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[Veneto km0] |
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Il Consiglio Regionale Veneto approva la legge sul km0Ma senza chiarire cosa è un "prodotto di origine regionale" il legame con il territorio e la qualità sono assicurati?Auspicabile l'accordo tra regioni per applicare un concetto di territorialità bioregionale (14.04.2009) Il Consiglio Regionale Veneto ha approvato a luglio la "legge sul km 0", ovvero la legge di iniziativa popolare n. 255 contenente "Norme per orientare e stenerere e il consumo dei prodotti agricoli di origine regionale". La legge era stata sollecitata dalla Coldiretti veneta nel 2006. Allora di km 0 non si parlava ancora, Poi è scoppiata la moda del km 0 (una moda di segno positivo, beninteso) e la Coldiretti che già, a partire da Padova aveva lanciato la campagna dei ristoranti a km 0, ha "popolarizzato" l'iniziativa legislativa con questa etichetta.Già nell'iniziativa di Padova il km 0 era però interpretato in modo un po' "elastico" (100 km) ora con il concetto dell' "origine veneta" il km potrebbe, in teoria, arrivare a 300 km (tale la distanza tra Valeggio sul Mincio e Sappada nelle Dolomiti). Le Regioni, ovviamente, operano nell'ambito della propria sfera territoriale di competenza ed è encomiabile che il Veneto si sia mosso per primo traducendo con una legge regionale alcune richieste che da anni sono state avanzate dai produttori agricoli desiderosi di valorizzare attraverso circuiti brevi i generi da essi prodotti. Va detto, però, attraverso questa interpretazione del km 0 riproduce su scala regionale quel "nazionalismo alimentare" che già applicato sulla scala del Made in Italy presta il fianco a non poche considerazioni critiche basate sulla semplice evidenza che l'agroalimentare tricolore non è certo esente da scandali alimentari e tanto meno da rilievi circa la sostenibilità dei sistemi agrozootecnici intensivi (vedi problema nitrati, vedi aumento dell'uso di pesticidi). Sotto le insegne del Made in Italy quante "taroccature" di prodotti a "identificazione territoriale specifica", quanti allargamenti indebiti delle aree di produzione delle Dop/Doc! Le obiezioni all'equivalenza Made in Italy = prodotto genuino, fresco, stagionale, sicuro, territoriale valgono anche per il Made in Veneto (e per il Made in Lombardy ecc.). In ogni caso questa legge aprirà un dibattito anche nelle altre regioni che non vorranno "restare indietro". Sarebbe quanto mai auspicabile che Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli VG, Trentino si dotassero di strumenti simili e che, attraverso accordi interegionali, si premiasse una territorialità più concreta, anche al di là dei confini delle regioni (secondo un principo bioregionale che - almeno per l'agricoltura - è certo più auspicabile di quello nazionalistico). Il prodotto "alpino" di Sappada, per utilizzare l'esempio di cui sopra, dovrebbe essere "km 0" nella vicina Carnia friulana; quello "padano" di Valeggio sul Mincio lo dovrebbe essere per le zone lombarde al di là del fiume (e viceversa, ovviamente). Detto questo c'è da osservare che, nel favorire il rapporto tra il produttore agricolo e altri soggetti (ristorazione), la legge soffre di una impostazione un po' dirigistica e burocratica. Un conto è condizionare l'apertura di punti vendita della GDO alla predisposizione di spazi di vendita esclusiva dei prodotti locali (considerato che le decisioni sui piani commerciali rientrano nella programmazione che compete alla politica), altro è certificare, in modo contabile-burocratico (attraverso le fatture) che l'esercizio tal dei tali è virtuoso in quanto acquista Made in Veneto nel limite prescritto. Qui una certa impostazione veterosindacale emerge in modo evidente. A nostro modesto avviso la crescita delle partnership tra i produttori agricoli e partner di filiera non può che nascere sulla base di patti condivisi (patti d'area, circuiti autocostituiti). Invece con la legge veneta si sommano le fatture intestate a ditte venete e le si rapporta al fatturato complessivo delle materie prime acquistate. I limiti di queste operazioni sono già evidenti nel settore dell'agriturismo laddove si è cercato (invano) di vincolare qualità e fedeltà ai principi dell'agriturisno a rapporti di fatturazione. Ciò che conta è che una cultura dell'economia gastronomica territoriale può nascere solo da rapporti di fiducia e di scambio. Non c'è incentivo per i ristoratori a costituirsi in gruppi di acquisto e reti di distribuzione, a rapportarsi gli uni con gli altri e con i produttori, a fare crescere insieme qualità e informazione del consumatore. Solo arida contabilità (speriamo che non resti così).Una legge può aiutare a sviluppare una cultura ma quest'ultima è insostituibile e può essere ostacolata da inquadramenti burocratici dall'alto. Sarà interessante capire come verrà definito nei regolamenti applicativi il "prodotto veneto". Il formaggio del Caseificio industriale che lavora con latte estero è "veneto"; le carni prodotte utilizzando largamente per l'alimentazione del bestiame materie prime d'oltremare saranno considerate "venete"? E poi quelle ennesime previsioni a favore degli "imprenditori agricoli" e i soliti oneri burocratici e amministrativi non rischiano di tagliar fuori ancora una volta i contadini? E' sintomatico che si preferisca chiamare in ossequio ad un provincialismo becero "farmer market" quelli che altrove sono ormai da tempo conosciuti cone "mercatini contadini". Questi alcune delle perplessità su un provvedimento che nel complesso è positivo perchè stimolerà i consumatori, i commercianti, i ristoratori i produttori agricoli a riflettere su tanti fatti della produzione agricola e dell'alimentazione. link con il testo della legge |
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I contenuti della legge Il dispositivo di legge approvato presenta alcuni punti "forti" che hanno fatto gridare alla lesa concorrenza e hanno sollevato le proteste dei commercianti. Si tratta di tre norme impositive che prevedono che nella ristorazione collettiva gestita da enti pubblici la quota in valore di prodotto agroalimentare made in Veneto sia pari almeno al 50%. L'altra norma impositiva, quella che le organizzazioni del commercio contestano prevede che il 20% dei posteggi nei mercati di strada siano riservati a produttori agricoli. In più l'autorizzazione di nuovi punti vendita della GDO è condizionata alla predisposizione di appositi spazi destinati alla vendita di prodotti agroalimentari di origine veneta. Dal punto di vista degli incentivi la legge prevede che negli appalti per l'aggiudicazione di servizi per la ristorazione collettiva gestita da enti pubblici costituirà titolo di preferenza l'inserimento di una quota superiore al 50% di prodotti di origine veneta. I comuni dovranno poi destinare degli spazi ai farmer market (evidentemente alla Coldiretti si vergognano a chiamarli Mercati contadini) e ai mercati dei prodotti agricoli locali riservati ai solo imprenditori agricoli, Sul fronte della ristorazione, invece, per gli esercizi che utilizzerano una quota in valore di materie prime made in Veneto è prevista la segnalazione mediante il diritto a fregiarsi di apposito contrassegno con lo stemma della Regione (el lion) in attesa che si emanino (entro 180 giorni dall'approvazione delle legge) norme sul relativo marchio e sugli sgravi fiscali e specifici contributi.
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