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[Manifesto] |
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Va anche chiarito che il ruralismo non è difesa e chiusura in un orticello, non ha a che fare con gli idilli rurali e bucolici costruiti dal consumismo ma è chiave di partecipazione alle dinamiche sociali più complessive portando consapevolmente esperienze, valori di valenza generale. E' ricerca di soluzioni per tutta la società, dinamismo e proiezione al futuro nella consapevolezza del passato. Anche la stessa "neoruralità", però, da neoconsumistica, snobistica quel'è in larga misura può essere ricondotta a componente vitale di alterità al partito della globalizzazione economica e del mundialismo, all’interno di uno schieramento comunitarista. Ricreare legami nuovi con il territorio è vitale per contrastare la delocalizzazione della vita sociale imposta dal sistema. Va sottolineato l’aspetto di ri-creazione perché prima il legame era forte e obbligato perché connesso alla sopravvivenza materiale, invece oggi non è scontato. Nulla è scontato al di fuori di processi di autoconsapevolezza all’interno di una società che è sempre più autoriflessiva. Per vivere nei piccoli centri bisogna attivare interessi e iniziative che consentono di recuperare fonti di reddito ma anche motivi e stimoli di sviluppo di relazioni in loco; non basta avere servizi pubblici (e neppure pensioni e sussidi) per evitare che i paesi divengano (o restino) del dormitori e che tutti gli interessi lavorativi e non si concentrino "a valle". Bisogna che ci siano occasioni su programmi di sviluppo rurale per dare lavoro a figure professionali qualificate altrimenti l'intellettuale del paese è solo il geometra (che pensa ancora troppo spesso che la cultura sia optional e che sviluppo sia edificazione) o l’insegnante, il bibliotecario che pensano troppo spesso che la cultura sia solo quella progressista urbanocentrica, forse per sentirsi collegati a una realtà che localmente non trovano e che gli da appartenenza e "consolazione". Queste figure tradizionali (il “geometra”, e l' “intellettuale isolato” non possono mettere in moto processi culturali e al tempo stesso sociali ed economici con i soggetti locali: uno è legato alla cultura del "progresso-cementificazione-speculazione" l'altro ad una cultura con scarsi legami con il contesto reale purtroppo sempre elitaria. Unire forze locali per valorizzare il territorio e fare si che quelle risorse (il patrimonio culturale e ambientale, lo spazio agrosilvopastorale) apparentemente inutili, anzi “palle al piede” nelle logiche economiche industrialiste globalizzanti, diventino fonte di azione comunitaria e di iniziativa economica e culturale è comunque possibile come suggeriscono casi di successo di "sviluppo rurale" opportunamente sostenuti da fondi comunitari, ma anche da mobilitazione sociale ed effervescenza culturale in loco )a patto che sia stimolata da opportuni innesti e incontri, però). Sono processi autosostenibili ed autocatalitici (una volta avviati). Contro la rivitalizzazione del mondo rurale alpino non ci sono comunque solo gli interessi esterni: l'industria alimentare globale, i "verdi" radical-giocobini che vogliono popolare le montagne di orsi e lupi per fare la "pulizia etnica", tutti coloro che in nome vogliono parchizzare la montagna e farne un "parco divertimenti" per cittadini alienati in una logica di perfetto colonialismo. C'è la subalternità interiorizzata alla cultura urbanocentrica -tratto particolarmente accentuato nella cultura italiana che disprezza particolarmente le dimensioni rurali, naturali, "meccaniche" , ci sono gli interessi locali che non sono niente di più che terminali passivi di quelli esterni (l'amministratore, il professionista, il titolare dell'agenzia immobiliare, ma anche il tecnico agricolo e il burocrate). Se opporsi all'ideologia "verde" è importante non ci si può non opporre anche all'ideologia dello "sviluppo" fatto di pesanti infrastrutture, edificazione incontrollata, concentrazione delle risorse turistiche nei centri sciistici più dotati, concentrazione delle risorse agricole e "rurali" ad uso e consumo di cooperative operanti con logica industriale e di pochi grossi agricoli che drenano il grosso dei fondi per i miglioramenti materiali e buona parte delle altre provvidenze. Insomma si tratta anche di opporsi a quegli interessi corporativi che, sia a “sinistra” che a “destra” sono coperti e tutelati a danno di quelli diffusi, della tutela dell'identità e della cultura, della tutela dell'ambiente e delle memorie, di quella sostenibilità ambientale, economica, sociale da tutti proclamata. L'aggregazione proposta è politicamente trasversale che può rappresentare lo sbocco del processo di costruzione della rete Ruralpina, vuole assumere un profilo diverso da quello delle tradizionali associazioni culturali, centri studi, "pensatoi" o società di consulenza. La definisco provvisoriamente Centro di iniziativa ruralista alpina. Dimensione tecnica e politico-culturale sono fuse, come dev'essere e come solo le interessate ipocrisie continuano a pensare come separate. L'idea consiste nel consentire a piccole realtà rurali (centri sotto i 500 abitanti), gruppi di agricoltori rurali in polemica con le organizzazioni corporative agroindustrialiste (vedi vicende del Bitto dove chi sostiene quei valori di "qualità" e legame con il territorio e la tradizione di un prodotto alimentare di eccellenza - apparentemente valori oggetto di consenso sociale generalizzato- si è trovato a combatte un “corpo a corpo” contro i piccoli-grandi poteri forti locali), professionisti e studiosi coerentemente ruralisti, di mettersi in rete al fine di accedere a risorse di informazione e di servizi in grado di consentire loro di sviluppare capacità progettuale e di partnership con soggetti analoghi in altre regioni e paesi alpini. Il tutto con la finalità di accedere a fondi comunitari in modo il più possibile diretto senza passare dai filtri burocratici-clientelare e di iscrivere le progettualità messe in moto in un percorso in cui i risultati siano cumulativi e al servizio di un progetto politico consapevolmente ruralista e comunitario. Ovviamente l'aspetto tecnico (capacità culturale e progettuale) da solo non si sostiene senza una parallela azione politica di lobby trasversale a favore della ruralità alpina (per distinguerla dalla “montagna” delle imprese di costruzione, delle società degli impianti sciistici ecc.). La capacità progettuale non può essere disgiunta da un ruolo di animazione culturale e sociale ed anche di mobilitazione (non si può solo aspettare i risultati dei progetti). Da questa animazione, attivizzazione, devono scaturire, attraverso un processo dal basso, idee e finalità evitando di ricadere nei meccanismi che contestiamo, (di tipo corporativo e tecnocratico). |