(10.02.13) I media parlano della trazione animale come di un curioso revival. Ma è una concreta alternativa per le piccole aziende, per la montagna e la collina, per le colture legnose specializzate. Per le aziende bio
Finte e vere energie rinnovabili:
parliamo di trazione animale
di Michele Corti
In vista di un convegno sulla trazione animale presso la Fiera di Montichiari (24 marzo) si è registrato un insolito interesse dei media per il "ritorno" del cavallo agricolo. Ma non è solo un fatto curioso e modaiolo. Tutt'altro. Vi spiego il perché
Premessa
La ricerca applicata alla meccanizzazione specifica per la trazione animale ha fatto passi da gigante grazie a nuovi materiali che garantiscono grande resistenza e leggerezza. Così è cresciuto negli ultimi anni l'interesse per l'impiego dinamico del cavallo (ma anche dell'asino e del mulo) in agricoltura. La trazione animale presenta notevoli vantaggi non solo in termini di rinnovabilità dell'energia prodotta ma anche di ridotta compressione del terreno.
Purtroppo si guarda ancora spesso alla trazione animale come ad un fatto nostalgico e non si considera la validità tecnico-economica del suo impego che aumenterà mano a mano che aumenterà il costo dell'energia fossile (e dei carburanti "verdi" una volta eliminate le sovvenzioni). Se solo una piccola frazione degli enormi incentivi destinati alla speculazione sulle finte energie rinnovabili fossero destinate a promuovere l'uso del cavallo in agricoltura si creerebbero i presupposti per allargare rapidamente l'ambito di uso del quadrupede. Con enormi benefici, non solo per l'ambiente ma anche per l'agricoltura (come cercheremo di dimostrare in questo articolo).
Oggi i media si meravigliano del "ritorno" all'uso del cavallo (e non solo del cavallo) per la trazione animale e la si presenta come un revival, una moda.
Può essere positivo che i grandi media inizino ad occuparsi di cose rurali anche se poi vi è il rischio di creare dei malintesi. Basta pensare al "ritorno dei giovani alla terra" presentato spesso in forma idealizzata, creandoi presupposti per cocenti delusioni.
Il tema dell'utilizzo del cavallo in agricoltura è molto serio ed è bene quindi affrontarlo partendo dalla storia.
Corsi e ricorsi
In realtà il cavallo agricolo non è mai scomparso, neppure in Europa occidentale anche se si pensa che sono gli Stati Uniti - il paese identificato con l'agricoltura più industrializzata e tecnologica - a rappresentare la patria del cavallo agricolo "moderno" (ovvero quello che si (ri)afferma dopo una quasi totale sostiruzione da parte dei mezzi meccanici).
Sino a pochi anni fa si contavano milioni di cavalli in Polonia e in Romania, ma quelli erano cavalli che operavano in contesti dove la meccanizzazione non era mai arrivata o aveva solo sfiorato le piccole aziende contadine.
Negli USA il numero degli agricoltori che lavorano con il cavallo è in ascesa, e si pensa che si aggiri intorno alle 200 mila unità (Kendell, 2003 - cit, da Herold et al.). Un dato che va confrontato con il centinaio di aziende che utilizzano il cavallo per la trazione in Germania, il paese dell'Europa occidentale dove il "ritorno" è più consistente (IGZ, www.ig-zugpferde.de).
In realtà i cavalli negli States erano quasi scomparsi con la seconda guerra mondiale. Nel 1945 si contavano solo 2 mila cavalli registrati di razze da tiro rispetto ai 95 mila del 1920. Solo 10 anni prima erano ben 10 milioni. Il revival in Usa è iniziato negli anni '60 quando in Italia (ma anche nel resto dell'Europa occidentale) si osservava il crollo del patrimonio equino. Uno "sfasamento" di mezzo secolo.
Basti pensare che nella stessa Lombardia, considerata la regione italiana più avanzata dal punto di vista agricolo, negli stessi anni in cui negli Usa i cavalli agricoli (e da trasporto extra-agricolo) crollavano di numero, essi stavano ancora aumentando. Nel 1908 i cavalli lombardi erano 206 mila, ma salirono a 237 mila nel 1930. Nel 1971 erano ridotti a 24 mila. Da qui è iniziata una ripresa legata prima al cavallo sportivo da maneggo e amatoriale e, successivamente, anche all'agriturismo equestre che ha contribuito a riportare il cavallo all'interno delle aziende anche prima del recente (sia pure timido) ritorno dell'uso per la trazione nelle aziende bio.
