(08.01.13) Lo sviluppo di una scienza democratizzata deve avere come corrispettivo la crescita di alleanze locali di soggetti disposti ad impegnarsi in iniziative comunitarie di monitoraggio e gestione dei problemi ambientali
Oltre l'ambientalismo istituzionale crescono nuove reti (IV)
Per una gestione comunitaria delle
risorse e dei problemi ambientali
di Michele Corti
Attorno ai problemi, dei rischi per la salute legati alla nocività ambientale e alla volontà di gestire in positivo le risorse territoriali per il bene della comunità sta crescendo nel mondo un movimento che, lontano dall'ideologismo, rifugge dal riconoscersi come tale. Esso però rappresenta una grande novità nell'ambito dei movimenti sociali. Lo studio di queste tendenze si basa prevalentemente sulla base di esperienze ed analisi Nord americane. Esse rivelano che rispetto all'ambientalismo ideologico, largamente di matrice urbana, questo post-ambientalismo radicato nel locale presenta un approccio pragmatico ai problemi e punta ad unire soggetti locali di vario tipo aperto alla collaborazione con gli organi governativi e le istituzioni locali aperte al dialogo. In Italia, per ora, un embrione di tale movimento può sviupparsi solo in forma oppositiva. Le istituzioni, le agenzie governative e regionali, le università sono ancora chiuse alla logica della scienza civica, della democrazia ambientale e spesso rappresentano la controparte dei movimenti locali per la salute e l'ambiente che solo sviluppando una forte pressione, e svolgendo funzioni suppletive in materia di monitoraggio rispetto agli stessi organi pubblici, riescono a far riconoscere situazioni di grave rischio e i pesanti impatti di scelte sostenute quali "amiche dell'ambiente" da parte delle stesse organizzazioni ambientaliste istituzionalizzate.
Nel capitolo precedente abbiamo preso in esame la crisi dell'approccio tecnocratico ai problemi ambientali, basato su una razionalità scientifica in crisi e sui meccanismi di "comando e controllo". Le fasi della conoscenza dei problemi, della individuazione delle soluzioni, della applicazione di rimedi non possono più restare separate. Nell'incertezza della scienza convenzionale gli apporti dei sistemi di conoscenza locale possono apportare elementi utili, i problemi in cui la soluzione "tecnica" è inseparabili da questioni di valori e di equità sociali devono essere affrontati ascoltando molti punti di vista, il rischio delle decisioni deve essere condiviso e, in ogni caso, deve esserci trasparenza, consapevolezza, e corresponsabilità sin dalla formulazione dei problemi e dallo studio delle soluzioni. Altrimenti alle decisioni prese da pochi scienziati, esperti e politici "soli al comando" la gente, giustamente, si ribella, dice no. Ed esorcizzare l'opposizione sociale affibbiando etichette quali "NIMBY" (vedi capitolo uno).
Un nuovo approccio alla gestione ambientale partecipata implica l'attivazione di attori locali, megli ancora di network di partenariato
Questo nuovo approccio si basa sul lato dello studio dei problemi e della individuazione delle soluzioni su una scienza "civica" o "comunitaria". Sul lato della gestione si sottolinea la necessità di una effettiva e ampia partecipazione dei soggetti portatori di interessi.
Sul grado di partecipazione, la natura dei soggetti coinvolti, la pariteticità tra esperti e manager da una parte e gli attori locali dall'altra, le esperienze e i punti di vista sono molto differenziati. Le "etichette" applicate a questa ridefinizione dell'approccio alla gestione ambientale sono altrettanto varie sia in funzione della radicalità dell'approccio stesso che del campo di applicazione. Esso è stato definito più genericamente come Participatory environmental management (Kappor, 2001) o, da una nutrita gamma di autori nord americani, quale Community-based resources management, Community-based Grass-Roots ecosystem management, Community-based ecosystem management, Community-based ecosystem stewardship. Si è anche arrivati a definire una Community-Based Conservation applicata alla gestione delle aree protette anche se, come osserva Berkes (2004) dall'interno dello stesso ambito del conservazionismo scientifico può apparire contradditoria l'estensione ad un ambito "naturalistico" concepito ancora separato di un nuovo approccio che si basa sull'inclusione degli umani negli ecosistemi (Bradshaw e Bekoff, 2001).
