(30.07.12) Non è la "secessione" del Consorzio turistico Madesimo che ha danneggiato la Valchiavenna ma l'aver puntato tutto sull'industria della neve
Quando la montagna
si fa del male da sola
di Michele Corti
Madesimo per rilanciarsi turisticamente ha capito che il prodotto turistico non può essere annacquato e deve essere chiaramente identificato. La ski area Valchiavenna invece che trainare tutta la comunità montana ha danneggiato l'immagine e il richiamo della destinazione turistica senza portare vantaggi al resto del territorio
Annunciato da grandi polemiche sin dalla fine del 2011 il Consorzio turistico Madesimo debutta con la stagione turistica estiva. Per sottolineare la secessione dal Consorzio turistico della Valchiavenna l'amministrazione comunale di Madesimo ha realizzato un bollettino di informazione "Madesimo.Valle Spluga" che ha provveduto ad inviare non solo ai residenti ma anche a tutti i proprietari di seconde case. La volontà secessionista è ampiamente ribadita in copertina: "La Valle Spluga ha deciso di prendere in mano il suo futuro" e nell'articolo di presentazione del sindaco Franco Masanti : "Vogliamo tornare ad essere artefici del nostro futuro".
Ora, a Chiavenna sono rimasti "come quel de la maschèrpa". Il Consorzio turistico Valchiavenna senza Madesimo e Campodolcino non ha più la neve.
Quando la geografia è "adattata" alla politica. Valchiavenna o Valle Spluga?
Per capire polemiche e distinguo che dividono i Consorzi turistici è ncessario fare riferimento alla geografia e alla storia. Dal punto di vista geografico va innanzitutto precisato che il territorio della Comunità Montana Valchiavenna corrisponde al bacino del Fiume Mera. La Mera, oggi come in passato (quando il Lago di Mezzola non era separato dal Lago di Como), è affluente del Lario e non del fiume Adda. la Valchiavenna non è una valle laterale della Valtellina, ma è a sé. La Mera nasce al Maloja (in Svizzera) e solca la Val Bregaglia (per la maggior parte svizzera), attraversa Chiavenna e il Piano di Chiavenna: È immissario e emissario del Lago di Mezzola per poi percorrere un breve tratto e gettarsi nel Lario.
A volte ci si riferisce al territorio come distinto in "bassa" e "alta" Valchiavenna. Un uso recente e mai adottato in Val San Giacomo, francamente "chiavannacentrico" e mal supportato dalla geografia. Semmai l'alta Valchiavenna sarebbe la Val Bregaglia perché da qui scende la Mera. La Val San Giacomo è sempre stata fiera della sua automia dal Contrado (Contea) di Chiavenna. Oggi è divisa in tre comuni: San Giacomo e Filippo, Campodolcino e Madesimo. In passato era un comune di valle dotato di statuti autonomi distinto dal "Contado di Chiavenna".
In Val San Giacomo, un po' per via del declino dell'importanza del paese di San Giacomo a favore dell'alta valle, un po' per l'esigenza di comunicare in modo immediato la localizzazione della valle facendo riferimento al ben noto Passo dello Spluga, è da tempo invalsa la denominazione "Valle Spluga". Il che non evita altre ambiguità. L'alta "valle Spluga" coincide con la Val S. Giacomo? E la "bassa Valle Spluga" equivale alla "bassa Valchiavenna"? La nota marca di carni avicole "Valle Spluga" sita nel Piano di Chiavenna non chiarisce le cose. Aggiungasi che da qualche anno è stato rispolverato l'uso della denominazione "Val di Giüst" per indicare l'alta Val Sangiacomo, ovvero i comuni di Madesimo e Campodolcino.
Che a Madesimo e Campodolcino ci si qualifici "Valle Sluga" con riferimento al passo alpino nel loro territorio e ci si dimentichi della "Valchiavenna" è eloquente. Però la ski area si chiama sempre "Valchiavenna, Madesimo, Campodolcino" e la società che la gestisce è la SKI-AREA VALCHIAVENNA SpA che, in data 30/10/2004, è subentrata alla Soc. Spluga Domani SpA. La nuova denominazione era la conseguenza dell'entrata, come socio, della Comunità Montana e di altri enti pubblici. Partita con il 20% di quote di pubblico la Ski area è attualmente al 46% di proprietà pubblica. Per cinque mesi senza presidente la Ski area dovrà fare i conti con la secessione del consorzio turistico considerato che nel cda siede un rappresentante del Consorzio turistico Valchiavenna.
