(31.12.15)Il Ministero della salute, l'Enea e ora anche il Protocollo di intesa tra governo, regioni e comuni riconoscono che le biomasse sono una causa primaria della grave situazione dell'inquinamento atmosferico che pone l'Italia fuorilegge per mancato rispetto della Direttiva europea. Ma condannano solo le biomasse "civili", quelle speculative che provocano inquinamento per profitto sono ok
Quante vittime (di stato)
delle biomasse?
di Michele Corti
Vittime (e carnefici) senza volto. Ma è proprio così?
Le vittime dell'inquinamento non hanno nomi e volti. A loro è negato questo "privilegio". Le vittime della strada hanno un nome e spesso l'ha anche chi li ha uccisi (come nel caso della Tyssen). Nel caso dell'inquinamento gli autori del genocidio non hanno volto. Anche perché chi muore di cancro al polmone (che oggi colpisce anche i bambini) o di infarto o di altre patologie non può essere sicuro come nel caso della Tyssen che è la centrale a 200 m che lo ha ucciso dal momento che vi possono essere state delle concause. Chi è morto è stato "sfigato" e nessuno ne ha colpa. Ne siamo sicuri?
E i colpevoli? Attenzione non è vero che non si possano individuare. Con lo sviluppo di strumenti come Q-cumber (quello che è accessibile online a chi si registra è solo la punta dell'iceberg) le sorgenti emissive non sfuggono. Si sa cosa, quanto e dove inquinano. E nella località x, in via y posso (potrò) sapere quanto mi ha inquinato z, w, e k.
L'"inquinamento" non è una specie di maledizione biblica, un colpevole senza volto. E lo sarà sempre meno.
Il ragionamento sviluppato in questo articolo vuole dimostrare che come per la Tyssen i colpevoli della strage hanno nome e cognome. In Italia l'inquinamento avrebbe potuto calare di molto e rientrare quantomeno entro i "limiti di legge". Per scelte politiche e speculative si è deciso di puntare sulle energie da "biomasse" concedendo alla produzione di elettricità incentivi molto più lucrosi che negli altri paesi europei, incentivando il riscaldamento da biomasse anche nelle aree con qualità dell'aria compromessa non tenendo conto della legge (Direttiva 2008/50/CE) che impone di non peggiorare la qualità dell'aria dove è buona (si fa per dire) e di migliorarla dove è cattiva. Chi ha palesemente violato questa norma è un assassino. Va detto senza giri di parole. E nel concorso in strage la chiamata di correità deve riguardare tutti: i legislatori, "proponenti" le centrali (gli speculatori), i funzionari e gli amministratori pubblici nonché gli esperti compiacenti. Diranno "abbiamo eseguito quello che imponeva la legge". A parte che questa giustificazione è già servita altre volte nella storia a giustificare atrocità.
Il fatto è che l'amianto, l'Ilva, Bhopal, i pesticidi, le biomasse non sono "incidenti di percorso" ma qualcosa di costitutivo di una logica economica che domina tutto il resto e che, sotto la spinta della speculazione e della globalizzazione "estrae" profitto dalla distruzione di vita (umana e non), dall'avvelenamento sistematico degli ecosistemi, dalla pianificazione sistematica e senza scrupoli (vedi shale gas, trivellazioni, stoccaggi) sistematica dello sfruttamento di ogni risorsa alla superficie, nel sottosuolo, nei mari. L'inquinamento, l'avvelenamento, la malattia non sono una spiacevole e accidentale conseguenza ma il corrispettivo del profitto.
I residui di una concezione economicista, risalente peraltro a condizioni storiche molto diverse dalla contemporaneità, ci hanno fatto credere che lo sfruttamento è qualcosa che si "estrae" solo dalla fabbrica, dal rapporto di produzione basato sul lavoro salariato. Ma anche ai tempi di Marx l'operaio non viveva in un eden fuori dai cancelli della fabbrica e lo sfruttamento delle risorse naturali era motore del capitalismo.
Il movimento "No biomasse" (frammentatissimo ma capace di coinvolgere decine e decine di migliaia di persone in una sequela interminabile di petizioni, assemblee e manifestazioni) dovrebbe fare qualcosa per richiamare i migliaia di morti delle biomasse. Vicino ad ogni centrale dovrebbero essere collocate delle croci o delle sagome dei morti di inquinamento. La foto sotto ritrae una straordinaria installazione di Land art novemila sagome impresse sulla sabbia bagnata della Costa della Normandia. Tante quante furono le vittime dello sbarco all’alba del 6 giugno del ’44. Novemila sagome realizzate una ad una (nel 2013) da due artisti inglesi, Jamie Wardley e Andy Moss (vai alla notizia).
Una politica di sacrifici umani alle nuove divinità crudeli del nostro tempo
Anche con l'emergenza aria avvelenata del dicembre 2015 la politica ha continuato a sostenere gli interessi speculativi (e il finto ambientalismo delle "rinnovabili") contro la salute. Le biomasse "cattive" sono solo quelle "civili" per riscaldamento, quelle industriali, puramente speculative, che producono una misera quantità di elettricità a prezzo di un elevato inquinamento, sono invece "virtuose" per il governo e le varie agenzie pubbliche. Rappresentano fonti emissive trascurabili (lo dicono loro) e sembra quasi che le loro poveri fini e ultrafini e il benzo(a)pirene che rilasciano abbondantemente nell'aria siano diverse, non pericolose, forse perché purificate dallo scopo mistico della riduzione dei gas serra. I gas serra non li riducono se non in maniera infinitesimale, i morti, invece li causano sul serio perché sono in gioco veleni dell'aria che anche a basse concentrazioni aumentano in modo implacabile la mortalità prematura. Si vede che le divinità del nostro tempo: il profitto speculativo senza scrupoli, l'ambientalismo falso e antiumano hanno bisogno di nutrirsi di vittime sacrificali. Come gli dei delle civiltà mesoamericane che sarebbero "morti" se non nutriti continuamente di sangue umano.
Non ci si deve molto meravigliare. L'ideologia ambientalista trae le sue origini negli Stati Uniti ottocenteschi, affonda nel puritanesimo dei "padri fondatori" del movimento conservazionista (i Parchi come natura incontaminata). In una cultura facilmente portata a combattere il Male assoluto in nome di un Bene altrettanto assoluto che, come insegna la storia anche recentissima dell'unica potenza imperiale, si mescola facilmente con il business speculativo più spregiudicato e la supremazia della forza. L'ambientalismo istituzionale è stato ed è sostenuto dalle foundation (ovvio evocare Rockfeller) dei petrolieri che hanno da tempo compreso che il business petrolifero era maturo mentre quello delle "rinnovabili"era promettente.
La "lotta ai gas serra" strumentalizzata e distorta
Molte sono le emergenze ambientali ma il capitalismo estremo, che incorpora l'ambientalismo istituzionale quale comoda ancella , conosce solo quella dei "gas serra". Il solo terrorismo politically correct è quello sul riscaldamento globale (e sulla crescita demografica). I media della finanza non ci angosciano con i mari che muoiono di inquinamento, l'aria pulita che non c'è più (il business è pronto a vendere ai pechinesi quella inscatolata delle Montagna rocciose canadesi), l'acqua dolce ovunque inquinata, l'erosione e la salinizzazione dei suoli agricoli, la terra avvelenata dai pesticidi che pervadono ogni luogo e ogni vivente, l'estinzione di massa di specie animali e vegetali, le foreste tropicali distrutte per l'olio di palma o il cippato. Il capitalismo estremo non ha interesse a fare del terrorismo su queste emergenze. Ne è il responsabile. Quando (e se) verrà il momento di trasformare in business la "medicazione" di queste ferite mortali agli ecosistemi si darà il via alla grancassa, si caricherà la molla dei burattini verdi e dei pagliacci alla Al Gore.
