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(22.12.09) Latte e formaggi bio nella montagna alpina?  Si può o no?

La scorsa settimana l'ass. 'la Buona Terra' ha organizzato una visita al caseificio Valposchiavo, uno dei primi in Svizzera a passare al bio. Intanto la valle è ormai quasi interamente bio. Un occasione di confronto per capire perché in Svizzera e Austria il bio 'vola' mentre in Italia, sulle Alpi lombarde (e non solo) resta al palo. Alla base di questa differenza ci sono i nessi tra fieno, latte e politiche agricole. (leggi tutto)

 

(20.12.12) La mela dell'arroganza e dei 36 trattamenti chimici

Per difesa di "lesa Melinda" il presidente del Trentino, Lorenzo Dellai, interviene in diretta a Porta a Pora l'11 dicembre. Nei giorni successivi paginate di lodi alla salubrità di Melinda (che nella pubblicità si mangia senza lavarla o sbucciarla). Nessuno ha obiettato che l'intervento di Dellai è stato in puro stile berlusconiano. Si sorvola sulla monocoltura invasiva e sulle rese esasperate, sul fatto che nelle urine dei bambini in Val di Non ci siano residui di pesticidi e che il Trentino abbia il record di uso di pesticidi in Italia.leggi tutto

 

(21.04.12) Grave moria di api in Valtellina a causa dei pesticidi

È impossibile parlare di fatalità. Nel 2010 a Bolzano, Nel 2011 in Valsugana (Tn), adesso in Valtellina. Le stragi primaveri di api sono dovute all'uso dei neonicotinoidi nei meleti in fioritura. Un utilizzo deliberato e tale da configurare un fatto grave. Le api sono insetti utili nel meleto. Se le si uccide senza pensarci su che scrupoli etici (per la salute e l'ambiente) si deve suppore che si faccia la melicoltura chimica? La Valtellina ne esce con un ulteriore deterioramento di un'immagine agroalimentare già molto compromessa leggi tutto

 

(02.04.12) Trentino Coldiretti: Tutto bene con i pesticidi, tranne gli "allarmisti"

Il Trentino - insieme a Bolzano - detiene il record del maggior uso di pesticidi per ettaro coltivato. In barba ad una immagine costruita a colpi di campagne milionarie. Ora, però, una parte dei residenti della Val di Non (dove si produce Melinda) e alcuni comuni, hanno intrapreso azioni per tutelare la salute. Azioni che, intensificandosi, rischiano di far arrivare fuori dal Trentino l'eco della questione e di compromettere l'immagine dorata di Trentino felix (e il business della monoMelindacoltura). Intanto Melinda corre ai ripari e annuncia che la quota bio salirà nei prossimi sei anni al... 1,5%. Scegliete se ridere o piangere leggi tutto

 

(21.01.12) Storica sentenza del TAR di Trento sui pesticidi

Rigettato in gran parte il ricorso di alcuni grossi produttori di Melinda contro il regolamento comunale di Malosco. Esso poneva 'paletti' alla melicoltura intensiva e chimica sia sul piano della tutela della salute (distanze, divieto di prodotti pericolosi)che del paesaggio. Il Tribunale riconosce legittimo l'appello al principio di precauzione con riferimento al rischio cancerogenesi legato all'uso, anche a dosi bassissime, di alcuni pesticidi leggi tutto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(15.01.13) Nel 2010 il piccolo regno himalayano del Buthan ha deciso di convertire la propria agricoltura al 100% al biologico entro il 2020. Un percorso che è possibile e auspicabile anche sulle nostre montagne

 

Agricoltura biologica:

rilanciare dalle Terre alte

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    di Michele Corti

     

     

    La montagne, come dimostrano  il Buthan ma anche le valli del Canton Grigioni confinante con la Lombardia, sono vocate al biologico territoriale. Un modello di agricoltura bio in cui anche i piccoli produttori possono superare difficoltà burocratiche, tecniche e commerciali e che può fornire una solida garanzia ai consumatori. Può partire dalle Terre Alte, dai loro contadini, giovani e anziani, autoctoni e neorurali,  il rilancio del bio. Un settore che oggi vede aumentare consumi ed import ma calare le superfici investite e le aziende, mentre la politica pare ormai ignorare quelle che erano sino a una decina di anni fa le fin troppo unanimi e ripeture parole d'ordine pro bio

