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Quando la crisi dei maxi caseifici cooperativi apre nuove prospettive

Pubblicato in Caseus. Arte e cultura del formaggio, anno XIV (2009), n. 4, pp. 21-22 (Luglio-Agosto)

di Michele Corti

Riassunto. Le contraddizioni del modello di un sistema zoocaseario basato - in un area alpina - sulla concentrazione produttiva e le economie di scala hanno determinato una grave crisi delle principali strutture produttive cooperative. Oggi per rimettere in piedi il caseificio di Fiavè si sta procedendo a 'razionalizzazioni' e 'tagli' che vanno a penalizzare quegli allevatori che avevano creduto nel biologico. Fortunatamente i consumatori organizzati nei GAS, desiderosi, di poter disporre di formaggi bio pensano di intervenire a sostegno dei produttori di latte. Dalla crisi dei modelli gestiti dall'alto di ispirazione tecnocratica e produttivista forse potrebbe sortire un'esperienza di tutt'altro segno.

 

A giugno, in una conferenza stampa indetta dalla struttura cooperativa lattiero-casearia trentina, è stato lanciato un grido d’allarme su futuro delle produzioni bio. “Si produce più latte di quanto il consumatore sia disposto a comprare”.

La grande distribuzione faticherebbe a proporlo sugli scaffali adducendo ‘la crisi’. Di fronte a questa situazione i produttori bio rischiano dopo l’estate di vedersi ritirato il loro latte allo stesso prezzo di quello convenzionale e di vederlo finire mescolato con quest’ultimo

(magari con quello di stalle che usano insilato di mais).

In Italia e in Europa, però, le cose non vanno così e il mercato bio cresce o comunque tiene egregiamente (tanto è vero che tanto successo

comincia a dare fastidio al sistema industriale, come dimostra la campagna di fine luglio dei media contro il consumo alimentare bio sull’onda

di uno studio commissionato dalla britannica Food standard agency).

Ma allora perché in Trentino il lattiero-caseario bio non decolla? Prima della crisi attuale vi erano già stati degli episodi indicativi di come il

sistema oligopolistico del “Polo Bianco”, un po’ per la sua rigidità, un po’ per scarsa convinzione, non appaia capace di spingere il bio.

Nel 2007 due stalle della Valsugana furono costrette a vendere il proprio latte bio alle Latterie Vicentine. Sergio Paoli, direttore di Latte Trento (e ora di tutto il “Polo”, avendo assunto anche la direzione del caseificio Fiavè-Pinzolo-Rovereto) a proposito del mancato “decollo” della vendita del latte bio e della difficoltà dei produttori dichiarava: «Ci abbiamo provato ma vendiamo pochissimo. Del resto le nostre stalle fanno un prodotto con qualità vicinissime al biologico. Non serve convertire». E qui saltano fuori due aspetti: il latte bio della Latte Trento non era decollato perché era prodotto solo quello a lunga conservazione e non quello “fresco”. Una cosa illogica visto che il consumatore non associa volentieri il bio (percepito come naturale) con un procedimento di sterilizzazione, ma che si spiegava con la “divisione del lavoro” tra unità produttive. Vi è un secondo aspetto più “strutturale” che traspariva bene dalle parole di Paoli: la linea bio viene vista dai caseifici cooperativi come una sorta di auto-concorrenza ritenendo di avere già una buona immagine sul mercato (grazie al marketing territoriale della montagna trentina).

L’accorpamento in due grandi complessi (e in pochi altri caseifici comprensoriali) della produzione casearia provinciale e la logica di “divisione

del lavoro” che informa tutto l’insieme non concede in definitiva molti spazi alla produzione di formaggi bio. Le contraddizioni del sistema emergono quando si prende concretamente in considerazione l’origine del latte bio e la sua attuale destinazione a formaggi.

