(08.01.16) La sistemazione della Darsena e la bella mostra Milano Città d'acque (Palazzo Morando, Via Sant'Andrea sino 14-02-2016) rappresentano occasioni perché Milano riscopra anche i legami che le vie d'acqua hanno storicamente stabilito con i territori vicini ma anche con lontane valli alpine. Sono legami che riguardano anche l'agricoltura, la zootecnia, gli alpeggi e il caseificio. Vediamo come.
Milano città d'acque (e di latte)
di Michele Corti
La mostra Milano città d'acque è fortemente centrata sul rapporto tra Milano e le sue acque (*), rapporto che significa navigli ma anche Olona (il fiume di Milano (oggi intubato) Vettabia, Ticinello. Certo che oggi nel panorama urbano si fa fatica a riconoscere una "citta d'acque".
La Milano dell'era industriale le sue acque le ha ulteriormente canalizzate e le ha poi seppellite. La canalizzazione in realtà era iniziata in età romana. Opera necessaria per governare un territorio attraversato da 7-8 fiumi e fiumiciattoli e disporre di un vero e proprio porto fluviale (di cui poi la città non disporrà mai più dato che il "Porto di mare" ha rappresentato la pietra tombale sulle aspirazioni "marinare" meneghine ). A cavallo dell'ultima guerra, però, Milano non si è limitata a canalizzare ma ha perseguito con accanimento l'opera di "seppellimento" e intubazione dei fiumi e dei navigli. Il traffico privato e l'inquinamento (che aveva sostituito nuovi tipi di olezzi chimici a quelli dlel'epoca prefognaria) spinsero in quella direzione che ha banalizzato quello che era un volto caratteristico. Ma oggi la città è completamente trasformata e le industrie non esistono più. Il traffico grazie alle linee della metropolitana, ai parcheggi di coincidenza, alle limitazioni non è più quel mostro sacro che reclama sacrifici umani, alle cui esigenze si devono sacrificare salute, valori estetici e le possibilità di disporre di una città piacevole per turisti e residenti. Così da tempo sono pronti progetti del tutto realistici per scoperchiare la "Fossa interna" dei navigli, quella che per i milanesi, acqua o non acqua, rimane la "Cerchia dei navigli". E stanno avanzando anche i progetti di navigabilità tra Venezia e Locarno (per ora si va in barchetta e la decantata "crociera" di Expo prevedeva due trasbordi). Milano come tappa di un percorso fluviale tra Venezia e Locarno. Un bel sogno.
Intanto concentriamoci sul sogno dello "scoperchiamento" della "Fossa interna" che potrà restituire alla città quello che è stata la sua anima per molti secoli. Non parliamo (solo) di estetica ma di flussi di merci e materiali che hanno letteralmente costruito la città che conosciamo (anche i palazzoni del boom economico sono stati tirati su con la sabbia del Ticino portata dai barconi sino in Darsena). Nonostante Milano non abbia avuto un porto fluviale le antiche Conche, il Tombone e la Darsena sono stati importanti scali commerciali (non solo marmi, graniti e sabbia quindi) che hanno influenzato le possibilità del commercio e del consumo cittadino (e per certi periodi anche le manifatture) .
Pochi sanno però (la Mostra vi fa solo un fuggevole accenno citando il Burgh di furmagiatt) che Corsico e Milano sono stati importantissimi centri di stagionatura dei formaggi (grana e gorgonzola, o meglio i loro precursori). Ma è intressante ricordare come, tramite il naviglio Grande e la Martesana, non arrivavano in città solo gli stracchini dell'area tra Ticino e Adda ma, attraverso vie fluviale che si prolungavano fino al Verbano e al Lario, anche i formaggi di lontani alpeggi dell'Ossola ma anche del Bernese e del Voralberg.
Quanto al rapporto tra la città e quel territorio di copiosa produzione di latte che iniziava già appena oltre le mura cittadine (a Sud, a Ovest e a Est) va ricordato come esso fosse un rapporto strettissimo: un rapporto economico ma anche un rapporto ecologico. Prima di reti fognarie e depuratori, ancora nel Novecento, erano le marcite (i prati marcitoi) (**) a svolgere opera di depurazione (e al tempo stesso di concimazione). Grazie alle acque "grasse" della Vettabia la fascia a Sud di Milano fu a lungo terra ambita dai bergamini, gli allevatori transumanti delle Orobie. L'acqua dei fontanili (in inverno a temperatura molto superiore a quella atmosferica) e la concentrazione di elementi nutritivi di quella reflua dalla città consentiva di effettuare sino ad una dozzina di tagli all'anno dei prati marcitoi. L'erba di marcita non era quella più nutritiva ma anche in inverno consentiva di mantenere elevata (rispetto ai livelli del tempo) la produzione di latte. Di qui una copiosa produzione di latte, burro, stracchini, mascherpe, mascarponi crema di latte (Foscolo, pensando di disprezzarla, chiamava Milano "Paneropoli", da mil. pànera). In qualche modo la città si vedeva restituito quello che navigli, rogge e scolatori asportavano. Ma anche l'acqua pulita, quella del Naviglio grande che arriva dal Ticino e quella della Martesana che deriva dall'Adda era, ancor di più, alla base di flussi vitali. L'irrigazione, introdotta in modo sistematico con la fine del medioevo, combinata con le capacità allevatoriali dei montanari ha creato un sistema altamente produttivo. Il limo, trasportato in sospensione dalle acque di irrigazione, e il letame hanno creato il terreno fertile che grazie all'acqua, anche dove non vi erano marcite, poteva produrre numerosi tagli di fieno. Il latte, trasformato in latticini (tranne che nelle cascine più vicine alla città che fornivano il prodotto fresco), trasportati in larga misura via navigli, veniva venduto agli stagionatori che lo mantenevano a Corsico e a Porta Ticinese. Con il ricavato i bergamini (e i "lattai", che non praticavano più la transumanza ma non rinunciavano a mantenere anch'essi un po' di bovine) pagavano i "fittavoli" che davamo loro alloggi, materiali e, nel caso dei bergamini, il fieno. I "fittavoli" pagavano i proprietari (grossi enti di beneficienza o patrizi) che risedevano in città. Un circuito molto denso in cui i navigli giocavano un ruolo chiave.
