(18.05.13) La montagna che vive è quella dove si fa fieno. E il fieno si fa perché ci sono animali. Ma oggi sono le motivazioni consapevoli, le risorse di una cultura e di una fede ancestrali che tengono insieme le risorse umane per coltivare la montagna
Il fieno è vita.
Piccole grandi lezioni
dalla "valle scura"
testo e foto di Michele Corti
Il Signore fece salire il suo popolo sulle alture della terra e lo nutrì
(Dt 32, 10c-14).
Il fieno è il leit motiv di Ruralpini: dove si fa fieno la montagna è viva, ci sono animali domestici, ci sono famiglie che si riuniscono per la fienagione; il bosco, l'oscurità, le insidie dei serpenti e dei predatori sono tenute lontano dalle case. Dove si fa fieno l'energia solare illumina la terra, la inonda di luce, la riscalda, la feconda. L'uomo cattura questa energia attraverso un duro lavoro che implica la simbiosi con piante ben appetite dagli animali domestici e, ovviamente, con questi ultimi che forniscono lavoro, pelli, carni, latte, ecc. È una comunità vivente che si scambia energia e materia su un piano di reciprocità. Nell'agricoltura contadina, ruralpina, l'energia solare entra in un flusso circolare di materia. Ogni cosa torna alla terra e la sua fertilità èmantenuta. Oggi, dalla terra oltraggiata e degradata, si ricava cibo di massa, variamente contaminato e geneticamente modificato, ma anche biocarburantre ed energia elettrica che si immette in una rete che la porta lontano.
Ma la terra di montagna non è facilmente assogettabile alla logica industriale dei grandi numeri, dei grandi spazi monocolturali desolati adatti all'iperindustrializzazione che furono concepiti dalla distopia staliniana delle mega aziende agroindustriali e messi in pratica dal capitalismo delle multinazionali. Così, in montagna, il sistema economico e sociale dominante la terra la vorrebbe utilizzare in altro modo: per rappresentare simbolicamente una wilderness inventata e imposta, per sfruttare il "petrolio verde" e quello "blu". Senza tanti scrupoli (meno montanari restano tra i piedi meglio è).
Ecco perché resistere in montagna a coltivare è un atto rivoluzionario, un atto eversivo (dal punto di vista del sistema).
Ieri a Coumboscuro, andane prima della raccolta con la imballatrice
Le forze della disintegrazione sociale ed ecologica appaiono scatenate
Le forze oscure, che in questa epoca di crisi profonda (più morale che materiale) paiono trionfare, si materializzano nelle paure che i montanari nutrono in seno da secoli ma che per lungo tempo hanno cercato efficacemente di esorcizzare: l'abbandono delle borgate, l'avanzata del bosco sino a soffocare gli abitati, il ritorno dei grandi predatori. Il tutto favorito dalla burocrazia, da leggi assurde che spuntano le scarse armi che i montanari hanno per difendere gli ultimi ridotti della loro resistenza. Ambientalismo urbano borghese e speculazione biomassista concorrono ad impedire che si recuperi il bosco avanzato sin sotto le case, gli uni inseguendo la mitica rigenerazione della natura intatta (ma perché non lo fanno anche in pianura?) gli altri inseguendo i crediti di carbonio o un nuovo sfruttamento forestale a fini energetico-speculativi.
Ma dove la cultura ancestrale è viva, e non autocelebrazione fine a sé stessa o peggio folklorizzazione, dove i valori tradizionali sono ripensati, attualizzati, incarnati nel vivere quotidiano la montagna vive, resistere è possibile, la macchina da guerra del nichilismo si inceppa con un granello di sabbia.
