Ruralpini        Testimonianza/Lupi e pastori

   

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Mentre i soliti intellettuali (vedasi l'articolo della Maraini sul Corrierone) non riescono a guardare oltre i cliché dell' animalismo politicamente corretto e della mitizzazione del lupo (quale emblema di una astratta 'rivincita della natura'), Salsa ha colto l'importanza antropologica cruciale della presenza del lupo. Egli, innanzi a tutto, ha messo sul tappeto il tema decisivo della compatibilità del ritorno del lupo in un contesto caratterizzato da un capillare modello di insediamento millenario e da una forte fragilità attuale dei sistemi antropici in un momento di delicata transizione in cui giovani 'neomontanari' si affacciano sulla scena alpina ma rischiano di essere respinti da una 'rinaturalizzazione forzata' (di cui i grandi predatori costituiscono l'elemento simbolico di punta) che - lungi dal risultare un 'fenomeno naturale' ha il carattere della scelta politico-ideologica .
 

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(23.02.12) L'Adige, sul tema d'attualità del "ritorno del lupo sulle Alpi", ha pubblicato ieri la testimonianza di Marzia Verona. Marzia è pastoralista ma anche pastora e parla della sua esperienza personale intervenendo nel dibattito aperto con coraggio e lungimiranza da Annibale Salsa

 

 

Ritorno del lupo:

sulle Alpi la convivenza è problematica

di Marzia Verona (foto di Michele Corti)

 

Ho letto sull’Adige l’articolo di Salsa [riportato in fondo alla pagina n.d.r.] sul ritorno del lupo in Trentino e sulle Alpi. Vorrei raccontare la mia storia al riguardo. Scrivo dal Piemonte, dalla provincia di Torino. Purtroppo ci sono e continuano a esserci troppe strumentalizzazioni intorno a questo tema e si vuol far credere che ci siano branchi di lupi pronti ad assalire gli abitanti dei villaggi.

 

 

Il danno al pastoralismo è grave

 

I branchi di lupi ci sono, è vero che scendono nei paesi, infatti negli ultimi 10 anni ci sono stati numerosi casi di lupi investiti su strade e ferrovie nelle vallate alpine (Val di Susa, Val Chisone).La gente li vede, li sente, trova i resti delle loro prede non lontano dalle case. Questo genera sicuramente paura, il timore del lupo è qualcosa di atavico che abbiamo dentro di noi. Io li ho sentiti ululare un mattino prima dell’alba, in alta montagna, e mi è letteralmente venuta la pelle d’oca.

Il vero problema per il quale però in Piemonte si è chiesto il contenimento del numero di lupi è un altro: non solo la paura di quei pochi che vivono in piccoli villaggi di montagna che d’inverno contano poche decine di abitanti, ma i danni all’allevamento tradizionale degli alpeggi. Io sono la compagna di un pastore. Lui è originario della Val Pellice, più precisamente di Angrogna. Per lui, come per la maggior parte dei suoi «colleghi », il gregge è la vita. Il pastore non dice: «Le pecore hanno pascolato un prato nel tal posto», ma: «Ho mangiato l’erba…».

Sarebbe bello che il lupo fosse un animale spazzino che preda solo bestie malate, vecchie, caprioli e camosci ormai stanchi di vivere. È furbo, è intelligente, il lupo. Potendo scegliere, lo fa. E la pecora, animale domestico, è più facile da catturare. Se poi è bella grassa, rappresenta un succulento boccone. Lo sa che i pastori hanno notato che, se una pecora con dei problemi, alla quale magari è stata fatta una puntura di antibiotico, resta indietro, il lupo non la prende?

Noi nell’estate 2011 abbiamo avuto 30 perdite per causa del lupo. Nel 2010 una ventina. E attacchi più o meno consistenti ci sono stati anche negli anni precedenti. Il gregge è composto da circa 400 animali di proprietà del mio fidanzato e altrettanti «presi in guardia» da piccoli allevatori locali, che, secondo la tradizione, li affidano al pastore affinché li porti in alpe d’estate, cosicché loro possano occuparsi della fienagione in fondovalle, fieno prezioso per il mantenimento dei loro ovini nel lungo inverno.

