(12.09.12) Gli alti papaveri del Parco dello Stelvio diffondono un documento, prontamente ripreso dai media, in cui dichiarano "false e scorrette" le notizie - ricavate da Ruralpini - diffuse in Valtellina da chi non è felice della presenza dell'orso
Il Parco sentenzia: l'orso non è
pericoloso. Anatema a chi dubita
di Michele Corti
Che pelle sottile i Signori dell'Orso. Appena i sudditi osano proferire parole di messa in discussione dei dogmi orsologici parte l'anatema dei chierici. Una coda di paglia che spiega l'irrituale firma in massa di un documento "di chiarimento" da parte del vertice del Parco dello Stelvio. Sentono odore di resistenza popolare e si preoccupano assai.
In realtà questa presa di posizione collettiva del vertice del Parco dello Stelvio (Faccio riferimento al documento: "L'Orso è pericoloso? I chiarimenti da parte del Parco dello Stelvio" pubblicato con titoli diversi dalle varie testate)(lo riporto in fondo la parte più importante sull'orso pericoloso o meno) nasconde nella sua compattezza di facciata anche i goffi e ambigui distinguo dell'amministratore, il presidente Ferruccio Tomasi. Quest'ultimo parlando con i cittadini dice che l'orso non lo vorrebbe ma in pubblico si allinea ai veri padroni del Parco: la tecnocrazia, i sacerdoti dei sacri misteri della wilderness. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: i politici, gli amministratori nei Parchi sono marionette che in cambio della possibilità di curare qualche interesse di chi li vota svendono l'interesse generale del territorio alla tecnoburocrazia verde. La democrazia è umiliata, gli intressi della montagna asserviti al colonialismo, culturale e non solo, delle metropoli.
Un suddito osa ribellarsi
In Valfurva (alta Valtellina) un residente, Amos Compagnoni, all'incontro di "informazione" (a senso unico) di Bormio del 21 agosto aveva osato contestare le tranquillizzanti asserzioni della nomenklatura del Parco. Utilizzando anche argomenti e notizie tratte da "Ruralpini". Al Compagnoni sarebbe stato anche detto che è il sottoscritto che non accetta i confronti quando è invece vero l'esatto contrario. In ogni caso da lor signori io non sono mai stato contattato e farebbero bene a stare più attenti a quello che dicono. Tutti gli incontri realizzati in Lombardia, in Trentino e altrove seguono d'altra parte lo stesso cliché: al "pubblico" è offerto uno spazio risicato e se appena qualcuno li contesta viene tolto il microfono. Così è stato al Sig. Compagnoni. Il quale, da bravo cittadino, che non accetta di essere suddito dei nuovi signori feudali del Parco ha messo nero su bianco le sue obiezioni e ha spedito la lettera ai giornali (riportata solo da Centro Valle con un piccolo estratto). Ha comunque provveduto ad affiggere la lettera nelle bacheche pubbliche di Valfurva. Il piccolo gesto di ribellione del suddito è stato considerato grave e lesivo al Castello, dai novelli Sceriffi di Nottingham. Così ed è stato stilato un documento di confurazione delle "erronee e false" dottrine orsologiche. Manco fossimo dei Martin Lutero... manco un volantino appeso alle bacheche di un villaggio alpino fossero le tesi appese alle porte della cattedrale di Worms.
Le forzature ideologiche (per quanto ammantate di autoritas scientifica) hanno ... le gambe corte
Si sono messi in parecchi (chissa perché poi così in tanti) gli alti papaveri del Parco dello Stelvio (amministratori, dirigenti, consulenti, dipendenti) per ribadire la tesi dell'orso non pericoloso. Una tesi che deve essere fatta entrare a forza nella zucca della plebe ignorante che si lascia condizionare dalla "pancia" e non intende lasciarsi dai lumi della Scienza. I fatti, però, sono fatti.
I suddetti esperti e amministratori facendosi interpreti delle ragioni dell'ambiente (che come è noto è muto e parla attraverso i suoi oracoli) hanno scomunicato - novello Santo Uffizio - come "false e scorrette" le obiezioni di chi osa, sfidando la loro autoreferenziale autoritas, provare a mettere in discussione la possibilità che l'orso possa rappresentare un pericolo.
