Il crinale pascolivo di 3 km tra la
valle Imagna e Morterone (Lecco), arato per tutta la lunghezza dai
cinghiali. Ma abbiamo constatato di persona estesi danni anche in altri
settori del pascolo. Un fatto scandaloso perché i pascoli sono gestiti
dall'ente regionale Ersaf. Nonostante l'impegno della Regione
Lombardia (che ha emanato negli ultimi anni vari provvedimenti per
arginare la piaga dei danni da cinghiale), proprio i pascoli regionali sono , ancora una volta, un esempio in negativo. Alla
base del disastro la creazione di un ampia zona dove è stata
esclusa, a vari titoli, la caccia. Pesano negativamente gli ostacoli e
i disincentivi che continua a incontrare l'attività degli operatori faunistici volonatri ("selecontrollori")
ma anche l'ideologia animal-ambientalista che ispira l'attività
dell'Ersaf , ente in teoria "strumentale" al settore agricolo ma, in
realtà, tutto teso a favorire il rewilding, a propagandare orsi e lupi,
a gestire progetti con associazioni ambientaliste (vedi proprio alla
Costa del Pallio assurdi interventi nell'ambito di Life gestire che
documentiamo in questo stesso articolo).
In questa immagine satellitare di inquadramento, i pascoli della Costa del Pallio sono la strisca chiara orizzontale.
(18/04/2022) Lombardia
- Calamità cinghiali. Avvertiti che, alla Costa del Pallio, si sono
registrati danni da cinghiali di entità senza precedenti, una settimana
fa siamo andati a constatare di persona. La Costa del Pallio è un
pascolo tra la valle Imagna bergamasca e la parte lecchese della val
Taleggio (comune di Morterone), dietro il Resegone, a un tiro di
schioppo la Lecco. Un tempo il pascolo era frequentato durante il
giorno da un migliaio di bovini che salivano dalle cascine di Morterone
(con le sue varie frazioni), Brumano, Fuipiano. Alla sera rientravano
nelle stalle.Oggi i pascoli sono quasi scomparsi in seguito agli impianti artificiali di conifere estranee all'habitat. Negli anni '70
, quando i comuni cedettero le proprietà all'Azienda regionale delle
foreste, vennero piantati abete rosso, pino nero e larice. Tutti fuori
stazione. Poi le cure selvicolturali furono abbandonate. Ci torneremo
dopo. Quello che ci interessa è che, con l'acquisizione da parte del
demanio si introdusse il divieto di caccia.
In verde l'area dei pascoli. Il retino indica l'area delle ZPS. A sinistra (Ovest) quella del Resegone. Le Zone di protezione speciale sono zone di protezione poste lungo le rotte di migrazione dell'avifauna, finalizzate al mantenimento ed alla sistemazione di idonei habitat per
la conservazione e gestione delle popolazioni di uccelli migratori.
Sono state istituite in applicazione alla direttiva europea
Habitat.
All’interno delle Foreste Regionali vigeva già il divieto di
caccia, un retaggio dei tempi in cui la foresta era la riserva di
caccia dei feudatari e dei sovrani. In latino il bosco è la silva,
termine per il bosco naturale che poi è passato a indicare il
castagneto, il bosco umanizzato, da pane, per eccellenza. Altri termini
latini erano lucus e nemus (affine al celtico nemeton).
Entrambi si riferivano a spazi sacri. E la "foresta"? Questa parola
diventata sinonimo di bosco naturale, folto ed esteso, quella che era
la silva latina da dove viene? Parola tardo latina che deriva da contesti altomedievali, la foresta ha che fare con il latino foris (fuori), nel senso di esclusione, di bandita. La bandita di caccia, la foresta venationis, diventa per estensione il bosco. Il forestarius era
lo sgherro dei signorotti, pronti a impiccare i contadini che osavano
sfidare il divieto di caccia. Come si vede le cose non cambiano molto,
cambiano le ideologie, le forme di legittimazione, ma il succo è che,
in nome di elevati valori (oggi l'ambientalismo), si combatte sempre un
conflitto sociale teso ad accaparrarsi risorse, potere, privilegi.

