(17.01.14) Per troppe amministrazioni della montagna lombarda le priorità sono sempre "altre" rispetto alla tutela e valorizzazione del patrimonio identitario: impianti da sci, strade asfaltate, biomasse, nuove lottizzazioni di villette a schiera, palasport sovradimensionati...
Istituzioni fallite quelle che distruggono il patrimonio locale
Anna Carissoni, dalla Valseriana, segnala un caso emblematico di un bene appartenenete a quello che l'Unesco classifica come " patrimonio rurale vernacolare". Un bene non già di un privato, ma di proprietà comunale, che viene lasciato al degrado. La scusa è sempre quella: "vorremmo attuare un piano di ristrutturazione, è destinato ad attività culturali, ma mancano i fondi". Si mettono davanti costi imponenti per interventi lussuosi tanto per ... lasciar crollare tutto. Una sorte seguita da molti edifici di valore storico lasciati ad un triste destino nella "avanzata" (!?) Lombardia che, invece, in altre regioni sono stati accuratamente catalogati e tutelati quale patrimonio "minore" ma prezioso.
Nelle nostre valli troppi sono lì ad attendere solo che i vecchi edifici crodino giù per calare come avvoltoi a costruire schiere di villette.
Episodicamente si parla di leggi e di tutele e si realizzano censimenti. Poi nulla. Nell'ormai lontanissimo 1984 la Comunità Montana eseguì un dettagliato censimento dei "Nuclei di antica formazione nella Valseriana superiore". Almeno restano le foto.
Che in alcuni casi documentano la speculazione edilizia che avrebbe poi dilgato nei decessi successivi. Sotto la Loc. Bères a Gromo. La scheda (17/a p. 311 segnalava: "Le caratteristiche del nucleo architettonico di Bares sono tali e di tanto interesse da mritare un recupero complessivo di notevole testimonisnza storica" ma anch4e: "alcuni edifici sono in precario abbandono. Il tutto è circondato da nuovi edifici destinati a residenza turistica". Oggi l'abbandono lo rischiano gli edifici turistici di "Villaggi" come questo "Villaggio Biancaneve". Edifici che non si riesce a vendere, che necessiterebbero di adeguamenti per la qualificazione energetica mentre mancano risorse per le manutenzioni ordinarie (i proprietari li lasciano quasi sempre chiusi e se ne disinteressano, specie dopo le succiessioni ereditarie). Un nuovo ciclo di degrado e abbandono. Almeno le vecchie pietre hanno una loro dignità anche da ruderi, raccontano di storie di fatiche e capacità di ricavare da vivere da ambienti diffici. I prossimi ruderi dell'edilizia turistica parleranno ai posteri solo di avidità, di stupidità.
Quando non c'è alcuna sensibilità per la tutela del patrimonio dell'identità e della cultura della propria terra, quando si assecondano ancora gli appetiti della speculazione immobiliarista travestita da "sviluppo turistico" (ma è solo quello senza futuro dlel'industria sciistica) la legittimità di un sistema politico-amministrativo viene meno. E giustamente Anna Carissoni trae da una microvicenda una conclusione di portata generale per le nostre comunità: creiamo pure delle unioni (libere) tra comuni ma senza sopprimere le comunità e tornando nelle piccole realtà (frazioni e piccoli comuni aggregati in Unioni) a forme di autogoverno, di democrazia diretta nella gestione dei beni comuni. Dall'acqua ai boschi, al patrimonio materiale e immateriale eredità della civiltà rurale. Un patrimonio che altre regioni e paesi hanno saputo mettere a frutto non solo per consolidare il capitale sociale, l'identità, la coesione, l'orgoglio locali ma anche come risorsa economica da mettere a frutto. Da questo punto di vista la Regione Lombardia si segnala ancora una volta come fanalino di coda
A Gromo cade a pezzi un pregevole
complesso di architettura rurale
di Anna Carissoni
Ne avevamo parlato su Araberara nell’ottobre del 2012, quando avevamo segnalato lo stato complessivo di abbandono e di degrado in cui versava l’antico cascinale posto proprio all’inizio dell’abitato di Gromo, sulla sinistra per chi sale, dopo l’ultima curva prima del rettilineo che porta in paese. Allora di tetto crollato ce n’era solo una porzione ed avevamo chiesto al sindaco Ornella Pasini se l’edificio, splendido esempio di architettura rurale locale, di proprietà del Comune, meritasse la brutta fine che stava facendo.