E' ovvio che in gioco c'è una grossa partita e che il dissenso nei confronti del pensiero unico "orsobuonista" sia visto come fumo negli occhi. Se l'orso si rivelasse pericoloso tutta l'operazione avviata con Life Ursus sarebbe messa in discussione. Ma i Parchi puntano troppo sul "prodotto orso" per rispolverare una legittimazione in declino, per portare a casa quattrini, avere dalla loro gli amministratori locali e gli operatori economici attirati dallo specchietto per allodole dell'attrattiva turistica. La paura dell'orso che potrebbe diffondersi tra la popolazione residente ma, alla lunga, anche nei turisti, rischia di smantellare un bel castello di carte, un bel giocattolo (per qualcuno). E allora si corre ai ripari.
Argomentazioni contorte
Gli esponenti del Parco hanno portato a sostegno del loro assioma ("l'orso non è pericoloso") considerazioni del tipo: "la biologia dell'orso nero americano non è uguale a quella dell'orso bruno europeo" e "In Romania, a Brasov, c'è una situazione degradata". Considerazioni che non vanno al cuore del problema perché, i casi di aggressioni da parte di orsi bruni europei alle persone sono numerosi (specie nei Balcani) e si registrano anche a pochi km dall'Italia. A volte anche con conseguenze mortali.
Ma veniamo alle argomentazioni con le quali i nostri smontano le "falsità". Fanno credere che qualcuno abbia sostenuto che orso nero e orso bruno abbiano lo stesso comportamento, la stessa biologia. Va bene che è un espediente vecchio come il mondo attribuire a chi non la pensa come noi affermazioni incongrue, tanto per aver qualcosa da contraddire ma non è così.
Dove c'è scritto nel mio articolo in cui citavo gli studi americani sulle aggressioni mortali da orsi che l'orso nero è equiparabile al nostro?
La serie di dati sulla aggressioni all'uomo orso nero americano è però l'unica al mondo (per le varie specie di orsi) per ricchezza della casistica ed estensione temporale (risale ai primi del '900) ed è comunque riferita a unaspecie non certo lontana dal nostro orso.
Non esiste un comportamento fissato per sempre nei geni
Il difetto dei biologi è una scarsa attenzione al dato storico-ecologico. Se riuscissero a guardare al di là della loro Scienza particulare, e avessero la compiacenza e l'umiltà di utilizzare i dati forniti dalle scienze umane, si accorgerebbero che la molte specie selvatiche nel corso della storia (dell'uomo) hanno profondamente mutato habitat e comportamento. Tali differenze di una specie, specie se parliamo di mammiferi superiori in grado di adattarsi ai mutamenti ambientali anche attraverso meccanismi culturali, possono essere nel confronto tra epoche diverse superiori a quelle osservabili oggi tra specie diverse.
In tema di orsi è ben noto che con la cessazione della caccia all'orso nel Parco di Yellowstone e con la moltiplicazione delle occasioni di interazione uomo-orso il comportamento dell'orso è profondamente mutato. L'orso è più confidente e più aggressivo come dimostrano gli incidenti mortali degli ultimi anni (con turisti attaccati sin nelle tende). Non è il nostro orso ma l'esempio è comunque significativo. Nessuno può negare che il comportamento degli ultini orsi autoctoni trentini fosse più schivo di quello degli orsi "sloveni". In definitiva non esiste un "orso" immutabile. Nel corso della storia la sua pericolosità della specie per l'uomo cambia in funzione del grado di persecuzione e di occasioni di interazione con l'uomo nell'habitat della specie. Vale anche per il lupo.
Una sistematica sottovalutazione dei casi "scomodi"
I nostri continuano a citare uno studio svedese, ormai superato, che non registra diversi episodi mortali avvenuti in Europa. Comodo cari signori. Quanto volte ho consigliato il Dr. Claudio Croff responsabile trentino della "materia orso" di aggiornare il sito della Provncia autonoma e di evitare di basare su quello studio la tesi tirata per i capelli e sospetta di ideologia dell'orso (poco) pericoloso?
Quanto poi al caso di Brasov i nostri sostengono che: "è una situazione degradata e quindi non può fare testo" da una parte va a confermare la tesi della plasticità comportamentale e a rafforzare i nostri timori . Anche alcuni degli orsi "sloveni" deportati con il famoso (o famigerato) Progetto Life Ursus erano abituati ai carnai e anche in Trentino e forse in Lombardia ci sono irresponsabili che attirano l'orso inducendo un comportamento confidente. D'altra parte non si può citare Brasov senza far riferimento al gravissimo caso del 2008. Per quanto gli orsi di lì siano stati "diseducati" la vera e propria predazione a carico di un giovane che dormiva su una panchina appare comunque molto grave. In ogni caso i casi mortali in Romania e nei Balcani son si sono registrati solo a Brasov. E per il pover uomo che cercava legna nei boschi in Bulgaria e che è stato ucciso da un orso cosa si può tirare fuori per intorbidire le acque?
