(22.12.12) Socio inganni e bio inganni. La società della tarda modernità, del capitalismo tecnoscientifico e usuraio è la società del rischio e dell'inganno
La società dell'inganno
Il sistema opera il trasferimento di
ricchezza dalle tasche dei poveri a quelle degli
speculatori con la mistificazione ecologica
di Michele Corti
Con la compiacenza dei filoni istituzionali dell'ambientalismo l'ecologia viene manipolata quale strumento di oppressione sociale a danno di chi ha scarso potere. La politica delle "energie rinnovabili" dall'Africa a quello che quello che resta delle nostre campagne rappresenta una conferma amara e illuminate di questa tendenza
Il potere oggi si basa in gran parte sulla capacità di autoconvinzione dei sudditi, dei consumatori eterodiretti, degli sfruttati, di vivere in una democrazia, di avere possibilità di scegliere, di essere in qualche modo partecipi. Ciò consente di risparmiare molte risorse che sistemi sociali del passato destinavano agli apparati di comando e controllo (che oggi sono peraltro più pervasivi anche se meno visibili). Guai, però, se si fa notare che il buonismo con il quale ama identificarsi il potere nasconde una disuguaglianza molto più accentuata che in società lontane nel tempo o nello spazio citate ad esempio di feroci oppressioni di classe.
Se si contestano i dogmi della dittatura della correttezza politica si rischia l'esclusione sociale ma prima ancora scattano meccanismi che il sistema è riuscito ad interiorizzare dentro le coscienze: ti senti inadeguato, non moderno, oscurantista. Scatta l'autocensura.
L'apparato tecnoscientifico sfrutta il principio di autoritas, è improntato a un sapere gerarchico, dogmatico e non democratico ma guai se si fa osservare che la chiesa è stata per secoli bersaglio delle "menti illuminate" proprio per questi motivi. Ci fanno credere che è la crescita demografica "senza freni" a mettere in crisi il pianeta quando essa è già in frenata (tranne in Africa) e quando l'impronta ecologica di chi vive nei paesi poveri è una frazione di quella dei consumatori satolli dei paesi ricchi.
Da quelche tempo, però, anche nel seno delle società "opulente" gli squilibri sono in crescita vertiginosa. Non è solo la povertà relativa a crescere ma anche quella assoluta.
Questa settimana l'Istat ci ha informato che dal 2010 al 2011, sono aumentati dall’11,2% al 17,9% gli italiani che dichiarano di aver dovuto state al freddo per risparmiare sulle spese di riscaldamento.
Una rapina legale
Però l'Italia è il paese che premia con gli incentivi più di lusso d'Europa le finte energie rinnovabili che hanno solo lo scopo di premiare una speculazione in cui i potentes di ogni colore politico, laici o cattolici, sono implicati. Non sono solo gli oscuri meccanismi della globalizzazione a generare povertà e diseguaglianza ma le scelte che i politici "nostrani" attuano sotto i nostri occhi. Le bollette del'elettricità sono divenute ancora più salate per finanziare, con un sovraprezzo del 7% le “energie rinnovabili”. Nella maggior parte dei casi si tratta di un regalo a grossi speculatori, alla finanza delle grandi famiglie (ex)industriali e quella legata alla politica e a tutta la fauna prenditoria: dai grossi squali ai magliari di paese. Il governo che oggi è arrivato al capolinea, nel mentre pigiava sulla leva fiscale, sulla tassazione della casa, invocava la necessità di un rigore a senso unico che ha lasciato immune dai tagli un apparato statale tutt'altro che efficiente e tutt'altro che esente dalla corruzione (come testimoniano i recentissimi scandali del Ministero degli Interni e del Ministero delle politiche agricole) funzionale a chiudere la società in una caserma fiscale e a prevenire sul nascere l'opposizione sociale. Il tutto in nome di interessi forti transnazionali, della tutela di chi incassa gli interessi del debito pubblico e vuole continuare ad incassare elevati interessi (specie se confrontati a quelli tedeschi = 0) ma al tempo stesso vuole la certezza che il capitale non corra rischi.
I tecnocrati della sollecitidine (?) sociale
Il governo dei tecnocrati che si è dimesso oggi comprendeva anche i tecnocrati della solidarietà, della diplomazia "umanitaria". Garanti delle operazioni antipopolari grazie alla loro immagine buonista. Gente come San Riccardi, "abate" assoluto della Comunità di S.Egidio (l'Onu di Trastevere), influentissima e anomala comunità ecclesiale, tanto potente che nessuno osa lanciarle contro gli strali che piovono contro C.L. e l'Opus Dei.