     

    Il Buthan è un paese povero di 700mila abitanti chiuso tra le alte montagne himalayane e schiacciato tra la potenza cinese e quella indiana. Una situazione poco invidiabile secondo il metro convenzionale. "Arretrato" agli occhi di un mondo (ormai non solo occidentale) ancora tronfio della sua superiorità tecnologica (ma già consapevole di un futuro incerto e fosco), il Buthan sta diventando l'avanguardia della sostenibilità. Esso non misura più la sua ricchezza con il PIL ma con la FIL (felicità interna lorda).

    La motorizzazione è scarsa ma è stata istituita la giornata del pedone (ogni venerdì è un una "domenica a piedi").

     

     

    Banditi concimi chimici e pesticidi

     

    Il Buthan ha poche strade, i contadini hanno pochi soldi per acquistare pesticidi e concimi chimici ma, specie nella vallata a nord della capitale Thimpu, attualmente si usano dei diserbanti e anche altrove dei funghicidi per combattere la ruggine del grano così come l'urea. Anche le coltivazioni di riso ricorrono a pesticidi. In ogni caso anche per un piccolo paese con soli 46.500 ettari di superficie coltivata non è possibile una conversione immediata. Così il Buthan si è dato 10 anni per divenire il primo paese ad agricoltura totalmente bio al mondo. Alcune colture sono già diventate completamente bio, per altre - come il riso - la roadmap sarà graduale.

     

     

    Appare evidente che il governo buthanese, molto attenta a preservare l'indentità e l'indipendenza (sino al 1999 la televisione era proibita), ha valutato sbagliato inseguire modelli che altrove già si stanno rivelando perdenti. Esse hanno ritenuto che fosse più saggio trasformare una debolezza in opportunità e conquistarsi anche una buona immagine. L'obiettivo, però, non è tanto quello di lanciare sul mercato globale il prodotto buthanese quanto quello di mantenere l'agricoltura vitale, in grado di fornire occupazione e prodotti per la sussistenza. Le esportazioni sono infatti limitate (come inevitabile per un paese di montagna): un po' di ortaggi per gli hotel di lusso Thailandesi, mele di qualità verso l'India, riso rosso verso gli Usa. È comunque certo che il prodotto buthanese consegirà una notevole reputazione quando in tutto il paese non sarà pià in vendita un solo sacco di concime chimico o un solo fustino di erbicida.

     

     

    Un modello per le montagne del mondo?

     

    Perché questo obiettivo della conversione in blocco al biologico non viene fatto proprio anche dalle aree di montagna del mondo che, agli occhi del produttivismo agroindustriale, sono "marginali"? Anche qui e non solo in Buthan è impossibile produrre competendo con la quantità, mentre un prodotto "di montagna" ma in grado di dimostrare una qualità intrinseca (legata a procedimenti tradizionali, alle materie prime, al bio) può spuntare qual premium price che compensa i maggiori costi.

    La risposta al perché la montagna non segue la propria vocazione è facile: perché le montagne del mondo sono in gran parte aggiogate ad unità politiche più grandi e subalterne anche dal punto di vista culturale ed economico-  I regni himalayani sono l'eccezione. All'interno di una integrazione al mercato globale alla montagna si impone l'abbandono e l'esodo della popolazione o qualche forma di specializzazione in attività turistiche, energetiche, minerarie. Qua e là anche ad attività agricole. Il colonialismo non riguarda solo-  come si può erroneamente pensare - i paesi oltremare ma anche il cuore dell'Europa: le Alpi.  Qualche decennio fa la Nestlè aveva spinto la produzione lattiera nelle vallate fortemente spopolate delle Alpi del sud francesi. Salvo poi chiudere lo stabilimento di latte consensato e delocalizzare altrove la produzione. Così tornarono le pecore che erano state bandite sin dalla fine del XIX secolo dagli esperti forestali. Anche certe specializzazioni che oggi caratterizzano le agricolture di montagna, anche se non frutto di un colonialismo così scoperto, appaiono fragili e sbagliate (sia che si tratti ancora una volta di zootecnia da latte piuttosto che di mele).

