciplinare
del Grana padano (in corso di valutazione a Bruxelles) lascia un po’ perplessi.
Nulla da obiettare sulle nuove denominazioni “Riserva 20 mesi” ecc.
(benissimo!), ma è proprio sul sistema di marchiatura del Trentingrana che
viene il sospetto che l’applicazione della normativa sulle Dop risenta un po’
(o tanto) del criterio “due pesi e due misure”. Il nuovo disciplinare prevede
che:
Le specifiche fasce marchianti previste per la
tipologia TRENTINGRANA come sopra individuata si compongono di una fila in alto
e una in basso di losanghe romboidali tratteggiate attraversate dalla parola
“TRENTINO”, scritta in caratteri maiuscoli e leggermente inclinati verso destra
e tratteggiati; nella parte centrale, fra le forme stilizzate di alcune
montagne, si leggono le parole “TRENTINO” scritte bifrontali; al centro figura
un quadrifoglio, che riporta al suo interno, dall’alto in basso, le due lettere
“TN” in carattere maiuscolo, sigla della provincia di Trento nella quale è
situato il caseificio produttore, il numero di matricola del caseificio
medesimo, composto di tre numeri, e la dicitura “DOP”, oltre a due piccoli
ovali e due piccoli cerchi posti rispettivamente sopra e sotto e a destra e
sinistra del numero di matricola; in basso alla sinistra del quadrifoglio
figura il bollo CE, che identifica, ai fini sanitari, lo stabilimento di
produzione, mentre sulla destra del quadrifoglio, sotto allo spazio riservato
all’apposizione del marchio a fuoco GRANA PADANO, compare l’indicazione del
mese e dell’anno di produzione, rispettivamente con tre lettere e due cifre.
La sottodenominazione
geografica (“Trentino”) viene “gridata” attraverso non uno ma due marchi di cui
il secondo tra forme stilizzate di montagne rimanda al marchio territoriale
turistico. Alla faccia della prevalenza della Dop (richiamata solo dall’unico
marchio a fuoco), della non sovrapposizione e stratificazione di “marchi aggiuntivi”.
Intanto la sottodenominazione “Valli del Bitto” del Bitto messa fuorilegge ha
potuto (per fortuna) transustanziarsi nel Presidio Slow Food.
Ma è giusto che nei
formaggi i cru siano fuorilegge? Che solo alcune “corazzate” possano fregiarsi
delle sottodenominazioni. Al lettore la non ardua sentenza.
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