(03.12.15) Dopo l'uscita del libro "Cibo e identità locale" , ricerca partecipata con soggetto sei cibi di comunità, in occasione degli incontri di presentazione del libro, ma anche del tutto spontaneamente, si sono infittite le relazione tra la rete. A Gandino l'11 gennaio si farà il punto di questi sviluppi aprendo una fase nuova di questa storia di ricerca-azione
Cibo e identità locale:
la rete si concretizza
di Michele Corti
L'occasione della prossima presentazione del libro "Cibo e identità locale" a Brescia (una delle località protagoniste con il "vigneto Capretti e il vino della Pusterla ) mi spinge a fare il punto con i lettori di Ruralpini di questo progetto così legato ai temi, alle realtà locali, ai personaggi che sono anche al centro dell'interesse del sito. Quest'autunno si sono svolte presentazioni a Milano (la seconda), a Bergamo, a Teglio (altra località protagonista con il "mitico" grano saraceno autoctono), a Mortara (su invito della locale biblioteca interessata insieme al comune al tema).
Magnifici sei (prodotti agristorici, agrisociali, agriculturali)
A Gandino (mais spinato), Mezzago (asparago rosa), Corna Imagna (stracchino all'antica) la presentazione era già stata organizzata a primavera. Ora manca solo Gerola alta (bitto storico) dove si chiuderà il tour nel periodo delle vacanze natalizie.
Dopo si aprirà una nuova fase che si annuncia già con la peossima riunione dell'11 gennaio a Gandino quando le sei realtà (aperte alla presenza di new entry come quella annunciata di Nova milanese). Dall'11 gennaio l'iniziativa non sarà più stimolata dagli autori della ricerca ma del gruppo di lavoro che riunisce i vari sistemi di produzione agroalimentare locale (con le loro componenti amministrative, produttive, culturali). La ricerca, però, non finisce, si pone come elemento di autoriflessione, di analisi condivisa tra studiosi e soggetti locali nel solco di uno scambio (anche di ruoli) che, almeno sinora, è risultato stimolante.
Al di là delle numerose presentazioni che mi hanno visto impegnato insieme a Sergio de la Pierre e Stella Agostini (gli altri autori del libro) è interessante notare è che, se si è concretizzata una rete è perché, nel frattempo, si sono sviluppate interessanti iniziative che hanno coinvolto le località protagoniste dei sei casi trattati nel libro e che vanno nella direzione della creazione di una rete basata sulla condivisione non tanto di regole quanto di una filosofia di approccio al cibo locale quale leva di azione locale e di rigenerazione comunitaria.
Insieme in Provenza
Tra le iniziative più interessanti da segnalare la partecipazione del mais spinato di Gandino, del bitto storico di Gerola e del grano saraceno di Teglio al "Comice agricole" evento svoltosi il 4-6 settembre a Saint Pierre de Chaundieu, comune della Provenza gemellato con Mezzago. A settembre l'asparago rosa non c'è e il comune di Mezzago ha pensato allora di estendere l'invito agli altri membri del circuito "Cibo e identità locale". La partecipazione alla Festa agricola in Provenza rappresenta un po' l'esempio di come la rete "Cibo e identità locale" sia in grado di creare condivisione di reti. Piuttosto che un circuito chiuso in sé stesso è un circuito che stimola la crescita di reti e il raccordo tra esse. Gandino con il suo ormai meritatamente famoso "spinato" è un centro propulsore di reti di mais antichi a raggi concentrici (da quelli lombardi a quelli di mezzo mondo). Mezzago è in relazione anche in questo caso con gli altri "luoghi dell asparago" (Cantello, Cilavegna) in Lombardia ma anche in Europa. Il bitto storico è in relazione con diversi presidi Slow food e formaggi legati ad esperienze di "resistenza casearia" e insieme allo stracchino all'antica di Corna imagna partecipa alla rete dei "Formaggi principi delle Orobie".