A dispetto di chi la vorrebbe morta la montagna rivive dove c'è autoconsapevolezza del momento difficile ma anche del valore per la società intera del mantenere viva una borgata, di recuperarne qualcuna, di mantenere ostinatamente la simbiosi tra uomini, animali, montagna antropizzata. Nella crisi profonda della società e del modello di sviluppo la "ricchezza dei margini" diventa una risorsa preziosa per ripensare le cose, dal microcosmo dei borghi semiabbandonati dell'appennino come da quello delle piccole borgate alpine.
La ricchezza dei margini
Le componenti all’interstizio tra gli ambiti definiti e normati, dove il quadro di soffocante regolazione burocratica e tecnoburocratica faticava ad imporsi (anche in epoca ante crisi, di circolazione di spesa pubblica) finivano per essere trascurate, ignorate. Ma sono forse le più preziose, ricche di potenzialità di innovazione perché in grado di raccordare i diversi ambiti della sfera sociale che, altrimenti, rischiano di venire in collisione tra loro. È quello che avveniva (oggi avviene sempre meno) anche in montagna dove le esigenze di conservazione culturale e di produzione agricola (sul modello intensivo) si distruggevano reciprocamente (e conflitti analoghi i registravano per le esigenze "naturalistiche", quelle turistiche, quello "sociali"). Oggi se si vuole operare nelle Terre Alte o si pensano questi ambiti come espressioni di un'unica realtà della montagna dell'uomo e si agisce di conseguenza o ... ci si condanna all'inerzia.
Le Terre Alte (ri)vivono dove ci sono motivazioni culturali, autoriflessività, consapevolezza del valore politico, umano, sociale del più insignificante gesto quotidiano di resistenza contadina. Vivono dove c'è la capacità di comprendere il valore di bruciante attualità della cultura ancestrale, dove c'è un senso del "noi", l'autoriconoscimento, l'autoindentificazione. Vivono dove il tutto poggia sulla roccia viva di una fede ancestrale vissuta e praticata anche nella fedeltà anche al rito, anche nella manifestazione esteriore, a dispetto di una società secolarizzata che si fa beffe di tutto, irride tutto.
Sono cose che si possono cogliere qua e là per le Alpi ma che, in posti speciali come Coumboscuro (Valle scura in provenzale), trovano una conferma quasi da laboratorio.
Coumboscuro è una valle laterale della Val Grana in comune di Monterosso (vedi posizione nella mappa sopra)
Un anno di fieno. Anno di prosperità! Ma si fatica a raccoglierlo
Quest'anno la produzione di fieno è abbondante ma le continue piogge rappresentano una sfida continua. Per poter mettere in cascina fieno non dilavato dalla pioggia, che potrà fermentare in modo anomalo perché ancora umido, che potrà muffire e che comunque perderà valore nutritivo, i montanari devono poter contare sulla manodopera aggiuntiva di parenti, amici, conoscenti. Anche perché in montagna la meccanizzazione possibile è minima: motofalciatrice (la "bcs") e piccole imballatrici. Per il resto, data la pendenza e la ridotta estensione dei prati, si lavora ancora molto a mano: per voltare il fieno, per formare le andane, per caricarlo. C'è chi va a raccogliere e imballare di notte, alla luce della luna per evitare di farsi lavare il fieno dalla pioggia (al giorno d'oggi prevista con buona precisione) il giorno successivo.
Per fortuna funzionano ancora le reti di solidarietà parentale e amicale. Figli, figlie, nipoti, dopo il lavoro o nei giorni di ferie, ancor oggi non esitano ad andare ad aiutare i vecchi che "lassù" si ostinano a far fieno, a tenere bestie.
Questa "malattia" dei genitori (tenere animali, tenere pulita la montagna) è condivisa, capita (almeno in parte) anche da chi ha dovuto staccarsi dalla borgata di origine. Ma oggi, con i posti di lavoro che saltano uno dopo l'altro (se ne parlava ieri a Coumboscuro), la disponibilità di questi aiuti sta aumentando. Non avremmo voluto un "ritorno alla terra" in queste condizioni, però.