Fatti nudi e crudi
I fatti parlano da soli. Di seguito riporto un articolo di pochi giorni fa che evidentemente è sfuggito gli alti papaveri del Parco, smaniosi di attribuirsi il ruolo di "Signori dell'orso" per rivaleggiare con i colleghi del PNAB (Parco Adamello Brenta) e di rintuzzare il dissenso all'autoritarismo pseudoecologista nei confronti dell'imposizione della presenza dlel'orso. Una vera sfortuna che le prosaiche notizie della cronaca contraddicano cotanta autoritas. Ma così è la vita. In fondo riporto anche una tabellina con i casi di aggressioni mortali da orso brunissimo ed europeissimo (ono era rabido e l'ho segnalato). Precisando che la casistica si limita al nuovo secolo ed esclude la Russia.
Giovane aggredito da un orso nei boschi alle spalle di Fiume
30 agosto 2012 , da "Il Piccolo", quotidiano di Trieste, pagina 12 .
di Andrea Marsanich. FIUME. Torna l’ incubo orsi nei dintorni di Fiume. Martedì mattina un giovane di 28 anni, Igor Ulmer, è stato aggredito da un plantigrado mentre portava a passeggio il suo cane, Bobi, in un’area boschiva nelle vicinanze di Klana, località poco alle spalle di Fiume. Il giovane è stato morso e colpito da zampate agli arti inferiori e all’addome ed è ricoverato nel reparto di traumatologia del Centro clinico–ospedaliero di Fiume, dove è stato sottoposto a intervento chirurgico. Le sue condizioni sono stabili e non è in pericolo di vita, stando a quanto confermato dal dottor Darko Ekl, chirurgo e traumatologo. Da quanto raccontato da Ulmer, l’attacco è stato portato da un’orsa che probabilmente aveva nelle vicinanze uno o due cuccioli. L’uomo, dopo aver visto il bestione che si avvicinava minaccioso, ha cercato scampo arrampicandosi su un albero, ma è stato buttato giù dall’orsa che quindi lo ha colpito e morso più volte. A quel punto Bobi è entrato coraggiosamente in azione, affrontando l’ animale con latrati e ringhi ma senza venire ferito. Il comportamento del cane ha evitato al suo padrone di riportare ferite ancora più gravi e forse gli ha salvato la vita. Lo sfortunato è stato quindi trasportato in ospedale a Fiume da un uomo accorso nel luogo dell’ incidente perché attirato dal trambusto originato dall’ aggressione. Negli ultimi anni è il terzo attacco di orso all’ uomo nel territorio di Klana, abitato a poca distanza dalla strada che collega Fiume e Trieste. Nel novembre di due anni fa un cacciatore di 82 anni era stato aggredito da un’orsa nel bosco di Breza, a metà strada tra Castua e Klana, finendo al reparto di terapia intensiva dell’ Ospedale fiumano. L’anziano aveva trascorso diverse settimane in ospedale. L’ anno scorso, in località Lisac (Klana), al confine con la Slovenia, c’è stato l’attacco ad un raccoglitore di funghi che ha riportato lesioni guaribili in un paio di settimane. Intanto dalla società venatoria Zec di Klana è stato fatto sapere che le doppiette locali non hanno il permesso per l’abbattimento di orsi.
Nota: La versione degli esperti croati che monitorano l'orso sarebbe diversa. L'uomo non sarebbe stato difeso dal cane ma è intervenuto a difesa del cane scendendo lui dalla pianta e "aggredendo" l'orso. Il giornalista avrebbe ribaltato i fatti. Chi crede che con un orso "inquieto" a pochi passi un uomo sano di mente scenda da u albero e attacchi l'orso dia pure per salvare l'amato cane alzi la mano. Anche negli altri casi si da la colpa ai cani che avrebbero "disturbato" il plantigrado che poi "se la sarebbe presa con l'uomo". Insomma non andate più nei boschi con il cane. Se lo fate e l'orso vi sbrana vi abbiamo avvisato.
Aggressioni mortali da orso bruno in Europa (esclusa Russia) negli ultimi anni
Giugno 2007 - Romania, Carpazi . Nei boschi. Vittima una donna (turista Usa), due altre persone ferite). Un orso.
