(07.10.12) Un nuovo film sui pastori. Con il pregio che non sovrappone alla realtà dei pastori lombardi visioni preconcette o una poetica propria del regista ma lascia che siano i protagonisti a raccontarsi, a rappresentarsi
"Fuori dal gregge"
I pastori vaganti lombardi
si raccontano
di Michele Corti
Con la loro opera prima tre giovani filmmaker milanesi hanno fatto raccontare ai pastori transumanti lombardi la loro attività. Un racconto a molte voci che ha consentito ai pastori di presentarsi come vogliono apparire, senza mitizzazioni ma anche fuori dai cliché sui pastori "residuo del passato" e un po' asociali
Che a Parre ci fosse la sala gremita sabato 6 ottobre per la proiezione di "Fuori dal gregge" c'era da aspettarselo. Parre è una di quelle comunità che non solo non si vergogna della propria matrice pastorale ma che ne fa un motivo di orgoglio e - specie di questi tempi - un ancoraggio identitario.
Una comunità "fuori dal gregge"
A Parre sanno bene che i pastori hanno sempre garantito con il guadagno della loro attività solide basi al futuro delle famiglie, avviando piccole imprese in altri campi, facendo studiare i figli anche all'università. Sanno che i pastori sono sempre stati soggetti intraprendenti e rispettati. Particolarmente in Svizzera dove valgono meno che in Italia i pregiudizi di una cultura urbanocentrica che guarda con sospetto chi, come il pastore, gode una indubbia libertà rispetto alle costrizioni della vita cittadina e sfugge all'ossequio alle gerarchie sociali.
Ad assistere a "Fuori dal gregge" a Parre c'era anche qualche pastore e "addetto ai lavori" ma il pubblico era uno spaccato della comunità con gente di ogni età (compresi i bambini). I quarantun minuti della proiezione sono stati seguiti da una lunga serie di domande a Cristina Meneguzzo e Michela Barzanò , quindi all'interveto di Tino Ziliani, presidente dei pastori. Il tutto nell'attenzione generale. Sarà interessante, da questo punto di vista, confrontare la reazione di un pubblico molto speciale come quello dei parresi con altri pubblici.
A Parre la gente sa bene cosa sia la pastorizia transumante e nel film ha potuto verificare che essa è - in diversi suoi aspetti - rispecchiata in modo efficace. È stata data la possibilità ai pastori di svolgere una loro narrazione collettiva composta da quindici voci (tanti sono i pastori coinvolti). Un gruppo di giovani e meno giovani che parlano con lingua sciolta (e già questo potrebbe apparire strano a chi nutre ancora certi pregiudizi).
Cristina Meneguzzo (foto sopra) ha chiarito che nel procedere al montaggio del film si è osservata una procedura partecipata con il coinvolgimento dei pastori. Alcuni di loro si sono prestati a visionare il materiale e hanno indicato quegli aspetti che non ritenevano opportuno inserire. Le oggettive difficoltà di un sistema pastorale vagante non consentono di conformarsi sempre alle regole burocratiche e c'è quindi il rischio di riprendere situazioni in cui il pastore può apparire "fuori della regola".
Le regole burocratiche nella nostra epoca sono particolarmente soffocanti ma esistevano peraltro anche in passato e hanno sempre rappresentato uno dei termini del conflitto tra società stanziale e pastori vaganti. Non a caso nel film questo è un aspetto che i pastori sottolineano ripetutamente "Mica posso portarmi in giro una segretaria per compilare le carte".
Fuori dal gregge
In realtà i pastori sono "Fuori dal gregge" perché più di altre "categorie" rappresentano un gruppo sociale con una forte identità, che mantiene codici propri, regole che seguono una logica diversa da quelle di una società che, nella sua stragrande maggioranza è stanziale e vive in modo molto diverso dai pastori (si veda la discussione sul modo di regolare le divergenze tra pastori specie in relazione alla "batida" ovvero l'area di pascolo vagante di cui ciascun pastore è "titolare" per legge non scritta). Questa "diversità" è alla base di un orgoglio che consente ai pastori di "piegarsi ma non spezzarsi", di adattarsi ai cambiamenti sociali ed economici senza rinunciare a mantenere un sano distacco dalla società stanziale (che oggi è quella tardo-industriale e iper-consumistica). Essa a volte li commisera come personaggi da presepio ma - come ricordano i pastori nel film - non esita a bestemmiargli dietro quando un gregge che percorre una strada fa perdere qualche minuto ad isterici automobilisti.