Per fortuna, in ogni caso, che la terra c'è ancora (dove è rimasta). Essa torna a fornire cibo (come aumentano i campi di patate, e non è solo moda...) ma soprattutto a fornire senso alla vita. Quello che la fata morgana del consumismo beffardo non può più surrogare, in assenza di reddito, di lavoro retribuito.
Dove i neodisoccupati e i cassintegrati non possono aiutare sarebbe bello che giovani e meno giovani si facessero avanti come volontari per dare una mano a chi, avanti negli anni, vuole ancora fare fieno ma non ha figli e nipoti che possono aiutarlo. Solo a rastrellare, per carità (sento già fischiare le orecchie: "ma lo sai che c'è rischio di infortuni, che ti puoi fare male con il forcone, lo sai che poi vanno nelle grane").
Borgate che vivono (anche se sottotono)
A Coumboscuro non c'è il deserto. Ci sono ancora alcune borgate abitate tutto l'anno. Ma le famiglie sono pochissime, anche se l'esodo pare arrestato. La gran parte delle case che non sono in abbandono sono divenute da tempo abitazioni secondarie. Acquistate nei decenni trascorsi dai "francesi" (gli emigrati nella vicina Francia) che potevano acquistarle a buon prezzo rispetto al mercato immobiliare francese, sono state gradualmente sempre meno utilizzate da figli e nipoti. Il fenomeno è peraltro generale a tutte le "seconde case" dell'arco alpino e dimostra quanto sia effimero uno "sviluppo" basato solo sul turismo (sia pure degli "oriundi"). Diverse famiglie vivono di pensioni. Di aziende agricole c'è quella di Anna Arneodo (sotto) che ha le pecore, di aziende boschive c'è quella del fratello Mauro (che però quest'anno ha piantato un campo di patate e che in passato ha avuto bovini).
foto Ruralpini
È grazie alle pecore di Anna che a Coumbscuro, almeno in alcune borgate, i prati sono tagliati e pascolati (comunque "mangiati"). Ora le pecore non ci sono. Sono nel vicino vallone di Frise (dover resistono anche alcuni allevamenti bovini) in alpeggio inseme a quelle di Mario Durbano, un pastore di cui ci siamo a più riprese occupati in quanto pesantemente colpito dai lupi (vedi colonna a sinistra). Anna è aiutata da marito Milio (infermiere professionale rammaricato che la sua condizione professionale gli abbia impedito di essere anche ufficialmente contadino-montanaro pluriattivo) e dai tre figli. Tutti i ragazzi aiutano volentieri. Il maggiore (Lourence) è universitario, la ragazza (Agnés) desidererebbe fare veterinaria per potersi occupare di animali e porta volentieri le pecore al pascolo, il più piccolo (Tatan) da qualche tempo aiuta anche lui "come un grande". L'azienda di Anna è in contrada Marchion dove risiede stabilmente solo la sua famiglia. Tutti i prati dalla borgata giù sino a Sancto Lucio (dove c'è la chiesa e risiede il patriarca, il poeta, Sergio Arneodo) sono sfalciati da Anna e famiglia. Nella foto aerea (sotto) si vede bene come i prati della borgata vicina di Bosco siano in varie fasi di involuzione (felci, arbusti, alberelli). Le leggi forestali demenziali (o fatte apposta per distruggere la montagna?) hanno dato una grossa mano. Per ogni pianticella che il suddito osava tagliare il forestarius del Principe (lo stato) comminava sanzioni di decine o centinaia di euro.
Sull'altro versante della valletta le borgate (ancora abitate e raggiunte dalla strada carrozzabile) sono quasi soffocate dal bosco (a sn Ogie, a dx Tetti Rossi).
L'effetto del mancato taglio lo si vede sotto, nel contrasto dei prati della borgata che si trova appena sopra la chiesa e che oggi è di un unico proprietario. Chei, per fortuna, lascia volentieri che i prati siano falciati e pascolati da Anna Arneodo. Accade anche nella soprastante borgata di Martin che è ancora abitata.