Una storia densa e significativa che contribuisce, se raccontata, a conferire un'anima (fatta di storia vissuta e con tanbti legami con il presente) ai programmi pro navigli. E speriamo che un giorno non lontano si possa raccontarla ai nuovi milanesi e ai turisti che degusteranno magari in un cheese bar a sbalzo sulle acque della "Fossa interna" (dove si spera che la presenza dell'acqua non si traduca in una forma solo un po' più chic chic di movida) quelle specialità casearie che i navigli hanno contribuito ad affermare.
* Da tempo le varie associazioni milanesi che operano per la valorizzazione dei navigli ma anche organizzazioni "generaliste" organizzano inziative che coinvolgono anche le località che si affacciano sulle rive. Il legame tra latte e navigli è stato messo in evidenza, con l'iniziativa ricorrente "Stelle e stalle lungo la Martesana" ell'ambito di un'iniziativa del FAI denominata "La via lattea" che attraverso itinerari ciclo-pedonali punta a far conoscere ai milanesi la "sconosciuta" campagna lombarda
* * Oggetto del famoso trattato dell. avv. Domenico Berra (Milano, Silvestri, 1811)
I
navigli milanesi: vie d'acqua e di latte (o, per meglio
dire, di caci e stracchini)
di Michele Corti
Comunicazione presentata al Convegno “Latte&Linguaggio” Biblioteca Cascina Chiesa
rossa, Milano 15-17 maggio 2015
I navigli milanesi: vie d'acqua e di latte(o, per meglio dire, di caci e stracchini) (PDF statico)
sfoglia online come un libro (solo per windows)
1.
Introduzione
La sistemazione
della Darsena nel 2015 ha parzialmente rilanciato l'immagine di Milano città
d'acque. Purtroppo sono state disattese le promesse relative alla riapertura di
tratti della rete cittadina dei navigli e l'acqua non è tornata neppure nella
conca dell'Incoronata. Nonostante questo l'interesse dei milanesi per il sistema
dei navigli, dopo tanti decenni di oblio, resta comunque alto e si susseguono
iniziative (1). Tale sistema oltre alla Cerchia, alla Darsena, alle conche, ai
porti del Laghetto e del Tumbun di Sant'March comprende va la rete di
canali che collegavano la città al Ticino e all'Adda: il naviglio Grande, quello
Pavese, della Martesana ma anche il naviglio di Paderno che consente di superare
le rapide dell'Adda.
I navigli sono
parte importante di Milano e la città dimenticandoli, tombinandoli (a partire
dal 1929) e abbandonando all'incuria, come è stato fatto nel recente passato,
manufatti idraulici di grande valore storico ha compromesso il senso di
continuità e riconoscibilità della sua immagine urbana già indebolito dalle
conseguenze del “piccone risanatore” prebellico e dei bombardamenti
aerei.
I navigli hanno
influenzato non solo l'assetto urbano di Milano con il sistema dei canali, dei
ponti delle conche (le prime realizzate al mondo) ma anche l'aspetto
architettonico e l'arredo urbano influenzati dal relativamente facile trasporto
di marmi e graniti dalle lontane cave del Verbano e del Lario ma, fatto meno
noto e su cui verte il nostro contributo, hanno anche condizionato
l'organizzazione dei commerci di molti generi e quindi le abitudini e le
preferenze di consumo, parte fondamentale del costume.
Mettere in
evidenza tutto ciò, riportare alla memoria il ruolo per esercitato per tanti
secoli dai navigli quale via di trasporto di merci di ogni tipo, può contribuire
a mantenere viva l'attenzione sul progetto di riapertura della “Fossa interna”
finalizzato a riconoscere a Milano un volto che le è stato a lungo proprio,
cancellato dall'epoca dell'industrializzazione e della motorizzazione trionfanti
ma che forse oggi, in epoca di indispensabile ripensamento dei sistemi di
mobilità pubblica e privata, può consentire di superare le obiezioni che hanno
sinora bloccato i progetti tutt'altro che nostalgici di “scoperchiamento”.
Fig. 1 - Conca del
Naviglio
2. Vie
d'acqua e formaggi
A Milano attraverso i navigli giungevano
derrate alimentari fresche (frutta, verdure, bestiame da macello, formaggi),
foraggi e paglia, vino, granaglie, materiali da costruzione (legname, pietra,
marmo, laterizi, calce, sabbia), carbone manufatti vari. Dalla città partivano
filati e stoffe e i manufatti delle numerosissime botteghe artigiane di ogni
genere. Grazie alle vie d'acqua che collegavano la metropoli lombarda con i
grandi laghi prealpini era relativamente facile l'approvvigionamento di formaggi
pregiati prodotti in estate sui pascoli alpini. Il Verbano e il naviglio grande
rappresentavano l'ultimo tratto di un lungo percorso che collegava gli alpeggi
bernesi (regione di Brienz), attraverso la Sbrinz route con la valle del
Toce. Il tracciato superava i passi di Grimsel e Gries attraversando il Vallese.
Dall'alta Formazza scendeva anche il Bettelmatt, un formaggio grasso d'alpe solo
recentemente rivalutato ma che era ben conosciuto a Milano nel XVIII e XIX
secolo. Attraverso la via del Lago di Como, dell'Adda e del naviglio di Paderno
e della Martesana giungevano a Milano formaggi non solo della Valtellina (2) e
dalla Valsassina ma anche, attraverso i Grigioni e lo Spluga, quelli del
Voralberg austriaco (3).
Fig. 2 - Sistema
dei navigli dell'Insubria
Fig. 3 – Il sistema dei navigli milanesi nel 1860 a N il Tombone di San Marco. La Vettabia scaricava all'altezza dell'attuale via De Amicis.
