(11.03.2013) Come il biogas (da mais per lo più) compromette la vera agricoltura così le biomasse legnose rappresentano un boomerang per le filiere del legno con il risultato che i boschi saranno ancora più abbandonati
Centrali a biomasse trappola per la
filiera legno montana
di Michele Corti
Con la blandizia dei posti di lavoro in montagna nella filiera legno si regala alle comunità delle Terre Alte una nuova polpetta avvelenata. Come indicano le esperienze già in atto.
(11.03.2013) In Piemonte è particolarmente "calda" la polemica sulle centrali a biomasse legnose dopo le sentenze del TAR di Torino che ha stoppato la cemtrale di Luserna S.Giovanni valutando che l'interesse all'uso di energia rinnovabile non puòoltrepassare la tutela della salute e il pronunciamento dell'ASL Cuneo 1 che ha qualificato "industria insalubre di prima classe" la centrale (pirogassificatore) da 400mW progettata presso le scuole di Paseana (in valle Po). Altri fronti caldi sono rappresentati da Genola, Savigliano, Chiusa Pesio. La corsa alle biomnasse legnose è in atto anche in altre regioni.
Grandi progetti in cantiere
Passando dalle Alpi agli Appennini vi sono forti conflitti sulla realizzazione delle centrali a legna in Emilia e in Toscana dove la regione ha previsto la realizzazione di centrali a biomasse legnose per 70MW. Il nuovo Piano strategio energetico, colpo di coda del "governo dei tecnici", frena su rigassificatori e stoccaggi di gas (riconoscendo che la domenda di energia è in calo) ma non solleva il piede dall'accelleratore delle biomasse.
Nello specifico delle biomasse legnose l'argomento che viene utilizzato dai paladini delle centrali, in prima fila l'Uncem, Unione comuni comunità montane, è che con esse si possono creare 10-15 posti di lavoro nella filiera più due per la gestione dell'impianto. Il riferimento è ad un impianto da due pirogassificatori da 200kW el.
Una tecnologia con lati ancora incerti
Questa tecnologia, definta "virtuosa" dall'Uncem consente sì di abbattere(almeno sulla carta) le emissioni rispetto ad impianti a combustione totale ma a prezzo di un sistema costoso di filtri e di elevate spese e manutenzioni lunghe, costose (5-10€Cent/kWhel) e da eseguire a cura di personale molto qualificato. Le più "vecchie" centrali di questo tipo non si sono rivelate esenti da problemi e anche tra gli addetti ai lavori è diffusa la convinzione che la tecnologia non sia matura per poterla spingere come fa l'Uncem per ora non del tutto affidabile per le esigenze di sistemi di teleriscaldamento. Restano da ottimizzare la purificazione del gas (con problemi di corrosione) e i sistemi di trattamento dei catrami. Per il buon funzionamento è indispensabile che il cippato sia secco (15-20% di acqua non di più). Va anche tenuto conto della gestione delle ceneri (con o senza carbone). Tutte queste problematiche lasciano perplessi di fronte alla prospettiva che gli impianti possano essere adeguatamente manutenzionati una volta che venissero ridimensionati gli incentivi dopo il periodo di contratto di fornitura al GSE. Resta sempre in forse anche la reale possibilità di sfruttamento dell'energia termica per cogenerazione posto che collocare le centrali presso scuole, ospedali, impianti sportivi non è possibile per via delle emissioni e che raggiungere le utenze private diventa costoso e inefficiente, specie in montagna con la dispersione delle abitazioni.
Le esperienze dicono che al materiale locale si sostituisce quello estero, se va bene quello della pianura, se va male quello di oltreoceano
L'obiezione principale che va avanzata di fronte alla raffica di progetti di centrali è quella relativa al rifornimento della materia prima. E' assurdo come fa l'Uncem far credere che 900 mila ettari di boschi piemontesi (lo stesso vale per le altre regioni) siano pronti a produrre biomassa. Le esperienze già consolidate dicono che la convenienza dell'importazione di cippato o pellet dalla pianura o dall'estero è tale da annullare qualsiasi sviluppo della "filiera corta". L'esperienza dimostra che le intenzioni e le promesse generose di amministratori e politicanti (interessati a "salvare il pianeta" o a qualcos'altro?) solennemente proclamate prima dell'installazione degli impianti vengono poi del tutto disattese in nome del mercato. Nelle valli lombarde e venete succede che il cippato di pioppelle delle aree golenali del Po o dalla Slovenia, sul mercato viene a costare meno. Risultato: Tir che attraversano le nostre valli per portare il cippato da centinaia di chilometri, boschi, prima "coltivati" dai residenti, in totale stato di abbandono. Classico il caso della centrale di Sellero, in Valcamonica una delle più grandi valli alpine italiane, la più importante dal punto di vista forestale della Lombardia che funziona con materiale proveniente dall'estero (senza contare lo scandalo della plastica bruciata insieme al legno) e che ha costretto Legambiente, che aveva assegnato al comune il 16° posto nella classifica dei comuni italiani riuciclatori virtuosi, a rimangiarsi le lodi dell'impianto.
Persino nel virtuosissimo Alto Adige dove gli impianti sono effettivamente di non grandi dimensioni e dove i boschi sono sempre stati coltivati (anche grazie a condizioni di accessibilità e meccanizzazione che nelle Alpi occidentali ci si sogna!), come dimostra la tabella sotto riportata, la "pulizia dei boschi" copre una minima parte del volume di biomassa.
Una sfida
La prova della buona fede dell'Uncem e di altri interessati fautori delle centrali elettriche a biomassa legnosa potrebbe essere fornita dalla loro disponibilità a farsi promotori di un vincolo normativo rigido tale da stabilire che, al venir meno dell'uso di legna locale, vengano del tutto meno gli incentivi