(11.11.12) La commissione europea con una proposta di direttiva del 17 ottobre, pur recependo solo in parte le preoccupazioni di larga parte della comunità scientifica inizia a porre un freno alla bioenergie
La minaccia delle bioenergie
è anche al clima
Gli effetti del cambio di utilizzo delle terre indotti dalla crescita delle
colture bioenergetiche peggiorano il bilancio di gas ad effetto serra
di Michele Corti
Biomasse insostenibili. Ora anche la comunità scientifica e la politica se ne accorgono. È da alcuni anni che una serie nutrita di contributi scientifici hanno messo in evidenza l'effetto ILUC (indirect land use change - modifiche indirette dell'utilizzo dlele terre agricole). Per misurarlo sono stati messi a punto sofisticati modelli sia per l'aspetto economico al fine di prevedere dove e quali e quanti cambiamenti avverranno sia sotto l'aspetto ecologico per capire quali effetti questi cambiamenti indurranno sul bilancio tra emissioni e "cattura" dei GHC (i gas causa di effetto serra): CO2, N2O e CH4. Il raggiungimento dell'obiettivo del 10% di carburanti "verdi" (sic) nel 2020 comporta in Europa il cambio di uso di 17,5 milioni di ha (EU, 2007). Una superficie molto più estesa di qualla agricola utilizzata italiana (12 milioni di ha). Questa superficie, nell'ordine di 4-7 milioni di ha sarà reperita in parte all'estero (attraverso l'importazione di oli da Sudamerica e Asia)(Bowyer, 2010), in parte utilizzando superfici incolte, in parte sostituendo coltivazioni ora dedicate alla produzione di alimenti per l'uomo e gli animali domestici. La sicurezza con la quale gli eurocrati giudicano possibile abbandonare milioni di ettari in Europa alla produzione di cibo si basa sulle ottimistiche previsioni neoliberiste di un mercato mondiale sempre più competitivo che continuerà a garantire alimenti a basso costo.
Tale ottimismo si scontra con la molto probabile crescita dei problemi di sicurezza degli approvvigionamenti internazionali in un mercato condizionato dalla crescita in tutti i continenti delle stesse bioenergie, dagli effetti dei cambiamenti climatici e dalla crescita dei consumi umani (non solo diretti, ma soprattutto, indiretti indotti dalla crescita dei consumi di carne e prodotti di origine animale nei popolosi paesi "emergenti"). Con un atteggiamento più prudente nei confronti del mantenimento di un grado più elevato di autoapprovvigionamento l'Europa dovrà "pompare" molto di più dall'estero i suoi biocarburanti determinando effetti ancora più vasti in Brasile, India, estremo oriente dove sono a rischio foreste e savane che non sono solo un "sink", un magazzino dove accumulare CO2 e impedire che la concentrazione atmosferica salga all'inverosimile ma anche un grande deposito di biodiversità. La corsa alle bioenergie che viene giustificata in forza del protocollo di Kyoto va a scontrarsi non solo con lo stesso protocollo (che mira a ridurre l'aumento dei gas climalteranti in atmosfera) ma anche con la Convenzione sulla biodiversità siglata dala Ue e dagli stati membri. I politici pressati dalla potentissima lobby industriale e finanziaria delle agroenergie tendono spesso a dimenticare queste gerarchie del diritto. Forse perché la vita (la diversità non è un lusso ma una condizione di esistenza, cosa da non dimenticare mai) è un interesse mal rappresentato (mentre i mercanti di morte, quelli che per l'avidità con i loro profitti si rappresentano sin troppo bene).
PRIMA
Rimanendo sul tema dell'effetto ecologico va innanzitutto notato che ogni trasformazione di superfici con vegetazione permanente (foreste, savane, brughiere, ma anche pascoli e prati stabili coltivati) ha effetti molto negativi sul bilancio dei gas serra che si ripercuotono per anni. Nel caso delle bioenergie molto spesso non siamo in presenza di un effetto diretto del cambiamento (è il caso dove si continua a produrre mais non più per il bestiame ma per i biodigestori) ma di effetti indiretti. Quel mais che prima era prodotto per alimentare il bestiame deve essere sostituito da altri alimenti che proverranno spesso da lontani paesi. A Cremona la superficie è già quasi tutta occupata dalla monocoltura maidicola. Se si trasformano i pochi prati rimasti in arativo si avrebbe un effetto diretto molto negativo del cambiamento: le macchine agricole, le pompe di irrigazione emettono CO2, la grande quantità di concimi azotati "divorata" dal mais si traduce in notevoli perdite di N20 in atmosfera. Non solo ma con le arature e le lavorazioni in genere (e lasciando il terreno nudo per lunghi periodi) si mineralizza la sostanza organica accumulata nel terreno del terreno (per l'azione e la presenza di batteri, funghi, insetti, vermi e delle radici delle piante, molto più sviluppate nel caso di piante foraggere da prato che non la stessa parte aerea).