Sarà per il timore che incutevano i forestarii, sarà per il timore che, nel tardo medioevo presero
a suscitare i boschi, la foresta ha un potere evocativo, un misto di
fascino e di timore. Qualcosa di ben comprensibile: prima, nell'alto
medioevo e forse anche nel pieno) quando i boschi erano molto diffusi,
il contadino via aveva familiarità, andava tranquillamente a
pascolare i maiali e altro bestiame, a far legna, a cacciare (con
limitazioni di mezzi e di prede). Poi, con la rarefazione dei boschi
legata al boom economico successivo al mille, le cose si ribaltarono.
Il legname diveniva scarso e prezioso, la selvaggina idem. Ai contadini
(in pianura) vennero espropriati i diritti sui boschi, le infrazioni
(estrazione di legna, bracconaggio, pascolo) severamente punite. E per
tenere fuori i "villici", oltre alla minaccia delle punizioni
corporali, cosa di meglio di favorire storie che parlavano di esseri
fatati e pericolosi, più tardi, siamo alle soglie dell'età moderna,
anche sede del famoso sabba delle streghe. Il bosco diviene un luogo di
perdizione fisica e morale. Dal punto di vista sociale il bosco viene
monopolizzato dai potenti, come ci raccontano le foreste reali.

Pensiamo al castello di Fointainebleau, nato come castello di caccia
dei re di Francia nel XII secolo, in connessione con la foresta che si
estende oggi su 25 mila ettari e che è forse la prima "area protetta",
dichiarata nel 1844 "riserva artistica" per opera dei pittori che
amavano ritrarla e che si opponevano al disboscamento. Torniamo a noi,
alle nostre "foreste" patacche. Utilizzando il termine "foresta"
(applicato all'insieme delle proprietà regionali, inclusive dei
pascoli), l'Azienda regionale delle foreste, ora Ersaf tende a
sfruttare il riverbero del prestigio evocato dalle foreste reali al
fine di nobilitare boschi di modesta qualità e persino squallidi
popolamenti artificiali con conifere fuori del loro habitat. In modo da
giustificare il divieto di caccia e una progressiva trasformazione di
risorse silvopastorali in aree naturalistiche. Così nel 2004 la Costa
del Pallio, dove già era divieto di caccia, è divantata una ZPS. Si
dirà: tanto era già riserva di caccia. Con la deriva che ha portato a
escludere dalla caccia sempre più territorio sono stati sottoposte a
divieti venatori anche le fasce intorno al perimetro delle ZPZ. la
situazione dell'alta valle Imagna tra ZPS, Oasi di protezione (verde
chiaro) e zone speciali di divieto di caccia è quella illustrata nella
mappa allegata al piano faunistico della Provincia di Bergamo
(sotto).