Dallo sfruttamento al management delle risorse alla stewardship
Con riferimento alle definizioni sopra indicate - tutte relative ad un approccio partecipato alla gestione delle risorse ambientali - si può osservare come si osserva la tendenza a prediligere la definizione larga di Ecosystem stewardship. Il termine stewardship non viene usualmente tradotto ma fa riferimento ad una "saggia amministrazione" e ha come riferimento i sistemi ecosociali nella loro unità piuttosto che la "gestione delle risorse" che può prestarsi - pur con tutte le qualificazioni di sostenibilità del caso - a logiche settoriali con il rischio di ricadere nella logica del vecchio paradigma dello sfruttamento. Il concetto di stewardship dell'ecosistema rimanda in qualche modo alla interpretazione del ruolo dell'uomo nel creato del Genesi (vedi capitolo secondo). In una recente rassegna sul tema viene offerta la seguente definizione (Stuart Chapin et al. 2009):
"una strategia che risponde ai e configura i sistemi socio-ecologici in condizioni di incertezza e di cambiamento al fine di assicurare l'utilizzo e le potenzialità dei servizi dell'ecosistema per il benessere umano".
In realtà i principi della Ecosystem stewardship hanno trovato larga applicazione in alcuni campi come quello forestale dove, in Nord-America, le esperienze di Community-supported ecosystem stewarship sono ormai consolidate (Fernandez-Gimenez et al. 2008). La frequente applicazione al campo forestale dell'approccio comunitario in voga nel Nord-America ci porta a riflettere sul fatto che siamo di fronte non tanto a qualcosa di inedito ma alla riproposizione di quelle che presso le popolazioni che non hanno subito il colonialismo (ma anche nella vecchia Europa) erano pratiche, culture, istituzioni tradizionali ben consolidate finalizzate alla gestione delle risorse. In gran parte del mondo, però, esse sono state cancellate dall'affermazione del mercato, dell'industrializzazione, dell'urbanizzazione, dello stato, della globalizzazione economica, della trasformazione dei diritti di possesso, dagli stili di vita e di consumo. Se oggi si assiste al tentativo di far rivivere queste pratiche tradizionali è perché esse rispondono all'esigenza attuale di riconciliare due obiettivi difficilmente perseguiti: il sollievo della povertà rurale e la conservazione della biodiversità (Kellert et al., 2000). In questa luce appaiono tanto più preziose quelle istituzioni comunitarie di gestione dei boschi e dei pascoli che da noi si sono conservate (sulle Alpi in primo luogo).
Va però sottolineato che le nuove forme di gestione partecipata si applicano anche al di là di ambiti tradizionali ma riguardano anche la gestione complessiva delle risorse di un bacino idrografico (Weber, 2000) e persino l'ambito urbano (Svendsen e Campbell, 2008).
Per una stewardship comunitaria
I principi che guidano le esperienze di Community-based ecosystem stewarship? sono stati riassunti da McVicker eTodd Bryan (2002).