Il capitalismo trionfante non ha interesse a mettere in chiaro che le altre emergenze ambientali (quelle che non fa troppo comodo chiamare in causa) sono a loro volta collegate al problema dei gas serra. Le trasformazioni dei sistemi agricoli e zootecnici in senso industriale sono parte del problema non della soluzione. Le bioenergie dedicando enormi estensioni di terreno alle coltivazioni energetiche (jatropha, palma, eucalipto) sono alla base della trasformazione di sistemi naturali in grado di sequestrare i gas serra (e di regolare il clima) in monocolture. In generale l'agricoltura industriale comporta massicce applicazioni di fertilizzanti azotati e conseguente perdita di protossido d'azoto (N2O) in atmosfera, un gas serra con effetto 300 volte superiore a quello della CO2. Quanto agli allevamenti vi è un pesantecontributo del metano (CH4) che ha un potenziale gas serra 25 volte la CO2. Il metano viere eruttato dai ruminanti come prodotto della digestione anaerobica (analoga al processo di produzione del biogas) nel rumine. Con la differenza che nei sistemi di pascolo la componente di copertura vegetale e terreno è in grado di compensare l'emissione di metano degli animali. Il passaggio di tutta l'agricoltura al metodo "biologico" (no concimi chimici, no pesticidi) comporterebbe una riduzione della produzione di gas climalteranti (oltre che del carico di veleni nelle catene alimentari). Ma l'establishment ammonisce: "l'agricoltura bio non può sfamare 9 miliardi di terrestri". E qui viene prospettato (loro non fanno "terrorismo", quando mai?) lo spettro delle carestie e delle guerre per contendersi l'ultimo morso di pane. In realtà l'establishment sa, ma non lo strombazza, che le rese agricole nel mondo (nonostante ogm, pesticidi, concimi chimici, "miglioramento genetico") sono in calo e che calano i suoli fertili, più per colpa delle tecnologie agroindustriali che per i cambiamenti climatici.
Diritto alla salute? No, prima il business delle biomasse. Uno zelo sospetto
Quando mai il governo italiano è così sollecito nel rispondere alle direttive europee? Abbiamo visto che nel caso della Direttiva che protegge la salute dei cittadini dall'aria avvelenata non solo è inadempiente ma non trasmette neppure i dati dell'inquinamento. Le "energie rinnovabili" sono, invece, un settore dove l'Italia ha dato mostra di uno zelo straordinario, insolito e molto sospetto. Un coro unanime di imprese, università, regioni, stato centrale l'ha presentato come un obiettivo prioritario "O rinnovabili o morte". Quante volte la centrale inquinante e inutile è stata fatta "digerire" ai cittadini con la fatidica formula "se non la facciamo, se non raggiungiamo il target delle rinnovabili l'Europa ci punirà. E qui veniva minacciato come formula esorcistica il riferimento al misterioso Burden sharing. Usando criptiche formule inglesi il politico intende raggiungere lo stesso obiettivo che tanto dava fastidio a Renzo Tramaglino quando usato da Don Abbondio e dall'Azzeccagarbugli : intimidire con il "latinorum", con la minaccia dell'incomprensibile arcano. Burden sharing è il nome dle decreto che ha appioppato alle regioni "quote obbligatorie" per fare si che non si potesse sgarrare all'impegno delle quote nazionali. Con un simile sistema si aprivano autostrade per gli speculatori che presentando raffiche di progetti erano ben consapevoli che anche progetti carenti di requisiti sarebbero passati. C'era poco da guardare per il sottile: l'Europa con il volto arcigno del poliziotto era lì pronta a bastonarci. Chissà poi perché quando ci bastona sul serio sul mancato utilizzo dei fondi comunitari e rispetto di altre direttive non si fa tutto questo "terrorismo", chissà come mai? I risultati sono noti: un diluzio di centrali che sarebbero state molte ma molte di più (specie quelle a legna) se non ci fossero stati comitati e comuni a opporsi.
La farsa (ma ha risvolti criminali) ha portato alla situazine registrata dalle rilevazioni statistiche del GSE: gli obiettivi per il 2020 che l'Europa ci imponeva di raggiungere (manco si fosse trattato di un negriere armato di gatto a nove code pronto a fustigare i ritardatari) ... sono stati raggiunti nel 2013. prima nel settore elettrico (più lucroso guarda caso).
Fonte: GSE, 2015, rapporto statistico 2013
Nel 2014 la Commissione europea ha adottato un nuovo Quadro per il clima e l'energia che, dopo un dibattito che ha coinvolto le agenzie europee, i centri di ricerca e le organizzazioni non governative - tutti preoccupati della scarsa sostenibilità della corsa ai biocarburanti e delle energie rinnovabili in genere - ha fortemente ridimensionato l'obiettivo europeo della quota di energie rinnovabili abbassandolo al 27% nel 2030. Nel 2014 Terna ha comunicato che 37,5% dei consumi e 43,3% della produzione di energia in Italia era già da fonti rinnovabili. E' noto che in estate si arriva già al 50% di somanda di energia coperta da rinnovabili (con le pale eoliche che girano a vuoto e i pannelli fotovoltaici sconnessi per eccesso di produzione). Di più, non ci sarà alcun burden sharing obbligatorio per gli stati. Morale? Come conseguenza dell'imbroglio sono cresciute a dismisura le fonti di emissione legate all'utilizzo di energia da biomasse e l'inquinamento è cresciuto o non è diminuito. L'emergenza mori da smog si fa più drammatica mentre l'urgenza "rinnovabili o morte" è stata più che dimensionata. Chi è diventato vicino di casa si una centrale, però, se la tiene.
"Tutto ciò che è biodegradabile" (ovvero anche i rifiuti civili e industriali) è biomassa. E allora bruciamola
Il protocollo di intesa di Galletti con Regioni e ANCI sull'inquinamento atmosferico e le misure di emergenza conferma che le istituzioni espressione delle lobby (rifiuti, bioenergy, industria trasporti, imballaggi) non hanno alcuna intenzione di agire in modo efficace spostando risorse significative a favore dell'obiettivo prioritario del miglioramento della qualità dell'aria. Le istituzioni/comitati di affari non hanno alcuna intenzione di modificare un modello di produzione/consumo energetico (e di gestione dei rifiuti) che premia le combustioni. Spendono notevoli risorse di persuasione per convincere il "pubblico" che gli inceneritori non sono quella fonte di inquinamento e quel molto profittevole business di cui i poco informati e i faziosi osano discernere (talvolta arrivando anche alla disdicevolissima protesta - subito esorcizzata con il marchio di infamia di "nimby"). Vogliono far credere che bruciare enormi quantità di rifiuti a Milano e Brescia, città che soffocano di polveri sottili sia una soluzione "sostenibile". "Recupero energetico" lo chiamano. I maliziosi, oltre che disinformati, sospettano che è la somma del business del trattamento rifiuti e di quello dell'energia rinnovabile (tutto ciò che è biodegradabile e viene bruciato è biomassa passibile di incentivo) che rende tanto apprezzati gli inceneritori. Il compostaggio domestico e comunitario (il riciclo della materia senza produzione di ceneri da mandare in discarica e di composti tossici sparati in aria dai camini) è troppo disdicevolmente "naturale" per i tecnocrati, i politici, i businessmen. "Sprecate energia", dicono (loro). Ma che prezzo ambientale e sanitario ed economico ha l'energia da combustione dei rifiuti/biomassa (è ormai chiaro le due cose si sovrappongono)? Il compostaggio ha il gravissimo difetto di non comportare un trasferimento di reddito dalle tasche di molti non ricchi a quelle di pochi ricchi.
Il trattamento rifiuti è affare d'oro (come sanno bene la mafia e la "politica") perché il costo è caricato sulla fiscalità. Ci pensa Equitalia se non paghi. Il somaro è aggiunto di un altro carico molto pesante, ma tanto... ne ha già parecchi sulla groppa. Con il compostaggio di comunità diffuso chi ci guadagnerebbe? Il cittadino che si vede ridotte le tasse anche grazie a sistemi innovativi con l'uso di chip. Giammai. Ma oggi (vedi il box di approfondimento sotto) il compostaggio, gestito al di fuori del business del rifiuto e dell'energia, ovvero al di fuori dlele logiche (im)prenditorial/speculative, è un'alternativa concreta. Tanto concreta che il business deve ricorre a forti pressioni contro quei sindaci che scelgono di compostare il loro "rifiuto verde" e si sottraggono dalla macchina infernale che rastrella biomasse (potature, foglie secche, sfalci) dai comuni di campagna per avviarle alle centrali a biomasse in città. Succede in provincia di Cremona dove Vescovato non vuole più mandare il materiale ricavato dalla manutenzione del verde comunale a bruciare in città nella centrale realizzata a fianco dell'inceneritore (che poi è anch'essa un inceneritore). C'è da riflettere su questa logica, su questa "razionalità" (legittimata, ci mancherebbe, dagli apparati accademici e dal sapere esperto in generale) che invece che riciclare in campagna il materiale lignocellulosico lo trasferisce in una delle città più inquinate d'Italia (Cremona viene subito dopo Milano e Brescia) per bruciarlo.
