(10.07.12) Il paradosso delle altre valli alpine gestite da un "sindaco metropolitano" torinese deve imporre a tutte le Alte Terre una riflessione.
La montagna torinese fagogitata
dall'area metropolitana?
Serve una riflessione per tutte le Alte Terre
di Michele Corti
La soppressione (parziale o rimandata) delle provincie pùò essere l'occasione per le Alte Terre per proporre soluzioni che facciano uscire dal falso dilemma dei "costi della politica" riportando l'attenzione sui reali problemi di rappresentanza territoriale di un "sistema montagna" che non conta nulla perché frammentato
La provincia di Torino comprende 6 comunità montane e una lunga serie di valli ricche di tradizioni linguistiche e culturali. Tutti conoscono la valle Susa, parecchi le "valli valdesi" (Pellice, Chisone e Germanasca) ma il torinese comprende numerose altre valli: val Cenischia, val Sangone, val Chiusella, valle Sacra, valle Orco, val Soana, valli di Lanzo. Su su 315 comuni della provincia di Torino la metà dei comuni sono montani e 2/3 del territorio. Solo il 6% della popolazione, però, risiede in montagna. Nell'area metropolitana torinese (32 comuni) risiedono i 2/3 della popolazione. Abbiamo evidentemente di fronte due realtà opposte che possono (con difficoltà) convivere in una stessa provincia (visto che non serve a nulla) ma che non possono convivere nella stessa "area metropolitana". Questo ente, infatti, oltre che sostituirsi alla provincia ereditandone competenze - "ritagliate" artificialmente tra regione e comuni - assumerà - cosa che più conta- anche le ompetenze dei comuni in materie fondamentali.
Una pensata degna dei "tecnici"
La "soluzione" individuata dal governo per la provincia di Torino dimostra tutta l'insipienza dei "tecnici" e la loro considerazione (pari a zero) per le istanze di autogoverno della montagna e per la sua specificità. Con l'aggravante del peso dei torinesi nella squadra di governo.
La finalità delle aree metropolitane è incompatibile con la loro estensione alle Alte Terre
Non è necessario essere urbanisti per comprendere che i motivi che rendono utile e necessario nelle vere aree metropolitane togliere competenze ai comuni per coordinare le politiche dei servizi, lo sviluppo infrastrutturale, residenziale, degli insediamenti produttivi e commerciali. L'istituzione dell'area metropolitana risponde all'esigenza di adeguare l'architettura degli enti di governo locale ad una realtà profondamente mutata da quando si sono consolidati nei limiti attuali i comuni attuali. I comuni cittadini avevano già inglobato quelli della "prima cerchia" storica all'epoca della "sforbiciata fascista" dei comuni. Ma sono passati 80 anni. Nel frattempo le città hanno perso la corona di fabbriche (delocalizzate) e la realtà demografica degli hinterland è profondamente mutata. Non più immigrati da altre provincie o regioni (che trovavano occupazione nelle fabbriche intorno alla città o alla sua periferia) ma emigrazione dei cittadini del comune capoluogo verso l'hinterland e creazione di quartieri residenziali spesso eleganti in comuni fin qui non toccati da flussi immigratori e scarsamente urbanizzati. Da qui alcune conseguenze pesanti per le città: diminuzione della popolazione, fuga delle famiglie, invecchiamento, costo dei servizi della popolazione "diurna" (i pendolari anche "di lusso" che abitano nell'hinterland) sostenuto da una popolazione "residente a tempo pieno" sempre più ridotta e sempre più vecchia. In più altri fenomeni sin qui poco "governati": desertificazione commerciale e dei servizi delle vecchie aree urbane, crescita impetuosa di nuovi centri commerciali con impatti sulla viabilità, un insieme di "costi e benefici" malamente ripartiti tra i comuni.
Tornando a Torino la "vera" area metropolitana è quella che comprende i comuni di prima e seconda cintura ed è costituita dai 32 comuni dell' "Agenzia per la mobilità del territorio", o secondo altre proposte, da 24 o 50 comuni. In tutti i casi, "larga" o "stretta" che sia si tratta, come è insito nella definizione di "area metropolitana", di una "corona" più o meno ampia intorno al nocciolo del comune cittadino. Nulla ha a che fare il concetto di "area metropolitana" - basato su densità demografiche omogenee, su reti di trasporto che tendono a livellare i tempi di percorrenza tra i "nodi" - con le aree montane.