- La stewardship è un modo di pensare e di agire che conduce ad una relazione sostenibile e produttiva fra la gente e la terra;
- Le comunità tendono a condividere un "senso comune del luogo" nei confronti dei paesaggi e degli ambienti circostanti. Questo legame naturale della comunità con il territorio può risultare uno strumento potente per il suo recupero e per una gestione a vantaggio della comunità stessa ma anche della più vasta società;
- La stewardship non può nè essere imposta nè sottoposta a regolazione dall'alto ma è materia di libere scelte. La pressione sociale espressa attraverso la comune appartenenza alla terra e un'etica ambientale condivisa, può rappresentare un elemento di forte sostegno alla stewardship;
- Quando il governo assume troppa responsabilità nella stewardship la sua pratica al livello comunitario può indebolirsi e cessare di svilupparsi in sintonia con l'interesse generale della più ampia società;
- Le economie locali ed i contesti sociali e culturali sono interdipendenti. Le attività umane devono essere considerate come parte degli ecosistemi come condizione di una loro gestione efficace;
- Gli ecosistemi, alla scala del paesaggio, devono essere concepiti come combinazioni di unità principalmente naturali, di unità parzialmente modificate e di altre altamente antropizzate caratterizzate da diverse forme di proprietà della terra. Una stewardship orientata alla cittadinanza dovrebbe essere orientata verso una gestione di queste diverse unità di territorio tenendo conto delle relazioni tra loro e con il più ampio ecosistema anche in presenza di interessi locali e della libertà di scelta.
- La stewardship di ecosistema dovrebbe essere orientata in parte verso la conservazione di una larga varietà di flora e fauna locale e a processi ecologici che ottimizzano le funzioni ed i servizi dell'ecosistema.
La dimensione politica della stewardship comunitaria: il GREM di Edward P. Weber
Edward Weber (2000) offre una lettura politica delle esperienze e delle pratiche gestione partecipata delle risorse territoriali del West degli Stati Uniti nelle quali egli individua un vero e proprio movimento ecologista destinato ad affiancarsi se non a sostituire l'ecologismo "classico". Il politologo ha coniato l'acronimo GREM (grass-roots ecosystem management).
Contando sul decentramento, sulla collaborazione e sulla partecipazione dei cittadini ed adottando una visione del mondo olistica in cui cerca di mescolare l'ecologia con economia ed i bisogni della comunità all'inseguimento della sostenibilità simbiotica, le iniziative del GREM possono ridefinire il linguaggio dell'ambientalismo. Non è l'ambientalismo preservazionista di John Muir, o l'ambientalismo di conservazione di Gifford Pinchot e Aldo Leopold, ancor meno l'ambientalismo calato dall'alto in cui l'ambiente sta sopra l'economia secondo l'approccio preferito dal movimento ambientalista contemporaneo.
Il GREM si caratterizza per la tendenza a tenere unite natura, economia e comunità operando un trasferimento di autorità a favore di alleanze locali (networks) centrate sulla dimensione locale che comprendono portatori di interessi, agenzie locali e organi federali. Il "luogo" per il GREM diventa il catalizzatore dell'autogoverno attraverso la mobilitazione civica stimolata dalla valorizzazione del comune coinvolgimento nella dimensione territoriale, la sottolineatura degli interessi comuni. Valorizzare ciò che il luogo unisce indebolisce le divisioni ideologiche, consente di mettere in parentesi le diverse posizioni politiche. Nel GREM c'è una forte sottolineatura dell'inclusività. Si cerca di mettere insieme tutti coloro che potrebbero avere un interesse nelle iniziative e di prendere decisioni il più possibile sulla base del consenso, condividendo leadership e responsabiltà.
"Tagliaboschi e rancher siedono a fianco degli ambientalisti dei rappresentanti di grandi aziende, dei nativi americani, degli appassionati di kayak, delle guide venatorie, dei funzionati della contea, dei programmatori dello stato e federali e di altri gruppi di cittadini interessati" (Weber, 2000).
Ai tempi dello studio di Weber il GREM coinvolgeva 200 comunità rurali e 30.000 persone tra membri attivi e semplici volontari. Un movimento di queste dimensioni ha spinto Weber ad approfondire l'analisi dei suoi fondamenti ideologici per comprendere in cosa si differenzia dai movimenti ambientalisti.
Il Grem come post-ambientalismo
Weber ha confrontato sotto numerosi aspetti le posizioni ideologiche e gli atteggiamenti nei confronti di alcune questioni chiave del GREM con il preservazionismo ottocentesco di John Muir, il fondatore del Sierra Club (fondato a San Francisco nel 1892 e tutt'ora attivo), del conservazionismo "progressista" di Pinchot e con l'ambientalismo contemporaneo.