Prima del boom
della produzione e del commercio caseario, verificatosi a partire dal 1880,
dalla Valsassina, attraverso la mediazione di operatori brianzoli che si
rifornivano al mercato di Lecco, arrivavano a Milano i “caprini”. Gli
stracchini (4), invece - a differenza dei formaggi d'alpeggio, dei caprini e di
altre specialità della montagna - erano prodotti in quantità entro un breve
raggio dalla città e affluivano sui mercati cittadini in larga misura attraverso
i navigli. Il vantaggio della via d'acqua consentiva non solo nella sua
economicità ma anche nella possibilità di evitare gli inconvenienti del
trasporto su carri che potevano danneggiare i formaggi molli. Rispetto ai
Il decollo del
grande commercio distracchini, ovvero dello stracchino tondo ad uso di
Gorgonzola e dei “quartiroli” o “stracchini quadri” (6) tra la Valsassina e
Milano è però successivo alla realizzazione della rete ferroviaria (la
Monza-Lecco è del 1873) e delle nuove e grandi casere di stagionatura che vide
come protagonisti, dopo il 1880, anche diversi grossi “negozianti”
(stagionatori-commercianti) milanesi (7). Con la maggiore facilità dei trasporti
consentita dallo sviluppo della rete ferroviaria e dal miglioramento di quella
stradale vennero superati i limiti che
Fig. 4 – Comballi
sul lago di Como
Fig. 5 – Il
Tumbun de San March in un olio di Giuseppe Canella
(1834)
3. Navigli e
stracchini: i centri del commercio
3.1 Il Borgo di
San Gottardo (El Burgh di furmagiatt)
Dopo il 1828 lo
sviluppo edilizio del Borgo, legato alla realizzazione di magazzini per il
deposito-stagionatura dei formaggi (grana e stracchini), fu rapido tanto che -
a metà degli anni Cinquanta del XIX secolo - essi raggiunsero ben presto il
numero di 105 (8). L'evoluzione urbanistica del Burgh, che emerge dalle
mappe urbane del XIX secolo, mette in evidenza come alle originarie costruzioni
- edificate intorno ad una corte acciottolata affacciantesi sul Corso - se ne
siano progressivamente aggiunte altre che andavano definendo un sistema
“labirintico” di corti comunicanti. La presenza di numerosi magazzini grandi e
piccoli faceva di questi ambienti anche il “deposito” dei contrabbandieri e
della ligéra (la piccola malavita).
Fig. 6 – Corso San Gottardo ai primi del
Novecento
Le “casere” per la
stagionatura del formaggio (grana, gorgonzola ma anche formaggi importati) erano
costruzioni seminterrate allungate dove la stagionatura avveniva sia nelle
cantine che al piano terra (piuttosto alto). Mano a mano che il prodotto
stagionava esso veniva spostato dal livello interrato a quello superiore e dalla
zona più lontana a quella più vicina al Corso inondandolo quindi di effluvi. Va
tenuto presente che le stagionature di un tempo erano molto più lunghe di quelle
odierne: il gorgonzola poteva arrivare facilmente ad un anno di stagionatura, il
grana a diversi anni. Ciò determinava necessità di spazi, di manodopera e un
forte immobilizzo di capitali che faceva del neguziaant il
dominus della filiera. La merce entrava e usciva da uno o più ampi
portoni selciati che si aprivano sul Corso e consentivano la manovra dei carri.
All'interno delle corti vi erano ampi spazi per lo stoccaggio del fieno e per il
ricovero dei cavalli. Con l'aumento della popolazione alla funzione produttiva
si andò sovrapponendo quella abitativa, con la realizzazione di case di
ringhiera a più piani. L'importanza del Burgh quale fulcro del commercio
caseario si confermò durante la Grande Guerra quando viene istituito (giugno
1917) il Consorzio obbligatorio per la disciplina del commercio del burro
prodotto in Lombardia, Piemonte ed Emilia ai fini della gestione della
requisizione del prodotto. Il Consorzio ebbe sede al n. 3 del Corso.
Il Burgh di
furmagiatt mantenne una grande importanza nel commercio caseario sino agli
anni Trenta quando la stagionatura del Gorgonzola venne trasferita a Novara. Per
un certo periodo, mentre la funzione di magazzinaggio ormai declinava, le ditte
mantennero ancora le sedi commerciali nel Borgo
(9).
Fig. 7 –
Particolare della mappa urbana di Milano del 1865 con il Borgo San Gottardo,
sviluppatisi inizialmente lungo l'asse del Corso.
A Milano le
attività di stagionatura dei formaggi non rimasero esclusive del Burgh di
furmagiatt. Verso la fine dell'Ottocento si affermarono attività di
stagionatura anche nella zona a N-E della città. Le storie di bergamini
originari della val Taleggio ci consegnano notizie di stagionature tra Porta
Tenaglia ( oggi Porta Volta) e Porta Venezia. Non sappiamo se e in quale misura
queste attività (sicuramente di rilievo molto inferiore a quelle di Porta
Ticinese) si rifornissero attraverso il vicino porto del Tumbun de San March. Per una strana coincidenza le due testimonianze
riguardano due originari della contrada Grasso di Taleggio: uno, Pietro
Bellaviti, nato nel 1828, si trasferì a Milano nel 1850 avviando un'attività di
stagionatura a Porta Orientale (attuale Porta Venezia), di certo in connessione
con i numerosi bergamini di origine taleggina della zona dell'Est milanese. Il
pronipote racconta come il bisnonno realizzasse nel 1880 due edifici in Via
Spallanzani dove prima esisteva l'osteria Tri basèi (10) . Erano case
di ringhiera con portoni d'ingresso molto ampi per consentire l'ingresso dei
carri, nel cortile interno lastricato a rissada e con i curidùr
(trottatoie) in granito per l'accesso agli spazi interni. Nel cortile Pietro
Bellaviti aveva realizzato una spaziosa costruzione parzialmente interrata per
la stagionatura dei formaggi e, a fianco, un'ampio ricovero per i cavalli con i
vani a livello terra ad altezza maggiorata e, al di sopra gli spazi per il
deposito dell'avena e del fieno(11). Un modello che ricalca quello già visto
al Burgh di furmagiatt. Giacomo Danelli, nato negli stessi anni di Pietro
Bellaviti nel racconto di una pronipote (che ne conserva una fotografia di fine
XIX secolo) esercitò per tutta la vita l'attività di bergamino svernando
solitamente nei Corpi santi (divenuti poi parte di Milano). Come tutti i
bergamini frequentava il mercato di Piazza Fontana e vendeva gli stracchini che
produceva ad un nipote “negoziante” (commerciante-stagionatore) che risiedeva in
Via Paolo Sarpi (dove il processo di urbanizzazione si sviluppò negli anni
Ottanta) (12).