Sotto un particolare che mostra il prato ben pulito presso le case, punteggiato da alberi di melo (piccoli frutti ma molto saporiti). È palpabile il senso di ordine, di pulizia, di vitalità che trasmette un prato così, rispetto a quello abbandonato.
Il fieno raccolto sul prato (foto sopra), ancora sfuso sotto un piccolo portico della borgata attende di essere imballato e trasportato. Tra le case deserte si spande - purtroppo nel silenzio - l'odore del fieno. Odore di bene e di vita.
Il fieno tagliato l'altro ieri sopra la contrada Martin (foto sotto) aveva preso la pioggia. Si sarebbe dovuto aspettare che asciugasse ma ieri mattina, dopo qualche ora di sole, in considerazione delle previsioni che annunciavano rovesci già nel primo pomeriggio è stato imballato. "Iniziamo alle 10 e mezza dopo che ha preso un po' di sole".
La fienagione con una ridotta meccanizzazione rappresenta un lavoro duro, specie se, come spesso accade, va fatto in fretta, sotto la minaccia del meteo. Anche se a Coumboscuro non ci sono orde di turisti il richiamo del cartello sotto è quanto mai opportuno. Il fieno è prezioso.
Qui la Conyza è appena arrivata (dopo due secoli e mezzo di arrivo in Europa)
Il fieno acquistato è caro ma, in più, si porta il "fiorume" contenente quelle erbacce infestanti che in pianura sono la piaga di un'agricoltura globalizzata. Così anche in questa oasi alpina è arrivata un'infestante ubiquitaria (foto sopra) Conyza (già Erigeron) canadensis. Pianta originaria dell'America, dove i nativi la usavano per scopi medicinali, la Conyza è arrivata in Francia a metà del '700 dal Canada con dei carichi di pelliccie. Da lì si è diffusa in tutta Europa (tranne Irlanda e Islanda). Produce molti semi e, oltre che con la competizione per luce, acqua e nutrimenti, danneggia direttamente le colture (in questo caso le buone foraggere) producendo erbicidi e antigerminativi naturali. Si insedia facilmente sui coltivi e sui terreni abbandonati. Rappresenta in molti paesi un problema serio perché è diventata resistente ai diserbanti (anche al disseccante Glifosate a seguito del largo uso che se ne è fatto).
Il Roumiage a la Vierge Adoulorado
Coumboscuro si anima in occasione degli eventi religiosi e culturali che scandiscono le attività della piccola comunità e del Centro culturale di Coumboscuro. L'evento di maggior richiamo è il Roumiage de Setembre quando a migliaia arrivano in valle. Molti a piedi, attraversando lo spartiacque alpino provenendo dalla Provenza. Nella settimana del Roumiage (pellegrinaggio) si svolgono eventi culturali e artistici di rilievo internazionale. Il silenzio è rotto da suoni, musica tradizionale e non, danze. Qui (ma non solo) montagne, culture e lingue minoritarie e ancestrali costituiscono elemento di apertura e di incontro. All'opposto della vulgata modernista e mondialista che vorrebbe inculcare alla gente delle terre alte e delle terre basse che la montagna e l'attaccamento all'identità locale sono stati e sono fattori di chiusura. Una delle tante truffe della modernità e del capitalismo. Del resto il potere non si regge proprio perché è in grado di far credere che le cose stanno all'opposto di come in realtà siano? Il Roumiage a la Vierge Adoulorado cade alla seconda domenica di luglio. Quindi si è appena svolto (sotto foto da targatocuneo.it) .
foto targatocuneo.it
Evento più intimo ma non per questo non aperto all'esterno il Roumiage di luglio consiste in una processione rogazionale sulla montagna di Coumboscuro con cinque tappe durante le quali i msteri gaudiosi sono commentati da laici e religiosi (anche non cattolici a riprova della cattiva fede di chi cerca di assimilare l'attaccamentoalla tradizione con una sorta di integralismo).