Monti, Clini, San Riccardi e i vari professori e superburocrati che formavano la compagine governativa (laici, cattolici, massoni, cattomassoni che fossero) hanno preso molti provvedimenti che hanno reso i poveri più poveri e i ricchi più ricchi. Tra questi i regali offerti alla potente lobby dell'energia da biomasse. Il primo del regali è consistito nella proroga dei termini per poter lucrare la "vecchia" tariffia onnicomprensiva per gli impianti sino a 1MW (pari a ben 28 cent/kWh). Il termine precedentemente fissato del 31 dicembre 2012 è stato spostato al 30 aprile 2013. Un provvidenziale aiuto per le tante centrali che stavano subendo ritardi per l'azione dei comitati, di amministrazioni locali ed enti scrupolosi intenzionati a vederci chiaro nei progetti, a chiedere miglioramenti e prescrizioni. L'altro regalo è consistito nella "limatura" della suddetta tariffa onnicomprensiva. Una limatura più apparente che reale se i proponenti hanno l'accortezza di ridimensionare un po' la taglia degli impianti e di millantare un recupero di energia termica con la cogenerazione. Aggiungasi che la lobby aveva già compreso che la diffusione di impianti da 1MW (specie per le centrali a biogas) trovava ostacoli oggettivi alla penetrazione nel centro-sud. La realizzazione di svariate centrali geminate, trigeminate e quadrigeminate nello stesso sito (basta creare società diverse sulla carta) insegna poi che "fatta la legge, fatto l'inganno". Chissà quante centrali 0,3MW x 3 o 0,5MW x2 vedremo nei prossimi anni!
La scusa del “ritardo da rimontare”
Sul governo dei tecnocrati nelle cui ovattate stanze del potere, non sono arrivate di certo l'eco delle spesso rabbiose proteste di centinaia di Comitati spontanei in tutta Italia che si oppongono alla realizzazione delle centrali a biomasse ha pesato la forza di una lobby fattasi sempre più gagliarda quanto più soci essa conta (siamo già a 1000 centrali solo a biogas)
La scusa del "ritardo da rimontare" nel settore delle "rinnovabili" che poteva vagamente valere qualche anno fa non esiste più
L'opposizione alla proliferazione delle centrali a biomasse, favorita come visto anche dalle scelte del governo Monti, va ricercate nella consapevolezza di essere in presenza di una grande truffa. Grazie all'etichetta “bio” si è cercato di far passare una operazione puramente speculativa per una “missione etica” (o comunque per qualcosa contro il quale non è possibile obiettare nulla perché “ce lo impone l'Europa”, “ce lo impone Kyoto”).
Quando i cittadini si rendono conto, informandosi autonomamente rispetto ai grandi media nazionali (che tacciono o si prestano ad avvalorare la manipolazione), di essere ingannati, che le favole sulle “emissioni zero” nascondo seri impatti ambientali, che della preoccupazione per la loro salute non c'è alcuna considerazione, allora la reazione è “vivace” per quanto si scontri con regole del gioco truccate (le centrali a biomassa non sono classificate industrie insalubri ed anzi opere “di pubblica utilità, urgenti e indifferibili”).
Una truffa sin nelle premesse
La truffa inizia sin da quella etichetta “rinnovabili”. Nelle FER (fonti di energia rinnovabile) vengono comprese anche le biomasse agricole coltivate appositamente per alimentare impianti di combustione (o di digestione anaerobica (dove si produce biogas, al 60% di metano). La combustione di biomasse riguarda oli vegetali (ottenuti per spremitura da piante come colza, coltivata anche in Italia e in Europa e l'olio di palma o di Jatropha) o materiali solidi: pellet di legno, paglia, cereali appositamente coltivati. La digestione riguarda per la maggior parte prodotti agricoli: mais, triticale, sorgo e, per una quota minore, reflui zootecnici e scarti dell'industria agroalimentare. Definire “rinnovabile” un'energia che richiede l'impiego di grandi quantità di energia fossile per la lavorazione dei terreni, la produzione dei concimi chimici e dei pesticidi, i trasporti equiparandola a fonti come il sole e il vento o le maree è di per sé fuorviante . In più si deve aggiungere che le superfici utilizzate per produrre queste biomasse sono spesso sottratte alle foreste, alle savane, alle torbiere in Estremo oriente o in Africa. La messa a coltura di queste terre “vergini” provoca grandi emissioni di CO2 per la mineralizzazione della sostanza organica contenuta in questi terreni naturali, l'aumento dell'uso macchinari, concimi chimici e pesticidi.