Reti di reti
Il grano saraceno di Teglio rappresenta l'unica varietà autoctona italiana della fagopiracea ma attraverso Pro Specie Rara (associazione svizzera) è in relazione con esperienze alpine di recupero di antiche piante coltivate e, attraverso Gandino, con le dinamiche esperienze di recupero di antiche varietà di mais e altri cereali che stanno sviluppandosi in Lombardia e anche in altre regioni del Nord Italia.
Come avevamo indicato nelle conclusioni del libro sarebbe del tutto fuoristrada chi volesse identificare nei "nostri" casi degli esempi di approccio nostalgico alla memoria e al patrimonio locali o, ancor peggio, casi di "localismo difensivo", arroccati nella difesa di tradizioni statiche e di una malintesa mistica passatista.
Capaci di relazionarsi con il proprio passato, di valorizzare la propria identità in forma dinamica e aperta queste comunità , queste esperienze di produzione agroalimentare, pur se piccole, manifestano un grande grado di apertura e di relazioni internazionali .
Innescati dalla ricerca e dal libro partono una serie di rapporti
Le presentazioni del libro - tutto fuorché una "restituzione" formale di una ricerca accademica convenzionale - hanno rappresentato occasioni per "incrociare" le diverse esperienze, raccontate direttamente dai protagonisti, e per infittire i rapporti ma questi ultimi si sono sviluppati anche per altre strade. Il 22 novembre un pullman carico di mezzaghesi, è arrivato per iniziativa della pro loco a Gerola alta per visitare il Centro del bitto storico. Al di là delle differenze ovvie tra una realtà di montagna e una di pianura vi è l'interesse vivo in questi contatti a scambiarsi idee e formule sulla "neoagricolatura". Fatta in montagna contrastando l'abbandono con le razze autoctone e la riscoperta di tecniche tradizionali o nella pianura minacciata dall'ulteriore espansione della conurbazione milanese l'agricoltura ha in entrambi i casi bisogno di formule ben diverse da quelle dell'agricoltura industriale, formule che - senza dimenticare la sostenibilità economica - sappiano far leva su risorse e valori sociali. Così la coop di Mezzago che dopo tutta una fase storica decide di ritornare alla vocazione agricola e il consorzio degli alpeggiatori del bitto storico scoprono di avere problemi e forse anche risposte in comune. E si è parlato anche di iniziative comuni (tanto interessanti da non dover essere "bruciate" con anticipazioni).
Casi unici (o no?)
Tutti questi contatti "bilaterali" e "multilaterali" per fare il verso al diplomatichese vanno visti come una bella opportunità. Ognuno dei sei "casi" ha una sua forza, una storia che può insegnare qualcosa, una capacità di trascinamento. Si tratta di casi in un certo senso "speciali" (c'è una sola realtà che grazie ad un attaccamento particolare alla cultura del grano saraceno ha saputo preservare una varietà autoctona, non ci sono vigneti urbani grandi come quello Capretti, non c'è un formaggio come il bitto storico che riesce a inventarsi un movimento di opinione a suo sostegno, non ci sono una realtà come Mezzago con un circuito così virtuoso tra amministrazione, attività agricole e sociali, non c'è un'altra realtà come Corma Imagna dove un centro culturale promuove la rinascita agricola e opera direttamente in ambito turistico. E tanto meno un'altra come Gandino che da una vecchia spiga di mais ha saputo costruire un progetto da molto ammirato (e invidiato) di valorizzazione agroalimentare e turistica.