Ambientalismi "storici"
Il preservazionismo è focalizzatosul mito della natura incontaminata che è accostata con un afflato spiritualistico da una parte, pregmatico dall'altra. john Muir e i suoi seguaci intendevano sottrarre ampie aree del West, al taglio del legname, al pascolo, alle attività minerarie. La conservazione della natura intatta doveva, nella visione dei preservazionisti, garantire un valore estetico e di rigenerazione spirituale per l'uomo della società industriale. Un approccio fortemente dualistico e "compensatorio", in definitiva funzionale al sistema tecnoindustrialcapitalista che tanta parte del movimento ambientalista ha mantenuto. La presenza negli Stati Uniti di ambiti estesi caratterizzati da bassa pressione antropica rendeva possibile concepire uno sviluppo "parallelo": industrializzazione da una parte, wilderness dall'altra senza operare quelle forzature che il "preservazionismo" nostrano ha dovuto operare creando dei parchi che erano tutt'altro che wilderness ma teatro di intense attività agrosilvopastorali delle comunità rurali (basti pensare all'obrobrio del Parco della Val Grande che viene promozionato come "la più estesa area wilderness di Europa, ma che era interessato dalla presenza di decine di alpeggi che una politica largamente miope ha lasciato all'abbandono). Un altro filone ambientalista considerato da Weber nel suo studio comparativo tra vecchi e nuovi ambientalismi è quello del conservazionismo progressista di Pinchot (un forestale prima di divenire un politico) che, nella prima metà del XX secolo ma anche oltre - fino all'era della "sostenibilità" - ha caratterizzato un approccio "temperato" all'uso delle risorse naturali considerate come un patrimonio nazionale da tutelare dall'eccessiva rapacità capitalistica ma da sfruttare nel modo più efficiente possibile attraverso criteri scientifici al fine di sostenere lo sviluppo con una blanda considerazione per la disponibiltà a lungo termine. |
Per non appesantire eccessivamente le tabelle di Weber che mi paiono di grande interesse per capire i discrimini tra vecchi e nuovi ambientalismi (o tra l'ambientalismo ideologico e il post-ambientalismo) le ho riportate mantenendo solo il confronto chiave, quello tra GREM e "ambientalismo contemporaneo". Nell'originale vi erano anche il preservazionismo alla Sierra Club e il conservazionismo alla Pinchot. In realtà, la trasposizione alla realtà italiana della caratterizzazione dell' "ambientalismo contemporaneo" non è sempre agevole. Quello delineato per la situazione statunitense è un ambientalismo fortemente inflenzato dall' "ecologia profonda". Di qui una posizione di forte diffidenza verso l'apparato industriale e tecnologico, verso la scienza applicata (mentre resta la fiducia un po' acritica verso la Scienza in generale). Come osservato già nel capitolo primo nell'ambientalismo italiano convivono - molto opportunisticamente - filoni che possono senza difficoltà essere assimilati con il preservazionismo (vedasi la politica delle oasi del WWF e il "parchismo" che sia pure strumentalmente abbraccia anche Legambiente) e con la "modernizzazone ecologica", una base di legittimazione della partecipazione alle lobby della green economy a braccetto con l'expertise tecnoscientifico, la grande industria.
Per il resto è lecito sottolineare anche alcune affinità chiave tra il mainstream dell'ambientalismo americano e quello italiano: il privilegio dell'azione su larga scala piuttosto che sul piano locale, la convinzione che la tutela ambientale passi per un sistema di regole e di controlli da parte delle agenzie statali, la diffidenza per l'iniziativa spontanea fuori dal controllo delle organizzazini istituzionalizzate chiamate ad un ruolo privilegiato di partnership con gli apparati pubblici.