Maggio 2010 - Bulgaria, a Koutela, un villagio nei pressi di Smolyan nei Monti Rhodope. Nei boschi. La vittima un uomo di 65 anni che stava raccogliendo legna nel bosco. Cadavere mutilato, traccia di sangue sino alla tana. Orsa con cuccioli?
Agosto 2008 - Romania, cottà di Brasov, Transilvania. In un parco urbano al limite della città. La vittima è un giovane che dormiva su una panchina (cadavere trascinato per alcuni metri dall'orso verso il bosco, forse per divorarlo successivamente). Chiaro comportamento predatorio. Un orso.
Gennaio 2009 - Romania, Transilvania. Nei boschi. Poliziotto di 30 anni, mutilato dall'attacco dell'orso muore di infarto in ambulanza. Forse orsa con cuccioli
Ottobre 2004 -Romania, regione di Brasov Transilvania. Nei boschi. Due morti e sette feriti, tutti cercatori di funghi che hanno disturbato l'orso. L'orso ha attaccato anche l'ambulanza. Orso rabido
Ottobre 2004. Svezia, nel Nord, a Nausta, nei pressi di Jokkmokk. Nei boschi. Cacciatore di alci di 40 anni. Il corpo giaceva a 50 m dalla tana. L'orso che aveva ucciso un cane da caccia era stato ferito dal cacciatore
Ottobre 2007 - Svezia, Valsjöbyn nella regione di Jämtland. Nei boschi. Un cacciatore di alci ucciso presso la sua postazione. Il corpo presentava profonde ferite alla testa e al torso compatibili con attacco da orso. Escrementi di orso nelle vicinanze.
Parla il Parco
A seguito delle serate informative sull’orso bruno, tenutesi rispettivamente a Bormio e a Livigno il 21 agosto ed il 27 agosto 2012, ed all’intervento di Amos Compagnoni, cui ha fatto seguito una lettera inviata alla sede del Parco Nazionale dello Stelvio e distribuita in Valfurva (dal titolo L’Orso è pericoloso, dannoso, difficile da gestire), al Parco preme stigmatizzare in modo chiaro le affermazioni false e/o non corrette contenute nella citata lettera, cercando di fare ulteriore chiarezza sulle domande più ricorrenti che ci vengono poste e che riteniamo fondamentali.
L’orso è pericoloso?
I grandi carnivori hanno da sempre scatenato nell’uomo i sentimenti più
forti ed antitetici, per questo non è difficile trovarne riscontri
scritti, anche a livello locale. Nella pubblicazione del 1935 di Guido
Castelli, “L’Orso bruno nella Venezia Tridentina” sono riportate in modo
dettagliato tutte le catture e le uccisioni di orsi documentate dal
1764 fino al 1935; in totale il Castelli per il territorio della Venezia
Tridentina (corrispondente all’attuale Regione del Trentino-Alto Adige)
cita 190 esemplari di orso abbattuti fra il 1855 e il 1930 e
numerosissimi incontri tra il plantigrado e l’uomo i cui esiti sono
stati quasi sempre fatali per l’orso.
Dal 1935 ai giorni nostri, i dati certi di abbattimento si riducono
notevolmente, anche a causa del nuovo regime di protezione, mentre la
residua popolazione trentina limita sempre più la sua presenza che si
riduce, a partire dal 1950, ai gruppi montuosi dell’Adamello – Brenta.
Oriani, nella sua “Indagine storica sulla distribuzione dell’Orso bruno
nelle Alpi lombarde e nella Svizzera italiana” del 1991, riporta dati
relativi a 529 orsi segnalati nell’area di studio fino all’inizio del XX
secolo. Ben 317 esemplari (il 59,9% del totale) vennero abbattuti.
La storia ci aiuta da un lato a delineare la conflittualità del rapporto
uomo-orso, elemento di forte impatto sulla poverissima economia di
sussistenza di quell’epoca; d’altro canto mette anche in evidenza
l’assenza di un diretto impatto sull’uomo, con la sola eccezione di
animali feriti in azioni di caccia che difendono se stessi o i propri
cuccioli. Le testimonianze storiche e recenti degli ultimi 160 anni tra
Trentino ed Abruzzo non riportano alcun incontro uomo – orso che abbia
provocato aggressioni o ferimenti, ad eccezione nel passato di animali
feriti da cacciatori. Anche uscendo dalla realtà trentina e rimanendo
sulle Alpi, i dati oggettivi ci mostrano una situazione paragonabile. A
partire dalla ricomparsa dell’Orso in Austria, tra il 1989 e il 1996
sono stati ad esempio riportati 516 incontri tra uomo ed orso senza che
si sia verificato alcun episodio di ferimento.