3.2
Corsico
Sul Naviglio
Grande, confinante con Milano, si trova Corsico uno dei centri che in passato
hanno rappresentato il fulcro del commercio caseario regionale a lungo raggio.
Così si esprimeva in proposito l'autore locale delle risposte ai quesiti
dell'Inchiesta di Karl Czoernig, condotta dal Governo Lombardo Veneto negli anni
Trenta (13):
In questo
capoluogo di distretto vi sono n. 82 casare ossiano magazzini di formaggio
posseduti da n. 61 negozianti domiciliati in Milano. Questi magazzini contengono
complessivamente circa n.80/m. Forme di formaggio. Tale numero d'ordinario si
verifica agli ultimi sei mesi dell'anno, epoca in cui i proprietarj dei
magazzini suddetti fanno la provvista dalle fabbriche del basso Milanese, del
Lodigiano e del Pavese. Le vistose spedizioni per l'estero e il rilevante
consumo all'interno del Regno di queste derrate formano uno de' principali rami
di commercio che offrir possa il suolo lombardo (14)
La fortuna di
Corsico era legata al Naviglio, alla vicinanza della città e, al tempo stesso,
al comprensorio di produzione di latticini, da parte dei fittavoli, dei
bergamini e dei laté (15), tutti particolarmente numerosi nelle
località a Sud del Naviglio stesso, specie verso il Ticino. Corsico emerse come
centro caseario nel XVIII secolo incrinando il ruolo quasi monopolistico di
Codogno (che si avvantaggiava dalla posizione al centro del comprensorio di
produzione del formaggio Grana e della vicinanza ai confini dello stato). La
presenza a Corsico di numerose casère indusse le autorità a stabilirvi un
Postaro del sale (16) “per togliere tutti li possibili pregiudizi, che causar si
possono alla detta Impresa degli Empori, o Magazzini de’ formaggi che si fanno
nel Luogo di Corsico di questo Ducato di Milano, nelle Casare, o siano Conserve
ivi destinate” (17). Giuseppe II promosse ulteriormente lo sviluppo di Corsico
istituendo una ricevitoria di finanza.
All’inizio
dell’Ottocento si raddrizza il percorso del Naviglio creando uno spazio più
ampio corrispondente all’attuale piazza del ponte, dove scaricare e caricare le
barche con le merci da e per Milano(18).
Fig. 8 – Piazza del ponte e imbocco
di Via Cavour a Corsico
Dopo l'abolizione
del divieto di deposito di merci nei Corpi santi Corsico, nonostante
l'affermazione del nuovo “polo” mantenne comunque un ruolo importante nel
commercio caseario. Mantenne qui la sua sede la ditta Gallone, uno dei più
grandi commercianti di formaggi milanesi, il più importante tra quelli presenti
a Corsico. Nel 1834 Corsico fu funestata da un grande incendio. L'impressione
nei contemporanei e il duraturo ricordo dell'evento testimoniano indirettamente
dell'importanza del centro caseario sul Naviglio grande. Nella “Grande
illustrazione del LombardoVeneto” (1857) si riferisce
che:
[…] non sono molti
anni Corsico fu preda di terribile incendio che recò il danno di mezzo milione,
e che conservò rinomanza popolare in novelle e rappresentazioni sceniche. Qui è
l’emporio dei formaggi di grana o lodigiani che si manipolano nel Milanese, come
Codogno lo è per quelli del Lodigiano (19).
Circostanziate
notizie circa le casere di Corsico sono fornite dall’ingegner Angelo Fraschini
che nel 1854 redisse un resoconto della visita preliminare ai fini della
compilazione del registro fabbricati del Catasto lombardo Veneto (20). Gli
edifici erano costituiti da: “magazzini per il deposito di formaggio i quali
sono di una costruzione speciale e diversa dagli altri fabbricati, per essere
alti dai 5 ai 6 metri e molto lunghi e a suolo di vivo, e difficilmente
potrebbero servire per altri usi”. I depositi erano di dimensione assai diversa;
si andava da piccole casere “di metri superficiali 30 circa, dell’altezza di 5
metri, contenenti dalle forme di formaggio da 350 a 400”, a magazzini “della
lunghezza di metri 43, larghezza di metri 12, altezza 5,80 che danno metri
quadrati 515”, capaci di contenere anche 7.000 forme di grana. L'ingegnere
notava che i magazzini di formaggio ubicati in questo borgo erano 89, i
proprietari degli edifici erano una quindicina ed i depositi potevano garantire
lo stoccaggio e la stagionatura di oltre 88.200 forme. Cinquantaquattro casere
erano gestite direttamente dai proprietari, mentre le altre 35, in cui potevano
essere conservate 35.000 forme, erano affittate. Inizialmente le casere di
Corsico furono edificate lungo attuale via Cavour che costituì il primo nucleo
urbano e, solo successivamente su strade parallele (attuali Via Garibaldi, e Via
Leopardi). Come per il Borgo di San Gottardo Corsico conobbe il declino del suo
ruolo nell'ambito del commercio caseario nel periodo tra le due
guerre.