L'era del cavallo agricolo
A profitto di chi si potrebbe meravigliare del fatto che la parabola del cavallo agricolo fosse ancora in fase ascendente nei primi decenni del '900 in Lombardia (come in altre regioni agricole europee) va precisato che l'era del cavallo agricolo non risale alla notte dei tempi ma è un fenomeno recente, che ha avuto un primo impulso nel medioevo e poi in età moderna e contemporanea.
Nell'antichità il cavallo è stato identificato con la guerra e solo secondariamente con i trasporti. Marginale il suo uso in agricoltura dove, da alcune migliaia di anni (IV secolo a.c. per la precisione), prestava onorato servizio il bovino (bue o vacca). Nel medioevo il cavallo (è l'epoca della cavalleria) resta animale da guerra e di prestigio, ma, grazie ad alcuni progressi tecnologici,si espande molto il suo impiego per la trazione agricola. Insieme al sostanziale miglioramento e alla diffusione della falce fienaia, alla "rivoluzione dei mulini", l'uso del cavallo fa parte di quella rivoluzione agricola medioevale sin troppo oscurata dalla classica "rivoluzione" (termine di comodo, che gli storici hanno rigettato da tempo) del XVIII secolo.
Cosa successe di così sconvolgente? Venne applicata al cavallo una di quelle innovazioni che, insieme al morso e alla staffa hanno segnato la storia dell'umanità: il collare da spalla ad armatura rigida imbottita ("collana") che vediamo applicato (foto sotto) ad un esemplare di TPR (Tiro pesante rapido), ottimo cavallo agricolo italiano (fondamentalmente derivato dal Bretone utilizzato nella pianura padana).
La "collana" deve essere realizzata su misura (per non fiaccare la pelle con lo sfregamento) ma distribuisce lo sforzo di traino su tutta la base del collo. Rispetto ad attacchi più primitivi, che utilizzavano un giogo simile a quello dei buoi fissato al collo con una coreggia, la collana ha il grande vantaggio di non comprimere l'arteria tracheale consentendo all'animale di esercitare il massimo sforzo. La "collana" è un'invenzione del X secolo.
Il cavallo animale "di lusso" anche in agricoltura
Anche la ferratura (introdotto a partire dal IX secolo ma che assumerà la forma moderna solo nel corso del XV), contribuì molto a favorire l'impiego del cavallo quale animale da lavoro. Nonostante ciò il cavallo restò per secoli appannaggio delle grandi aziende agricole e non potè competere con i buoi nelle terre argillose pesanti dove il bue, sebbene molto più lento riusciva a trainare meglio gli aratri (nelle terre pesanti dell'Emilia si passò direttamente dai buoi alle trattrici meccaniche senza passare per i cavalli).
Con il XVIII agricolo la sostituzione dei buoi con i cavalli rappresentò un elemento di quella intensificazione produttiva che ebbe i suoi cardini nell'introduzione di complesse rotazioni che comprendevano colture foraggere, nell'aumento degli animali allevati sul fondo (e quindi del concime organico disponibile). Ai bovini veniva assegnato il compito di produrre latte e venivano esentati dal lavoro. Ci pensavano i cavalli ad eseguirlo, molto più velocemente. Ma la biada necessaria era "regalata" dall'aumento delle rese. Sino al XX secolo, però, il cavallo non divenne un "animale del contadino". Specie nelle zone di montagna i contadini dovettero continuare ad accontentarsi di vacche (multifunzionali: latte, lavoro, carne) ed asini.
