(08.10.12) Sulla "strada delle malghe" che collega le lombarde val Camonica e alta val Sabbia le malghe sono ancora aperte e si munge. Un fatto che fa riflettere e che indica una potenzialità ancora largamente inespressa
La "strada delle malghe"
C'è, è stupenda, ci gravitano decine di malghe
ma grazie alla grande fantasia degli enti è solo la "SS 345" e
"SS 669". E per valorizzare le malghe c'è solo un piccolo parcheggio
di Michele Corti
L'ho percorso parecchie volte il passo di Crodecodomini, sia per recarmi a delle malghe dell'ampio comprensorio pastorale sia per trasferimenti "transfrontalieri" da e verso il Trentino. Venerdì scorso sono partito dalla Valseriana, dove la sera prima avevo partecipato alla presentazione del film "Compagno orso" ad Ardesio (vai al post), per recarmi in Val Rendena, a Caderzone, dove era in svolgimento il convegno Sozooalp (Società per lo studio e la valorizzazione dei sistemi zootecnici alpini). La strada più breve era quella. Ma è stato anche piacevole percorrerla in una tiepida giornata di sole ottombrino senza traffico. E persino istruttivo. Pensavo che le malghe fossero già scaricate e, invece, ho trovato animali al pascolo e mandrie in mungitura.
Da Breno a Bagolino il percorso è di 47 km. Il vero interesse di questo percorso è rappresentato dalle malghe. I paesaggi non sono "mozzafiato", le montagne - di antica geologia, sono arrotondate, delle collinone.
Lo stesso passo di Crocedomini non raggiunge i 1.900 m. Questa morfologia è però ideale per l'attività di malga. Lungo la strada del Crocedomini, nella parallela Val Grigna, lungo la dorsale che divide la Val Camonica dall'alta Val Sabbia (percorsa dalla stessa SS 345 che proviene da Breno e che prosegue sino al Passo di Maniva e alla Val trompia) sono decine le malghe, tanto da costituire il più denso comprensorio pastorale della Lombardia e di certo uno dei più densi delle Alpi.
Una strada e un compresorio di malghe che potrebbero diventare una delle attrattive principali della Lombardia alpina
Tutto questo è valorizzato? Molto poco. Con tutte le "strade del vino, dei sapori e dei formaggi" (ornai inflazionate) a nessuno è venuto in mente che se c'è una strada delle malghe è proprio questa che collega Breno (cuore della produzione del formaggio Silter) con Bagolino (patria del Bagoss).
Intanto la strada fa indubbiamente bene alle malghe che possono vendere buona parte della produzione direttamente spuntando prezzi tripli rispetto a quelli all'ingrosso. Fa tanto bene che a ottobre si pascola e si munge (e con i prezzi dei mangimi che corrono fa ancora più bene). Sulla strada si incontrano gli alpeggi di Bazena, Bazenina, Cadino Dossi, Cadino Banca, Gaver, Campas ma parecchie altre sono raggiungibili attraverso brevi tratti di sterrati che si diramano dalla strada statale. I pascoli appaiono ben utilizzati e le vacche utilizzano il ricaccio.
Dove il cotico è stato pascolato si presenta ancora verde mentre le zone umide o con prevalenza di infestanti (e comunque poco pascolate) si caratterizzano per il color rugginoso delle foglie e lamine fogliari secche.
La commercializzazione diretta consente di valorizzare il latte mediante una varietà di offerte al consumatore
Sarà la buona possibilità di smerciare formaggio e burro di malga, sarà la crescente richiesta di ricotta registrata ovunque sugli alpeggi, sarà il "lancio" del fiurit - il fiore della ricotta, un prodotto di consistenza poco più che liquida da consumarsi in tempi brevi che stupisce il consumatore per il suo gusto da dessert goloso (è arricchito di grassi rispetto alla normale ricotta) ma al tempo stesso freschissimo. Il fiurit era parte della dieta dei pastori non potendo essere conservato come la ricotta (che veniva affumincata) ma un tempo si cercava di produrne poco per non compromettere la resa in ricotta (maschèrpa o poìna). Ora è divenuto una specialità che si assapora o si acquista solo in malga. Insieme al burro di maga finalmente sdoganato dopo decenni di criminalizzazione igienistica, fiurìt e maschèrpa sono in grado di offrire un "paniere" che non limita al prodotto principale (bagoss o silter) la produzione di malga. La proposta di questo paniere la vediamo illustrata nella tabella segnaletica-espositore della foto sotto, integrato da un rustico ma efficace cartello scritto a mano.
Questa "comunicazione" è stata realizzata a Malga Cadino della Banca che ha il pregio di essere quella più visibile dalla strada. Qui è stato realizzato anche un "PARK" segnalato sempre un po' artigianalmente. Un "privilegio" che le altre malghe non condividono. Al più, alle diramazione delle piste forestali che conduono alle malghe sono stati collocati altri cartelli "ruspanti" che segnalano la vendita di "formaggi tipici". Un po' riduttivo se si pensa che qui si producono signori formaggi quali il Bagoss e il Silter.