Un effetto domino che fa male al clima
Mineralizzare la sostanza organica significa smobilizzare un deposito di C e aumentare le emissioni di CO2 nell'atmosfera. Questo è un esempio di cambiamento diretto ma sono i cambiamenti indiretti che pesano di più. Per alimentare le vacche cremonesi rimaste senza l'insilato - che viene "dirottato" ai digestori - nella stragrande maggioranza dei casi si ricorre all'aumento dell'uso di alimenti provenienti dall'estero. Se manca l'energia nella dieta delle vacche bisognerà rimpiazzarla con cereali, prima di tutto mais. Il margine di aumento delle importazioni comunitarie è limitato, potrebbe aumentare la quota di importazione dagli Usa dove il mais si sostituisce alla soia. Meno soia negli Usa più soia in Brasile. In Brasile la soia sostituisce i pascoli e i pascoli a loro volta la savana. Una catena complessa ma inesorabile che comporta una serie di trasformazioni che peggiorano il bilancio dei gas serra (senza contare la biodiversità). I cambiamenti indiretti dell'uso delle terre (ILUC) contano per il 66–89% delle emissioni totali di GHG legate all'effetto di cambiamento dell'uso delle terre per le bioenergie (WBGU, 2008).
Quelle che erano "sink" (pozzi, depositi) di CO2 diventano delle fonti di emissione netta in atmosfera (Fargione et al., 2008; Searchinger et al., 2008). Tanto più le trasformazioni avvengono a spese di ecosistemi o agroecosistemi con uno stock elevato di carbonio, tanto più è forte il bilancio negativo della CO2 (Palm et al., 1999; Don et al., 2011). Sono strasformazioni che si ripercuotono per decenni sull'atmosfera terrestre mandando.... in fumo il protocollo di Kioto e i suoi buoni propositi.
Tabella - Schema dei rischi associati con l'ILUC
Rischio | Classificazione | Popolazione/gruppo a rischio |
Emissioni di GHC e ridotto sequesto di carbonio | Ambientale | L'intera popolazione globale |
Perdita di biodiversità | Ambientale | Piante e animali vulnerabili nelle aree interessate dall'ILUC; dipendenza della popolazione da servizi ambientali in precedenza garantiti dai sistemi ecologici eliminati dall'ILUC |
Insicurezza alimentare | Socio-economico | Popolazioni residenti in località dove la produzione alimentare declina in conseguenza dall'ILUC |
Violazione di diritti di proprietà delle terre | Socio-economico | Popolazioni i cui diritti di proprietà non sono stabiliti in modo ben defnito e che non hanno le risorse per tutelarli |
Degrado ed esaurrimento di risorse idriche e di suolo | Socio-economico e ambientale |
Ecosistmi che dipendono da una larga disponibiliutà di acque pulitre. Popolazioni umane che dipendon da risorse idriche già scarse o suscettibili alla contaminazione |
fonte: J. Palmer (2012) Risk governance in an age of wicked problems: lesson from the European approach to indirect land use change Journal of Risk Research, 15 (5) 495-513.
L'inganno dei "residui"
Di recente, con la crescente evidenza degli effetti negativi delle bioenergie gli scienziati e gli stessi organi politici si stanno orientando ad una moratoria dell'oso di biomasse agroforestali "vergini", coltivate appositamente o prelevate dalle foreste per concentrarsi sull'uso dei residui. Confondere rifiuti urbani, residui colturali, scarti dell'industria alimentari in un'unica categoria è altamente fuorviante e pericoloso. Usare la paglia e i reflui zootecnici per la produzione di biogas comporta la mancata restituzione di C al terreno rapperesenta una politica irresponsabile. L'orizzonte temporale dell'agrispeculazione è di 15 anni (la durata delle tariffe onnicomprensive assicurate) ma una società responsabile deve guardare in là, alle condizioni fertilità del terreno tra 20-30 e più anni. In Italia i terreni agricoli sono già oggi poveri di sostanza organica. Un fatto legato alle caratteristiche dei terreni e al clima (nettamente più caldo dell'Europa centrale) ma anche a pratiche di intense e prodonde lavorazioni del terreno. La concentrazione delle attività zootecniche specializzate in poche zone vocate ha privato molti sistemi agricoli di apporti di ferlilizzanti organici mentre nelle stesse aree di produzione la redistribuzione è molto inefficace perché il raggio di trasporto dei liquami è (lo dicono l'economia ma anche le normative) di pochi km. Così non solo nell'Italia più mediterranea (Puglia, Sicilia) ma anche nella pianura padana stipata di suini, vitelloni, vacche da latte vi sono suoli agricoli fortemente carenti di sostanza organica, di C (meno dell'1% che è un livello a rischio desertificazione).