Una scena legata ad un breve periodo storico quando il cavallo è diventato il compagno del contadino di montagna (che prima non poteva permettersi il lusso di mantenerlo). Siamo in Valchiavenna (SO), culla del "Cavallo di Samolaco" lasciato estinguere dalla burocrazia (anni '70 del XX secolo). Dopo un periodo di incrocio con cavalli da tiro pesante il Samolicano ha subito un definitivo incrocio di sostituzione con l'Haflinger
La trazione agricola: una realtà che era stata archiviata
Nel 1997 il programma dei corsi di Zootecnia speciale nelle Facoltà di Agraria assegnava ancora - per forza di inerzia - un largo spazio al cavallo tanto che scrissi una dispensa su "Il cavallo" . Nel testo, però, di lavoro agricolo non parlavo affatto dando per scontato che fosse l'uso sportivo quello di interesse anche nell'ambito dlele aziende agricole. In realtà il cavallo, che negli ultimi decenni ha in parte sostituito asini e muli, non ha mai cessato di essere un animale agricolo. In anni più recenti, occupandomi di montagna, mi sono accorti che l'uso del someggio per i trasporti sugli alpeggi, ma anche dei carri e delle slitte (trasporto legname, letame ecc.) non è mai venuto meno, neppure nelle nostre valli. Se vi recate in zone come l'Alto Lario occidentale - dove rimangono tenaci permanenze della civiltà contadina alpina - potete vedere ancora i contadini che con la slitta distribuiscono il letame sui prati (oltre alle donne con le gerle cariche di foglia raccolta nel bosco per il "letto" delle bestie").
Una storia da ripensare
La scomparsa del cavallo non è stata un fatto "naturale". Nell'Est Europa il esso è sopravissuto sino ad oggi (o quasi) grazie alla struttura dualistica dell'agricoltura "socialista" che si reggeva su un ambiguo equilibrio tra agricoltura cooperativizzata o statalizzata "moderna" e meccanizzata (ma inefficiente) e agricoltura privata, "arcaica" ma efficiente.
In Italia le trattrici balzarono da 45.957 del 1948 a 100.640 nel 1953, 207.131 nel 1958 e 338.584 nel 1963 (G. Della Valentina, 1994). La "pulizia etnica" dei cavalli ebbe poco a che fare con una modernizzazione ordinata e finalizzata ad uno sviluppo equilibrato delle aree rurali del paese. La disponibilità di "soldi facili" con i "Piani Verdi" (erano gli anni del primo centro-sinistra) e il meccanismo (in sè efficace) dei fondi di rotazione, spinsero verso un livellodi meccanizzazione abnorme (con un rapporto HP/ha più alto d'Europa).
Nelle grandi aziende, che già utilizzavano le trattrici per l'aratura e i lavori più gravosi, con i primi anni '60 scomparve il mondo dei "cavallanti", le stalle dei cavalli vennero riempite di vitelli, i finimenti e i collari rimasero per anni appesi malinconicamente all'esterno delle vecchie stalle. Di questa "sparizione" dei cavalli sono stato testimone anch'io. Nei ricordi della cascina di mio nonno alle porte di Milano c'è uno "strato" di ricordi di cascina, che risale all'età prescolare o poco più, con un via vai di cavalli che trainavano carri di erba (come nella foto sotto). Poi, quasi improvvisamente, i cavalli sono spariti.
Ben diverse le cose nella stragrande maggioranza delle aziende contadine italiane (al Nord e al Sud). Contadini con fazzoletti di terra, spinti dalla Coldiretti, furono indotti a ottenere il credito agevolato finalizzato all'acquisto delle trattrici ai Consorzi Agrari. Questi ultimi gestivano (in quanto agenzie locali della Federconsorzi) il credito agevolato, valutavano insieme all'Ispettorato la conguitàdelle richieste (allora non si parlava di conflitti di interesse e, tanto, era tutto - Ispettorato compreso - sotto l'egida della Coldiretti che "passava" le liste con le graduatorie al contiguo ufficio statale, immancabilmente ospitato in locali della Federconsorzi).
Il contadino, però, non poteva scegliere. Doveva acquistare FIAT, perché la Federconsorzi aveva stipulato un accordo monopolistico con l'industria torinese. Gravati dai costi di una meccanizzazione inutile i contadini accellerarono l'esodo "liberando" manodopera a basso costo per... la FIAT che prese due piccioni con una fava.