    Perché, però, non cercare di superare le resistenze degli interessi locali legati agli interessi forti esterni alle montagne? Perché non cominciare a praticare il modello tutto bio dalle terre chiuse tra le più alte montagne d'Europa?

     

    Modelli a portata di mano (buoni e cattivi)

     

    La Val Poschiavo, valle svizzera confinante con la Lombardia (5mila abitanti), è arrivata a oltre il 90% di agricoltura bio, mentre l'intero Canton Grigioni con 190 mila abitanti ma il più esteso della Svizzera, con un'ampia superficie agricola di 200 mila ettari (costituita in larga misura da prati e pascoli) è già al 50%. Nell'intera Svizzera l'agricoltura bio rappresenta il 15% delle superfici, il 20% in Austria. In Trentino e in Valtellina (ma anche in altre zone alpine italiane), invece, il bio è al palo. In Val Poschiavo è attiva la zootecnia (sia da latte che da carne), vi sono coltivazioni di frutta e di erbe medicinali . La zootecnia da oltre un decennio in qua ha completato il percorso della conversione al bio. Sono bio tutti gli allevamenti di vacche da latte (che conferiscono al Caseificio Sociale Valposchiavo) e quelli di vacche nutrici.

     

    Coltivazioni bio in Val Poschiavo

     

    Al di là del confine le cose vanno in modo molto diverso. In tutta la Valtellina c'è un solo produttore vitivinicolo bio (La Torre di Zanolari a Bianzone) che è certificato da un ente svizzero e vende prevalententemente in Svizzera. Poi delle mosche bianche che producono mele e formaggi bio. In Trentino la viticoltura bio, osteggiata dalle istituzioni, è comunque arrivata a quasi il 6% di vigneti. Le mele trentine, però, sono solo allo 0,5% bio.

    E i valtellinesi, invece di puntare al bio e fare concorrenza a Melinda, proprio quest'anno hanno firmato una convenzione con la Fondazione Mach (il braccio agricolo della provincia autonoma, presieduto da Francesco Salamini, un fautore degli OGM). Vogliono andare ad impare dai "maestri" trentini (che arrivano a praticare 36 trattamenti in meleto per stagione) a "ristrutturare" la melicoltura valtellinese. Con la brama di portare le produzioni da 380 (media valtellinese) a 600 q.li per ettaro (media trentina). Altro che bio! Quanto alla zootecnia sia a Trento che a Sondrio il modello dei grandi caseifici industriali e delle "stallone" continua ad imperare.

    In Lombardia c'è l'attenuante che la montagna è piccola parte dell'agricoltura regionale. Di qui impostazioni della politica regionale marcatamente produttivista cui non sfugge neppure la montagna. Il Trentino è una provincia, per di più autonoma, tutta montagna ma nell'ansia di sentirsi adeguata alla modernità e di scrollarsi di dosso l'eredità della cultura contadina chi ha avuto potere decisionale in ambito agricolo ha abbracciato (con lo zelo acritico degli ultimi arrivati), le culture del marketing e dell'efficientismo e della magia tecnoscientifica (la nomina di Salamini è emblematica) coniugate a peraltro non tramontate logiche assistenzialiste e paternaliste.

    Il bio in Trentino, ma anche in Valtellina, è ancora un fatto di rottura. A maggior ragione va sostenuto e promosso. E se gli interessi costituiti frenano ci devono pensare la società nella sua autonomia, le comunità a far crescere reti di consumo commerciali e non commerciali facendo sentire ai produttori "in bilico" (non ne mancano) tutta la spinta di una domanda inevasa, sia in senso economico stretto che, più ampiamente, di valori intorno alle scelte di consumo, allo stile di vita. La società è più avanti e molto meglio delle istituzioni.