Un nuovo "business"?
Con la nuova Pac vi saranno incentivi per l'adozione di tecniche, macchine, metodi atti a migliorare la sostanza organica nel terreno. Una scelta che rispecchia una reale preoccupazione per garantire un minimo di sostenibilità (al di là dei mantra) all'agricoltura europea. Poca sostanza organica significa suscettibilità all'erosione, necessità di maggior uso di concimi chimici (che richiedono molta energia per la loro sintesi), di pesticidi, di acqua di irrigazione (il terreno povero di sostanza organica trattiene ben poco l'acqua). Per tornare ad innalzare la sostanza organica sarà non solo necessario ridurre le lavorazioni profonde ma anche apportare al terreno residui colturali e ammendanti. Peccato che questi ultimi siano sempre più accaparrati dagli impianti di produzione delle bioenergie (biogas e combustione). Un bel dilemma: alimentare il suolo o le centrali? Un dilemma che dovrebbe far riflettere chi in cattiva o buona fede continua a parlare di "scarti" del sistema alimentare come rifiuti da eliminare, come qualcosa che vale meno di zero e che può essere bruciato (direttamente o tramite conversione in biogas) senza controindicazioni.
Il rifiuto non deve esistere
Non è così! Il "rifiuto" non esiste, se è stato creato dal ciclo economico industriale è la spia di uno squilibrio, di una mancata chiusura dei cicli degli elementi nutritici. La materia deve essere riciclata come tale se vogliamo sfruttare al meglio l'energia ed evitare gli inconvenienti delle combustioni (perdita di calore in atmosfera ma anche effetti molto indesiderati come le emissioni nocive: polveri sottili ecc.). Lo squilibrio è stato creato anche nel cuore del sistema agricolo e zootecnico. Le stalle, le porcilaie sono "pompate" di alimenti non prodotti nell'azienda e nemmeno nel comprensorio ma importati spesso da oltre oceano per spingere al massimo la produzione anche disponendo di poca terra. Tutti questi nutrienti che transitano dal sistema digerente e dal metabolismo animale finiscono per creare una quantità di "reflui" (azoto, ma anche fosforo e potassio) in grande surplus rispetto alla capacità dei terreni aziendali si utilizzarli. Così si pensa di bruciare la sostanza organica e di eliminare l'azoto con i depuratori (che consumano una bella fetta dell'energia prodotta sotto forma di biogas). La perdita di fertilità e di buone caratteristiche chimico-fisiche del terreno verrebbe compensata da forti concimazioni con i digestati (che hanno caratteristiche di concimi quasi chimici). Ma questo potrà funzionare sino a un certo punto. Poi l'isterilimento dei terreni. Da questo punto di vista le centrali non sono mai troppo piccole. Anche centrali da 100 o 50 kW contribuiscono a questo disastro annunciato.
Stop a tutte le biomasse?
Gli elementi scientifici di cui disponiamo inducono a rienere che le trasformazioni dell'uso delle terre indotte dalla estensione delle colture energetiche siano negative per il bilancio dei GHG. Ad alcune condizioni questo può essere mitigato se si evita di trasformare foreste, savane, pascoli (efficienti "pozzi" di CO2) in arativi e se si punta su colture da biomasse che richiedono poche lavorazioni e trasporti (causa di emissioni di CO2), pochi concimi chimici (causa di perdite di N2O in atmosfera)La strada oltre ad essere quella dell'utilizzo di quei (pochi) veri "scarti" che non possono essere utilizzati per compostaggio, restituzione colturale, ammendo del terreno è quella dell'utilizzo di biomasse da coltivazioni permanenti attuate dove non "rubano il pane di bocca" a nessuno ovvero su terreni marginali, poco fertili senza una copertura forestale assestata. Pensiamo ai terreni abbandonati che si trovano in condizioni di transizione dinamica verso forme stabili. In Italia ve ne sono una marea. Ecco allora che la ratio degli incentivi avrebbe un senso: non assicurare superprofitti o rendite che di dir si voglia ai pescecani della speculazione (grossi gruppi economici con forte accreditamento presso la politica e padroni dei media) ma consentire di ottenere un profitto confrontabile con quello di altre attivitàagricole a chi si impegna a coltivare con colture perenni da biomassa a forte efficienza le colline abbandonate, i terreni marginali.