Oggi il compostaggio di comunità è possibile anche in città e nelle aree urbanizzate ed è un potente "pilastro" dei progetti di agricoltura urbana. Coltivare la città (e le conurbazioni che hanno divorato tanta parte delle nostre pianure) non è un'utopia è una necessità, il movimento dell'agricoltura civica, di comunità, urbana (o come la si vuole chiamare) sta finalmente decollando, lo vediamo anche a Brescia, a Milano (nelle città massacrate dallo smog), nell'hinterland nordmilanese ultracementificato (vedi l'esperienza di Nova milanese).
Chiariamo le idee sul compostaggio
Ai connotati culturali positivi della combustione (ereditati dalle più antiche culture umane - vedi box di approfondimento successivo - rafforzati dalle conoscenze scientifiche circa gli effetti di "risanamento" delle alte temperature) fa riscontro un'immagine non propriamente positiva dei processi di compostaggio che, in realtà, rappresentano solo una forma controllata della modalità più frequente in natura di riciclo della materia: la fermentazione aerobia (ovvero in presenza di aria, di ossigeno da distinguere da quella anaerobia molto meno frequente in natura). Se ancor oggi il compostaggio evoca rischi di emissioni maleodoranti è anche perché i grandi impianti di compostaggio gestiti dal business dei rifiuti non hanno saputo evitare quegli inconvenienti che in piccoli compostaggi domestici, comunitari o anche gestiti da comuni di migliaia di abitanti sono stati superati grazie all'introduzione delle compostiere chiuse. Gli inconvenienti legati ella dispersione di odori molesti e calore sono drasticamente contenuti. Il compostaggio consiste in una fermentazione controllata che sviluppando temperature di 55-70°C sottopone il materiale in entrata ad un trattamento di "sanificazione" ben più efficace della pasteurizzazione "classica" (60°C per 30 minuti). Rispetto al compostaggio industriale, gestito dal business, il compostaggio domestico e comunitario è in grado di produrre un concime organico di alta qualità in ragione del controllo qualitativo all'origine del materiale immesso. Il compostaggio industriale utilizza la Forsu, la frazione umida del rifiuto solido urbano che - come tutti sappiamo - contiene una componente "impropria" che apporta alla Forsu pericolosi inquinanti non sempre separabili con i processi meccanici di selezione. Mentre per un buon compost il contadino è pronto a pagare un prezzo, per quello che la lassista legge italiana (molto meno severa di quelle della maggior parte dei paesi europei) chiama "ammendante compostato misto" derivato da trattamento rifiuti (compresi i digestati di impianti di biogas che "digeriscono" rifiuti) non è disposto a pagare nulla e lo ritira solo se gratis. L'agricoltura ha fame di compost, di sostanza organica, ma non di compost di cattiva qualità che, pur presentando valori di contaminanti organici e metalli pesanti "al di sotto del limite di legge" sono causa di accumulo di tossici nel suolo agrario e di un avvelenamento strisciante dello stesso. Una creatività diffusa (spesso al di fuori di università e studi di ingegneria che hanno ben altri interessi, ovviamente legati al business) ha consentito negli ultimi anni di mettere a disposizione di famiglie, collettività, comunità locali tante soluzioni innovative per un compostaggio di qualità sicuro e senza inconvenienti. Compostiere delle più diverse dimensioni che sono a prova di odore, di entrata di animali ecc. Non ci sono scuse per chi sostiene (pro domo sua ovvero dei suoi impianti da alimentare a danno dell'ambiente, della salute e delle tasche dei cittadini) l'impossibilità di gestire una significativa componente dell'umido con questa modalità.
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Il fuoco: valenze positive radicate nel mito Il simbolismo del fuoco riflette una certa ambiguità in quanto associato con i demoni e l'inferno. Dietro questa apparenza, però, appare evidente che l'inferno di fuoco è tipico delle religioni monoteiste riflettendo la demonizzazione di espressioni delle antiche religioni. L'ade pagano è un luogo di oscurità, di freddo e di ghiaccio. E cosa dire dei draghi che sputano fiamme della cultura cinese ma anche celtica? Nelle stesse religioni monoteiste il fuoco è elemento di purificazione (fino ai roghi degli eretici e delle streghe) ma anche le ceneri e il fumo assumono significati nei riti. Il fumo in molte religioni è il vettore (verso il cielo) dell'olocausto (animale o umano, le ceneri assumono significato di mortificazione nel mercoledì delle ceneri ("candelora", festa che si è sovrapposta a quella celtica di Imbolc legata alla fertilità, al latte, al bestiame). Il folklore è ricco di riti invernali che "scacciano" o "bruciano" l'inverno attraverso grandi falò dove spesso vengono bruciati dei fantocci (la "giubiana"). I falò sono ancor oggi accesi in estate sui monti; sino a un secolo fa i mandriani solevano far passare il bestiame a fianco di essi perché il fumo purificasse dalle malattie. In realtà sappiamo che il fumo ha un'azione antisettica che viene utilizzata anche per la conservazione degli alimenti. Peccato che oggi sappiamo che i cibi possono essere così contaminati con composti cancerogeni (benzo(a)pirele, naftalene, antracene ecc.). Sinbolo di luce e di purificazione il fuoco è anche simbolo di civilizzazione, progresso, dei lumi. Il mito di Prometeo sottolinea il ruolo del fuoco nel fornire all'uomo uno strumento chiave per modificare l'ambiente ed ampliare le proprie possibilità di alimentazione e abitazione.