Tabella 1 - Confronto tra Grem e ambientalismo contemporaneo: Prospettive ideologiche (da Weber, 2000
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Ecologismo |
GREM |
Mission prioritaria |
Controllo dell'inquinamento, salute umana, wilderness |
Ambiente, economia e comunità |
Rapporto tra la natura e l'uomo |
La natura sopra l'uomo. Ecocentrismo/biocentrismo La società è il problema e deve cambiare |
L'uomo con la natura (sostenibilità simbiotica). Non è possibile separare l'uomo dalla natura. |
Il valore della natura e delle risorse naturali |
Valore intrinseco a prescindere dall'uomo, il valore della natura è in sé. Sviluppo sostenibile (metafora della singola pianta) |
La salute degli ecosistemi come condizione di salute della comunità. Sviluppo sostenibile (metafora della foresta, gli alberi sono solo una parte) |
Prospettiva temporale |
Indefinitamente lunga |
Di lungo periodo, bilanciata con le esogenze umane di breve periodo. |
Tabella 2 - Confronto tra Grem e ambientalismo contemporaneo: Scienza e tecnologia, limiti della crescita (da Weber, 2000)
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Ecologismo |
GREM |
Il ruolo della scienza della tecnologia nei processi decisionali |
La scienza è superiore alla politica. Sfiducia nella scienza applicata alla produzione e nell'expertise delle agenzie. La tecnologia rappresenta un problema in quanto chiave della crisi ambientale. |
Scienza e politica sono intimamente legate. Le “buone” tecnologie, specialmente le tecnologie avanzatedell'informazione, sono strumenti cruciali di gestione. |
Approccio alla scienza |
Prevalenza del modello di equilibrio ecologico |
Prevalenza del modello ecologico caotico |
Ci sono limiti allo sviluppo? |
Sì, la natura deve essere salvata dai danni provocati dall'uomo. La capacità portante della terra è limitata |
Sì, ma la natura è più robusta e resiliente di quanto altri credono |
Tabella 3 - Confronto tra Grem e ambientalismo contemporaneo: Carattere e profilo istituzionale (da Weber, 2000)
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Ecologismo |
GREM |
Carattere del movimento |
In teoria pluralistico e egualitario; in pratica paternalistico (tema: “Noi contro loro”) |
Spontaneo (basato sulla località), pluralistico, spinta dal basso verso l'altro (bottom-up) (motto: "Loro sono noi") |
Ruolo del governo |
Il governo come difensore/gestore della natura ma in tandem con i gruppi ambientalisti. Il governo corregge le carenze del mercato con le normative e i vincoli all'uso delle terre. La protezione dell'ambiente è un diritto che deve essere fatto rispettare dal governo. Il controllo e la coercizione federali devono essere aumentate. |
Istituzioni alternative sono chiamate a correggere le mancanze del governo. La società deve riavere un ruolo ; il governo è importante ma in partenariato con intermediari e istituzioni locali. Il ruolo del governo deve essere decentralizzato e deve essere fondato sulla collaborazione e la negoziazione all'interno della struttura giuridica fondamentale esistente. |
Rapporti con governo e industrie |
I confini tra pubblico e privato devono essere definiti rigidamente. La struttura delle agenzie deve essere modificata per evitare che siano “ostaggio” dei gruppi privati. Mancanza di fiducia: l'industria è il male. |
I confini tra pubblico e provato devono essere sfumati, lecompetenze possono poter essere coordinate. All'industria devono essere associati gli altri portatori di interessi privati. Fiducia, da verificare. |
Ruolo del pubblico nel processo amministrativo |
Consultivo e partecipativo: assicurare una rappresentatività bilanciata. Il pubblico in un ruolo semiattivo data la preponderanza dei gruppi organizzati a livello nazionale |
Consultivo e partecipativo. Le “conoscenze popolari” rivestono importanza. Il pubblico è in un ruolo attivo |