Tenere conto della qualità dell'aria, incentivare solo soluzioni realmente sostitutive di fonti fossili, farsi una ragione che le biomasse sono una soluzione parzialissima
Dove questo è compatibile con la qualità dell'aria beninteso, evitando ulteriori combustioni nella pianura padana e nelle altre zone con limiti di polveri sottili fuorilegge ed incentivando quelle soluzioni tecnologiche che l'industria e i finanziatori non attiveranno mai se è possibile lucrare senza fatica superincentivi bruciando, ovvero la purificazione del biogas e lasua immissione nella rete od uso per autotrazione. Questi usi essendo chiaramente sostitutivi e non sommandosi ad una produzione di energia elettrica in esubero avrebbero. Come si vede ci sono le condizioni per delle biomasse energetiche sostenibili ma sono molto ben circoscritte. Inoltre le biomasse in tutte le stime più ottimistiche anche se dilagano non risolveranno mai più del 10% del fabbisogno energetico europeo. Vale la pena di creare tutti questi disastri o è meglio pensare al risparmio energetico, all'efficienza energetica e a fonti veramente rinnovabili come l'olico delle alte quote, al solare termico, alle nuove frontiere del fotovoltaico (senza incubo smaltimenti come per le tecnologie che ci hanno rifilato sino ad oggi).
Bibliografia
Bowyer C. (2010) Anticipated Indirect Land Use Change Associated with Expanded Use of Biofuels and Bioliquids in the EU – An Analysis of the National Renewable Energy Action Plans, p. 24. Institute for European Environmental Policy IEEP, London.
Don A., Schumacher J., Freibauer A. (2011) Impact of tropical land-use change on soil organic carbon stocks – a meta-analysis. Global Change Biology, 17, 1658–1670.
EU (2007) The Impact of a Minimum 10% Obligation for Biofuel Use in the EU-27 in 2020on Agricultural Markets, Vol. AGRI G-2/WM D, p. 10. European Commission, Brussels.
Fargione J., Hill J., Tilman D., Polasky S., Hawthorne P. (2008) Land clearing and thebiofuel carbon debt. Science, 319, 1235–1238.
Palm C.A., Woomer P.L., Alegre J et al. (1999) Carbon Sequestration and Trace as Emissions in Slash-and-Burn and Alternative Land Uses in the Humid Tropics. (ed GROUPACCW), Nairobi, Kenya.
Palmer J. (2012) Risk governance in an age of wicked problems: lesson from the European approach to indirect land use change Journal of Risk Research, 15 (5) 495-513.
Searchinger T, Heimlich R, Houghton RA et al. (2008) Use of US croplands for biofuels increases greenhouse gases through emissions from land-use change. Science, 319, 1238–1240.
WBGU (2008) Future Bioenergy and Sustainable Land Use. ed (WBGU) GACoGC. Earthscan, London.
Alcuni
documenti
significativi
emersi dal
dibattito in
corso.
- Raccomandazioni dell'accademia scientifica tedesca Leopoldina sull'uso delle biomasse a fini energetici (2012) mia traduzione in italiano della sintesi originale in inglese, nel documento c'è il link al rapporto originale esteso con blibliografia (PDF)
- Parere della commissione scientifica dell'Accademia europea per l'ambiente sulla valutazione delle bioenergie ai fini della contabilità dei contributi all'effetto serra (SC Opinion on GHG in relation to bioneregy) (2012) (PDF)
- Öko-Institut (2012) Sustainability Standards for internationally traded Biomass The “iLUC Factor” as a Means to Hedge Risks of GHG Emissions from Indirect Land Use Change - Working Paper Uwe R. Fritsche with contributions from Klaus Hennenberg and Katja Hünecke, Energy & Climate Division, Öko-Institut, Darmstadt Office- (PDF)
- Globale landflächen und biomasse nachhaltig und ressourcenschonend nutzen , Almut Jering, Anne Klatt, Jan Seven, Knut Ehlers, Jens Günther, Andreas Ostermeier, Lars Mönch, (2012) Umweltbundesamt [Agenzia federale per l'ambiente], Dessau-Roßlau, De. (PDF) Comunicato stampa in inglese (link) versione ridotta (link) traduzione italiano a cura di Enrico Zecchini (PDF)