In questa situazione il
cinghiale ha potuto insediarsi tranquillamente e proliferare. I danni
ai pascoli, in ogni caso, non sono cominciati quest'anno anche se oggi
assumono proporzioni inaudite. Perché non si è prevenuto? Conviene fare
un po' di premesse.
I bastoni tra le ruote della lobby dei cinghialisti
Quando si scriverà la storia della catastrofe faunistica che si è
abbattura sull'Italia, nel capitolo cinghiale si dovrà ricordare come
l'espansione della specie sia stata dovuta alla concomitanza di due
fattori: da un lato le azioni dei cinghialisti (immissioni
illegali, ostruzionismo verso norme di controllo efficaci, sottostima
dei capi presenti per limitare i piani di abbattimento, insistenza nel
prelievo dei maschi), dall'altro quello dei gestori delle aree protette
e del mondo ambiental-animalista. Quanto ai cinghialisti vale
quanto osservato da Monaco et. al: ... in diverse realtà del Paese le squadre di caccia al Cinghiale sono
venute assumendo una connotazione di “blocco sociale” in grado di
condizionare le
scelte di gestione faunistica operate dagli amministratori locali e, di
fatto,
la gestione faunistica e la fruizione ambientale di vasti territori,
secondo
criteri che tengono in poca considerazione la necessità di mantenere
zoocenosi diversificate e di consentire un uso plurimo delle risorse
naturali. (Monaco A., Carnevali L. e S. Toso, Linee guida per la gestione del cinghiale (Sus scrofa) nelle
aree protette , Ispra, 2010).
I freni posti dai cinghialisti, che continuano a non vedere di buon
occhio (per gelosia) la caccia di selezione e la stessa azione dei
selecontrollori sono ancora in essere. Perché chiedere un contributo di
52 euro per ogni capo a partire dal terzo (comma 5 dell’art. 5
della pur importante e positiva Legge regionale n 19/2017 che
introdotto la possibilità di effettuare la caccia di selezione al
cinghiale durante tutto l’anno, anche nelle ore serali con visore
notturno e con imitata pasturazione)?
I cacciatori di selezione arrivano dove non ci sono le squadre (in
tutta la valle Imagna e la val Brembana ve n'è solo una mentre in altre
zone delle prealpi bergamasche sono numerose). I cacciatori di
selezione attuano il piano agendo sulle classi di età che richiedono la
massima pressione di prelievo (cosa ovviamente impossibile nelle cacce
collettive). I cacciatori di selezione Perché, ancora più
incomprensibile, agli operatori volontari ("selecontrollori") che
operano un servizio per gli enti, che con il loro intervento evitano
alle amministrazioni di sborsare i rimborsi danni provocati dai
cinghiali, viene imposto di pagare i cinghiali? I volontari agiscono su
precise disposizioni, non operano di testa propria ma sotto la stretta
direzione delle guardie venatorie delle provincie, impegnano il loro
tempo, le loro attrezzature, il loro equipaggiamento, i loro automezzi.
Già non sono molti, già non sono incoraggiati ad intervenire dai
comandi delle polizie provinciali (che preferirebbero agire con i
propri uomini, peraltro scarsissimi, anch'essi gelosi delle loro
prerogative e campo di azione). In più li si scoraggia anche
economicamente. Per ogni cinghiale catturato, da lasciare a chi l'ha
tolto di mezzo (previ controlli sanitari) andrebbero dati 50 euro, non
chiesti. Quest'ultima riflessione ci porta lontano (al superamento
della 157/92). restando con i piedi per terra dobbiamo notare che se i
cinghiali continuano a operare sfracelli è perché ci sono ancora lacci
e lacciuoli. Nel 2021 su 4.274 cinghiali prelevati il controllo si è
limitato a 941, la selezione a 1181.
All'inizio di quest'anno, con ulteriore iniziativa della regione si è
stabilito che essa eserciterà i poteri sostitutivi laddove glie enti
faunistici non abbiano provveduto a stabilire i piani di gestione del
cinghiale e gli interventi annuali di prelievo. Un proprietario o
conduttore potrà fare richiesta alla polizia provinciale di autorizzare
due selecontrollori per intervenire. Non ci sono più scuse.
Aree protette, centri di moltiplicazione e irraggiamento dei cinghiali
Per anni il mondo animal-ambientalista ha combattuto strenuamente a
colpi di ricorsi (spesso vinti) la battaglia contri i
"selecontrollori". Era bestemmia, sacrilegio, abominio che gli impuri
cacciatori (seppure in veste di operatori inquadrati dalle polizie