L'opposizione tra crudo e cotto come "marcatore" di civilizzazione è stata sottolineata da Levi-Strauss (anche se oggi, con un "eccesso di civilizzazione" sono in voga sushi e carpacci). Tutto questo sfondo spiega perché il fuoco e le combustioni sono considerate qualcosa di non solo naturale ma anche famigliare, amico. Chi da bambino non si è lasciato ipnotizzare dal fuoco di un caminetto aperto oggi fuorilegge o di un falò? Del fuoco è sempre stata comunque temuta la potenza distruttiva specie quando le abitazioni erano costruite in tutto o in parte in legno e nei paesi o nelle immediate vicinanze vi erano fienili. Non si temeva la capacità di trasformare sostanza organica innocua in veleni in grado di ammorbare l'aria che respiriamo. Si temevano solo le disastrose conseguenze degli incendi che distruggevano non solo interi villaggi ma anche intere città. Se gli incendi era temuti il "fumo di Londra" (la coltre di smog che gravava sulla capitale dell'impero britannico nel XIX secolo) era considerata un male inevitabile del progresso. Non erano ancora note le conseguenze dello smog sulla salute. Solo da pochi anni, del resto, ci siamo resi conto del pericolo rappresentato dalle polveri sottili più fini che nello smog ottocentesco (ma anche in quello novecentesco delle caldaie a carbone e poi a nafta) erano molto meno rappresentate di quello che sono oggi. La migliore efficienza delle combustioni e l'uso di combustibili meno inquinanti ha portato adun aumento della componente più insidiosa dell'inquinamento, quella che non causa bronchiti e asma ma patologie ben più gravi sebbene in un minor numero di individui. Non in ogni caso facile riconoscere che la combustione è un processo così dannoso per la salute (e l'ambiente) e in definitiva poco naturale (l'autocombustione è rara e legata a fulmini ed eruzioni di vulcani) per una specie come la nostra che ha legato al fuoco così tanta parte della sua evoluzione. Fu l'Homo erectus di 1,4 milioni di anni fa a padroneggiare per primo il fuoco e i vantaggi si deve supporre furono notevoli: poteva tenere a bada animali ferosi e cuocere i cibi rendendo più digeribili quelli che utilizzava già e riuscendo ad utilizzarne di altri, poteva proseguire le sue attività anche al buio e scaldare gli ambienti dove viveva. Tutt'oggi è difficile spiegare ai contadini che bruciare della "biomassa" (specie se umida) è molto dannoso. Il fuoco, infatti, è stato (e continua ad essere) una tecnica agronomica (si chiama "debbio"). L'incendio dei pascoli e la bruciatura delle stoppie (oggi da scoraggiare) in certe condizioni potevano migliorare le caratteristiche del terreno compensando con le ceneri (alcali) l'acidità del suolo (ovviamente dove la sostanza organica era abbondante). Londra" (la coltre di smog che gravava sulla capitale dell'impero britannico nel XIX secolo) era considerata un male inevitabile del progresso. Non è facile riconoscere che la combustione è un processo così dannoso per la salute e in definitiva poco naturale (l'autocombustione è rara e legata a fulmini ed eruzioni di vulcani) per una specie come la nostra che ha legato al fuoco così tanta parte della sua evoluzione. Fu l'Homo erectus di 1,4 milioni di anni fa a padroneggiare per primo il fuoco e i vantaggi si deve supporre furono notevoli: poteva tenere a bada animali ferosi e cuocere i cibi rendendo più digeribili quelli che utilizzava già (specie dal punto di vista delle proteine) e riuscendo ad utilizzarne di altri, poteva proseguire le sue attività anche al buio e scaldare gli ambienti dove viveva. Èutt'oggi è difficile spiegare ai contadini che bruciare della "biomassa" (specie se umida) è molto dannoso. Il fuoco, infatti, è stato (e continua ad essere] una tecnica agronomica (si chiama "debbio"). L'incendio dei pascoli e la bruciatura delle stoppie (oggi da scoraggiare) in certe condizioni potevano migliorare le caratteristiche del terreno e controllare alcune infestanti compensando con le ceneri (a reazione alcalina) l'acidità eccessiva del suolo (ovviamente dove la sostanza organica era abbondante). È importante spiegare che non solo che dal fuoco dilegna, specie non controllato (dal punto di vista della temperatura di combustione e della disponibilità di ossigeno) si originano migliaia di composti per lo più tossici ma anche che il mondo in cui il fuoco è stato elemento di civilizzazione è ormai lontano nel tempo. Dall'età dell' Homo erectus al XVIII secolo la combustione della biomassa ha rappresentato la principale forma di energia (insieme al lavoro umano e degli animali e in piccola misura dall'energia eolica e idraulica). Le industrie, ancora in età moderna, erano basate sull'energia delle biomasse. Per ridurre l'onere del trasporto si procedeva a produrre sul posto (dove si effettuava.no i tagli boschivi) la carbonella che poi veniva trasportata verso opiñci ecittà (per il parco riscaldamento domestico — ricordiamoci che anche i ricchi in inverno non potevano permettersi temperature di 13—14°C nelle stanze). I forni per la fusione dei metalli, le industrie del vetro e della ceramica, le filande (per citare quelle più "energivore" dei primordi dell'industrializzazione) sono nate quando il legno era la principale fonte di energia. Senza il carbon fossile (coke) il decollo industriale e demografico del XIX secolo in Europa non sarebbe stato possibile. La civiltà della biomassa cessa con il XVIII secolo quando l'umanità som.mava a0,9 mld. Oggi stiamo arrivando a 9. Pensare di tornare ad usare le biomasse come una fonte importante di energia è semplicemente una follia. |
I soggetti del business e la buroespertocrazia ad essi legata non amano soffermarsi sul fatto che le gravi conseguenze sull'agricoltura del riscaldamento climatico saranno esacerbate dalla povertà di contenuto di sostanza organica (carbonio immobilizzato nel terreno) dei suoli. In Italia il problema è drammatico e le prospettive di desertificazione non riguardano solo la Puglia e la Sicilia ma anche aree di pianura padana. La mancanza di sostanza organica è frutto dell'agricoltura intensiva che spinge sui concimi chimici e sulle monocolture specializzate. Qui (in "Padania") si alleva un delirio di suini, vitelloni, vacche da latte, polli (così bisogna eliminare come "rifiuto" quello che è un prezioso fertilizzante organico, il troppo storpia), là (Toscana, Puglia) non si alleva più un animale e il paesaggio è fatto solo di vigneti e uliveti. Guai però a dire che non è saggio incentivare le combustioni di biomasse (anche il biogas è una combustione indiretta) mineralizzando la sostanza organica (trasformata in CO2). Guai a dire che con quegli incentivi si potrebbero produrre (trattare, trasportare) concimi organici indispensabili per ripristinare la sostanza organica dei suoli agrari immagazzinando CO2. Non è un business "appetibile". È troppo "pulito", non c'è trippa per gatti per la speculazione finanziaria. Così si premiano soluzioni viziose che hanno solo il pregio di rinpinzare di profitti i soggetti "forti".
Anche l'emergenza smog è sfruttata per rilanciare la truffa delle "rinnovabili"
Continuano ad approfittare dell'emergenza sanitaria legata a livelli elevatissimi di inquinanti nell'aria (gli ultimi due mesi del 2015) per mescolare politiche di qualità dell'aria (Direttiva 2008/50/CE) che impongono il risanamento dell'aria dagli inquinanti con riferimenti al Protocollo di Kyoto e la produzione di energie rinnovabili. L'unanimità con la quale le istituzioni continuano a propalare l'equivalenza delle politiche per risanare l'aria avvelenata con quelle a favore delle energie rinnovabili (pseudorinnovabili) si spiega solo con gli interessi dei gruppi politico-imprenditorial-finanziari nel business della "green energy". È però palese che mentre le misure per l'efficienza energetica degli edifici e per la mobilità sostenibile vedono coincidenza di obiettivi: meno gas serra e meno inquinanti, altrettanto non si può dire quando si sostituisce la produzione di energia elettrica (e di energia termica per il riscaldamento) ottenuta mediante la combustione di gas naturale fossile (il combustibile meno inquinante che c'è allo stato dell'arte) con le biomasse.
Fonte
EEA (Agenzia Europea per l'Ambiente)
Il
paradosso consiste nel fatto che gli assurdi incentivi alla
produzione di energia elettrica da biomasse (rifiuti compresi) hanno disseminato le aree
del paese con qualità dell'aria "fuorilegge" a partire
dalla pianura padano-veneta, di centrali di ogni tipo. Il
governo italiano solo il 30 novembre scorso - dopo la messa in mora
da parte della Ue - ha consegnato i dati sulla qualità dell'aria del
2014 ed è emerso che non aveva trasmesso neppure quelli del
2013. Le procedure di sanzione (si parla di miliardi di €) non sono
scattate perché il governo faceva il furbo e non trasmetteva i dati
(e perché alla Ue hanno aspettato anni a chiedere i dati).
La
realtà è quella di una intera pianura padano-veneta (più le aree di Roma e
Napoli e non poche altre "isole infelici") con aria fuorilegge mentre - dentro la camera a gas padana -
in città come Milano, Brescia, Bergamo, Cremona, Torino la
situazione è ancora peggiore. Per anni, ignorando la situazione
delle concentrazioni di inquinanti (o dando per buone le balle dei
proponenti) le centrali che garantivano sulla carta "elevata efficienza cogenerativa", allacciamenti ad utenze pubbliche e private,
utilizzo dell'energia termica, "spegnimento di camini
inquinantissimi", sono state allegramente autorizzate -senza
guardare per il sottile - da regioni, provincie, comuni che hanno
consentito il sorgere di centrali inquinanti fin dentro i centri
abitati, anche
nelle aree con l'aria più avvelenata. Nella Marche il biogas ha svelato che dietro le autorizzazioni facili
c'era un giro di corruttela, altrove le indagini stagnano (la lobby è
forte e in grado di fare pressioni anche sulla magistratura).
Negli
ultimi mesi sia l'ENEA (Gli
impatti energetici e ambientali dei combustibili nel settore
residenziale) che
il Ministero della salute (Valutazione
Integrata dell’Impatto dell’Inquinamento atmosferico
sull’Ambiente e sulla Salute)
hanno
puntato il dito contro le biomasse civili ovvero contro il crescente
ricorso a questa (artificalmente) economica fonte di energia. Una
bella ipocrisia di regime.
Vediamo quali sono le stime della strage secondo il Ministero (e quali i colpevoli).