Chi sono i veri ecologisti?
Rispetto a chi vive sempre in scatola (nelle lamiere di un auto o tra le mura di un ufficio e di un appartamento) il pastore non può che nutrire una certa commiserazione. Una commiserazione che assume toni pungenti di fronte a personaggi della società urbana che si qualificano come ambientalisti (magari con tanto di qualifica di guardia ecologica o ecozoofila). Nel confronto, quasi sempre conflittuale, con i saccenti ambientalisti emerge tutta la distanza tra chi vive, per l'appunto, inscatolato, e chi - in forza della propria attività, non vive la "natura" come un fatto esterno ma come parte di una esperienza quotidiana e coglie in un rapporto continuo, quotidiano, aspetti che la conoscenza libresca e comunque schematica della maggior parte degli ambientalisti urbani non coglie. Ne discende una forma di rispetto intrinseco (anche se in forme che si adattano alle circostanze) per tutto quello che i Verdi vorrebbero oggetto di rigida tutela burocratica da imporre a colpi di sanzioni e divieti.
Non per nulla una delle "doglianze" principali dei pastori riguarda il rapporto con i Parchi, i divieti di pascolo e anche di transito imposti nelle aree fluviali che sono sempre state utilizzate dai pastori sin dalla ripresa della transumanza a lungo raggio nel XII secolo. I pastori, però, non si limitano a contestare un ecologismo di facciata e burocratizzato ma sono anche i primi a denunciare i veri danni ecologici. A partire da quello dei pesticidi: "Una volta quando le portavamo nei vigneti della Franciacorta dopo la vendemmia sbranavano le foglie, lasciavano il tralcio pulito, senza danneggiarlo. Oggi, invece, stanno a guardare foglie verdi come insalata e non le toccano".
Pastori
e politica
L'intervento di Tino Ziliani, il presidente dell'associazione pastori lombardi (foto sopra), ha messo in luce come i pastori sappiano andare al di là delle lamentele e a dare espressione politica alle loro posizioni. Del resto anche pastori come Danilo Agostini, quasi incontenibile una volta che prende la parola, dimostrano di essere al tempo stesso spontaneità e capacità di far valere la loro retorica contro la retorica "verde" o agroindustrialista. Tino nel suo intervento non ha risparmiato frecciate contro i Parchi ma anche contro le istituzioni in genere e la politica. "Non ci considerano perché siamo pochi" sostiene Ziliani. Ben diverso il trattamento riservato agli ambientalisti che ricevono generosi finanziamenti... "per venire a insegnare a noi come si fa il pastore". Nella sua critica alla politica Tino assume toni tipici dei movimenti sociali più che di una categoria eonomica.
In effetti l'interesse per i pastori c'è ed è in crescita. Lo testimonia questo e altri film che rappresentano altrettante occasioni per portare i problemi dei pastori, ma anche della realtà agricola e delle "aree protette" entro le quali si muovono, dentro il dibattitopubblico.
I pastori non seguono la strategia corporativa delle "categorie professionali" mirante ad ingraziarsi i politici attraverso i canali lobbystici e clientelari ma che chiedono solo "un tavolo" - alla luce del sole - per parlare di orsi e lupi come di pascolo nei parchi fluviali, che desiderano farsi conoscere dal "pubblico", sono l'avanguardia di una nuova politica. Per loro non esiste una politica staccata dall'economia, dalla vita reale.
In questo, oltre che nella
loro sensibilità
ecologica
"intrinseca" e
nella loro critica
dell'ambientalismo
urbano,
consiste la loro "novità". Seguita con sempre più interesse
come testimonia, oltre all'uscita di
tanti film sui
pastori, il successo del
blog
"pascolovagante"
di Marzia Verona
(nonché dei suoi
libri) . I
pastori
rappresentano un
riferimento del
post-ambientalismo
che non vive di
astratti
principi di
protezionismo
ambientale
arrogandosi di parlare a nome
di un "ambiente"
muto
ma che fa
riferimento a
soggetti
concreti: i
contadini, i
pastori, i
consumatori che
si sottraggono
alla tirannia
del mercato. Che
pone al centro
della sua azione
al tempo stesso
culturale,
educativa,
economica,
politica il
nesso tra la
terra e il cibo.