Fu una "modernizzazione" brutale che lasciò ferite profonde: paesi che si svuotavano nel giro di pochi anni, comunità senza o quasi uomini (emigrati), campagne fino a ieri densamente vissute che divennero silenziose e tristi. Contadini e cavalli (e le campagne stesse) furono vittime di un industrialismo rapace e di una politica miope. Ad un esodo patologico seguì d'appresso un'ondata di revival rurale marcata anch'essa da un segno "malato". Mentre in quasi tutti i paesi il revival rurale ha conosciuto le espressioni gioiose degli show, delle rievocazioni, delle gare di trazione per pariglie di cavalli da tiro, mentre quasi ovunque nel centro-nord Europa, le aziende birraie si sponsorizzano facendo girare per le città carri carichi di fusti di birra trainati da possenti cavalli, in Italia il primo revival rurale degli anni '70-'80 si è connotato in senso feticistico e necrofilo. Con la passione per l'incetta di "souvenir" dalle vecchie cascine. Tipici i gioghi trasformati in lampadari e simili "trofei" che campeggiano nelle (finte) trattorie di campagna o nelle dimore pretenziose e volgari del ceto affluente "post-rurale".
Una scena che è divenuta rara nelle campagne italiane. Ritornerà frequante?
La svolta
Smaltite le tossine della modernizzazione brutale da qualche anno anche in Italia le cose sono cambiate. C'è voglia di ruralità autentica e non solo di pseudo cucina "contadina", finti agriturismi, orpelli feticistici ostentati. C'è voglia di ruralità viva e gioiosa (visto che l'industrialismo è sempre più tristo). Alberto Moscardo è l'animatore dell'associazione Noi e il Cavallo e il protagonista del rilancio del cavallo per la trazione agricola i Italia. In un articolo recente (Moscardo, 2010) a proposito del clima che si respira alle manifestazioni che, finalmemente, si organizzano anche in Italia scrive:
Tutte queste persone si ritrovano nelle manifestazioni aperte al pubblico, si incontrano, si confrontano, ed è interessante sentire come i discorsi non siano sul disfacimento dell'agricoltura, sui prezzi bassi, ma sul valore del lavoro, del cibo che mangiamo, dell'ambiente in cui viviamo, del rapporto con la terra che lavoriamo. Possiamo dire che c'è un'aria di positività in questi ambienti, quasi come se il rapporto di lavoro con l'animale donasse una visione diversa delle cose, chi l'ha provato sa che è vero.
L'uso degli animali per la trazione è indubbiamente parte di una "rinascita rurale" che, ne siano protagonisti i contadini che non hanno mai voltato le spalle alla tradizione o i "neorurali" che si rimboccano le maniche (non quelli del golf club), è legata a motivazioni che non sono solo economiche.
Di qui il paradosso: a "lamentarsi" sono spesso imprenditori agricoli che incassano centinaia di migliaia di euro di Pac mentre i titolari di piccole aziende guardano spesso al futuro con più -ottimismo. Incoraggiati da amici, coproduttori, consumatori, che non mancano di esprimere simpatia per le aziende che utiizzano in in tutto o in parte gli animali al posto delle possenti trattrici che ancora rappresentano lo status symbol della componente più arretrata e subalterna culturalmente della società rurale. Una simpatia che si traduce anche in un riconoscimento economico.
La proccupazione di Pinney
Charlie Pinney è il "padre" europeo del movimento di rivalutazione in chiave ecosostenibile del cavallo per la trazione. Egli (Pinney, 2003) sostiene che il grande successo degli show con i cavalli è un'arma a doppio taglio: da una parte catalizza attenzione e simpatia ma dall'altra dissuade il mondo agricolo professionale dal considerare la trazione animale quale concreta alternativa tecnico-economica (almeno in determinati contesti). Pinney invita anche a non ricorrere troppo all' "argomento Amish". Le comunità Amish e Mennonite degli Usa, come noto, non utilizzano motori a scoppio, televisione ed altre "diavolerie del progresso" sulla base di un precetto religioso. Di fatto, mentre gli altri farmer chiudevano gli agricoltori Amish - che dipendono dal mercato di sbocco come gli altri - hanno retto. Merito della loro particolare struttura sociale comunitaria che sarebbe difficile ricostruire in contesti "secolarizzati" (come sottolinea Pinney) ma merito anche dei cavalli.