Ne emerge che il 29% della popolazione italiana vive in luoghi dove la concentrazione degli inquinanti è costantemente sopra la soglia di legge ma anche che vi sono considerevoli disuguaglianze degli effetti sanitari sul territorio italiano. Come atteso, l’inquinamento colpisce maggiormente il Nord (per il 65% del totale), in generale le aree urbane congestionate dal traffico e le aree industriali. Anche la combustione di biomasse (principalmente legno e pellet) è responsabile della maggiore incidenza di morti e malattie per l’esposizione al particolato. In base alle stime effettuate dal progetto, è possibile inoltre apprezzare l’evoluzione degli effetti sanitari dell’inquinamento nel tempo. Se nel 2005 il numero di decessi attribuibili all’inquinamento è stato, rispettivamente, 34.552 per il PM 2.5, 23.387 per l’NO2 e 1.707 per l’O3, nel 2010 si è osservata una forte diminuzione per il PM 2,5 (21.524) e l’NO2 (11.993), soprattutto per le ridotte emissioni dovute alla recessione economica, mentre nel 2020, nonostante i miglioramenti tecnologici e le politiche adottate, si ha uno scenario tutt’altro che migliorato rispetto a dieci anni prima (28.595 morti per PM2,5, 10.117 per NO2).
Imiglioramenti della qualità dell'aria legati alla deindustrializzazione rappresentano ormai storia passata. Non ne abbiamo approfittato. Da qualche anno la scellerata politica delle biomasse ha annullato ogni possibilitàdi miglioramento di un'aria già avvelenata. Una qualche intelligenza criminale (per la quale forse non basta l'ergastolo) ha ben pensato che - diminuendo gli inquinanti da industra e traffico - si poteva speculare producendone degli altri. E così è stato. Però i calcoli non sono stati fatti bene e l'ingordigia ha preso la mano. Il risultato è che, come ammette il Ministero, le sciagurate politiche energetiche stanno facendo aumentare in prospettiva l'inquinamento (che è già oltre i limiti di legge). Intendiamoci, non si tratta solo di politiche e tendenze italiane. Anche nel resto d'Europa cala l'inquinamento da attività industriali e da traffico e salgono le componenti legate all'energia. Con la differenza che in nessun paese dell'Europa occidentale vi è una situazione disastrosa come in Italia. Per di più in Italia la corsa alle centrali a biomasse è avvenuta all'insegna dei tappeto rosso per la speculazione.
Dell'applicazione dei criteri di autorizzazione delle centrali a biomasse sono state delegate le regioni. Queste o non hanno emanato linee guida circa le aree da escludere dalla corsa alla realizzazione di centrali ad energie "rinnovabili" o hanno emanato linee guida risibili. La Lombardia che ha tutta la pianura in condizioni di aria fuorilegge non ha fatto nulla e così si sono applicati i generici criteri nazionali dalla larghissime maglie. Il Veneto ha esentato solo la laguna, parte delle Dolomiti sulla base di criteri estetico-tutistici per lo più. L'Emilia Romagna, che a differenza delle altre due disgraziate regioni ha una porzione di pianura con aria "passabile" (quella verso il mare) si è fatta bella con una "zonizzazione" che rende solo sulla carta più difficile realizzare centrali nelle aree con inquinamento fuori-legge. Però era sufficiente "compensare" con opere come una (promessa) pista ciclabile dando per scontato che essa riduca automaticamente l'uso dei veicoli a combustione interna e quindi l'inquinamento. In generale è stato fatto valere il principio che nelle "aree critiche" le nuove emissioni debbano essere compensate da diminuzione di altre fonti ovvero dalla sostituzione di vecchie caldaie con teleriscaldamento. Nei progetti approvati così si parlava di allacciamenti a serre inesistenti (e che mai sono state realizzate), di fornitura di acqua calda a lontane case di riposo. In generale, come ribadiremo oltre, la bufala del teleriscaldamento e delle "vecchie caldaie inquinanti" che sarebbero state spente è stato il passpartout per autorizzare centrali in aree inquinatissime. Le Asl a volte obiettavano, in qualche raso caso si impuntavano anche (ma a volte senza successo), a volte si calavano spesse fette di salame sugli occhi (facilmente spiegabili dalle nomine politiche). Lo fanno tutt'otra anche se la corsa alle centrali è rallentata (ed è stata anche fortemente frenata, specie in alcune ragioni, dai comitati).
Un vergognoso primato
La sostituzione della politica con l'economia e la "fantasmatizzazione" delle istituzioni sono una realtà mondiale ma in Italia si coniuga con le croniche piaghe del basso livello di civismo e di moralità degli apparati politico-istituzionali. Il risultato è che le "illuminate" politiche degli ultimi governi hanno conseguito un nuovo invidiabile record: L'Italia è la maglia nera per numero di morti di inquinamento su 28 paesi. Se teniamo conto della popolazione l'Italia resta al primo posto dell'Europa occidentale e sesta (sempre sull'Europa a 28) superata solo da Bulgaria, Ungheria, Romania, Polonia, Slovaccia er Croazia. Ma l'Italia è paese circondato dal mare con le coste ventilate e non "va a carbone" come i paesi ex-comunisti dell'Est Europa . Un record perseguito con determinazione e impegno si direbbe. Ci vuole infatti perseveranza eroica (nel senso del mondo capovolto) per avere così tanti morti da particolato. Si è dovuto spingere con stratosferici incentivi sulle biomasse per produzione di energia elettrica, anche dove la mortalità per aria inquinata è alle stelle. E si sono aggiunti modesyti incentivi ma sostanziose detrazioni fiscali per la produzione di energia termina da biomasse. Un crimine? Ci sono tutti gli estremi: la consapevolezza, la perseveranza, la conoscenza delle conseguenze. Ai margini di questi tristi dati osserviamo che il "nostro" Ministero è molto più "ottimista" dell'Agenzia Europea per l'Ambiente Quest'ultima stima per il 2012 una strage di 59.500 italiani per il solo PM2,5 (ce ne sono altri 3.300 per l'ozono e 26.100 per i NOx, ossidi di azoto per un totale di 89 mila morti). I dati nazionali relativi al PM2.5 per il 2010 erano pari a 21.524. Una bella differenza. Non c'è stata un'impennata ma c'è un criterio molto più tranquillizzante, meno "terroristico" di Roma.
Tab. 1 - Mortalità per PM2,5 nella Ue (28 paesi) nel 2012
Paese |
Morti per PM2.5 |
Morti per PM2.5
su |
|
Austria |
6100 |
7,2 |
|
Belgio |
9300 |
8,4 |
|
Bulgaria |
14100 |
19,2 |
1 |
Cipro |
790 |
9,2 |
|
Croazia |
4500 |
10,2 |
4 |
Danimarca |
2900 |
5,2 |
|
Estonia |
620 |
4,8 |
|
Finlandia |
1900 |
3,5 |
|
Francia |
43400 |
6,6 |
|
Germania |
59500 |
7,3 |
|
Grecia |
11100 |
9,8 |
|
Irlanda |
1200 |
2,6 |
|
Italia |
59500 |
10,0 |
6 |
Lettonia |
1800 |
8,8 |
|
Lituania |
2300 |
7,7 |
|
Lussemburgo |
250 |
4,8 |
|
Malta |
200 |
4,8 |
|
Paesi Bassi |
10100 |
6,0 |
|
Polonia |
44600 |
11,6 |
4 |
Portogallo |
5400 |
5,1 |
|
Regno Unito |
37800 |
6,0 |
|
Rep. Ceca |
10400 |
9,9 |
|
Romania |
25500 |
11,9 |
3 |
Slovacchia |
5700 |
10,5 |
5 |
Slovenia |
1700 |
8,3 |
|
Spagna |
25500 |
5,5 |
|
Svezia |
3700 |
3,9 |
|
Ungheria |
12800 |
12,9 |
2 |
Fonte: Agenzia Europea per l'Ambiente (http://www.eea.europa.eu/publications/air-quality-in-europe-2015)
Le
biomasse sono cattive (ma quali?)