“ Certo che no – ci aveva risposto – l’idea di ristrutturare la cascina è sempre stata nelle intenzioni dell’Amministrazione, nel Pgt la struttura figura come destinata ad attività culturali, ma si tratta di un recupero costoso per il quale non disponiamo di risorse sufficienti…E poi, per ora, ci sono altre priorità”.
Già. Solo che, nel frattempo, probabilmente a causa delle nevicate e delle piovute abbondanti, un’altra grossa porzione di tetto è crollata e siccome l’inverno è tutt’altro che finito, non è difficile ipotizzare che il degrado vedrà un ulteriore incremento. Di fronte a questa triste prospettiva, è stato ovviamente giocoforza risentire il sindaco.
“ Mi dispiace molto per ciò che è accaduto – ha commentato – ma in questo momento in cui i Comuni non hanno più soldi, fanno fatica a mantenere quello che hanno e sono costretti a dismettere i loro patrimoni, non possiamo nemmeno lontanamente pensare ad alcun tipo di intervento. Nemmeno l’idea di fare dei Piani Integrati è percorribile, visto che anche le immobiliari non riescono più a vendere…Nelle intenzioni la cascina avrebbe dovuto diventare un centro –servizi, come sede dei pensionati, della Banda, dell’Ufficio Postale e dei Servizi Forestali, ma ora saremo costretti a rivedere il Pgt, anche perché è meglio che i servizi rimangano nel borgo, che si sta via via spopolando. Perciò ci sembra più urgente ristrutturare completamente l’edificio in cui ha sede la Biblioteca e dare una sistemazione migliore anche i servizi di cui ho detto”.
Il problema del destino del cascinale è all’ordine del giorno dell’Amministrazione che si riunirà a breve per ragionare sull’argomento: “ Si potrebbe pensare ad un piano di alienazione – aggiunge il sindaco – ma anche per questo non è certo il momento propizio. E’ certo tuttavia che i soldi per una ristrutturazione della cascina non li abbiamo, nemmeno ora che, ultimato il lavoro di accatastamento finalizzato al recupero di fondi per le centrali dell’Enel, ci aspettiamo qualche risorsa in più. Soldi che comunque saranno pochi, e sui quali, del resto, lo Stato ha già in programma di allungare le mani…Lo scriva, lo scriva per favore, perché i nostri cittadini forse non se ne sono ancora resi conto: invece di aiutarli, lo Stato non fa che mettere le mani nelle tasche dei Comuni, costretti a fare i salti mortali per mantenere i servizi essenziali, i Comuni che poi sono gli unici a fare la spendig-rewiew tutti i santi giorni…”
Ecco, lo abbiamo scritto. Anche se farlo non ci è stato di alcun conforto.
IL COMMENTO
E così sta cadendo anche la cascina di Gromo, di proprietà del Comune. E sta cadendo quella sulla strada della Cunella, di proprietà del Pio Legato Bettoncelli di Villa d’Ogna. E quante altre, sul nostro territorio, hanno fatto la stessa fine nei decenni scorsi?
Richiesti di spiegazioni, i sindaci interessati rispondono tutti la stessa cosa: non ci sono i fondi per salvarle e ristrutturarle.
Ora, pur senza mettere in dubbio la buona fede dei nostri Amministratori, anche la nostra domanda rimane ostinatamente la stessa: possibile che tutti i vecchi edifici con qualche valenza storica e culturale e che siano di proprietà pubblica debbano seguire questo triste destino? Perché si aspetta sempre che cadano per cause “naturali” e non si pensa ad intervenire prima che il loro degrado sia definitivo?
Un impresario edìle ci ha detto che, se si fosse intervenuti nel 2012 per mettere in sicurezza il tetto della cascina di Gromo si sarebbero spesi circa 20.000 euro, mentre adesso ce ne vorrebbero almeno 90.000. E che è questo che avrebbero fatto i nostri Vecchi: se non c’erano abbastanza soldi per sistemare tutto, salvavano il tetto, in attesa di tempi migliori.