 

 

Il lupo rende ancora più dura la vita già sacrificata dei pastori

 

Sono quindici anni che il lupo è presente sull’alpeggio dove saliamo. Claudio, il mio fidanzato, è sempre stato su quelle montagne, prima con i genitori, poi con lo zio che l’ha indirizzato sulla strada della pastorizia. I suoi genitori invece allevano bovini. Conosce ogni sasso, ogni cespuglio, ogni leggenda e storia di quella montagna. È un alpeggio difficile, spesso c’è la nebbia e non se ne va per giorni. È ripido, sassoso, con molti cespugli perché ormai lassù non salgono decine di persone come un tempo, ma solo lui con il suo gregge. Non si vive più con due vacche e venti pecore, si fatica a campare con quattrocento.

In alpeggio purtroppo tocca adattarsi: nel nostro caso si paga un affitto al Comune, che però non ha mai aggiustato le baite. Queste stanno crollando, l’unica più o meno in piedi ha muri attraverso i quali passa il vento, quando piove c’è il fango sul pavimento perché la «casa» è addossata alla roccia e l’acqua a lungo andare filtra. Non si può accendere un fuoco all’interno e ci sono allegre famiglie di topi che ti passano fin sulla faccia mentre dormi. Il letto è un «soppalco» costruito con alcune assi e pali. Il materasso erba secca e qualche vecchia coperta. Bisogna camminare per oltre un’ora e mezza lungo un ripido sentiero per arrivare lì, portando su tutto a spalle, viveri per te e per i cani. Più volte si è tentato di fare il carico con l’elicottero, per portare almeno il sale per le pecore, il pane per i cani, ma la nebbia il più delle volte ha mandato a monte il tutto.

Le baite non possono essere aggiustate perché sono del Comune, così ci si arrangia con teli di nylon e riparazioni precarie. Perché affrontare la spesa della costruzione di un nuovo edificio… quando l’anno prossimo il Comune potrebbe affittare a un altro? E perché non cercare un altro alpeggio? Perché non è semplice trovarne di liberi. È una lunga storia anche questa, ci sono meccanismi complicati da sintetizzare, perverse storie di alpeggi affittati ad allevatori di pianura pronti a sborsare cifre che mai un pastore potrebbe permettersi (e loro invece lo fanno per accaparrarsi i contributi Cee, senza peraltro portare in alpeggio i loro animali). Poi su quell’alpeggio c’è la sua vita. Nella parte bassa ci sono pascoli ed edifici di proprietà, che lui e la sua famiglia hanno ristrutturato a spese loro. Si potrebbe utilizzare quelli, camminando un po’ di più, ma avendo una vita civile. Il lupo però non lo consente…

 

 

Vorremmo che fosse ripristinato il diritto naturale alla difesa dei greggi

 

La mia lunga premessa serviva infatti a dare un’idea di quello che c’è lassù nelle montagne dove i lupi mettono in pericolo le greggi e gli uomini. Per l’uomo il pericolo fino ad ora non è stato l’attacco alla persona, ma la sofferenza, lo stress, il senso di impotenza, la frustrazione, il danno economico e morale. «Convivere» con il lupo per un pastore vuol dire essere sempre insieme al proprio gregge. Bisogna chiudere le pecore nei recinti (e le reti mobili vanno spostate frequentemente, per il benessere degli animali… il tutto a spalle…), quindi devi essere lì dal mattino presto fino alla sera tardi.

A volte degli animali restano indietro nella nebbia e così tendi le orecchie al suono delle campanelle, poi parti con la pila a cercarli. Quelli che non trovi, sono condannati. Quest’estate io ero in alpeggio e, ogni volta che ciò è successo, al mattino vedevi già i corvi che giravano. Allora andavi a raccogliere i cadaveri e, se ti andava bene, curavi quelle ferite. Di notte finisce che non dormi più, al minimo abbaiare del cane maremmano da difesa salti in piedi ed esci con la pila. Fai di tutto, dai tutto te stesso per gli animali, i tuoi animali che magari hai salvato da piccoli, allevandoli con il biberon quando la mamma non aveva latte a sufficienza, e poi te li trovi uccisi, divorati.