Regole e risultati |
Le regole valgono come sostituto dei risultati |
I risultati ambientali come orientamento critico dei processi decisionali |
Scala di azione |
Larga |
Ristretta |
Adattabilità dei meccanismi di gestione |
Scarso interesse all'adattabilità |
Adattabilità dei meccanismi di gestione |
Monitoraggio ambientale comunitario
Nell'ambito delle attività di gestione partecipata dei problemi ambientali il monitoraggio ambientale comunitario (Community-based monitoring, CMB) rappresenta un aspetto molto importante. Si è già fatto riferimento all'importanza di valorizzare punti di vista, capacità di cogliere effetti locali di problemi generali, di utilizzare i saperi locali e un più ampio range di informazioni in grado di integrare gli studi scientifici (Berkes et al. 2000). Il CMB rappresnta un approccio contestualizzato, iterattivo, and adattativo in grado di rispondere alla crescente complessità e rapida evoluzione dei problemi e delle condizioni ambientali da fronteggiare (Pollock e Whitelaw, 2005). Negli ultimi decenni, oltre a queste considerazioni hanno inciso a favore del CBM i tagli sostanziali ai finanziamenti ai programmi ambientali la capacità delle autorità governative di monitorare adeguatamente l'ambiente è diminuita . Il CBM ha fornito alle istituzioni un modo di aumentare la capacità di controllo a costi contenuti. Se in Italia sono le organizzazioni ambientaliste a svolgere controlli ambientali integrativi in altri paesi queste attività sono gestite da organizzazioni locali, dal volonrariato, da una "società civile" consapevole. In Nord America (ma soprattutto in Canada) è ormai ben consolidato uno schema di CBM che vede nelle singole regioni decine e decine di organizzazioni locali coinvolte. La maggior parte dei gruppi di CBM sono impegnati nel monitoraggio delle acque interne per variabili come pH, temperatura, ossigeno disciolto, salinità, macroinvertabrati, e batteri vari, mentre meno diffuso è il monitoraggio terrestre o della fauna selvatica Conrad e Daoust, 2008). Una delle regioni più interessate allle attività di CBM è la Nuova Scozia (Sharpe e Conrad, 2006) anche se una rete di CMB è diffusa anche in altre parti del paese (Whitelaw et al. 2003; Conrad e Daoust, 2008). In collaborazione con la Saint Mary's University il ha organizzato un corso online (http://wetpro.smu.ca/) per volontari si certificazione della qualità dell'acqua. Il corso è pianificato in modo da garantire che chi lo segue possa fornire dati altrettanto attendibili di quelli ottenuti da tecnici certificati. Una fatto collaudato che smonta le argomentazioni tecnicistiche e tecnocratiche circa la scarsa attendibilità del monitoraggio eseguito da dilettanti.
Il CMB in Canada va ben oltre lo scopo, peraltro non disprezzabile, di fornire alle università e alle agenzie ambientali governative una manovalanza a costo zero per campagne di campionamento. Coinvolgere la gente senza poi discutere i risultati, le possibili soluzioni, impostare gli stessi criteri di monitoraggio è difficile. Dopotutto si tratta di situazioni che coinvolgono la qualità del contesto in cui vivono, dell'acqua che bevono, dei prodotti ittici che consumano. E così il CMB assume per diversi aspetti la dimensione di una stewardship con la creazione di costruzione di mappe di comunità, la valutazione dell'ambito di partecipazione, la capacity building (ovvero creazione di "capacity" definita dall’UNDP (United Nations Development Programme) come l’abilità delle persone, delle istituzioni e della società a realizzare funzioni, risolvere problemi e porre e raggiungere gli obiettivi in una maniera sostenibile). Lo schema concettuale del Canadian Community Monitoring Network (CCMN) (Pollock e Whitelaw, 2005) è riportano nella figura sotto.