I nostri Amministratori invece lasciano marcire tutto e poi intervengono sui Pgt e sulle destinazioni d’uso: per cambiarli basta una delibera, e di solito si trova poi sempre l’immobiliare che paga per “riqualificare il sito”, magari costruendoci le seconde case da vendere ai milanesi…
E così che si chiude il cerchio della colonizzazione della montagna e che la si riduce al the fantastic plastic Heidy ” (anche se per la verità, ultimamente, le villette del “fantastico mondo di plastica di Heidy” hanno sempre più spesso sulla porta il cartello “vendesi”….).
Intanto però si tratta di altri pezzi di montagna irrimediabilmente distrutti, secondo la stessa logica suicida che continua a consumare porzioni di territorio anziché puntare al recupero dei vecchi centri abitati: si svende per il solito piatto di lenticchie la terra, la nostra terra, l’unica “ricchezza” che abbiamo e che, come dicevano i Nonni,non tradisce mai, e che potrebbe venir buona, domani, se non proprio ai nostri figli drogati di posto fisso e di virtualità, ai nostri nipoti, ai loro figli ed ai figli dei loro figli…
Sappiamo che ci sono alcuni Amministratori – come il sindaco di Cerveno, in Valcamonica - che hanno impostato il loro Pgt in modo drastico: non si costruisce più niente, chi vuole ristrutturi l’esistente, compresi gli antichi muri a secco fatti a mano dagli antenati, naturalmente con molte facilitazioni, sia economiche che burocratiche. Lo stesso per chi voglia ristrutturare vecchie cascine, scaricare boschi, ecc…E si tratta dello stesso sindaco che insieme ad alcuni altri della zona non ha mai voluto entrare nell’Ato per la gestione delle acque, sulla base del fatto che l’acqua è proprietà di tutti e le Amministrazioni locali hanno sempre fatto una manutenzione accurata ai loro acquedotti. Eppure anche Cerveno è un piccolo Comune di montagna, povero di risorse e tartassato dallo Stato.
La cascina di Villa d'Ogna
E allora tutto ciò cosa dimostra?
Innanzitutto che se davvero le cose si vogliono fare, si possono fare; e poi che i Comuni di montagna dovrebbero tornare a riappropriarsi del senso di autonomia che li ha caratterizzati per secoli. Come dice Giancarlo Maculotti – il sindaco che abbiamo citato – “i montanari sono capaci di decidere da soli, ma devono unirsi, devono stringere alleanze, darsi obiettivi chiari ed ambiziosi. Sono finiti i tempi nei quali si andava col cappello in mano a chiedere la carità. La montagna produce energia pulita e la montagna deve gestirsi la sua energia. Questo è il primo obiettivo. Se alle valli vengono date le concessioni delle centrali idroelettriche hanno risolto i loro problemi. Una sola valle è perdente su una rivendicazione del genere, ma tre, quattro, cento valli unite possono vincere. Bastano gli utili dell’idroelettrico per finanziare i servizi, razionalizzare i comuni, avere più qualità della vita. Altro punto: i piccoli paesi hanno una loro identità: non bisogna farli sparire, ma facilitare la loro libera unione con i comuni vicini.
Sarebbe utile un ritorno alle Vicinie: tolto il potere ai soli capifamiglia ed esteso a tutti il diritto di voto, potrebbero governare i piccoli comuni meglio delle attuali amministrazioni con leggi imposte dall’alto. Ogni Vicinia si creava da sé il suo statuto. Decideva quanti amministratori avere, come retribuirli, quanto tempo dovevano durare, se erano o meno rieleggibili. Sostenevano da sole tutte le spese. E poi si federavano, eccome: non un ritorno all’ancien règime, ma la correzione delle storture introdotte in montagna dalla rivoluzione francese. E poi agricoltura ed artigianato. Non quattro pazzi con il conto in banca sicuro che diventano allevatori per hobby, ma giovani europei emancipati che vogliono costruirsi un avvenire più piacevole e più libero. Certo ci vuole una politica che non tolleri più sprechi di territorio e punti decisamente e solo sul recupero dei centri storici e delle cascine abbandonate di montagna”.