Arrivi a capire il lupo, è un animale, deve mangiare, ma non capisci perché non puoi difenderti come facevano i tuoi nonni, i tuoi bisnonni. Almeno sparare, per far paura. Perché l’ultima pecora prima di scendere dall’alpeggio a fine stagione te l’ha presa dietro alle baite, in pieno giorno, senza timore dell’uomo. Il lupo non ha più paura dell’uomo. Quando ti vede, si allontana, ma non scappa. Ti alzi alle 6 e vai a letto alle 23 se non oltre. Non puoi allontanarti un giorno, un’ora. Se non ci fosse il lupo, alle cinque o alle sei di sera potresti scendere alla tua baita dove c’è una stufa, un letto, mangiare e riposare, stare con la famiglia. Invece no, e se non c’è nessuno con te, alla sera molte volte sei così stanco che o non mangi, o sbocconcelli qualcosa di freddo.

 

 

Per colpa del lupo non possiamo creare una famiglia

 

Per colpa del lupo noi non possiamo farci una famiglia: non si può più crescere un bambino lassù, in quelle condizioni… E non vogliamo nemmeno stare lontani 4-5 mesi, soprattutto in quella stagione che è (era) la più bella per chi fa questo mestiere. Dobbiamo per lo meno trovare un altro alpeggio, con una baita in cui si possa vivere civilmente. Tentare di difendersi dal lupo è anche un costo non indifferente, per un’azienda dal bilancio ridotto come la nostra. 5-6.000 euro a stagione non sono pochi (spesi tra reti, pagare un aiutante estivo, alimentazione dei cani anti-lupo, medicinali per le pecore ferite…), per non contare poi tutti i danni indiretti. Le pecore producono meno, quelle genericamente «disperse» dopo un attacco al gregge non vengono rimborsate, ecc. ecc.

Viene persino voglia di smettere, ma se un pastore vende le pecore gli muore qualcosa dentro. Questa è la nostra storia, io mi sento impotente quando Claudio è sconvolto dopo l’ennesimo attacco. La sua non è rabbia, è disperazione. Mi dice: «Ma che vengano qui con me, quelli che ci tengono tanto al lupo! Vengano su con me a fare una settimana della vita che faccio io!». Io quella vita la sto facendo, ma non è vita, meno che mai nel XXI secolo. Vorrei che sul giornale venissero raccontate anche queste storie e non solo dire teoricamente che è bello il lupo e bisogna proteggerlo assolutamente.

 

 

Senza il pastore crolla un ecosistema

 

Se l'uomo, se  il pastore abbandona la montagna, crolla un ecosistema. Se smettesse lui, venderanno le pecore tutti quei piccoli appassionati che ne tenevano cinque, dieci, cinquanta nel fondovalle e gliele affidavano per l’estate. Così si smetterà di falciare quei prati che servivano per il fieno. Sarà abbandonata la montagna, sarà abbandonato lo spazio intorno alle frazioni in basso. Andranno a perdere anche i sentieri che salgono all’alpeggio, quei sentieri che ogni volta che li percorrevi sistemavi una pietra, toglievi un ramo, davi due colpi di zappa perché le bestie passassero con meno pericolo… e con loro anche gli escursionisti che sarebbero venuti dopo. Non ci sarà più la fontana vicino alle baite. Per chi la montagna la frequenta da turista, è più facile godere della vista di un gregge di pecore che non riuscire a scorgere un lupo. L’escursionista di passaggio, magari in difficoltà per qualcosa lassù dove non prende nemmeno il telefonino, al pastore poteva sempre chiedere aiuto, un’indicazione o anche solo scambiare quattro chiacchiere.