Il capro espiatorio diventano i folkloristici caminetti aperti (la Regione Lombardia ne ha da anni vietato l'uso in pianura e dall'anno scorso anche in collina e le altre regioni stanno seguendo) e le vecchie stufe della nonna (in larga parte ormai sostituite). Un sistema per depistare da fatti ben più rilevanti:
1) la fortissima incentivazione della produzione di energia elettrica da biomasse (parliamo di incentivi che arrivano e in qualche caso superano 0,3€ per kWh
2) l'incentivazione crescente negli ultimi anni dell'uso delle biomasse per il riscaldamento domestico.
L'inventivazione ai termocamini, stufe a pellet e caldaie a pellet, oltre che sulla leva della diversa fiscalità a carico del metano si è basata sugli incentivi erogati dal GSE del "Conto termico" (sino a 0,045 cen/kWh) erogati per la sostituzione di vecchi impianti e sulle detrazioni fiscali (65% prevista dalla legge di stabilità 2015) queste ultime senza il vincolo della sostituzione dei vecchi. In questo quadro si è favorito il passaggio non solo da gasolio a legna ma anche quello - assurdoe criminoso dal punto di vista dell'inquinamento - da metano a legna.
Nelle città, dove l'uso delle biomasse era quasi sparito e limitato alle "Pizzeria con forno a legna" (tanto la pizza fa quasi ovunque schifo lo stesso come insegna Report) cosa è successo? Grazie ai pellet (e agli incentivi) grossi condomini hanno potuto installare caldaie a biomasse (contribuendo pesantemente all'emissione di PM2,5, benzo(a)pirene e altri inquinanti. L'aver consentito l'accesso agli incentivi anche nelle zone più inquinate (dove il pellet dovrebbe essere proibito) equivale ad umicidio plurimo volontario. Dal 2008-2010 si è scatenata la "moda" delle biomasse, dei pellet (e dei bricchetti). Chi rinunciava al metano, grazie alle vergognose campagne ambientaliste a favore delle "energie rinnovabili", non solo era assolto dalla colpa di contribuire ad un inquinamento già elevato, ma si sentiva un "eroe ecologico". Senza gli incentivi statali, però, il boom non sarebbe scoppiato. Ai verdi va attribuito il "concorso".
Il
grido d'allarme dell'Enea e del Ministero della salute è chiaro: il
ricorso alle biomasse, "civili", motivato
dalla crisi che spinge al risparmio i consumatori (ma si dimenticano gli incentivi) ha annullato i vantaggi sul
fronte dei trasporti dove la graduale sostituzione del parco
veicolare ha drasticamente ridotto le emissioni inquinanti.
Fonte: ISPRA (http://www.eea.europa.eu/data-and-maps/data/data-viewers/air-emissions-viewer-lrtap)
Le biomasse hanno impedito il miglioramento della qualità dell'aria persino a Milano
Uno
studio pubblicato nel 2011 (vai
a vedere) relativo
alla situazione 2006-2009 (il boom del pellet era solo all'inizio) arrivava alla
conclusione che a Milano, nel periodo autunno-inverno, il contributo
delle biomasse al PM 2.5 era già pari al 25-30% mentre il trafficorappresentava il 17-24%. Capito? Ma sono passati 8 anni! A Milano ès uccesso lo stesso che altrove: il guadagno della riduzione di
emissioni da autoveicoli è stato compensato dalle biomasse. La
combustione di metano, fonte primaria del riscaldamento domestico (tranne le "grandi utenze" comunali che vanno a gasolio, con 25-27°C negli ambienti) contava per
lo 0-1%.
L'Arpa
fornisce il trend solo per il PM10 (il che consente ai politici e
agli apologeti del sistema di sostenere che "l'aria è
migliorata"). In realtà mentre il PM10 cala il PM2.5, realmente
correlato con la morbilità e mortalità (perché non trattenuto dai
sistemi protettivi del primo tratto respiratorio) non cala (e i
motivi ormai li sappiamo). Dai dati grezzi dell'Arpa si ricava il
diagramma seguente:
E le centrali a biomasse?
Ma le centrali da decine di MW non inquinano? Solerti funzionari pubblici (ma possibile che nessuna procura oltre ad Ancona li indaghi e, soprattutto, li incastri?) si affannano a dichiarare che esse sono solo come "grandi stufe" e che "inquinano come qualche caminetto". Poi si scopre che molto spesso (specie quando sindaci e comitati esigono controlli) non riescono a rispettare i pur elevati limiti di legge di emissioni inquinanti. Ma ogni volta i solerti funzionari replicano: "si tratta di fonti di emissioni trascurabili".
Prendiamo una centrale a biomasse legnose da 998kWel, ovvero 6.900 kW totali. È vero che inquina come "poche stufe"?
Centrale= 6.900 kW ; 8000 h = 4800 kg di polveri sottili
Stufa a legna = 10 kW; 2000 h = 6.4 kg di polveri sottili
Stufa a pellet = 10 kW; 2000 h = 3.5 kg di polveri sottili
Centrale = 750 stufe a legna – 1382 stufe a pellet
Intanto se le stufe sono a pellet ce ne vogliono 1400 per eguagliare la centrale. Le stufe, anche quando sono la principale fonte di riscaldamento, non funzionano 8000 o, più frequantemente, 8500 ore all'anno. Ma le centrali non sono solo da 998kW. Quella sotto è da 19MW e si trova nel mezzo di una cittadina: Rivarolo canavese in provincia di Torino dove l'aria non è affatto pulita. E se - di solito - non ne fanno ancora più grosse (in realtà i grossi gruppi ne hanno realizzate anche da 50MW) è solo per sottrarsi alla VIA (Valutazione di impatto ambientale) e ai limiti di emissioni più stringenti (come per gli inceneritori) che riguardano non solo le soglie ma anche il controllo di molti più paramentri.
A Rivarolo i controlli, sollecitati dai cittadini e dalla minoranza consigliare, è emerso che sfora diversi parametri. Per di più il Comitato ha documentato che la biomassa utilizzata non è il cippato vergine dichiarato ma materiale di peggiore qualità. La qualità della biomassa bruciata determina sostanziali differenze nelle emissioni. Per esempio se si brucia paglia si producono polveri doppie che con il legno "vergine". L'economicità della gestione delle centrali si gioca sui bassi costi della materia combusta. Tutti lo sanno. Ma nessuno interviene. Quella delle biomasse è una biotruffa ab origine. Non si può sanarla, si può solo aggiungere truffa a truffa, illecito a illecito, irregolarità a irregolarità, omissione a omissione, collusione a collusione, corruzione a corruzione. I Comitati, ma è una tendenza in atto a livello mondiale, non solo sono costretti a svenarsi per spese legali di autodifesa, ma sempre più stanno investendo le proprie risorse in azioni di monitoraggio e analisi. Era "compito delle istituzioni" ma la gente si rende conto che nella "società del rischio" è meglio non aspettare Godot, che nella nuova era dell'economia selvaggia che assorbe istituzioni e società non ci si può più fare illusioni. C'è spazio solo per la resistenza sul terreno dell'immediatezza, del concreto, dei ritrovati motivi di solidarietà comunitaria (non nel senso di gruppi chiusi, tuttaltro).
Una "stufona" che "inquina come qualche stufetta"
Enea, Ministero della salute, e ora Galletti con il Protocollo d'Intesa, tacciono sulle biomasse industriali. Quelle per lorsignori sono "virtuose", abbassano (o dicono di abbassare) i gas serra. E in omaggio a Kyoto (leggasi speculazione) è giusto avvelenare un po' i cittadini. Un piccolo sacrificio per un mondo meno surriscaldato, suvvia. Solo che il sacrificio non aiuta nulla sul piano globale (è come svuotare il mare con il secchiello) mentre comporta gente che muore prematuramente (pensioni risparmiate) e altra che lucra rendite parassitarie da spartire allegramente con i clientes.