Montagna "commissariata" dai torinesi
Le nuove competenza dell'area metropolitana e del "Sindaco metropolitano" applicate a remote valli alpine mettono in capo a decisori della grande città scelte che rischiano di non tener in alcun conto gli interessi e la realtà locale determinando l'azzeramento di ogni residua espressione di autogoverno e partecipazione e instaurando la percezione di "essere commissariati da Torino". Il passo è breve da qui alla perdita di ogni residua identità, voglia di "resistere sulle terre alte", al cedimento alla tentazione di cedere, una volta per tutte, alla tentazione di scendere a valle e vivere nella vera "area metropolitana", la sola realtà individuata quale "spazio umanizzato", luogo riconosciuto quale spazio antropizzato "appropriato" in grado di esprimersi attraverso una adeguata e riconosciuta forma istituzionale di rappresentanza territoriale. Il ragionamento del governo è stato: "Istituita l'area metropolitana con 1,5 o 2 milioni di abitanti, dove si concentra la dimensione economica e il gettito fiscale cosa rimane della vecchia provincia di Torino? Avanzi, frattaglie. Li aggreghiamo all'area metropolitana e pace all'anima loro". I tecnocrati ragionano così. La montagna con il 5% della popolazione è diventata un "peso". Serve per l'acqua, per l'energia, per le piste da sci, per far passare la TAV, per la rappresentazione della wilderness. Meno "indigeni" ci sono a rompere le scatole, con le loro pretese, con i loro diritti di proprietà, con la loro pretesa di trarre qualche beneficio dalle risorse dei loro territori, con i loro patetici comunelli meglio è. Questo progetto di "area metropolitana" che colonizza le alte valli, che arriva al Moncenisio, che si estende oltre le piste da sci (proiezione nella dimensione ludica della città) anche sugli alpeggi (che proierzione urbana non lo sono per nulla) ha almeno il merito di far vedere con chiarezza a chi vive e lavora nelle Alte Terre cosa c'è dietro la maschera di "solidarismo" e di "buonismo" delle èlites urbane dominanti. Prefigura un progetto di duro colonialismo.
E in montagna?: "le aree di massiccio"
Come sostenuto già in altre occasioni la crisi del sistema politico (oltre a quella economica) possono rappresentare la morte o la rinascita delle Alte Terre. L'occasione offerta dalla messa in discussione delle provincie (per ora solo ridotte di numero) dovrebbe essere colta in positivo per proporre anche in montagna nuove entità di governo (e di rappèresentanza) del territorio. Se nelle aree urbanizzate di pianura servono le "aree metropolitane" in montagna possono servire le "aree di massiccio". Alla logica di "corona" delle aree urbane intorno ad un nocciolo corrisponde l'esigenza opposta di aggregare le aree montane secondo "logiche di massiccio" che ribaltino la segmentazione (e quindi la sterilizzazione politica) che la montagna ha sofferto dall'avvento dello stato moderno.
Le reti infrastrutturali (oggi con già qualche secolo fa) sono realizzate per l'esigenza di collegare la montagna ai centri urbani delle pianure, evitando accuratamente di mantenere gli storici collegamenti intervallivi "trasversali" e i collegamenti tra le valli al di là dei crinali (oggi divisi da frontiere di stato o da confini di regioni e provincie). Un tempo la montagna univa e intorno ad un massiccio vi era unità culturale. Poi hanno prevalso le esigenze della pianura e dello stato.
Le Alte Terre, come abbiamo già avuto più volte occasione di sottolineare su queste pagine, oggi hanno una grande opportunità offerta dalla crisi (politica. economica, spirituale). Possono scegliere la morte definitiva (o una totale colonizzazione che è lo stesso) o una rinascita. È la civiltà delle pianure, delle industrie, dell'organizzazione statalica che è in crisi. Ma chi detiene il potere vuole scaricare la propria crisi sugli altri e prolungare la propria sopravvivenza. L'abolizione delle provincie è stata rimandata ma non si può pensare che il problema non si riporrà. La montagna, invece che dividersi tra coloro che s vogliono tenere strette le "loro" (?) vecchie provincie e gli altri che non sanno che pesci pigliare dovrebbe essere capace di esprimere una propria posizione unitaria sulla nuova architettura istituzionale (che riguarda anche i comuni).