 

 

Aiutateci a vivere in condizioni più civili, concedeteci di difenderci in caso di attacco e forse  sarà possibile che lupo e pastore condividano le Alpi

 

Noi e tutti gli altri che fanno questa vita dura, ma piena di soddisfazioni semplici, non c’è l’abbiamo con il lupo. Ce l’abbiamo con chi non capisce la montagna e i suoi abitanti. Il lupo cacci il capriolo, il camoscio, il cinghiale, ma dateci la possibilità di difenderci quando invece arriva vicino alle nostre pecore. Volete aiutare il lupo? Allora aiutate i pastori. Aiutateci a risolvere i problemi che hanno fatto sì che il lupo fosse la goccia che fa traboccare il vaso: abbiamo bisogno di baite decenti, abbiamo bisogno che il nostro lavoro torni ad avere un valore, mentre adesso a fatica con i ricavi si coprono le spese, abbiamo bisogno di meno burocrazia, di affitti degli alpeggi abbordabili.


Il ritorno del lupo

di Annibale Salsa (studioso di antropologia culturale e della montagna, già presidente del Cai)

Da circa due/tre anni compaiono sulle cronache del Trentino-Alto Adige alcune testimonianze di avvistamenti di lupi nell'area compresa fra la Val d'Ultimo e la Val di Non, a cavallo fra le Province di Trento e Bolzano. L'ultima notizia, molto bene documentata attraverso riprese con telecamera, riguarda il territorio del Comune di Castelfondo, nell'alta Anaunia. Penso che i lettori trentini, abituati a sentire parlare più frequentemente di orsi, si chiedano da dove arrivino questi primi esemplari di predatori alla conquista del Trentino. Occorre premettere, in proposito, che il lupo nelle Alpi si estingue negli anni venti del  secolo scorso. Nell'anno 1925 circa, viene abbattuto l'ultimo esemplare  in una valle poco antropizzata delle Alpi Liguri-Piemontesi, la Val  Corsaglia (località Oberti, Comune di Montaldo Mondovì, Provincia di  Cuneo). Ho ancora vivo il ricordo di quando ero bambino e i valligiani raccontavano, con toni epici, l'avvenuto abbattimento della temuta «belva». Le taglie per la cattura dei grandi predatori erano ancora diffuse ed ambite. Si pensi all'orso trentino della Val Rendena al quale il famoso «Re di Genova» - Luigi Fantoma della Ragada di Strembo - ha legato la sua fama quasi mitologica. Occorre, però, fare una premessa per capire il succedersi degli ultimi eventi. Bisogna sapere, anzitutto, che il modello insediativo rurale nelle Alpi è prevalentemente di tipo sparso, soprattutto nelle aree di cultura tedesca. Pertanto, nell'arco alpino il controllo del territorio risulta più capillare rispetto a  quello dell'Appennino, dove invece prevale l'insediamento accorpato che  favorisce la presenza di vasti spazi selvatici. Ciò spiega la ragione  per cui, lungo la dorsale appenninica, il lupo non si è mai estinto ed  ha continuato a scorrazzare dalla Calabria alla «linea gotica», ovvero  fino al crinale tosco-emiliano-romagnolo come massima espansione verso  Nord. Fino agli anni Cinquanta del Novecento le Alpi erano intensamente  abitate. A partire dagli anni Sessanta inizia, nel settore occidentale,  un massiccio spopolamento cui fa riscontro una crescita graduale di cervi e caprioli che, in quelle valli, erano diventati piuttosto scarsi.