provinciali o dagli enti gestori dei parchi) entrassero nei "sacri
santuari della natura" a sparare. Finalmente, con tante limitazioni, il
principio è stato attuato, ma la strada non è ancora in discesa.
Per
anni il controllo dei cinghiali è stato frenato dagli animalisti.
Consapevoli che, a seguito della sciagurata riforma Del Rio, il
personale delle provincie, è ridotto al lumicino, hanno cercato di
bloccre ogni controllo con raffiche di ricorsi contro i selecontrollori
Il mondo animal-ambientalista non si è limitato a osteggiare i
"selecontrollori" ma, confondendo caccia e controllo numerico, un po'
per la crassa ignoranza, un po' per volontà strumentale, il suddetto ha
messo tutti i bastoni possibili tra le ruote. Cervi e cinghiali, ci
mettono poco a imparare che in periodo di caccia se ne devono stare nei
parchi e nelle riserve naturali, zps, sic, siti Natura 2000; così hanno
potuto aumentare esponenzialmente. Finita la stagione di caccia si
riversano tutt'oggi, nel "territorio libero" dove devastano le colture.
Per smuovere gli enti gestori delle aree protette, la Regione Lombardia
ha emanato, in attuazione della la delibera n. 1364 dell’11 marzo 2019
che stimola gli enti gestori delle aree protette a dotarsi di
regolamenti per l'attività di controllo e di prelievo selettivo
prevedendo anche incentivi economici e a un - modestissimo -
decurtamento di 1500 € per chi non si dota di piani di contenimento e
selezione. Va però detto che ci sono enti ancora in ritardo. Cosa dire,
però, quando Ersaf, ente regionale è tra coloro che lasciano che le
superfici a pascolo siano devastate senza che ci sia in atto un minimo
di controllo?
Un "paradiso ambientale" in abbandono
Fatte le doverose
premesse per inquadrare la situazione, torniamo alla Costa del Pallio.
Vediamo come la descrive Ersaf e come è nei fatti. parliamo quindi di
pascoli, di popolamenti arborei, di interventi, di cinghiali.
I numeri corrispondono a punti dove ho eseguito delle riprese fotografiche
Scrive l'Ersaf, con la solita enfasi che giustifica i provvedimenti vincolistici e i progetti per portare a casa finanziamenti: Nella ZPS Costa del Palio la
parte sommitale prativa e pascoliva è ammirevole sia
paesaggisticamente, per il contrasto tra l’andamento dolce contro la
figura rocciosa del Resegone, sia naturalisticamente come oasi per la
fauna e per la vegetazione erbacea che annovera le formazioni a nardeto
(Nardus stricta) di notevole valore per la loro rarità nei territori con substrati carbonatici.
Sul piano paesaggistico siamo
d'accordo. Il nardeto, tipo di pascolo magro, non è affatto raro
su substrati carbonatici perché è il risultato di un'acidificazione
secondaria legata al pregresso sovrapascolamento storico. Peraltro, se
può essere interessante quale formazione erbacea naturale in altri
contesti è comunque una pessima foraggera, un'infestante (parlaccia per
i naturalisti, come "fauna nociva") con le lamine fogliari silicizzate
che tagliano la bocca anche ad animali che l'hanno piuttosto "foderata"
come i ruminanti. I quali, però, tranne che quando è in uno stadio
vegetativo molto precoce, la rifiutano (matura assume un colore
grigiastro che, dal punto di vista paesaggistico, è fattore di
compromissione del paesaggio in quanto, già ad agosto, il pascolo
appare giallo-grigio). La sommità del Pallio è bella con i suoi
mammelloni erbosi perché l'erba, grazie alla presenza degli animali,
una volta pascolanti i versanti a sud e a nord, cresce rigogliosa.
Assume l'aspetto di un prato da sfalcio (e, in effetti, viene anche
sfalciata).
La fioritura dell' Achillea sui pascoli pingui della Costa del Pallio (foto Corti, qualche anno fa)
Il problema è che, tolta la striscia dell'ampio crinale, il pascolo sta
sparendo. Il carico di bestiame è troppo basso per il solito
meccanismo: il sottopascolamento porta al restringimento del pascolo, i
tecnici - applicando i criteri della sostenibilità astratta - riducono
il carico di pascolo ammissibile. Il meccanismo si autoalimenta
inesorabilmente fino alla ... scomparsa del pascolo. Fine del disturbo
antropico, basta fastidiosi agricoli tra i piedi; il campo sarà di
fauna selvatica e naturalisti. A nord il versante è invaso dalle felci
(pianta non solo rifiutata dal bestiame ma anche velenosa, per chi
volesse approfondire rimandiamo a un articolo qui su ruralpini).