Episodi di aggressioni e ferimenti, spesso citati ad esempio, sono
invece riconducibili a particolari situazioni di degrado provocato
dall’uomo (ad es. Brasov in Romania), in cui l’Orso è presente con
densità elevate e volute dall’uomo per fini venatori e frequenta
abitualmente discariche ed aree antropiche in cui reperire facilmente
cibo.
In Slovenia, a fronte di circa 500 orsi presenti e di legale caccia
all’orso, con i rischi che essa comporta, negli ultimi anni si è
registrato un solo incidente grave che ha coinvolto un ragazzo entrato
nella tana di un orso, pare, per fotografare i cuccioli.
Totalmente fuorviante e sbagliato è cercare di far passare il messaggio
che l’Orso bruno dinarico – alpino e il Grizzly americano pongano le
stesse problematiche ed abbiano lo stesso grado di pericolosità. Pur
appartenendo alla stessa specie, Orso bruno e Grizzly sono due
sottospecie profondamente diverse. Nonostante ciò anche nel caso del
Grizzly i casi di aggressioni e ferimenti, a volte mortali, non sono
legati ad attacchi di tipo predatorio nei confronti dell’uomo, ma a
situazioni di pericolo e di paura che spingono l’orso ad un
comportamento di difesa “attiva” (Herrero S., 1974 – Conflitti tra
l’uomo e il Grizzly nei Parchi Nazionali del Nord America. Conferenza
Internazionale sulla Ricerca e sulla Gestione dell’Orso, 3: 121-145).
Ancor più sbagliato è riportare, a sostegno della tesi della potenziale
pericolosità dell’orso bruno, dati relativi ad altre specie, nello
specifico dell’orso nero americano (Ursus americanus). Si tratta, per
l’appunto, di specie diverse che, per quanto simili possano essere (o
sembrare) nella biologia, restano tra loro differenti e non
confrontabili. Gli autori stessi dell’articolo che viene citato a
sostegno della tesi (Herrero et al., 2011 – Fatal Attacks by American
Black Bear on People. The Journal of Wildlife Management 75(3):596–603)
fanno notare come “la natura degli attacchi mortali da parte dell’orso
nero è alquanto differente da quella degli attacchi da parte dell’orso
bruno. Per l’orso bruno una sostanziale percentuale di attacchi gravi e
mortali sono di natura difensiva e sono effettuati da una femmina con i
piccoli”. Nel caso dell’orso bruno si tratta quindi di aggressioni a
seguito di incontri fortuiti o durante battute di caccia e non di
aggressioni a scopo predatorio. Va comunque specificato che il citato
articolo riporta 59 incidenti in oltre 100 anni per tutto il
Nord-America, con una popolazione stimata di oltre 750.000 orsi
dimostrando, di fatto, come anche per quanto riguarda l’orso nero
americano l’aggressione a persone sia un evento del tutto eccezionale.
Tutto ciò non toglie che l’orso, come ampiamente riportato sul materiale
informativo predisposto in occasione dei vari progetti cofinanziati
dall’Unione Europea (life Ursus, life Arctos) e coordinati dalle
amministrazioni pubbliche (Parco Naturale Adamello Brenta, Provincia
Autonoma di Trento, Regione Lombardia), sia “potenzialmente pericoloso”:
ciò significa che va trattato con rispetto, non va seguito e molestato,
specialmente nel caso dei cuccioli, va gestito attentamente e
costantemente. È interessante
al riguardo, per chi volesse approfondire questa problematica, un testo
scandinavo “L’orso bruno è pericoloso?” un cui estratto è disponibile al
seguente indirizzo web:
http://www.orso.provincia.tn.it/vetrina/Dangerousness/.
La paura è un sentimento legittimo, anche se immotivato nel caso
dell’orso, perché l’uomo non ha mai subito limitazioni alle proprie
attività nell’areale storico dell’orso (caccia, raccolta della legna e
dei frutti del bosco, ricreazione). Nei testi storici difficilmente si
legge la paura per le persone, mentre domina il timore per il proprio
bestiame. Nel 1939, ancor prima che iniziasse la trasformazione
socio-economica, l’evoluzione culturale portò ad una legge che inserì
l’orso fra le specie italiane da proteggere e nel 1956, a conclusione di
un congresso internazionale, vennero attivati gli indennizzi dei danni
arrecati dal plantigrado.
