(04.03.13) Tempi difficili per chi alleva animali in montagna. Si parla di "ritorno alla terra" ma è difficile non solo avviare nuove attività ma anche solo far restare in piedi quelle che esistono
Allevatori di montagna tra le
fauci del lupo e ... del mercato
di Michele Corti
Nel corso di alcune visite ad alcuni piccoli allevatori ovini della valli piemontesi emerge la grande difficoltà nella commercializzazione degli agnelli. I prezzi offerti dai commercianti sono irrisori e molti stanno ingrassando gli agnelli che a Natale non si sono potuti vendere. La soluzione: spiegare ai consumatori che si tratta di carni allevate in modo genuino, che possono essere consumate tutto l'anno
Il recente scandalo della carne di cavallo che è finita (non dichiarata) in polpette, lasagne, tortellini e quant'altro dovrebbe indurre i consumatori a tornare ad approvvigionarsi presso gli allevatori, i pastori. In Italia le montagne e le aree di alta collina sono presenti in tutte le regioni, non è diffcile - specie se i consumatori si organizzano tra loro in gruppi di acquisto - creare delle filiere cortissime. In Piemonte le valli fanno a corona della regione, a Sud, a Ovest, a Nord ed esiste anche una radicata tradizione pastorale basata sull'allevamento della pecora Biellese (ma esistono anche la Sambucana, la Frabosana e la Langarola da latte). L'allevamento ovino è concentrato nelle provincie di Cuneo e di Torino con il più vasto territorio alpestre.
Un comparto piccolo ma importante che potrebbe vedere facilmente assorbita la propria produzione in filiere a km 0
In termini numerici si tratta di un comparto tutto sommato modesto, ma che contribuisce in modo importante ad integrare il reddito delle aziende di montagna ed alla cura del territorio (vi sono anche aziende di tipo professionale con grossi greggi transumanti ma costituiscono una realtà distinta). Nel 2010 (Istat) sono stati macellati in Piemonte 24 mila agnelli e 1200 agnelloni. Considerando anche le pecore e gli arieti si arriva a 2.800 q.li di peso morto. Si tratta di 62 grammi per abitante. Un nulla anche rispetto agli scarsi consumi di carne ovina che in Italia si attestano su un kg per abitante. Con una modesta azione a favore del consumo di carne km 0 la produzione locale potrebbe essere assorbita nei circuiti corti dei GAS, delle mense pubbliche e della ristorazione "tipica".
Per fornire nuove opportunità alla valorizzazione delle carni ovine è stato attivato presso l'Istituto di Moretta (CN)- già noto per i corsi di caseificio - un salumificio didattico e sperimentale (foto sopra) pensato anche per la trasformazione (articolo di Ruralpini sulla visita al salumificio).
In realtà il mercato non penalizza solo le carni...
Nelle ultime settimane ho incontrato diversi allevatori di ovini e il quadro di mercato che mi hanno rappresentato è sconfortante. In Val Chisone ho conosciuto Oscar Plavan e il nipote Federico. La loro azienda (stalla e caseificio) si trova in Borgata Savoia di S.Germano Val Chisone. Alpe Lazzara
Zio e nipote allevano bovine a duplice attitudine (in prevalenza di razza Barà), il nipote alleva anche pecore di tipo Biellese. Nell'ambito dell'azienda dei Plavan l'allevamento ovino integra l'attività principale che consiste nella produzione e trasformazione aziendale del latte vaccino. L'allevamento è impostato sull'alpeggio (Alpe Lazzara a Leiretta di Pramollo), alle vacche non si chiedono elevate produzioni ma robustezza e resistenza alle malattie. A omanda circa la razione invernale delle vacche Oscar risponde: "No, niente mangimi, sono troppo cari".
La produzione è basata sulla toma e sul seirass (ricotta). Entrambi i prodotti sono di ottima qualità. Non è facile trovare tome che non sappiano di amaro e che non presentino un qualche difetto di spurgo come queste di Oscar. Peccato che il prezzo di vendita prativcato nel negozio aziendale (dove viene esitata buona parte della produzione) è basso, specie tenendo conto della notevole qualità del prodotto. Sei euro al kg per queste tome sono un prezzo assolutamente non adeguato. Il guaio è che il consumatore "di prossimità" è assuefatto a certi difetti che considera quasi come fossero un elemento di tipicità e non apprezza come dovrebbe prodotti "a regola d'arte".
Il consumatore locale, abituato al fatto che il formaggio sia d'alpeggio, non premia neppure il prodotto dell'alpe che viene venduto allo stesso modesto prezzo. In questo caso attivare una filiera un po' meno breve, raggiungendo i consumatori di Pinerolo e di Torino potrebbe portare sicure soddisfazioni. Ai tanti che si recano al Sestriere a sciare mi permetterei di suggerire una piccola deviazione: passate da S. Germano abbandonando per un breve tratto la strada principale e fermatevi a fare acquisti da Oscar. Poi, superata l'azienda, rientrate quasi subito sullo stradone.
Ragazzi con una grande passione, che si sottopongono a duri sacrifici per difendere le loro pecore dai lupi
Le pecore, allevate da Federico, sono sistemate sia in un box ricavato sotto una garnde tettoia per gli attrezzi e le macchine agricole che in un ricovero di fortuna realizzato con tubolari e teli di plastica (foto sotto).
Il numero di pecore allevate consentiva gli scorsi anni di mungere una discreta quantità di latte che veniva usato per la caseificazione mescolato a quello vaccino secondo una pratica ancora molto diffusa nelle valli di Cuneo e di Torino.