La componente industriale delle combustioni da biomasse non è affatto trascurabile rispetto a quella "civile"
Il rapporto statistico 2013 del GSE (pubblicato nel marzo 2015) indicava una potenza elettrica di centrali a biomassa solida di 1.604 MW con una produzione effettiva di energia elettrica di 5,9 TWh corrispondenti a 506 kTep (Tep = equivalente di una tonnellata di petrolio). Sulla base della (scarsa) efficienza elettrica delle centrali a biomassa ai 506 kTep elettrici ne vanno aggiunti altri 2.500 (per lo più dispersi in atmosfera). L'energia termica degli impianti di cogenerazione è pari a 527 kTep (la componente utile dei 2.500). Al conto vanno aggiunti 74 k Tep di centrali a sola produzione termica. Nel complesso una produzione di energia (utile e dispersa ma che comunque ha comportato combustione di biomassa) di oltre 3 mila kTep. Sull'altro piatto della bilancia ci sono 6.725 kTep degli impianti "civili" (caminetti, stufe, caldaiette). L'energia da biomasse "industriali" rappresenta quasi un terzo dell'energia da biomasse. Anche considerando che le emissioni inquinanti per unità di energia prodotta delle stufe, caminetti e caldaiette sono più elevate resta sempre un contributo notevole. Con le biomasse che diventano la prima fonte di inquinamento la componente industriale assume un'importanza per nulla "trascurabile" che si traduce in qualche migliaio di morti all'anno (considerati i vari inquinanti). Ed è lecito affermare che le "grosse stufe", specie se collocate in aree a forte densità abitativa e cattiva qualità "di fondo" dell'aria nella loro disonorata carriera riusciranno a realizzare un piccolo cimitero.
"Spegnete le stufe a pellet"
Incaso di emergenza inquinamento il decalogo di Galletti (il nostro in Emilia, quando era assessore regionale spingeva per le biomasse) prevede lo spegnimento del riscaldamento a biomasse "qualora vi siano sistemi di riscaldamento alternativi". Il che vuol dire spegnere solo i caminetti e le stufe "da mezza stagione" utilizzate quando si spengono le caldaie domestiche per dare una "scaldatina". Così anche se vivete in una località dove si sforano per più di una settimana i limiti di legge di inquinamento, non illudetevi che la centrale a biomasse che avete a 100 m verrà spenta. Quella deve restare accesa anche se vi avvelena... per ridurre i gas serra e pulire (sic) l'aria.
Ha preceduto Galletti il sindaco di Frosinone, una delle città più inquinate, tanto da fare "invidia" a quelle lombarde immerse nello smog. Il primo cittadino di Frosinone (la notizia è di San Silvestro) senza rendersi conto ha reso palese la politica del doppiopesismo biomassista: i grandi inquinatori speculativi sono virtuosi, i piccoli, che per avidità hanno comprato la stufa a pellet, sono viziosi. Negli stessi giorni è stata autorizzata una centrale termoelettrica a biomasse (la "stufona" da 998kWel = 7MW tot.) ha emanato una ordinanza che spegne caminetti e stufe a legna e pellet (a mano che risulti che esse rappresentino per l'utilizzatore l'unica fonte di riscaldamento) (vai alla notizia) Congratulazioni.
La bufala del teleriscaldamento
Il teleriscaldamento si è rivelato l'ennesima scusa per autorizzare centrali che producono energia elettrica superincentivata. Nei progetti approvati dalle istituzioni e agenzie compiacenti si parla di recupero di calore mediante allacciamento di utenze pubbliche e private. Poi quasi sempre non se ne fa nulla. Ma intanto gli speculatori incassano (e chi li ha agevolati si gode le mazzette).
Peccato
che il teleriscaldamento ormai da decenni venga considerato una
soluzione obsoleta che fa sprecare e non risparmiare energia. Di
fatto dove il teleriscaldamento c'è le utenze allacciate sono poche
perché ha un costo elevato (parliamo delle centrali a biomassa non
dell'inceneritore-mostro di Brescia A2A che raccatta rifiuti da ogni dove e fa saldi perché deve smaltire
enormi quantità di calore).
È di questi giorni la notizia che
nel ricco Trentino, a Primiero (dove è stata realizzata una delle
centrali di teleriscaldamento a biomasse), si sono staccate delle
grosse utenze, una casa di riposo e una scuola. Troppo costoso,
tornano al gasolio. Un ottimo affare per tutti: l'impianto è
sottoutilizzato, l'investimento non può rientrare nei termini
previsti ecc. (vai
a vedere la notizia). A Ponte di Legno chi si è staccato (o non si è mai allacciato al teleriscaldamento) in qualche modo ne sottolinea i vantaggi paradossali ("prima dovevo spalare la strada, ghiacciava, ora è una meraviglia sotto scorrono le tubazioni del teleriscaldamento e non ghiaccia più).
Oggi
non si punta sul teleriscaldamento (costoso e vincolante) ma su
edifici energeticamente efficienti che, autonomamente, ricorrano a una
pluralità di fonti energetiche integrate sfruttando il solare
termico, il fotovoltaico innovativo (non più pannelli), le pompe di calore. Una soluzione che non piace alle multiutility dei clan "politici", alle lobby, ad un sistema che trova convenienza nel continuare a centralizzare (e redistribuire) produzione di energia e trattamento rifiuti. La casa clima avvantaggia il cittadino e le ditte
artigiane dell'edilizia o dell'impiantistica, le ditte che fanno
innovazione, le start up. Soggetti con scarso peso specifico
politico. Ma è l'insieme di soluzioni localmente più idonee
che fa la soluzione. Far arrivare più sole alle facciate in inverno
e ombreggiarle in estate, oltre ovviamente alla coibentazione, può
consentire enormi risparmi di energia, di emissioni di inquinanti
tossici e di gas serra. Milano naviga su una falda che la
deindustrializzazione ha fatto risalire. Una vera "miniera di
energia" se si sfruttasse con le pompe di calore il
differenziale tra la temperatura dell'acqua di pozzo e quella atmosferica. Ma si torna alla legna.
La legna non va bruciata aMilano né dove l'aria è cattiva, ma solo in montagna (dove l'aria è pulita, però).
A quali condizioni le biomasse sono sostenibili?
La biomassa "civile" non solo non è più "cattiva" di quella industriale ma può anche essere sostenibile. A patto che sia a km0 e che la quantità di energia fossile impiegata per utilizzarla (operazioni di taglio, esbosco, allestimento, trasporto) sia contenuta. La legna da ardere è gestibile con filiere locali e ridotti impieghi di energia. La sostenibilità della biomassa è condizionata al solo uso per il riscaldamento, che garantisce alta efficienza energetica, e solo dove la popolazione è poco densa e l'aria pulita (quindi in montagna o nelle aree interne dove non ci siano però condizioni di inversione termica invernale come bei fondovalle con scarsa circolazione d'aria). Questo uso civile è molto più sostenibile dell'uso industriale (speculativo) per la produzione di energia elettrica. Da questo punto di vista va detto chiaramente che le "nuove" centrali sono destinate amangiare soldi e a sputare inquinanti per 20 anni.
Nel frattempo letecnologie per le piccole utenze termiche a biomasse civili (che già oggi consentono emissioni poco superiori a quelle delle centrali dotate di multicicloni e altri sistemi di filtraggio) saranno meno inquinanti (concentrazione di polveri e altri inquinanti nei fumi) delle centrali. Sempre tenendo conto che le centrali lavorano 8.500 ore all'anno per immettere corrente elettrica nella rete e incassare dal GSE e che buttano in aria la maggior parte dell'energia della combustione. L'argomento principe contro le biomasse industriali è però quello dell'efficienza energetica. Una centrale termoelettrica con caldaia e turbina alimentata a cippato ha una efficienza elettrica del 15% e, nella stragrande maggioranza dei casi (specie in estate) la preponderante componente di energia termica viene bellamente dissipata... in atmosfera.
Perché l'inquinamento aumenta (o non diminuisce)
A
fronte dell'inefficienza energetica degli inceneritori a legna una
centrale termoelettrica moderna a gas naturale ("turbogas")
ha efficienze elettriche del 60%. Unita alla grande differenza nelle
emissioni. Una centrale a biomasse legnose deve rispettare limiti di
20-30 mg /Nmc ( metro cubo normalizzato ovvero alla
pressione atmosferica e alla temperatura di 0°C.) di
polveri totali (che comprendono anche particelle superiori a 10
micron bloccate dal naso). Una centrale a gas naturale a ciclo
continuo ("turbogas") emette polveri totali in misura
inferiore a 1 mg/Nmc (l'ultima generazione anche molto meno ovvero
0,01 mg/Nmc).