La storia recente è nota ai più: un’ulteriore evoluzione ha portato
l’Amministrazione pubblica, sostenuta anche finanziariamente a livello
nazionale ed europeo (UE), a realizzare una reintroduzione nell’area in
cui era ancora presente la residua popolazione del Brenta, liberando 10
orsi sloveni, catturati in natura.
La nuova popolazione ha avuto una crescita molto veloce e sta ampliando
il proprio areale andando a coinvolgere territori, previsti sì
nell’iniziale progetto, ma nei quali l’orso era scomparso da oltre un
secolo. Gli individui che in questi ultimi anni sempre più
frequentemente fanno la loro comparsa nei territori lombardi, della
provincia di Bolzano e in Svizzera sono al momento giovani maschi che
devono emigrare dal territorio del Trentino occidentale durante il
periodo riproduttivo (aprile – giugno) per competizione con i maschi
adulti. Nei loro movimenti di dispersione i giovani maschi compiono
spostamenti di notevole entità alla ricerca di loro simili, dando spesso
l’impressione di essere molti di più di quanto in realtà sono. Per
avere un’idea, tra il maggio e l’agosto 2012 in Lombardia sono
transitati 5 differenti giovani maschi (individuati grazie alle indagini
genetiche) che a più riprese si sono spostati tra le province di
Sondrio, Bergamo, Brescia, Lecco, Trento, Bolzano e il Canton Grigioni.
Il più “camminatore” di questo, l’ormai famoso M13, animale
particolarmente poco schivo e dotato di radio collare, tra aprile ed
agosto ha percorso oltre 1.000 km nelle sue peregrinazioni. A tale
proposito va quindi giustamente interpretata l’affermazione attribuibile
a Toniatti Giordano che afferma di avere visto il 20 luglio scorso a
Solaz (Valfurva) un orso di 80 kg. Nell’area in questione, infatti, nel
periodo 19-24 luglio ha stazionato in modo stabile ed è stato
ripetutamente osservato M13, dotato di radio collare e quindi
attentamente monitorato. La presenza contemporanea di un secondo orso
nello sesso luogo e nello stesso momento – senza che di esso si abbia
alcun riscontro oggettivo quali fotografie che permettano di escludere
che si trattasse proprio di M13 – è del tutto improbabile. M13 è stato
catturato il 30 giugno precedente, dotato di trasmettitore e pesato. Il
suo peso era allora di 137 kg e, in tutta franchezza, stentiamo a
credere a stime di peso frutto di semplici osservazioni a distanza e non
di bilance.
Quanto sta avvenendo con l’orso sta analogamente succedendo sulle Alpi per tutti i grandi carnivori, oggi in lento recupero per una serie di concause:
-
la lince, reintrodotta in Svizzera, Austria e Slovenia, da dove spontaneamente si sta diffondendo verso le Alpi centrali;
-
l’orso, reintrodotto in Trentino e Austria, ed in migrazione spontanea sempre più frequente dalla Slovenia, attraverso Friuli e Veneto fin alla valle dell’Adige;
-
il lupo, arrivato spontaneamente con qualche singolo animale dal Piemonte attraverso la Svizzera fino alla Val di Non (TN) e dalla Slovenia, attraverso Austria e Friuli, fino alla val di Fiemme (TN).
Dietro questo fenomeno su scala alpina non c’è alcun protezionismo ambientale ricco di ipocrisia, né alcuna sottovalutazione delle problematiche che sicuramente esistono nella convivenza tra uomo ed orso, ma solo il ritorno, in parte naturale, in parte aiutato dai Governi delle Regioni e degli Stati alpini, di specie da sempre presenti sulle nostre montagne. A questo proposito è comunque importante ricordare che esistono accordi, direttive e leggi nazionali e sovranazionali che sanciscono la protezione delle specie e che impegnano i Governi a mettere in atto tutte le azioni possibili per la conservazione delle popolazioni che stanno ricolonizzando le Alpi.
Ferruccio Tomasi, Presidente del Consorzio del Parco dello Stelvio; Gianfranco Saruggia, Presidente del Comitato Lombardo; Wolfgang Platter, Direttore del Consorzio; Luca Pedrotti, Coordinatore Scientifico del Parco; Daniele Bettini, Coordinatore dell’Ufficio Tecnico UCA (distaccato all’ufficio periferico lombardo); Massimo Favaron, Responsabile delle Attività Divulgative