     

    Bio territoriale per la montagna e la collina

    Le superfici ad agricoltura bio in Italia diminuiscano (così come il numero di aziende bio) mentre aumentano le aziende di trasformazione e commercializzazione e l'import. Un fatto grave, perché significa non si riesce a sfruttare l'opportunità di una domanda che è in continua crescita. Ancor più grave che non si cerchi di aiutare, con programmi di sostegno alla conversione al bio, l'agricoltura di montagna che soffre ancor più del resto del settore la crisi dei prezzi e dei costi e dove si registra l'interesse di giovani che vogliono "tornare alla terra".  In montagna, più che altrove, risulta però importante accompagnare i piccoli produttori negli adempimenti tecnici e amministrativi che la conversione al biologico comporta. Prati e pascoli - che rappresentano una larga quota delle superfici agricole montane, non sono né concimati con fertilizzanti chimici né trattati con pesticidi.

    Vi anche come risorsa importante la memoria di pratiche di quella che oggi viene defnita "agricoltura naturale", presupposto di un biologico non certo di facciata (tanto per restare nei parametri minimi dei regolamenti comunitari) ma che sia fortemente radicato nell'animus contadino, nel rispetto della terra madre.

    A fronte di queste risorse e opportunità, però, vi è anche una grande frammentazione fondiaria e i produttori più che altrove - impegnati in varie attività come sono - faticano a stare dietro agli adempimenti burocratici.

    Operare per significativi progetti territoriali a vantaggio di un insieme di piccoli produttori di vari settori  ("grandi progetti per piccoli produttori"), operando in uno spirito di legame con il luogo e la gente del luogo,  può consentire di sfruttare varie sinergie che si possono realizzare non solo nella fase di commercializzazione ma anche sul piano organizzativo, della formazione, dei rapporti con gli enti, i proprietari pubblici e privati dei fondi ecc.

    Può consentire di impegnare giovani del posto nella formazione tecnica e informatica, nell'accompagnamento nelle pratiche amministrative. Si tratta di interventi in capitale umano che risultano molto più redditizi e moltiplicativi dei tanti interventi "pesanti" finanziati a rafforzamanto delle strutture di produzione spesso non in linea con le tendenze del mercato. Parlando di bio il mercato cìè, i requisiti per una agricoltura un po' più green anche. Convertire al bio consente di assegnare nuova funzione ed economicità a strutture largamente già esistenti.

    Oggi è in embrione un movimento attraverso il quale le Terre Alte si rendono conto che devono riprendere in mano il destino del proprio territorio, anche nel senso più concreto di terre agricole, boschi, pascoli, acque. Il perseguimento di una svolta dell'agricoltura locale, della trasformazione di valli intere in senso biologico all'interno di questo movimento rappresenta un tassello importante.

     

    Il nodo della certificazione di gruppo: una necessità per la montagna

     

    Oggi in diversi paesi europei, specie nelle aree di montagna e svantaggiate operano piccoli agricoltori che applicano i principi e le regole della produzione biologica, ma non possono vendere i loro prodotti come biologici per diversi motivi: non hanno accesso alla certificazione in quanto troppo costosa, visti i volumi contenuti della loro produzione biologica, o non riescono a gestire la documentazione e le registrazioni richieste dal sistema di controllo europeo. Per dare a questi agricoltori la possibilità di accedere alla certificazione e vendere i loro prodotti come biologici è auspicabile adottare azioni comuni e formare gruppi di agricoltori. Questi gruppi avrebbero i loro sistemi di controllo interni. Con un semplice controllo a campione si eviterebbero le ispezioni su tutti gli agricoltori appartenenti a un determinato gruppo. Questa possibilità è in discussione in sede di elaborazione dei nuovi regolamenti Ue sull'agricoltura biologica.

    Oggi apre la consultazione aperta ai cittadini per sondare quali siano gli orientamenti in materia. Una delle domande riguarda proprio la possibilità della certificazione di gruppo sin qui impossibile. Vi prego di compilare il questionario almeno per quanto riguarda questo punto e l'incompatibilità del bio con gli OGM.

    Il questionario è disponibile online da oggi 15 gennaio al 15 aprile all'indirizzo web

    http://ec.europa.eu/yourvoice/ipm/forms/dispatch?form=orgagric2013&lang=it


     

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