Approcci culturali all'ambiente: democrazia vs sudditanza ambientale
Nel mondo le cose non vanno come in Canada. Molto spesso un flusso unidirezionale di informazioni spesso esaursce la dimensione partecipativa della "democrazia ambientale". In Italia dobbiamo esultare quando riusciamo - spesso con fatica ed insistenza, se si è semplici "sudditi" - ad ottenere informazioni di dominio pubblico. Troppo spesso le amministrazioni lasciano passare mesi prima di trasmettere dati in loro possesso e si deve ricorrere a rappresentanti nelle istituzioni per ottenere accesso ad atti che dovrebbe essere possibile per tutti. Spesso si scambia per "partecipazione" il convolgimento dei vertici professionalizzati di organizzazioni di categoria o delle principali organizzazioni ambientaliste. Quanto alle campagne di monitoraggio di Legambiente (organizzazione peraltro finanziata attraverso vari canali dalle pubbliche istituzioni) non hanno nulla a che fare con il CBM. Il dato di fondo è che burocrazia, accademia e lo stesso ambientalismo istituzionalizzato sono troppo gelosi delle proprie prerogative e il dato ancora più avvilente è che i cittadini, i comitati, le organizzazioni per la tutela dell'ambiente, della salute, del paesaggio a livello locale vedono nelle agenzie governative (governo centrale o governi regionali non fa molta differenza) delle vere e proprie controparti nei confronti delle quali manca qualsiasi fiducia ("quando li chiamiamo - il riferimento è a problemi di emissioni - se vengono aspettano il giorno che il vento tira dalla parte opposta "). La riprova di una situazione di "sudditanza ambientale" si ha nel fatto che solo appellandosi all'apparato giudiziario e alle forze di polizia (NOE dei carabinieri) si può sperare di ottenere controlli su fonti di inquinamento e rischio per la salute. La situazione non è così solo in Italia. L'atteggiamento prevalente da pare delle autorità e delle agenzie (per la salute e l'ambiente) è quello di minimizzare le contaminazioni.
Beck (2000) sostiene che nella 'società del rischio' l'onere della prova di un effetto di causale sulla salute è a carico delle vittime della contaminazione (lo si è visto anche in tanti casi di nocività aziendale). La 'scienza' si trincera dietro alle statistiche epidemiologiche, ai test sulle cavie di laboratorio, ai 'valori di sicurezza' con il risultato che c'è un avvelenamento ammissibile, normale, che quindi è come se non ci fosse. Per non 'guastare le feste' all'industria chimica e a chi utilizza i suoi prodotti.
Di fronte all'inerzia o all'insufficienza delle indagini ufficiali i cittadini sono costretti ad eseguire il monitoraggio comunitario quale strumento di difesa e di lotta. I casi non mancano. Quello più noto è quello di Taranto dove sono state le associazioni ad accumulare dati sulla gravissima contaminazione e sull'incidenza di patologie oncologiche e a "smuovere" le istituzioni (arrivate peraltro molto tardi). Anche in un caso meno noto ed eclatante come quello della Val di Non e del largo uso di pesticidi per la coltivazione intensiva delle mele Melinda il Comitato locale per la salute e contro i pesticidi, ha proceduto ad autotassarsi per far eseguire analisi più complete rispetto a quelle dell'Azienda sanitaria provinciale ad un laboratorio fuori del Trentino. Sono stati campionati anche i bambini e sono stati ricercati (e trovati) più principi attivi. Il confronto è stato possibile solo per il clorpirifos-etil per il quale sono stati riscontrati valori 4 volte più elevati (6 nei bambini) rispetto alle analisi 'ufficiali' dell'ASP.
A questo punto pare lecito concludere che non sono i comitati locali a chiudersi in una posizione di sterile opposizione, ad assumere atteggiamenti egoistici. Sono le istituzioni - dove domina una politica lontana dal bene comune - che praticano una politica di chiusura, di non collaborazione, di scarsa trasparenza. E se qualcosa di costruttivo viene intrapreso è per la caparbia volontà delle comunità locali di non arrendersi, alla loro capacità di dire no. (4. continua)
Bibliografia
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