Per ora smascherato l'olio di palma
La scarsa sostenibilità della produzione di olio di palma (legata alla distruzione di ambienti naturali ma anche alle condizioni di impiego della manodopera). L'agenzia per l'ambiente Usa ha classificato nel 2012 l'olio di palma Indonesiano e Malesiano quale biocombustibile “non rinnovabile” in quanto i risparmi di emissione di gas serra sono inferiori al 20%, soglia necessaria ad ottenere questa qualifica. Lo stesso ha fatto la Ue e diversi paesi hanno già escluso l'olio di palma dall'elenco delle biomasse che possono ambire ad ottenere incentivi per la produzione di energia rinnovabile. Ma anche la Jatropha, che gli apologeti dell'uso delle biomasse come fonte energetica indicavano come pianta “non competitiva” con le coltivazioni alimentari in grado di essere coltivata in terreni semidesertici, di fatto viene coltivata utilizzando acqua di irrigazione, pesticidi e concimi chimici su terre in parte sottratte alle comunità rurali in parte alle foreste. Fenomeni simili avvengono anche a casa nostra. Le superfici destinate alla produzione di biomasse per utilizzo energetico derivano solo in minima parte da colture no food come il tabacco. In gran parte si tratta di superfici che in precedenza erano destinate a food (alimenti umani) e al feed (alimenti per gli animali di allevamento).
Biogas: operazione in perdita (per l'ambiente e la società)
Le centrali “agricole” a biogas sono passate in Italia da 179 nel 2010 a 499 nel 2011 a 1000 nel 2012. Sola a Cremona se ne contano 140 che utilizzano quasi 20 mila ettari di superficie, il 15% di quella coltivata. Nella maggior parte dei casi si è continuato a praticare la monocoltura del mais (con forti impatti ambientali) solo che ora il il trinciato di mais insilato alimenta i biodigestori e non le vacche da latte. Dal momento che queste ultime però, almeno sino ad oggi, non sono calate ma - tra il 2010 e il 2012 - sono passate da 118 mila a 187 mila è giocoforza che l'insilato di mais finito nei biodigestori abbia dovuto essere sostituito da mangimi e foraggi prodotti altrove, trasportati a notevoli distanze e prodotti a costi energetici nettamente superiori. La resa energetica dell'insilato di mais prodotto in loco nelle condizioni della pianura padana è molto alta. L' EROEI (resa energetica per unità di energia investita) nel processo è per l'insilato di mais padano pari a 7 (una unità di energia fossile per ottenere 7 unità di energia) mentre per cereali e foraggi convenzionali scende della metà. Uniti ai costi energetici diretti per la produzione di silomais da biogas a quelli indiretti della sostituzione.
Che si producano bioenergie, biogas, biocarburanti a casa nostra o in estremo oriente il succo è che – se il consumo umano e zootecnico non cala - da qualche altra parte si è dovuta intensificare la produzione agricola, sottrarre terra alla produzione alimentare o mettere a coltura terre incolte o foreste. Un “gioco” che significa che non si risparmia né energia fossile né emissioni di gas climalteranti.
Lo spreco dell'energia prodotta
Il risultato apparentemente sconcertante con il quale con la produzione di energia “rinnovabile” si rischia di consumare più energia fossile di prima è legato anche alla bassa efficienza dell'utilizzo dell'energia delle biomasse considerato che solo 1/3 di essa viene sfruttata per produrre energia elettrica (superincentivata) mentre il resto viene disperso come calore in atmosfera. Ogni soluzione che riduce la produzione lucrosissima di energia elettrica pseudo pulita è anteposta a quelle che potrebbero favorire un buon assetto cogenerativo. Così negli impianti a combustione di biomasse si riscalda l'acqua di raffreddamento dei motori ma non si utilizza una parte dell'energia termica prodotta sotto forma di vapore perché le turbine girerebbero di meno e gli alternatori produrrebbero meno elettricità. Non si cerca la massimizzazione dell'uso dlel'energia ma della produzione di energia elettrica. Ha senso? No perché l'obiettivo fissato per il 2020 della quota di energia elettrica da fonti “rinnovabili” è già stato superato mentre per quello relativo all'energia termica siamo al di sotto degli obiettivi.