Una valorizzazione ancora pesantemente insufficiente
C'è quindi moltissino da fare. Dove sono i tavolini da pic-nic" Quelli che il Sig. Parco dell'Adamello dissemina altrove con sin eccessiva generosità (tanto che in alcune situazioni i proprietari delle baite vicine si lamentano per l'eccesivo afflusso di picnichisti non adeguatamente supportato dalla disponibilita di W.C.). La "strada delle malghe", che le varie istituzioni (Comunità Montane, Ersaf, Parco, Bim) non hanno ancora pensato di chiamare come il nome che merita è una grande risorsa turistica.
Servono cose che costano una frazione di tante spese inutili
Vorremmo vedere mappe con la localizzione delle malghe. Segnaletica che informa che la malga tale è a 10 piuttosto che a 30' di cammino, che è gestita da Pinco e che il casaro è Caio e che si vende questo e quello. Vorremmo che anche le malghe non visibili dalla strada "fruisssero" di piazzole e parcheggi per invogliare il turista a raggiungerle. Vorremmo vedere mappe con la localizzazione delle malghe. Segnaletica che informa che la malga tale è a 10 piuttosto che a 30' di cammino, che è gestita da Pinco e che il casaro è Caio e che si vende questo e quyello. Vorremmo che anche le malghe non visibili dalla strada "fruissero" di piazzole e parcheggi per invogliare il turista a raggiungerle.
Ci sono govani malghesi che si danno da fare. Una strategia coordinata potrebbe moltiplicare l'efficacia delle loro azioni
Per gli enti (Comunità Montane, Ersaf, Parco) le malghe continuano in larga misura a rappresentare una realtà marginale. La politica regionale le ha tenute su con lo scotch dei contributi ma senza investire in modo organico in multifunzionalità. C'era più propensione (almeno finché la finanza pubblica ha potuto essere allegra) per le infrastrutture, utili se si investe anche in formazione, conoscenza, comunicazione, animazione, azioni turistiche e promozionali. Inutili e destinate all'obsolescenza se ci si limita agli interventi materiali. Questi ultimi, però, erano più graditi in quanto consentivano di distribuire spesa pubblica.
I giovani malghesi che hanno preso la strada della qualità, della vendita diretta, della multifunzionalità si sono emancipati dalla sudditanza psicologica, politica e culturale a consorzi, sindacati, agenzie tecnoburocratiche. Hanno compreso che oggi conta di più gestire relazioni dirette con i consumatori che dipendere dai contributi e dalle burocrazie (coop, consorzi, Apa, organizzazioni agricole). Ci sono arrivati da soli anche senza i "sobillatori".
Malghe "sovversive"?
Se queste esperienze si generalizzassero, se un consistente numero di malghesi e allevatori di montagna imboccassero una posizione di indipendenza, di stile produttivo sganciato dalle filiere e dalle culture produttivistiche e industrialiste la critica all'agricoltura industriale ne risulterebbe alquanto rafforzata. Finché sono i "neorurali" a contestare il sistema agri-industrialista quest'ultimo non ha motivo di impensierirsi. Ma quando vetero-rurali e neo-rurali si saldano con gli "imprenditori agricoli pentiti", che scelgono di essere liberi contadini togliendosi dagli ingranaggi della dipendenza economica dalle filiere e dalle burocrazie, allora le cose cambiano. Così la valorizzazione delle malghe diventa un terreno politico come insegna la vicenda dei "ribelli del Bitto" che rappresentano un caso collettivo di rottura con tutto il sistema agroistituzionale che, dalle parti della DG agricoltura, non vogliono certo veder replicato.
A difendere gli interessi e l'ideologia del core business dell'agroindustria lombarda, di un sistema agrozootecnico tra i più intensivi al mondo - parte di un sistema globale in cui le danze le dirigono attori transnazionali - c'è tutto il "sistema", a partire dalla DG agricoltura e dal suo braccio operativo, l'ipertrofico e invadente (nei confronti di imprese private ma anche di amministrazioni locali) Ersaf. Provincie e Comunità Montane vanno - volenti o nolenti - a rimorchio. La strategia consiste nel ghettizzare tutto quello che non è espressione del core business agroindustriale nell'ambito di un innocuo e subalterno "giardino dei balocchi" (fattorie didattiche, piccole aziende bio, piccoli agriturismi) e nello "sterilizzare" tutto quello che potrebbe risultare "perturbatore" del sistema.
Così in Lombardia, che ha il più grande patrimonio di alpeggi con produzione di latte e di formaggi d'alpeggio, tutto questo - proprio perché tutt'altro che marginale - deve restate sottotraccia. E così si perdono grandi occasioni turistiche e di economia gastronomico-territoriale. Se ne rallegrano in Valle d'Aosta e in Trentino.