In ogni caso gli Amish non sono i soli negli Usa ad usare il cavallo ed è grazie all'enorme numero di aziende Usa che esiste un mercato di macchine operatrici adatte alla trazione animale. In realtà lo sforzo dei costruttori americano ha dovuto tenere anche conto delle enormi dimensioni (rispetto a quelle europee) dei campi e ha dovuto cercare di rispondere ad esigenze di una meccanizzazione"pesante" che ricorre spesso all'impiego di 12 cavalli. Ciò ha costretto a cercare soluzioni avanzate che poi trovano utili ricadute (in termini di efficienza) anche in una meccanizzazione "a dimensione europea".
Il revival della trazione animale in agricoltura in Europa non sarebbe stato possibile utilizzando le macchine da museo, pesanti e difficili da riparare; è stato possibile grazie all'import dagli Usa. Oggi, però, il mercato europeo si sta muovendo e vengono offerte ai contadini interessati all'impiego del cavallo una serie di soluzioni innovative per eseguire tutti i lavori agricoli (si vedano nella colonna a fianco le proposte di associazioni quali Noi e il Cavallo e della Federazione europea del cavallo da tiro).
In molte situazioni il cavallo è già oggi competitivo
Mano a mano che il costo dell'energia fossile crescerà e che ci si renderà conto che coltivare mais o colza per alimentare i motori a combustione interna è una follia ecologica (giustificata solo dall'avidità speculativa di alcuni interessi forti) la convenienza relativa della trazione animale interesserà sempre più "nicchie"agricole (e nicchie sempre più grandi).
Il cavallo, a differenza di una macchina, si riproduce da solo e si alimenta con prodotti agricoli del fondo o a "km zero". È vero che, a differenza dei più rustici ruminanti, "ruba" cereali all'uomo ma va specificato che quando non è impiegato per il lavoro si accontenta di foraggi (pascolo, fieno). L'efficienza con cui l'animale converte in lavoro muscolare l'energia metabolica è intorno al 30% (teoricamente 40%). Una percentuale che si riduce però al 10-15% dell'energia lorda degli alimenti tenendo conto che la trasformazione dell'alimento in energia disponibile per le funzioni vitali richiede, a sua volta, energia. Nel cavallo, però, 1/3 dell'energia alimentare è restituita come concime. In una macchina agricola a combustione interna 2/3 dell'energia del carburanti è dissipata come calore e emissioni inquinanti (dannose all'ambiente e alla salute). Un mezzo agricolo con motore a combustione interna alla fine del ciclo utile deve essere smaltito (e solo in parte riciclato) con un elevato costo energetico. Alla fine della sua vita di lavoro (da 3 a 20 anni, quindi ben più lunga di una macchina) un cavallo produce energia alimentare, pelli, grasso, bistecche.
Tenendo conto di tutto ciò il cavallo (o gli altri animali da lavoro) usano l'energia solare in modo più efficiente anche di un pannello fotovoltaico.
Di grande e cruciale importanza ai fini dell'impatto ambientale è, in ogni caso, la differenza tra la qualità dell'energia di cui il cavallo ha bisogno e dell'energia di scarto. Il cavallo entra in un ciclo chiuso in cui non si producono rifiuti. Gli studi ancora limitati in Europa sul risultati delle aziende che impiegano i cavalli per la trazione indicano che sono possibili incrementi delle rese delle coltivazioni e che il suolo (specie al di sotto dei primi cm dalla superficie) subisce meno compressione. Un fatto che consente migliore circolazione dell'aria, dell'acqua, migliore sviluppo degli apparati radicali, migliori drenaggi e minore erosione. Tutti questi vantaggi sono ancora più netti quando il cavallo opera in ambito forestale, impegnato nelle operazioni di esbosco. Il danno inferto alla vegetazione del sottobosco al suolo e infinitamente inferiore di quello dei mezzi meccanici.
Un animale ha bisogno di riposo ma è un compagno intelligente
Un trattore può essere abbandonato per lungo tempo sotto una tettoia, rifornendolo di gasolio o biodisel e con qualche cambio d'olio marcerà per un pezzo senza ulteriori interventi. Il cavallo no, va accudito e alimentato tutti i giorni, anche quando non c'è da lavorare. Va anche addestrato e bisogna essere capaci di condurlo, il che è molto più difficile che guidare una trattrice. Questi svantaggi possono essere in qualche modo ripagati? Si. Innanzitutto l'agilità dell'animale non ha confronto con qualsiasi mezzo meccanico. Il cavallo passa ovunque anche in mezzo ai fusti arborei di un filare e di un bosco, si gira in uno spazio molto più limitato che una trattrice. Soprattutto riesce a fermarsi e a ripartire al semplice comando della voce. Impara i percorsi, scansa gli ostacoli, sa reagire a situazioni particolari, mantiene l'equilibrio. Per quelle operazioni in cui la velocità è inutile il cavallo è un'ottima alternativa. Parliamo di operazioni come erpicatura, rullatura, sarchiatura, collocazone di piantine a dimora, ecc. In caso di terreno inaccessibile ai pesanti mezzi meccanici il cavallo può entrare comunque, un fatto che estende il periodo utile per la raccolta (per esempio).