L'inganno nell'inganno: il teleriscaldamento
La cosiddetta “cogenerazione”, che è tale solo se con il calore delle centrali a biomasse si spengono delle caldaie fornendo con il teleriscaldamento acqua calda (calda, non tiepida) alle abitazioni, ai luoghi di lavoro, agli impianti sportivi ecc. Un fatto impossibile perché o i “camini” si avvicinano alle abitazioni, alle scuole, agli ospedali, esponendo chi vive nelle immediate vicinanze agli effetti di forti emissioni inquinanti e ai miasmi (biogas) o si devono realizzare chilometri di tubazioni (in acciaio) a costi che i gestori degli impianti non si sognano di assumersi. Nei progetti, però, la cosa viene prevista e si promette di fornire l'acqua calda a serre fantasma, strutture comunali, case di riposo, palestre ecc. ecc.
Altro che “emissioni zero”
Spesso dai piazzisti del biogas si sente ripetere che esso si produce a “emissioni zero” ma una centrale da 1MW elettrico emette 35 kg di NO2 (ossidi di azoto = precursori delle polveri sottili) al giorno. Qualcosa che equivale alle emissioni di 20 mila autovetture che percorrono 20 km al giorno e 10 volte tanto le emissioni di una moderna centrale elettrica a turbogas per unità di energia prodotta senza contare che l'approvvigionamento di biomasse (materiali voluminosi) induce un forte aumento del traffico pesante in zone di campagna dove il traffico è molto modesto e la rete viaria non è adeguata a sopportare il via vai di mezzi pesanti (con danno economico alle strade comunali e vicinali ma anche con rischi per la sicurezza di chi transita). Questi disagi (emissioni, odori, traffico, danno paesaggistico) si ripercuotono anche sulle attività economiche nelle vicinanze (specie gli esercizi pubblici e le strutture turistiche) e sul valore degli immobili con gravi costi sociali. L'intera economa agricola è turbata dall'aumento dei prezzi degli affitti dei terreni (raddoppiati o triplicati nelle aree interessate) e dei foraggi. Senza contare l'aumentata competizione per l'acqua di irrigazione indotta da colture più intensive e in secondo raccolto. Senza contare che la sostanza organica dei residui colturali e dei reflui zootecnici dei digestati è pari al solo 35% della sostanza organica iniziale e si va a depauperare di sostanza organica terreni che (in pianura padana e ancor più in altre zone d'Italia) sono ormai poveri di sostanza organica (meno del 2%) a causa delle intense e profonde lavorazioni del terreno e di colture depauperanti. Una pesante ipoteca sulla fertilità a lungo termine. Che agli speculatori evidentemente non interessa, a loro interessa incassare per 15 dal gestore elettrico la “tariffa onnicomprensiva).
Agricoltura in ginocchio
Nella corsa ad accaparrarsi terreni in affitto i biomassisti tagliano fuori qualsiasi concorrenza e vi è il pericolo che l'ulteriore peggioramento di redditività induca ad abbandonare coltivazioni tipiche e allevamenti mettendo le terre a disposizione della lucrosa produzione di biomasse. La sproporzione tra i ricavi di attività convenzionali agricole e della produzione di energia “rinnovabile” è infatti enorme grazie ad una tariffache per gli “impianti agricoli” (che possono arrivare a 1MW) è di 28 cent/kWh. Il che significa almeno 2,1 milioni di euro di incasso elettrico e 1 milione di profitto annuo garantito per 15 anni dal Gestore dell'energia elettrica (a fronte di un investimento di 3-3,5 milioni di euro). Lo scandalo è che questo reddito è “agricolo” ovvero esentasse (si continua a pagare in base allo stesso reddito agrario e dominicale che sono legati al valore d'estimo del tipo di terreno). Non è finita. Sulle superfici coltivate a biomasse, almeno per ora, si incassano i premi della PAC.
Land grabbing
Tutto ciò spiega perché ci sia una corsa speculativa che interessa gruppi economici e finanziari. La maggior parte delle centrali sono promosse da società agricole costituite ad hoc dove gli agricoltori hanno spesso un ruolo di “teste di legno”. E pensare che le “agrienergie” erano state presentate (furbescamente sin dall'inizio) come un “aiuto all'agricoltura”. Tenendo conto di quello che sta succedendo si profila proprio l'opposto: i gruppi finanziari, forti anche della liquidità assicurata dal business delle centrali a biomasse, stanno mettendo le mani sulla terra attraverso contratti di affitto o di utilizzazione a lunga scadenza dei terreni che rappresentano l'anticamera anche di un non lontano passaggio di proprietà. Una tendenza che non lascia intravedere nulla di buono. Con la prospettiva di una colonizzazione delle nostre terre non troppo dissimile dal land grabbing in atto in Africa.