I fattori concomitanti dell'abbandono delle terre alte da parte dei  contadini e le politiche di ripopolamento delle aree protette mediante  immissioni di ungulati hanno consentito ai lupi di superare la barriera  bio-ecologica degli Appennini. Attraverso la cerniera orografica dei  monti liguri, i primi esemplari di lupi sono entrati nello spazio  alpino, non più disturbati dalla presenza capillare dell'uomo. Il primo  avvistamento risale al 1990 in una valle remota del versante, oggi  francese, delle Alpi Marittime nei pressi del villaggio di Mollières,  abitato attualmente soltanto in estate. A titolo di curiosità storica  mi piace ricordare come questo villaggio, italiano fino al 1947,  beneficiasse dell'esenzione dal pagamento delle imposte a causa della  sua collocazione svantaggiata e isolata. Siamo nel Parco Nazionale  francese del Mercantour, dove sono stati immessi numerosi nuclei di  mufloni trasferiti dalla Corsica. Dopo le prime segnalazioni di giovani  lupi in disseminazione, cioè alla ricerca di nuovi spazi vitali come  sta accadendo in Val di Non, si sono formati i primi branchi che,  gradualmente, hanno trovato stabile dimora lungo le valli delle Alpi  Occidentali franco-italiane spingendosi fino alla Valle d'Aosta (Gran  Paradiso). Da qui il loro cammino è proseguito sul versante svizzero  attraverso il Vallese, l'alto Canton Ticino, i Grigioni. Ma in Svizzera  il lupo non avrà vita facile poiché, in base a una legge federale,  allorquando i selvatici arrecano danni superiori a una determinata  soglia, possono essere legalmente abbattuti. Intanto, in Piemonte e in  Francia, le segnalazioni di attacchi al pascolo vagante di ovini e  caprini si moltiplicano a dismisura. Nei primi sei mesi dell'anno 2011,  i danni al patrimonio zootecnico superano i valori dell'anno precedente.

Occorre tenere presente che il lupo, come l'orso e la lince, è protetto dalla Convenzione di Berna siglata il 19 Settembre 1979. Proprio nel Paese dove essa è stata siglata, si sta chiedendo l'uscita della Confederazione rosso-crociata dalla Convenzione stessa. È di questi giorni la costituzione, nella cittadina francese di Barcellonette (Alpi di Alta Provenza) dell'Associazione degli «Indignati del lupo»,  strettamente collegata ai vicini pastori delle valli cuneesi. Per  tornare ai sempre più frequenti avvistamenti in Val di Non va detto che il difficile corridoio svizzero, capillarmente contrastato con precisione elvetica, è stato la causa del ritardo con cui il lupo si è  affacciato in territorio trentino. I centri di ricerca sul lupo,  rispettivamente sul versante italiano a Entracque (Parco Regionale Alpi  Marittime) e su quello francese a Saint-Martin-Vesubie (Parco Nazionale  del Mercantour), stanno monitorando gli spostamenti degli esemplari  muniti di collare. Proprio ad Entracque ho potuto vedere, attraverso la sofisticata strumentazione informatica del Parco, come gli esemplari dei lupi giovani in disseminazione si siano affacciati alle Alpi Bavaresi ed a quelle Tirolesi e Trentine. Il malumore che sta crescendo sulle Alpi francesi e su quelle piemontesi è anche legato all'incremento che la pastorizia e l'allevamento ovi-caprino hanno registrato in anni recenti.

Alcuni nuclei familiari giovanili sono tornati a confrontarsi con la vita di montagna e con le attività ad essa collegate. Ma,  fortunatamente, il fenomeno neo-rurale ha registrato sensibili progressi nelle Alpi. Oggi molti neo-allevatori si stanno però chiedendo se la  loro presenza sia compatibile con quella del lupo. Sarebbe davvero triste dover constatare che il cauto ottimismo, legato ad un timido  ritorno alla vita in montagna, dovesse dissolversi in nuovi scoramenti e  frustrazioni di giovani montanari animati da ammirevole entusiasmo. La sfida di oggi, al di fuori dalle strumentalizzazioni ideologiche e dall'uso politico del sapere scientifico, consiste nel capire se il modello gestionale futuro dell'ambiente montano debba ispirarsi alla scelta bipolare «et-et» (convivenza possibile uomo-predatore) o a quella «aut-aut» (o l'uomo o il predatore). Mettiamoci quindi al  lavoro con buon senso, abbandonando le tifoserie opposte, per guardare  meglio in faccia alla realtà.

 

 

 

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