Fig 9 – Mappa di Corsico del 1865. Lo sviluppo urbano era limitato all'attuale Via Cavour e alla
piazza del ponte
3.3
Gorgonzola
Anche Gorgonzola
fu un importante centro commerciale caseario con la differenza che rispetto a
quelli già citati il suo ruolo assunse anche un carattere produttivo legato alla
produzione di stracchini nelle cascine del circondario ma anche in piccoli
laboratori artigianali che si trasformeranno nel XX secolo in vere e proprie
industrie (non così importanti, però, come quelle sorte e prosperate nella
vicina Melzo). Gorgonzola rappresenta una cerniera tra la montagna e l'alta
pianura e bassa pianura, è collocata all’incrocio di diverse direttrici di
transumanza e, pochi chilometri a Sud, si estende un ricco comprensorio di
produzione foraggera grazie alla presenza delle “linea delle risorgive”. Durante
la sosta autunnale nei grandi prati di proprietà della famiglia Serbelloni
(feudatari di Gorgonzola dal 1689) le carovane di bergamini in transumanza
producevano cagliata fresca In un lasso di tempo relativamente ristretto (tra
settembre e ottobre) si poteva disporre del prodotto di numerose mandrie che
sostavano nei dintorni del centro della Martesana prima di concludere il loro
tragitto verso le cascine di destinazione. Il latte era quello di vacche a fine
lattazione alimentate sul pascolo, circostanze che influiva positivamente sia
sul titolo lipidico che sulla qualità del grasso. L’autunno era l'unico periodo
dell'anno che consentiva la fabbricazione del Gorgonzola non solo perché in
primavera le mandrie transumanti non sostavano a lungo (era in atto il taglio
del fieno maggengo e i prati non potevano essere pascolati) ma anche perché era
l'unico periodo dell'anno, quando non erano ancora disponibili i magazzini
refrigerati né le casere “industriali” della Valsassina, in cui era possibile la
lavorazione. La temperatura a fine settembre-ottobre era in calo, ma non ancora
così bassa come in novembre, quando diveniva problematico lo spurgo del siero
compromettendo la qualità e la conservabilità delle ‘gorgonzole’. Il borgo,
grazie alla fama acquisita con il suo stracchino divenne centro di una rete di
commerci caseari che vi faceva affluire per la stagionatura il prodotto fresco
di un'ampia area del cremasco, Lodigiano, Gera d'Adda. Riferendosi a
quest'ultima il relatore per il Cremasco dell'Inchiesta agraria Jacini
osservava: [...] le partite di Gorgonzola si vendono anche per il consumo
locale, ma principalmente sono portate per i mercati di Casalplusterlengo, in
quel di Lodi, di Treviglio, di Rivolta d’Adda, da dove poi passano nei grandi
depositi di Gorgonzola e dintorni”(21).
A Gorgonzola si osserva nel XIX secolo anche la nascita di un’attività di produzione in piccoli laboratori locali che ritiravano il latte dai bergamini transumanti e dalle cascine della zona. Questa attività segna una precoce “esternalizzazione” della trasformazione casearia dall'ambito agricolo, ma rimase confinata in una dimensione modesta. Sappiamo che nell’indagine sui ‘caselli’ del 1840 per la provincia di Milano (22) venivano segnalate, come chiaramente distinte dai ‘casoni’ o ‘caselli’, un certo numero di ‘fabbriche del formaggio’. Di queste ben 13 si trovavano proprio a Gorgonzola, mentre la maggior parte delle altre erano localizzate nella zona immediatamente ad Est di Milano. Di queste ben 13 si trovavano proprio a Gorgonzola, mentre la maggior parte delle altre erano localizzate nella zona immediatamente ad Est di Milano dove era possibile ricevere il latte dai numerosi bergamini che operavano nell’area. Così ne sono indicate quattro a Lambrate (oggi comune di Milano), tre a Limito, tre a Linate (oggi comune di Segrate, confinante con Milano) una a Trucazzano (che invece si trova sulla strada ‘Rivoltana’ a breve distanza dall’Adda). Nell’elenco dei principali operatori caseari della provincia di Milano dei primi anni Ottanta figura, con sede a Gorgonzola, solo Vergani Angelo come “negoziante per il solo Gorgonzola” (23) dal momento che gli altri operatori continuavano ad operare in una dimensione prettamente artigianale. Il Vergani fu personaggio di spicco, antesignano delle grandi ditte lattiero-casearie; dal 1885 al 1891 fu anche sindaco di Gorgonzola. Vergani nel 1879-80 commercializzò oltre 13 mila ‘gorgonzole’ di cui 4.400 a Londra (24). In anni successivi erano attive a Gorgonzola le ditte Lantieri-Dawon (che esportava in Inghilterra) la Clavenzani, la Figli di A. Ripamonti, la Devizzi, la E. Locatelli, la Manzoni ealtre minori.
La E. Invernizzi continuò ad essere un’azienda importante ancoranel periodo tra le due guerre mondiali quando anche la Cademartori (1938) aprì uno stabilimento. La Devizzi, che ha iniziato ad operare nel 1889 è stata l'ultima ditta casaria di Gorgonzola a chiudere i battenti nel1981.
Fig. 10 - Confezioni di "Vero gorgonzola di Gorgonzola" della Devizzi
In anni recenti
Gorgonzola ha cercato di riappropriarsi del patrimoniostorico legato alle
origini del Gorgonzola. La De.co. (denominazione comunale) “Stracchino di
Gorgonzola” con la quale la cittadina della Martesana intendeva rilanciare su
basi artigianali la tradizione del “suo” stracchino è stata però impugnata dal
Consorzio del formaggio Gorgonzola Dop (con sede a Novara) e nel 2013 il
Tribunale di Milano ha condannato il Comune di Gorgonzola per “contraffazione di
denominazione di origine protetta”. Sentenza ribadita in appello nel settembre
2015. Nel frattempo, però, a Gorgonzola sono cresciute le iniziative
fieristiche, culturali ed editoriali sul tema della produzione casearia, dei
bergamini, della transumanza in ricordo di quello che, i libri di storia
continuano a indicare come lo “stracchino di Gorgonzola” (25).