Purtroppo la passione di Federico è stata messa a dura prova dalla presenza dei lupi. Nonostante la predisposizione di un recinto per la notte e l'assidua presenza sul pascolo un capo, rimasto accidentalmente fuori dal recinto, è stato ucciso lo stesso dai lupi. I quali hanno anche ucciso il vitello della foto sotto. Il fatto è avvenuto a fine alpeggio sui pascoli bassi. Le altre vacche erano ricoverate in stalla ma non c'era posto per una partoriente. Così il vitello appena nato è stato sbranato. Segno evidente che i lupi sono costantemente in agguato, fanno la posta a greggi e mandrie e, appena c'è una smagliatura nel dispositivo di difesa passiva, ne approfittano.
Queste sono foto di foto (lo si vede nel caso di quella sotto), portate dai Plevan per protesta alla fiera di Pramollo insieme a quelle di quello che rimaneva di alcune capre di altri allevatori che sono state sbranate nel corso dell'alpeggio. Gli animalisti amici dle lupo vorrebber censurare queste immagini e definiscono "terrorismo" la loro pubblicazione. È evidente che mettono in imbarazzo la loro presunta coscienza animalista. Loro che sono pronti ad accusare gli allevatori di "maltrattamento" quando si imbattono in un animale all'aperto in una giornata invernale (non sapendo che pecore coperte di lana e con deposito di grasso sottocutaneo, cavalli, vacche hanno un ottimo termico che scende diversi gradi sotto zero) vorrebbero rimuovere queste immagini di sofferenza perché fanno a pugni con l'ideologia del "lupo è bello" che hanno sposato facendo finta che un vitello, una pecora non sono animali ma "bistecche ambulanti".
"Dormo nel sacco a pelo"
Spostiamoci a Nord, in val di Viù. Nella foto sotto è ripresa una parte del gregge di Albertina Tricca (nella foto con il marito). La coppia con le pecore sono gli unici abitanti in inverno della frazione Forno di Lemie. In estate alle loro pecore si uniscono quelle di altri piccoli proprietari e per due mesi il gregge riunito sale nella "zona dei laghi". Un pascolo comunale utilizzato da tempo immemorabile dove non esistono ricoveri. Il marito quando sale a custodire il gregge dorme in un sacco a pelo. Ci si potrebbe domandare: ma come facevano un tempo a convivere con i lupi senza recinti, senza ricoveri? Evidentemente c'erano altri mezzi di difesa e quest'ultima si basava molto su mezzi attivi (trappole, caccia). La scorsa estate i lupi hanno attaccato in tre occasioni il gregge. Per ora non si parla di mollare. Lo ha fatto, invece, Aldo Rocci, un allevatore della stessa valle che - dopo aver subito diversi attacchi all’Alpe Vieirei, al Colombardo, per contrastare gli attacchi dei lupi ha adottato una soluzione radicale: ha venduto il gregge di 230 capi (vedi articolo de Il Risveglio). Una notizia che avrà fatto felici gli animal-ambientalisti più radicali (o meno ipocriti) che sostengono apertamente che la presenza dell'uomo e delle pecore rappresenta un "disturbo" alla montagna, alla natura.
"Noi resistiamo ma l'Aldo ha mollato"
Quando sono andato a trovare la sig.ra Tricca le ho chiesto se fosse riuscita a vendere gli agnelli per Natale. "Si - ha risposto - ma perché abbiamo un nostro parente che fa il macellaio, se non ce li dovesse prende più lui non sapremmo a chi darli". Il breve tour termina da Anna Arneodo di Santo Lucio di Coumboscuro, piccola frazione del comune di Monterosso in val Grana (non si tratta di S.Lucio patrono dei casari e degli alpeggi ma della più nota Santa Lucia che in provenzale ha esito in "o" e non in "a"). Anna ha persino la certificazione bio ma pare che neppure questo aiuti a vendere gli agnelli. Anche lei ha tenuto quelli che avrebbero dovuto essere venduti come agnelli da latte a Natale ma si dice preoccupata per la Pasqua: "richieste per ora non ci sono, i commercianti se vuoi ti danno due euro al kg". Niente.
"I miei sono persino certificati bio, ma non li vogliono lo stesso"
Danni da lupo Anna ne ha da diversi anni in qua. Solo qualche giorno fa ha trovato - per la prima volta - delle orme vicino a casa.
Da una parte c'è il mercato "globale", che è una brutta bestia, dall'altra la reazione schizofrenica del mondo animalista metropolitano e vegano che non riesce a comprendere che distruggendo la pastorizia - imponendo per puntiglio ideologico la protezione assoluta del lupo e alimentando le campagne strappa lacrime contro la "strage degli agnellini innocenti" distrugge un sistema che è veramente l'unico sostenibile di produzione di carne (insieme ad alcuni che sfruttano sottoprodotti agricoli). Il fatto che gente come Veronesi - sostenitore di nucelare, OGM, inceneritori, sia alleata di questa campagne dovrebbe far riflettere un po' di più certuni.
Un vero ecologismo alimentare, una vera agroecologia devono difendere il pastoralismo, anche dal lupo, garantendo che la pressione predatoria non superi una soglia di rottura. L'invito è a venire a visitare gli allevamenti, gli alpeggi, le borgate che in inverno sono semispopolate (foto sotto) a vedere cosa mangiano le pecore, come sono trattate. A chi non rifiuta la carne in assoluto, ma solo la carne insostenibile, l'appello è a consumare queste carni con fiducia. Un consumo sostenibile e solidale.