Sottoutilizzare come ha fatto l'Enel con il calo del
consumo elettrico centrali turbogas per obbedire al diktat
dell'immissione prioritaria in rete di energia elettrica da biomasse
nell'ambito della pianura padana è semplicemente un attentato alla
salute, la scelta consapevole di far morire delle persone in più per
favorire una pura speculazione finanziaria. I biomassisti raccontano
che le biomasse spengono le centrali a carbone ma l'Enel (Edison)
spengono o fanno marciare a ritmo ridotto (con aumento del costo
dell'energia) in base all'esubero di offerta. E se prima servivano
due centrali a pieno ritmo e adesso ne basta una la si spegne (o si
fa marciare al minimo) anche se è nuova e poco inquinante.
Legno "vergine" a km0? Ma va là... Che imbroglioni
Molto ci sarebbe da dire anche sulla decantata "sostenibilità" delle biomasse agroforestali. Ricordiamo solo che, direttamente o indirettamente, la corsa mondiale alla produzione di energia da biomasse sta distruggendo quelle foreste che dovrebbero garantire il clima e svolgere un ruolo di sequestro della CO2. Ma qualcuno ancora pensa che le biomasse siano state concepite per nobili fini ambientali? Gli "scarti" legnosi sono ormai tutti diretti alle centrali con grave pregiudizio dell'industria del mobile che di questi scarti faceva pannelli multistrato. Quindi è l'import che sostiene la speculazione (alla balla dell' "usiamo la pulizia dei boschi" ormai non crede più nessuno). Pellet dalla Germania che utilizza legname bielorusso e per la (molta) energia necessaria per la pellettizzazione usa energia elettrica da nucleare. Pellet che viaggia centinaia di km. Cippato e ramaglie dall'Austria, dalla Croazia. Ma ci sono anche interi "bastimenti" che portano in Europa materiale legnoso da Estremo oriente e Americhe dove si tagliano foreste naturali e le piantagioni a rapida crescita (con uso di ogm e pesticidi) sostituiscono la foresta. Molto ci sarebbe da dire non solo sulla qualità delle biomasse utilizzate dalle centrali. L'uso di cippato "economico", ricco di corteccia determina emissioni inquinanti più elevate. L'eucalipto esotico contiene significative concentrazioni di cloro che, come tristemente noto, nei processi di combustione da luogo alla produzione di diossine, Gli scarti vegetali (potature ecc.) provenienti dai bordi stradali e, in generale da contesti urbani, presentano rispetto alla legna vergine (anche se oggi, è bene ricordare che anche i tessuti legnosi delle piante delle foreste alpine a 2000 m sono contaminati) concentrazioni molto più elevate di metalli pesanti che vengono "sparati" con i fumi e portati anche a notevole distanza veicolati dalle micropolveri più leggere. Non è finita. Per ovvi motivi di risparmio (la speculazione è quella cosa che non si autolimita e non ha freni) le partite di biomasse, specie se provenienti da lontano, vengono trasportate e stoccate in quantità industriali tanto da costituire cumuli di decine di metri. le conseguenze:
- il materiale esposto agli agenti atmosferici è umido, brucia con minor facilità riducendo le rese e aumentando le emissioni;
- Sulla biomassa umida mtrovano il loro habitat ideale i funghi microscopici che diffondono nell'aria grandi quantità di spore (bioparticolato, ancora una volta bio non significa "buono") che provocano allergie e altri disturbi a chi abita nelle vicinanze delle centrali;
- I cumuli di cippato e altri materiali legnosi stoccati presso le centrali sono frequentemente oggetto di autocombustione perché le fermentazioni microbiche possono portare la massa a 100°C. Mentre chi brucia (fa comunque male) piccoli quantitativi di materiale vegetale all'aperto è criminalizzato l'autocombustione frequente nelle centrali è considerata un "fatto accidentale" e quindi non è sanzionata. Che questa inquinante combustione all'aperto sia frequente lo può constatare di notte, quando è più facile scorgere i bagliori, chi passa vicino alle centrali. Veneto Agricoltura (ente della regione) ammette che: "Casi di autocombustione si riscontrano invece nei piazzali di stoccaggio delle grosse centrali, quando il cippato viene stoccato in grandi cumuli, alti più di 5 metri" ( Il piazzale di lavorazione, maturazione, stoccaggio e il trasporto e la compravendita della biomassa legnosa). Non va trascurato che i processi di degradazione della biomassa lasciata all'aperto in grandi cumuli ne riducono di parecchio la sostanza secca (ma la "razionalità economica" vuole così). Tutto molto ecologico.
Maggio 2015, grave incendio a Zola Predosa (cintura di Bologna) per autocombustione di un gigantesco cumulo di biomasse legnose di una centrale (vai alla notizia)
Se consideriamo le nanopolveri il ruolo delle biomasse è ancora più disastroso
Che le nanopolveri siano dannose alla salute non lo nega (quasi) nessuno. Particelle costituite da metalli pesanti o composti organici tossicologicamente attivi che entrano nelle cellule e anche negli organi subcellulari non possono fare bene alla salute. Parlando di polveri totali, abbiamo visto come le centrali a biomasse "diano una mano" all'avvelenamento dell'aria molto più delle centrali termoelettriche a gas naturale. Ma è in materia di nanopolveri (quelle che fanno poco peso ma molto numero) che la differenza tra bruciare metano e bruciare pellet (la biomassa meno inquinante) diventa enorme. E questa volta confrontando caldaie civili di potenza confrontabile. Questa realtà è stata messa in luce da uno studio del Politecnico di Milano del 2009. Uno studio molto citato perché voleva dimostrare che gli inceneritori inquinano poco. Confrontando le caldaie, però, emergeva il seguente quadro dal confronto tra gasolio, metano e pellet. È bene tenere presente che stiamo parlando di particelle che nessun filtro riesce a trattenere. Già è difficilissimo filtrare particelle di 1 μm . Figuriamoci quelle inferiori a 0,1 μm.
Tab. 2 - Fonti di combustione e numero particelle per cm3 di aria
________________________________________________
aria ambiente 29.000
emissioni caldaia pellet 38.000.000-52.000.000
caldaia a gasolio 8.600.000-67.000.000
caldaia a metano 0*-4.500
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* al di sotto del limite di rilevazione
fonte: http://www.gecos.polimi.it/wets09/Stefano%20Consonni-FederNano.pdf
Non ci sono solo le polveri
Il ricorso all'energia da biomasse non provoca solo aumento di macroinquinanti e di polveri sottile ma anche di pericolosi microinquinanti. Sono migliaia le molecole organiche originate dalla combustione del legno, tra queste gli IPA idrocarburi policiclici aromatici. Non esclusivi della combustione del legno ne sono, però, un marcatore: dove si brucia legno il benzopirene aumenta in modo caratteristico. Parliamo di una molecola da tempo classificata come cancerogena. Eppure anche nelle aree critiche (dove la soglia massima di benzopirene di 1ng - nanogrammo = milionesimo di grammo - fissata dalla Ue è superata) si autorizzano centrali a cippato e altri scarti legnosi da diversi MW termici se non decine e decine (sotto la mappa dell'Agenzia europea per l'ambiente, anno 2014 con le aree rosse per il benzopirene)
Conclusioni
Dal quadro tracciato emerge che è grave che autority pubbliche e governo individuino nella combustione di biomasse una causa di inquinamento grave e poi continuino ad incentivare attraverso la leva fiscale o, peggio, regalando alla speculazione una fetta della bolletta energetica di cittadini e imprese la generazione di energia elettrica e termica dalle biomasse stesse. La realizzazione di centrali a biomasse nelle aree più inquinate del paese (pianura padana e aree metropolitane) deve essere bloccata.
Le centralifinalizzate alla produzione di energia elettrica realizzate negli abitati devono essere spente. Gli incentivi pubblici devono essere spostati dalle misure che avvantaggiano la grande industria e la speculazione a quelle a favore di una mobilità realmente sostenibile (non veicoli privati meno inquinanti ma sistemi di trasporto o non inquinanti o ad uso di più utenti) e ad una riqualificazione edilizia e urbanistica finalizzata alla realizzazione di case-clima (e a favorire la mobilità sostenibile). La tutela della qualità dell'aria e della salute deve essere anteposta ad ogni altro obiettivo, specie se pretestuosamente finalizzato a favorire interessi lobbistici speculativi.