Sul versante sud (punto 4 della mappa sopra) il pascolo si sta
incespugliando e vi sono anche rade essenze arboree. Sottopascolate
queste zone vedono la diffusione di piante erbacee tendenzialmente di
taglia elevata, quindi con fusti legnosi poco appetibili e poco
nutritive (anche quando graminacee) per via delle lamine fogliari
coriacee. Anche qui sono ben visibili i danni dei cinghiali.

Anche ai margini della "foresta", su prati-pascoli in fase di abbandono
(punto 1 della mappa) sono osservabili i danni dei cinghiali.

Veniamo quindi ai danni maggiori: due fasce arate che si snodano su e
giù per tre chilometri. Di seguito riprese nei punti 3, 4 e 5.




Percorso il crinale in direzione est-ovest, poco sopra il Passo del
Pallio, ecco una realizzazione con legname locale (immaginiamo la
durata). L'Europa investe nelle zone rurali, recita il cartello
beffardo. Peccato che questi investimenti siano vanificati dalla
protezione del lupo (Direttiva Habitat) e da tutte quelle norme di
tutela della fauna selvatica e burocratiche che uccidono le aziende
agricole. Intanto i cinghiali si abbeverano (le barriere tengono fuori
i bovini).


Al Passo del Pallio un
cartello, un po' surreale, intima il divieto di transito sui pascoli. I
cinghiali, però, non sanno leggere. Ci vogliono metodi più persusasivi
per fermarli. Gli ambientalisti da salotto si stracciano le vesti
temendo che la strada che passa di qui, oggi già aperta al traffico con
pedaggio, potrebbe essere asfaltata. Con grande vantaggio per le
comunità locali, gli agricoltori, le aziende boschive (ne abbiamo
parlato qui).
Ma le devastazioni dei cinghiali li lasciano indifferenti e guai a
parlare di controllo del cinghiale. Tra gli animal-ambientalisti
(crediamo anche funzionari e dirigenti Ersaf) qualcuno penserà :
"se i cinghiali fanno scappare il gestore dell'alpeggio, che si trova
con il pascolo devastato, tanto meglio, via finalmente quei volgari
animali bovini e ci sarà più spazio per i nostri più nobili animali:
più ungulati portano i lupi e speriamo anche negli orsi e nelle
linci". In ogni caso, la strada tanto osteggiata dagli
ambientalisti da salotto c'è già. Come si può vedere il tracciato ha
caratteristiche di strada carrozzabile e con un modesto ampliamento
potrebbe servire a scopi turistici. Ma l'asfalto sotto il Resegone no,
è blasfemo. Così i comuni devono spendere un pacco di soldi dopo ogni
bomba d'acqua, chi si guadagna da vivere faticando deve trasportare la
legna con trattorini da 20 q.li mentre potrebbe usare mezzi più comodi.
I tornanti della strada del pallio. Si nota che le pendenze sono da strada carrozzabile.
Ma veniamo alla gestione della magnifica foresta, quella che ha
sostituito i pascoli per creare un deserto con biodiversità zero. Il
milanese, da lontano, vede la pineta e, magari, comtra anche la
villetta a schiera, ma se a poche decine di metri dal Passo, entriamo
nella "foresta" c'è da restare basiti.
Carta uso del suolo regione Lombardia: in blu il "bosco" artificiale, in giallo chiaro il pascolo.
L'invitante entrata del "bosco"
La magniloquente "foresta", con la quale i tecnoburocrati dell'Ersaf
si riempiono la bocca, è uno squallido popolamento artificiale
monostratificato con piante alte e sottili "filanti" di valore
economico negativo e fortemente suscettibili a danni (vento) in forza
della bassa stabilità fisica (rapporto altezza e diametro sfavorevole).
Un bel risultato, in barba ai tanti finanziamenti ricevuti in decenni
dall'ente, dovuto all'assenza di interventi selvicolturali. Perché?
Quando si operavano questi "rimboschimenti" (ovvero queste porcherie)
vi era l'interesse assistenzialistico, si voleva dare lavoro agli
operai dei cantieri forestali. L'ARF era un ente, come gli altri,
politicizzato. La Coldiretti (anni '70-'80) aveva l'assessorato
"pesante" all'agricoltura, la sinistra (Psi) voleva le foreste, per
mangiarci su e per procacciarsi voti. Come oggi, anche ieri c'era
l'ideologia a legittimare tutto (per chi se la vuole bere). Ora non ci
sono i partiti ma ci sono le lobby venuto meno un assistenzialismo
tutto sommato onesto, gli operai sgobbavano, sia pure per niente come
pe scavare le famose buche keynesiane, si è fatta avanti un'altra forma
di assistenzialismo dai forti connotati parassitari "verde". Parliamo
di una assistenzialismo fatto di parcelle, incarichi, consulenze al
vasto bosco e sottobosco di "naturalisti", quelli che sono capaci, a
tariffa di dimostrare che ovunque ci sono specie animali e vegetali
rare. Chi commissiona sa bene che sono ciofeche, ma ciofeche utili a
mettere le mani sul territorio con tutti i vari istituti di "protezione
delle natura". Tutti tasselli per togliere spazio, via via, ai
contadini, ai pastori, ai boscaioli, ai cacciatori ai montanari e
regalarlo alla tecnoburocrazia verde. Non solo l'ingresso nel "bosco" è
l'ingresso in un ambiente spettrale, morto, senza un filo d'erba, ma ci
sono anche delle originali "installazioni" che incuriosiscono
l'escursionista.