Fig. 11 – La “transumanza dei bergamini”
tra Inzago e Gorgonzola del
13 settembre 2015
Fig. 12 – La
lavorazione del Gorgonzola agli inizi del
Novecento
3.4 Abbiategrasso
e Magenta
Al comprensorio
degli ‘stracchini’ dell’Est milanese (Martesana), con il ruolo primario di
Gorgonzola e le sue connessioni con il Lodigiano, il Cremasco, la ‘Gera d’Adda’,
faceva riscontro ad Ovest di Milano il comprensorio ‘Ticinese’ fortemente legato
alla storica presenza dei bergamini nella valle del Ticino prevenienti per lo
più dalla Valsassina. Ad Abbiategrasso era attivo sin dai primi anni del XX
secolo il burrificio Gianelli e Maino mentre grandi ditte come Cademartori,
Mauri, Galbani hanno realizzato tra le due guerre depositi e stabilimenti sia
ad Abbiategrasso che a Magenta facendo del comprensorio un importante “polo”
anch'esso destinato al declino con l'accentramento a Novara della produzione del
Gorgonzola ma anche con lo spostamento nell'area della bassa pianura bergamasca
e bresciana della produzione del Quartirolo. Nell'Inchiesta di Karl Czoernig i
latticini erano considerati: “Prodotto assai considerevole del nostro distretto
[di Abbiatgrasso]” aggiungendo che mentre il burro trovava sbocco nell'area a
N-O di Milano: “I formaggi e specialmente gli stracchini vengono trasportati e
venduti a Milano” (26) . Una testimonianza della destinazione milanese – via
naviglio - degli stracchini della valle del Ticino. L'importanza della
produzione di stracchini ad Abbiategrasso e dintorni, maggiormente “quartirolo”,
ma anche “tondo”, è confermata da testimonianze che non solo riconoscono che una
consistente produzione di “stracchino di Gorgonzola” era prodotto ad
Abbiategrasso (27) ma che identificano anche il “tondo” come “stracchino di
Gorgonzola o di Abbiategrasso” (28). L'importanza di Abbiategrasso è confermata
alla fine del XIX secolo sia come piazza di commercio (29) che come comprensorio
produttivo in rivalità con il lodigiano (30). Il Consorzio del Quartirolo
lombardo dop aveva sede in origine (negli anni Novanta) ad Abbiategrasso
riconosciuta quale “culla d'origine” del prodotto ma con lo spostamento ad Est
del baricentro della produzione lattiero-casearia è stata trasferita ad
Orzinuovi (Bs). Lontano dai navigli.
Fig. 13– Il
Naviglio grande a Castelletto di Abbiategrasso
5.
Conclusioni
Nella
ricostruzione, ancora in gran parte da compiersi, della storia delcaseificio
lombardo tra Ottocento e Novecento, caratterizzata dalla progressiva
emancipazione dalla matrice agricola ma anche da nuove geografie del commercio,
la via di trasporto dei navigli ha rappresentato, tra XVIII e XIX secolo, un
elemento importante della strutturazione di un sistema di “poli” intorno alla
capitale lombarda. Sono lontani i tempi in cui l'intenso odore di “gorgonzole”
ben marüud e forme di “granone” stavecchie si mescolavano con la nebbia
che regnava sulle alzaie e sin dentro il Burgh di furmagiatt. Oggi, però,
Milano cerca di recuperare una qualche identità e un volto urbano in grado di
renderla distinguibile in qualcosa che non sia la skyline dei grattacieli
(esibita in modo anche più sfolgorante da 100 città dei “Brics”). Nel frattempo
assistiamo al capolinea di un sistema caseario dominato da multinazionali e Gdo
che ha trascinato al ribasso non solo il valore del latte ma anche il livello
qualitativo di gran parte della produzione “tipica” che, al di là del sistema
delle denominazioni Dop, rischia di perdere il legame con l'identità storica (e
organolettica) di quegli antichi stracchini di quegli antichi “granoni”. Può
pertanto essere utile una qualche riflessione sulla possibilità/necessità di un
recupero di un ruolo alimentare, nella fattispecie caseario, di “Paneropoli”
(così il Foscolo identificava la città ambrosiana) nel quadro di quei sistemi
che la nozione di “km 0” banalizza ma che assumono piena rilevanza dentro un
movimento di dimensioni mondiali di agricoltura e produzione alimentare
“riterritorializzate”, sganciate dal food global system e ancorata a
dimensioni di artigianalità e forte integrazione con le dinamiche comunitarie e
l'azione locale. Un movimento in grado di affermarsi sia nelle aree montane
“marginali” che nei contesti metropolitani (31). Milano (e il circondario)
come città d' acque, di marcite, di cascine, di stracchini non è solo una
cartolina sbiadita, un titolo per una conferenza storica, può essere una visione
per i prossimi anni. La dimostrazione che non si tratta di è la concreta
realizzazione del parco agricolo urbano del Ticinello con il passaggio, avvenuto
a fine dicembre 2015, delle ex “aree d'oro” della speculazione edilizia alla
proprietà comunale (31).
Note
(1) Vedi la mostra “Milano Città d'acque”, Palazzo Morando,
Via Sant'Andea 12.11.2015-14-02-2016 (Catalogo ed. Spirale d'idee) e
l'incessante attività delle associazioni che promuovono la valorizzazione dei
navigli e, in particolare, la riapertura della “Fossa interna” di cui si fa
alfiere l'associazione Riaprire i navigli
(www.riaprireinavigli.it).
(2) Va precisato, però, che il più famoso dei formaggi
valtellinesi, il Bitto, era trasportato via Lario, sino a Como per la
stagionatura e proseguiva verso Milano sui carri lungo la Comasina. L'attività
di stagionatura a Morbegno era infatti molto limitata prima del XX secolo in
ragione della confluenza della maggior parte della produzione al mercato di
Branzi in alta valle Brembana da dove, lungo la Via Priula scendeva a Bergamo
per la stagionatura.
(3) “A questo commercio [la produzione casearia interna
aggiungono importanza i formaggi svizzeri e massime i tirolesi di cui grossi
depositi trovansi nei sobborghi di Milano pel consumo della città e del
regno Nel 1845 entrarono dal confine del monte Spluga 4849 quintali di formaggi
provenienti dal Vorarlberg”. L. Litta Modignani, C. Bassi, A. Re (a cura di)
Milano e il suo territorio, tomo II , Milano, Pirola, 1844,
p.100.
(4) Sino a tutto il XIX secolo la voce “formaggio” indicava
solo prodotti caseari a pasta cotta. Una distinzione ben presente ai viaggiatori
colti già nel XVIII sec.“Le plus usité [il formaggio] est celui de
vache il se divise en deux espèces formaggio & stracchino. [...] Ces
fromages [gli stracchini] qui se font aux environs de Milan & surtout dans
la Valzasina & dans toutes les parties les plus orientales du Milanez se
vendent en grande quantité dans toute l’Italie & dans l’Allemagne. (J.