Nuovi casi "autocandidati" ad entrare nella rete
Gli autori del libro ma anche i protagonisti delle esperienze di Corna, Mezzago, Gandino, Teglio, Brescia sono consapevoli che queste esperienze, prese ciascuna per la propria specificità, ricchezza e suggestione ma anche nel loro insieme (per quel che di comune che esse posseggono) possono rappresentare uno stimolo, un modello per tante altre realtà, note e meno note, tutte potenzialmente capaci di partecipare ad una rete con una filosofia comune. All'inizio della ricerca (che risale al 2010) le sei località che poi vennero prese in esame appartenevano ad una rosa di casi più ampia (in totale 18 località della Lombardia). Noi scegliemmo quelle più emblematiche, più promettenti, più ricche alla luce di una pluralità di valenze agricole, sociali, culturali. Al di là delle località "di seconda linea" che, però, una volta esaminate potrebbero rivelare interessanti sorprese intanto si sono affacciati alla ribalta nuovi casi. Quello di Nova milanese è paradigmatico. Nel contesto di una apparentemente disperante realtà di un territorio dove solo alcuni "pori" non sono stati impermeabilizzati e cementificati è nata una nuova esperienza di cibo di comunità . Troppo recente per essere ricompresa nel libro. Nel 2015 sono stati seminati a mais della varietà tradizionale Marano 3 ha di terreno recuperato da una ex cava e, nonostante la siccità, una piccola produzione di farina è stata ottenuta. Il tradizionale pan gialt (di farina di mais e segale) è stato prodotto per la prima volta dopo chissà quanto tempo con farina km 0 che reca il marchio del comune e dell'ecomuseo (realtà recente ma sorta dall'esperienza di lavoro culturale trentennale dell'associazione "Il cortile" presieduta da Mariuccia Elli).
A Nova quest'autunno si è seminata anche la segale, ci si è messi in contatto con Gandino (e attraverso Gandino con il CRA-MAC) di Bergamo inserendosi nel circuito dei "paesi dei mais antichi". Operazioni che hanno potuto realizzarsi grazie all'embrionale rete del "Cibo e identità locale", anche grazie all'incontro del 17 maggio di presentazione del libro al quale era partecipe, come in altre presentazioni, Antonio Rottigni, uno dei papà del mais spinato con una grande disponibilità a porsi come una risorsa per l'attivazione di relazioni comuni.
Microrealtà capaci di dire qualcosa sugli enormi problemi dell'oggi
Qualcuno continuerà a sorridere di fronte alle cifre di queste esperienze (da una parte investimenti di 3 ha, dall'altra di 10 o 15). Anche il bitto storico che pur interessa centinaia di ha di pascoli in realtà è legato a quelle 1000 forme "Gran riserva" destinate all'invecchiamento e custodite come reliquie nel "Santuario del bitto". Sorrida pure. Poi, però, deve spiegare perché grandi aziende con centinaia di capi in lattazione con la "genetico" top, la tecnologia up to date, che consegnano decine di tonnellate di latte al giorno dicono di non farcela più mentre i nostri casi hanno bilanci in attivo e i sia pure piccoli fatturati in espansione. Con la differenza che se guardiamo i bilanci ambientali, sociali, culturali, etici i nostri casi presentano larghi attivi, le imprese superefficienti iperindustrializzate bilanci etici, ambientali, sociali, culturali in rosso.
La grande differenza tra la "filosofia" della rete del "Cibo e identità locale" e l'agricoltura tradizionale è che pur non dimenticando la sostenibilità economica tutti i nostri casi hanno messo al primo posto obiettivi non economici ma che alla lunga si traducono in implementazione di capitale sociale, umano, territoriale (e quindi anche in valori economici nel contesto di un'economia non speculativa ma che sa lasciare spazio alla società e non intende assimilarla senza residui al mercato).
La sfida d'ora in poi è quella di dimostrare che se, da una parte, è vero che i "nostri" casi hanno una marcia in più rispetto a molte altre comunità "sedute", senza orgoglio, senza idee, è pur vero dall'altra che ci sono giacimenti insondati di risorse agriculturali e agrisociali da far emergere e che non c'è realtà locale che non riesca, se ne ha la volontà, a trovare in sé stessa risorse preziose.
Un cibo, una coltivazione, una preparazione alimentare spesso sono la scintilla di iniziative di aggregazione, di nuova economia, di una sfida eterodossa al grigiore dell'uniformità, delle monocolture, della dittatura dei mercati globali e delle tecnologie che ne supportano la penetrazione.