Il percorso del Roumiage a la Vierge Adoulorado è occasione per la manutenzione dei sentieri e delle muòlattiere che collegano le borgate. A differenza di tante località dove i segni di una sacralizzazione capillare del territorio stanno svanendo nell'incuria qui i tanti crocefissi (accessoriati degli istrumenti della Passione) e le santelle sono in perfetto stato di manutenzione. Sotto una santella dedicata alla Vergine in contrada Martin con la locandina del Roumiage.
Lungo il percorso della processione rogazionale, elemento di per sé di forte continuità con una fede che non si rinchiude nel privato (come vorrebbe la società secolarizzata) ma che si esprime tuttora con segni visibili della comunione tra Dio e gli uomini in comunità tra loro ma anche in comunità con il Creato. A partire dallo spazio fisico della comunità stessa: i prati, i campi, il reticolo capillare dei percorsi pedonali, accudito con senso di responsabilità, rispetto e amore. I sentieri, le piante partecipano in qualche modo della preghiera dell'uomo.
Le piante parlano
Sotto il messaggio affisso su un vecchio fusto di castagno (albero del pane, albero della vita che si fa veicolo simbolicamente significativo del messaggio) che dichiara il senso della preghiera e del canto in lingua provenzale, il sentimento di autonomia e libertà che è connaturato all'esprimersi in un'idioma che non è "riconosciuto dallo stato" (che riconosce - operando le solite arbitrarie distinzioni del potere tra "lingue" e "dialetti", la lingua Occitana). Il messaggio recita: Preguen da ome libre dins la libro lengo prouvensalo du reire (Preghiamo da uomini liberi nella libera lingua provenzale dei padri). Altro che bigottismo! Quando con le autorità ecclesiastiche ci sono stati attriti, legati alla proibizione dei canti in provenzale durante la Messa, gli amici di Coumboscuro non hanno esitato a reagire con vivacità, a contestare. L'omologazione è funzionale al controllo da parte del potere, la libera rivendicazone di un'autonomia culturale, linguistica, è espressione di autonomia, di creatività.
La fienagione come rito famigliare
È la consapevolezza di appartenere a una piccola comunità che ha tanti legami, che si è fatta conoscere ed apprezzare nel mondo che spinge anche le nuove generazioni di Coumboscuro, che pure hanno occasione di studiare all'Università e di andare all'estero, il desiderio di restare. Sanno che l'esperienzadi Coumboscuro è viva, riesce a connettere il patrimonio del passato con la realtà attuale solo se resta ancorata al territorio. Un Centro culturale Coumboscuro trasferito altrove non avrebbe senso. Così cultura e agricoltura trovano una necessaria sintesi. I figli di Anna non si devono far pregare per fare il fieno. Nella foto sotto stanno completando la raccolta di quelle andane che avevamo visto sopra. A fianco un campo di patate (bodi), materia prima fondamentale della cucina locale che - almeno per ora - non richiede di essere cintato e blindato come avviene in tante località alpine per proteggerlo dalle incursioni dei cinghiali ("i cacciatori ne hanno fatti fuori tanti"). Le patate di qui (siamo a 1100 m) hanno un gusto che quelle del supermercato si sognano. Ci sono anche diverse file di varietà locali particolari ("le troviamo ancora a Barcellonette").
Il lavoro è finito. Il fieno è stato tutto imballato. Però è in arrivo il diluvio e le balle vanno accatastate (a mano) sotto dei teli di plasrica. Sono pesanti (ho dato una mano) perché molto umide. Si sarebbe dovuto aspettare a imballare ma la prospettiva era un'altra disastrosa lavata. Nel pomeriggio poi è arrivata puntuale la pioggia (con scrosci violenti).