J. De Lalande, Voyage en Italie: contenant l’histoire & les anecdotes les
plus singulières, Geneve, 1790 , p. 420).
(5) “Anche di stracchini crescono sì il consumo sì le
spedizioni. Son piccoli formaggi di fabbricazione incompleta col latte naturale
quagliato appena munto nè spogliato della parte butirrosa Se ne fa di due
qualità i quadri si mangiano o freschi o non eccedenti i sei mesi circa i
rotondi e grossi detti di Gorgonzola dalla terra ove si fecero i primi e
migliori si mangiano stagionati da circa 3 a 12 mesi Il processo di
fabbricazione di questi varia in parte per produrre nella loro pasta quelle
macchie verdi che chiamiamo erborine e che sono una mucedinea Penicillium
glaucum la quale ne aumenta il pregio e si ottiene col mischiar del latte
coagulato un giorno con quello coagulato nel precedente Benchè di natura dolci
gli stracchini invecchiando prendono del piccante. Dapprincipio faceansi col
latte delle giovenche quando nel tragitto autunnale dagli alpi come chiamiamo i
pascoli montuosi ai pascoli vernini della pianura giungevano stracche onde si
dissero stracchini Allargatone il consumo se ne fabbricano anche col latte delle
mandre stanziate nella pianura”. Enciclopedia del negoziante. Ossia Gran
dizionario del commercio, del banco e delle manifatture, Venezia, Giuseppe
Antonelli, 1843, s.v. “Milano”. Per l'aumento più consistente nella seconda metà
del secolo vedi C. Besana : “Note sulla produzione e il commercio dei prodotti
lattiero- caseari”, in P. Battilani, G. Bigatti, Oro bianco. Il settore
lattiero caseario in Val Padana tra Ottocento e Novecento, Lodi, Giona,
2003 pp. 99-134.
(6) La denominazione “Taleggio” si afferma solo all'inizio
del XX secolo (vedi M. Corti, La civiltà
dei bergamini Un’eredità misconosciuta. La tribù lombarda dei malghesi tra la
montagna e la pianura dal quattordicesimo al ventesimo secolo, Sant'Omobono terme, Centro Studi valle Imagna, 2014,
p. 266.
(7) Tra le ditte milanesi che realizzarono casere in
Valsassina vi erano quelle di Modesto Gallone, Gerolamo Perversi, fratelli
Corsi, Lorenzo Garancini (indagini in corso da parte
dell'autore).
(8) C. Besana, op. cit., p.
130.
(9) M. Corti, op. cit., p. 272.
(10) A. Carminati (a cura di) Bergamini, vacche e
stracchini. Ventiquattro racconti di malghesi, lattai e fittavoli dalla Valle
Taleggio alle cascine di Gorgonzola e dintorni. Centro studi valle Imagna,
Sant'Omobono Terme, 2015, p.68.
(11) Ibidem.
(12) Intervistata dall'autore alla pronipote il 3 ottobre
2015 presso la sua abitazione in contrada Grasso di
Taleggio.
(13) Il barone Karl Czoernig (1804-1889) fu uno statistico,
storico e geografo, fondatore della statistica amministrativa nell'impero
austroungarico. L'inchiesta che prende il suo nome rappresenta una fonte
fondamentale per la storia dell'agricoltura lombarda della prima metà del XIX
secolo.
(14) Regione Lombardia, settore cultura e informazione.
servizio biblioteche e beni librari e documentari. Agricoltura e condizioni
di vita dei lavoratori agricoli lombardi: 1835-1839. Inchiesta di Karl
Czoernig, Milano, 1986, p. 450.
(15) I bergamini erano gli allevatori (in gran parte
transumanti) provenienti dalle Orobie che durante il periodo invernale di
permanenza in pianura si installavano nelle cascine acquistando fieno e
acquisendo il diritto all'uso di ricoveri per la mandria e la famiglia nonché
dei locali per la lavorazione del latte. I bergamini producevano
prevalentemente stracchini. I latè erano piccoli imprenditori autonomi di
caseificio che operavano anch'essi presso le cascine “affittando” il latte da
fittavoli e bergamini e operando a proprio rischio e profitto la lavorazione e
la vendita. Tutte queste figure esitavano il prodotto fresco. Alla stagionatura
(e spesso anche alla stessa salatura) provvedevano i neguziant, i
commercianti-stagionatori. Per approfondire questi aspetti vedi M. Corti, op.
cit.
(16) Nell'organizzazione della ferma del sale (monopolio) i
postari costituivano delle rivendite autorizzate anche alla vendita del sale
all'ingrosso.
(17) “Aumentandosi questo prodotto ed estendendosene il
commercio i Milanesi presero animo ad occuparsene in competenza coi negozianti
di Codogno ai quali era si può dire riservato. Le leggi di finanza non
permettendo questi ammassi nei Corpi santi la combinazione e la vicinanza fecer
da un primo preferire Corsico casale a quattro miglia dalla porta Ticinese altri
l’imitarono sicchè quasi tutti ivi erano i depositi milanesi volgarmente
chiamati casere dove si custodiscono con gran cura e si lasciano invecchiare i
formaggi per provvederne poi la città le provincie ed i paesi esteri ma che vi
si conservassero meglio è un pregiudizio. Giuseppe II vide quei magazzini e
incoraggiò tale commercio non solo con lusinghiere parole ma collo stabilire in
Corsico una ricevitoria di finanza pel dazio degli uscenti senza che bisognasse
il materiale trasporto delle merci in dogana a Milano ove dovevano essere
scaricati riconosciuti daziati quindi ricaricati. Cessato il divieto nè Corpi
santi nuovi regolamenti di dogana facilitarono le operazioni commerciali coi
daziati per notificazione e lasciarono ai Milanesi tenere più vicini i loro
depositi onde venne inutile quella ricevitoria allora si introdussero caciaie
nei sobborghi massime di San Gottardo anzi si resero superiori a quelle di
Corsico senza che queste sieno state abbandonate nè diminuite. Tra in questo e
ne sobborghi trovasi una quantità di formaggi pari a quella riunita di Codogno
Lodi e Pavia potendo valutarsene 20 milioni annui non contando i burri e i
cosidetti stracchini”. Enciclopedia del negoziante ossia gran dizionario del
commercio delle manifatture, Tomo VI, Giuseppe Antonelli, Venezia, 1843 s.v.