Per ovvie ragioni il cavallo trova utilizzo (sostituendo in parte o in toto le trattrici) nelle piccole aziende, nelle aziende bio, nella viticoltura e nelle altre coltivazioni legnose specializzate, nell'orticoltura. In una agricoltura policolturale a piccola scala, all'interno di aree protette o in contesti di agricoltura urbana e "peri-urbana" dove, in altri paesi succede già, al cavallo tocca anche l'onore di fare le consegne a domicilio testimonial di un modo meno frenetico di vivere la mobilità urbana, catalizzatore di simpatia di grandi e piccini. Se la nuova Pac porrà un freno alla tendenza all'aumento delle dimensioni delle aziende e dei campi lo spazio per il cavallo si amplierà rapidamente.
Grandi progressi
Oggi la meccanizzione equina propone diverse soluzioni adatte a svariati tipi di attività agricola. Per chi deve usare diverse macchine operatrici la soluzione più consona è quella dell'uso di un "avantreno universale" (foto sotto un modello proposto da Noi e il cavallo). L'avantreno può essere utilizzato per agganciarvi ogni tipo di macchina, anche quelle (leggere ovviamente) "nate" per l'attacco alla trattrice. Se si desidera lo si può usare anche per andare a spasso. Senza staccare il cavallo (o a pariglia) si può sostituire con estrema facilità e in pochissimo tempo l’attrezzatura da trainare. Le attrezzature che si possono attaccare sono ad esempio: seminatrice, rullo, erpice snodato, carro, spandiletame, caricaballoni ecc. Può essere anche utilimente utilizzato per l’addestramento di un giovane cavallo.
Vi sono anche modelli di avantreno a due assi corredati di meccanismo di sollevamento a tre punti e presa di forza, che deriva il moto dalle ruote posteriori oppure da un motore ausiliario. In questo modo si rende possibile l'uso con il cavallo anche di rotopresse imballatrici, fasciatrici ed altre macchine che richiedono potenza costante alla presa di forza. l'utilizzo di un avantreno trainato da cavalli e dotato di motore a scoppio ausiliario garantisce il risparmio del 90% dell'energia che userebbe un trattore per la medesima operazione. Lo svantaggio dell'avantreno è costituito dal peso aggiunto che il cavallo deve trainare, e dalla maneggevolezza diminuita a causa del maggiore ingombro del rimorchio. Più efficaci si dimostrano gli attrezzi moderni specificatamente concepiti per trazione animale, la maggior parte dei quali e' costruita negli Stati Uniti, sempre piu' numerosi anche in Europa. Sono più leggeri e meno ingombranti ma, per chi ne deve utilizzare parecchi, decisamente costosi. Tutto il settore è in ogni caso in evoluzione ed è lecito attendersi novità.
Avantreno con al traino uno spandiletame meccanico
Bibliografia
C. Pinney (2003): The case for returning to real live horse power. ‐ in: Doutwhite, R. (ed.): Before the wells run dry ‐ Ireland's transition to renewable energy. ‐ FEASTA; Dublin: 269‐278 (word da sito FAO)
A. Moscardo (2010) Il cavallo da lavoro non va in pensione. Macchine agricole domani (3):47-49.
G Della Valentina (1994) Meccanica agraria e motorizzazione» in: P.P.D’Attorre , A. De Bernardi A (a cura di) Studi sull'agricoltura italiana, Feltrinelli, Milano, pp. 403-440.
P. Herold, P. Schlechter, R.Scharnholz, L'uso moderno del cavallo nell'agricoltura biologica, (traduzione dal tedesco) IGZ (http://www.fectu.org/Italienisch/index2%20Italienisch.htm)