Oggi i formaggi bio li produce il caseificio “leader” di Fiavè. Si tratta del Grana padano dop (sottodenominazione geografica Trentingrana) bio e del Fontal Fiavè Bio. La maggior parte degli allevamenti bio si trovano in Val Rendena e allevano l’omonima razza bovina autoctona.

 In Val Rendena, a Pinzolo (nel caseificio che fa parte del complesso Fiavè-Pinzolo-Rovereto) si produce il formaggio Razza Rendena (esclusivamente con latte di vacche Rendene), la tipica Spressa e un formaggio a latte crudo (Vacarsa). Il latte bio, caratterizzato dalla razza, da una precisa valle di provenienza (e magari anche prodotto in alpeggio) viene trasportato verso un’altra valle per produrre I formaggi più richiesti dal mercato. Almeno così si illudevano a Fiavè ragionando a tavolino. Ma la GDO non ha ‘risposto’. Risultato: il caseificio di Fiavè deve risollevarsi da una crisi profondissima che aveva portato ad accumulare 50 milioni di debiti (è stato salvato grazie all’intervento di “mamma provincia” e della federazione cooperative che hanno acquisito gli immobili per 22 milioni). Oggi, perciò, deve tagliare i costi e “razionalizzare”. La linea bio viene vista come un “peso” e si è deciso che avrà vita breve. Così, come già detto, a settembre i produttori bio della Val Rendena e della razza Rendena si troveranno di fronte all’aut aut: o accetti 30 cent. al litro come gli altri o non ti ritiriamo più il latte. Non ne sono rimasti molti: da 28 che erano sono scesi a 12, ma solo 9 sono intenzionati ad andare avanti, con o senza il sostegno della cooperazione.

Ed ecco che in questa storia poco allegra si apre uno spiraglio di luce. Entrano in scena i consumatori (quelli accusati dai vertici cooperativi di essere i responsabili della crisi). In Trentino è attiva un’associazione (“La Credenza. Per un mercato bio-etico”) che è un super GAS (gruppo di acquisto solidale). Acquista solo prodotti biologici direttamente da piccoli produttori ed esclusivamente per i soci; è un gruppo di persone che acquista tenendo conto della qualità dei prodotti e dell’impatto che la loro produzione ha sull’ambiente e sulle persone.

Scandalizzati dal rischio di estinzione del latte e dei formaggi bio trentini i soci della Credenza, supportati anche da ICEA, hanno deciso di

muoversi in favore dei produttori bio e di aiutarli. L’aiuto si prospetta concreto: acquistare in anticipo i formaggi e i latticini. In attesa di trovare soluzioni di trasformazione in valle (il caseificio comprensoriale fa parte del ‘complesso’ cooperativo e ha le mani legate)

il latte potrebbe essere trasformato in Lombardia presso caseifici che operano già con i GAS (povero latte bio trentino che da una provincia autonoma così attenta all’ambiente, con tanto di Verdi in giunta sino all'ultima tornata elettorale, è costretto ad ‘emigrare’ verso le regioni vicine!).

Per il futuro si aprirebbero nuove prospettive. Riaprire le latterie turnarie di paese? Riprendere a caseificare in alpeggio? In Val Rendena il latte prodotto sui pascoli di alta montagna scende tutto a valle per la lavorazione e il caseificio di malga vive solo nelle esposizioni del Museo della Malga a Caderzone. Svincolati dalle rigide strutture dei grandi caseifici cooperativi i produttori possono pensare a valorizzare un latte che è bio, di montagna e proviene da una vacca autoctona non “spinta”. I consumatori

che li appoggiano, però, ancorché critici e consapevoli continuano a domandare Grana e Mozzarella e dovranno a loro volta compiere

un percorso da veri e propri ‘coproduttori’. Dovranno capire che da un certo latte si devono ottenere prodotti che lo valorizzano al meglio,

legati al territorio, alle risorse foraggere, alle tradizioni e a quelle tecniche di lavorazione artigianale che, grazie alla crisi del sistema

caseario cooperativo hanno ora la possibilità di risorgere.

 

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