“Milano”. La ricevitoria di finanza fu stabilita in Corsico con Editto del 15
aprile 1749 (C. Besana op. cit. p. 130).
(18) L. Covelli Le attività casearie tra sette e
ottocento nella bassa Lombardia: le casere di Corsico. Tesi di laurea
Università cattolica del Sacro Cuore, Milano,
a.a.?????
(19) C. Cantù, “Storia di Milano” in: C.Cantù e L.
Gualtieri di Brenna , Grande illustrazione del LombardoVeneto , Milano,
Tranquillo Ronchi, 1857, p. 464.
(20) Cit. da L. Covelli (n.17) e F. Pirola Il commercio all’ingrosso dei prodotti caseari a Corsico tra ‘800 e ‘900: la Ditta Modesto Gallone Le attività casearie tra sette e ottocento nella bassa Lombardia: le casere di Corsico Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, a.a.
(21) Giunta per la Inchiesta agraria, “Il Circondario di
Crema, Commissione presieduta dall’On. Comm. P. Donati”, Atti , Vol. VI tomo II,
fasc. III. Roma, 1883, p. 555.
(22) ASMi, Commercio, p.m., b.
15.
(23) C. Besana, Tra agricoltura e industria: il settore
caseario nella Lombardia dell’Ottocento, Milano, Vita e pensiero, 2012, p.
267.
(24) Id., p. 192.
(25) Vedi il volume citato a n. 9, l'evento rievocativo
“Transumanza dei bergamini” tra Inzago e Gorgonzola del 13 settembre 2015 e
diverse altre iniziative promosse dal Comune, dalla Pro Loco e dall'associazione
culturale Concordiola.
(26) Regione Lombardia, settore cultura e informazione.
servizio biblioteche e beni librari e documentari, op. cit.
p.255.
(27) “È opinione del Cattaneo che lo stracchino il quale si
fabbrica anche lungi da Gorgonzola abbia lo stesso pregio di quello confezionato
in Gorgonzola. Noi recisamente respingiamo questo asserto e per onore del vero
ed anche per l’interesse dei Gorgonzolesi non esitiamo a dire che lo stracchino
di Gorgonzola e de suoi dintorni cioè Melzo Vignate Cernusco Bellinzago ed
Inzago dove esistono anche i più ricercati foraggi del basso Milanese è ancora
una specialità che non teme alcuna concorrenza. Che nel commercio si spaccino
sotto il nome di Gorgonzola stracchini fabbricati in tutt’altri siti che per
soddisfare alle ricerche sempre crescenti di questo latticini se ne fabbrichi
con discreta riuscita ad Abbiategrasso nel Novarese ecc. conveniamo ma chiunque
sa apprezzare questo formaggio non potrà togliere a Gorgonzola il vanto
dell’eccellenza de suoi stracchini”. D. Muoni Melzo e Gorgonzola Studio
storico con documenti e note, Milano, F. Gareffi, 1866, p.
229.
(28) “Alla libertà delle acque e non solo alla loro copia ed
alla costanza del loro deflusso nelle due stagioni estiva e iemale è dovuta in
conseguenza l'attuale estensione della coltura irrigua del Milanese che giunge a
creare non meno di circa 1000 casoni ossiano fabbriche di formaggio detto di
grana o parmigiano e di circa altre 500 fabbriche del così detto stracchino di
Gorgonzola o stracchino di Abbiategrasso coll'appendice numerosa di tutti gli
altri nostri più squisiti latticini formanti nel complesso uno dei principali
redditi annui del suddetto Basso Milanese”. G.Buschetti “Sulla libertà delle
acque in Italia” in Raccolta delle
opere idrauliche e tecnologiche di Giuseppe Buschetti Torino, Tipografia degli eredi Motta 1864, p.
537.
(29) “Avvi molto spaccio di burro formaggi e si tengono tre
fiere all'anno per tessuti stracci e bestiame nelle 29 giugno 9 agosto ed il
lunedi dopo la domenica di ottobre Si fa pure mercato tutti martedì e venerdì d
ogni settimana per generi granaglie latticini polleria tessuti stoffe di feltro
e suini” L.Ticozzi, Guida generale di Milano ed intera provincia,
Tipografia della Guida Generale d'Italia 1873 Milano,
p.279.
(30) “Fra le principali industrie della provincia dovrebbe
annoverarsi anche - specialmente per il circondario di Lodi ed Abbiategrasso -
la produzione di burro e formaggio. Però questa produzione ha carattere
prettamente agricolo: quasi ogni fondo ha la sua cascina, dove si porta dalla
stalla appena munto il latte che serve alla fabbricazione del formaggio e del
burro”. L. Sabbatini Notizie sulle condizioni industriali della provincia di
Milano, Milano, Camera di Commercio di Milano e della Direzione Generale di
Statistica, 1898. p.231.
(31) Per questi temi, le analogie tra il recupero di pratiche
di produzione agroalimentari artigianali in contesti urbani e, all'opposto, di
montagna “svantaggiata” vedi M. Corti, S. Delapierre, S. Agostini Cibo e
identità locale. Sei esperienze Sistemi agroalimentari e rigenerazione di
comunità. Sei esperienze lombarde a confronto, Sant'Omobono terme, Centro
studi valle Imagna, 2015.
(32) Il Ticinello è il cavo che prende origine dalla Darsena
e il cui tratto iniziale è stato scoperchiato in occasione della
riqualificazione della stessa Darsena. Costituito da 88 ettari oggi passati
interamente alla proprietà comunale dopo una decennale battaglia di valore
simbolico e non solo. Al suo interno la Cascine Campazzo con 130 vacche da latte
e le ultime marcite milanesi che verrà integrata di aree sottratte da
speculazione e infrastrutturazione. Parte della ree comunali, però, saranno
affidate con appositi bandi a giovani agricoltori.