Nell'attuale architettura istituzionale la montagna non conta quasi nulla
Oggi si rischia di subire l'iniziativa altrui (anche perché le rappresentanze "istituzionali" della montagna, tipo Uncem rappresentano caste privilegiate autoreferenziali e non "la montagna"). Quando, invece, si potrebbe cogliere al volo l'occasione dell'abolizione di enti burocratici come le provincie per proporre aggregazioni che diano forza alla montagna. La popolazione montana conta poco o nulla politicamente perché è minoranza in tante provincie, in tanti collegi elettorali (quale sia l'ultima legge elettorale in vigore). Invece bisognerebbe cominciare a dire forte e chiaro che il problema della rappresentanza politica non deve essere confusoi con i "costi della politica e della burocrazia". In Svizzera vi sono 8 cantoni con meno di 100 mila abitanti. Hanno poteri maggiori delle nostre regioni ma costano meno di una Comunità Montana. Con la scusa dei "costi della politica" gli interessi forti mirano o eliminare le ultime per quanto imperfette espressioni dell'autonomia delle comunità. Anche i comuni cui si impone la fusione o il declassamento in "aree metropolitane".
Il confine tra cittadinanza e sudditanza tende ad assottigliarsi ancora di più.
Invece va ribadito che i "costi della casta" e i "costi della politica" sono una superfetazione. Un'assemblea di sindaci o di rappresentanti eletti direttamente da una comunità territoriale per discutere degli interessi comuni non implica necessariamente stuoli di impiegati, di uffici. La gestione dei servizi è altra cosa. Oggi si tende poi a distinguere servizi pubblici (anagrafe) che non possono essere che gestiti dall'ente pubblico con servizi (anche economici) che potrebbero essere meglio gestiti su base imprenditoriale piuttosto che "politica". Ogni ente territoriale, però, deve accompagnarsi da un corteggio di enti, società, agenzie dove vengono piazzati presidenti, vice-presidenti e ammministratori politici. Un efficace controllo politico dei risultati, del modus operandi, dei bilanci sarebbe molto più utile.
In Trentino sono state istituite 15 comunità di valle con presidenti e assessori stipendiati (40 mila €). La difesa di questo privilegio è divenuta una "linea dl Piave", un argomento per il quale si tirano in ballo le prerogative costituzionali dell'autonomia speciale. Non è questa l'autonomia. Anzi. Dove la politica è così ipertrofica l'autonomia della società, dei corpi intermedi ci rimette.
Questo è un primo punto: non confondiamo rappresentanza territoriale con costose macchine di foraggiamento delle caste. Si può rappresentare un territorio e i suoi interessi a costi bassissimi.
Nuove geometrie variabili
Il secondo punto che la discussione sulle provincie, aree metropolitane, e gli "enti intermedi" solleva è quello della necessità di imparare a ragionare in termini di "geometria istituzionale variabile". Nel mentre si liquidano le Comunità montane disconoscendo la specificità della montagna si varano le "Aree metropolitane" riconoscendo la specificità di altri ambiti territoriali, quelli fortemente urbanizzati. Ma non sarebbe più logico riconoscere il principio che ogni ambito territoriale necessità di una specifica architettura istituzionale? Lo stato impone soluzioni uniformi perché sinora l'autonomia dal Trentino alla Sardegna delle 9 provincie ha significato sperpero. Se le autonomie e le Comunità Montane hanno sperperato si devono introdurre meccanismi contro gli sperperi non togliere l'autonomia.
L'altro aspetto della "geometria variabile" è rappresentato dalla necessità di gestire la sovrapposizione degli ambiti di rappresentanza, governo e gestione. La modernità ha determinato il superamento delle sovrapposizioni di giurisdizioni, il potere si è organizzato in modo gerarchico e autoesclusivo facendo coincidere i confini e le funzioni. Da tempo, però, questa realtà tende ad essere superata. Consorzi di servizi, asl, regioni transfrontaliere tendono a ridisegnare un'architettura più complessa ed elastica. Con l'affermazione delle euro-regioni (un processo irreversibile a quanto pare) questa tendenza sarà evidente. Lo schema verticale delle entità inglobanti ed autoescludentisi: comune, provincia, regione, stato, unione europea sta per andare in soffitta. Questa possibilità deve essere sfruttata al massimo dalla montagna.
Una valle alpina per alcune funzioni di rappresentanza politica-territoriale e di governo del territorio deve poter far parte di una entità "trasversale" alla montagna. Una valle di Torino deve poter formare un aggregato con una di Cuneo. Le valli bergamasche al fine di dare forza alla montagna nel contesto di una Lombardia di 10 milioni di abitanti devono poter essere unite alla Vallecamonica e alla Valtellina. Ma formeranno ancora un aggregato territoriale con la città di Bergamo in relazione ad alcune funzioni amministrative di gestione di servizi.