Andiamo a vedere di cosa si tratta. Si tratta di log pyramid. E che
roba è? Un'ingiegnosa invenzione per... giustificare i finanziamenti
dei progetti Life europei. Il legno morto non viene, almeno in parte,
rimosso e viene accumulato così: si scava una buca e si infilano
tronchetti di vario diametro e altezze. Così si crea un rifugio e un
substrato per insetti (ovviamente), uccelli (boh), funghi (ovviamente).
pare che così picchi e cervi volanti troveranno casa. Il tutto
all'insegna della biodiversità, il solito passpartout per spillare
soldi. Intorno si vedono delle ramaglie ma di pulizia e diradamenti nel
complesso del "bosco" se ne vedono pochi. Interventi di facciata,
modaioli, che suonano bene e incantano gli sprovveduti.

Ma quale biodiversità? Cosa si può migliorare in una porcheria di
popolamento artificale, dove non filtra un raggetto di sole, dove la
germinazione di agni seme è inibita dall'acidità di una spessa lettiera
superficiale di aghi indecomposti di abete rosso (nemmeni i fungi
possono lavorare). Si devono fare superdiradamenti e basta, non buttare
soldi con pretesti. Dove non è stato rimboschito il faggio si è già
installato. Questo "bosco" impedisce che si sviluppi alcunché. Solo il
vento, il fuoco e il bostrico possono accellerare uno sviluppo. Ma se
questi agenti, come probabile, intervengono in modo catastrofico, se le
radici (le radici molto superficiali dell'abete rosso, teniamo sempre a
mente) si scalzano, se una pianta che si scalza sradica le altre come
nel domino, cosa rimane? Il terreno nudo. Esposto all'azione di
ruscellamento.

Non è finita. Almeno le log pyramid possono essere scambiate per
Land art. Proseguendo lungo il sentiero che riconduce a Fuipiano si
deve constatare come l'idea del forestalismo naturalistico talebano
propugnata dal WWF (totare il loghino del panda) si è tradotta in
un'altra bella pensata, meno originale peraltro: le cataste.

Il forestalismo (ricordate il forestarius medievale
al servizio del potere, dei prepotenti?) passa da un'ideologia
all'altra: dal produttivismo, dalle piantumazioni monospecifiche,
monoplanari intensive con specie a veloce accrescimento, al legno che
deve marcire, alla "gestione zero" cara agli ambientalisti da salotto.
In mezzo a questi "contrordini" ci rimette la montagna, ci rimettono i
rurali. Come si vede questa "nuove gestione" prevede che non si
scortecci, che si accumula il legno morto. Però si gabella quello che,
se fatto da un privato comporterebbe sanzioni, per un intervento
naturalistico (leggere i cartelli).
Concludiamo ritornando ai cinghiali. Il gestore dell'alpeggio,
ovviamente preoccupato che le cose vadano di male in peggio, di restare
senza alpeggio dovendo pagare l'affitto, ha sollecitato, come da
delibere regionali le polizie provinciali di Lecco. Sembra che per ora
non ci siano molti riscontri tranne la promessa di mandare "due
gabbie". Vediamo se e quando arriveranno. Questo con riferimento alla
provincia di Lecco. Per quella di Bergamo l'agricoltore non è ancora
riuscito a contattarla ma sappiamo che, da voci raccolte, le guardie
della provincia, che intervengono nella piccola Oasi di Zuc di Valmana
(piccola area in verde chiaro nelle mappe a fianco della ZPS) si
guardano bene dall'intervenire nell'area protetta. Non c'è
comunicazione? Ci piacerebbe sapere perché la proprietà regionale
fornisce, ancora una volta, un esempio in negativo.