Per Madesimo-Campodolcino il consorzio turistico Valchiavenna e la skyarea Valchiavenna hanno rappresentato l'offuscamento dell'immagine della destinazione turistica. Si vende un prodotto turistico che si chiama Livigno, Bormio, Cortina, Zermatt non uno con un nome ambiguo e indeterminato (viste le sovrapposizioni e le confusioni tra Valchiavenna e Valle Spluga). Quando facevano comodo i capitali pubblici per finanziare il costoso potenziamento e rinnovamento degli impianti scistici si è ingoiato il rospo, ora che il turismo a Madesimo è in crisi (più che nella media) ci si è accorti che bisogna tornare a lucidare il brand "Madesimo". Si è fatta la secessione, si da a intendere di essere stati "soggiogati", si assume un super-manager (Giovanni Comotti) che è stato responsabile incoming per le più blasonate destinazioni turistiche delle Alpi italiane, si fa un salto di qualità nell'offerta di eventi turistici culturali estivi con un'offerta di eventi musicali in collaborazione con il conservatorio di Milano. Una risposta probabilmente obbligata. Ma perché si è accettata prima la Valchiavennizzazione? La risposta ce la siamo già data: gli investimenti. Gli impianti scistici sono un investimento che si giustifica solo se c'è dietro pantalone. I clienti sono in calo (aumento dei carburanti, skipass a 31€), la neve anche. La stagione sciistica termina sempre prima (un tempo si arrivava al 1° maggio!). Non è un mistero per nessuno che il business della neve è un business indiretto che si giustifica con la speculazione immobiliare. Potenziare piste e impianti è una "scocciatura" indispensabile se si vuole proseguire la cementificazione, se si vuole tenere su il mercato delle intermediazioni, delle ristrutturazioni edilizie e l'indotto. Di per sé l'industria della neve è un fallimento.
Gli "altri " turismi
Severino De Stefani, attuale presidente della Comunità Montana Valchiavenna, alla fine di dicembre 2011 definiva "un disastro" il Consorzio turistico Madesimo e si appellava ai consiglieri comunali perché non lo approvassero. Lo smacco per De Stefani è forte, considerato che - in quanto esponente della casta - è un fautore del "modello Valtellina": monocoltura turistica della neve e agroalimentare industriale. Un modello che si spiega con la debolezza del mondo della piccola produzione schiacciato dal peso degli istituti bancari e delle iniziative economiche che di essi sono emanazione (come l'ipertrofica catena di Ipermercati). De Stefani, da assessore provinciale all'agricoltura, è famoso per aver invocato nel 2008 la repressione ministeriale contro i "ribelli del Bitto" che sfidano l'ordine costituito agroalimentare dominato dai bresaolifici che trasformano la carne congelata di zebù brasiliano, i pastifici che trasformano in "Pizzoccheri valtellinesi" il grano duro canadese (altro che "grano saraceno"!) i caseifici industriali che trasformano in "formaggi tipici" latte da fuori e in "formaggi Dop" il latte munto in Valtellina e Valchiavenna ma da vacche alimentate in prevalenza con mangimi e foraggi da fuori.
L'accoppiata turismo della neve + agroalimentare industriale regge sino a quando il turismo enogastronomico è in ombra. Il turista della neve si accontenta di una "tipicità gastronomica" di bocca buona, di un po' di immagine folkloristica e i "beve" i prodotti industriali come tipici. L'accoppiata turismo culturale rurale + enogastronomia territoriale è cosa diversa. A Chiavenna senza neve e senza la parte più interessante della Via storica dello Spliga restano in brache di tela. Moltiplicheranno le piste ciclabili ma può bastare? Forse qualcuno comincerà a riflettere sugli errori del passato.
Gli errori della Valchiavenna
Aver puntato sui formaggi pansondriesi "Casera" e "Bitto" in nome della "massa critica" e dell'immagine agroalimentare provinciale ha pesantemente danneggiato le "valli della Mera" in qualunque modo le si chiami. Aver privilegiato le grosse aziende zootecniche del Piano di Chiavenna ha significato i venir meno della produzione di prodotti legati al territorio(il latte va in Valtellina a produrre "Casera") e ha indebolito pesantemente il sistema d'alpeggio.
In Lombardia poche aree sono caratterizzate dall'abbandono dell'alpeggio come la "Valchiavenna" (tranne qualche bellissimo e ignorato esempio di recupero vedi articolo). E pensare che gli alpeggi erano numerosi e molto belli, caratterizzari anche dalle tipiche architetture in legno strutturale (ora si propone la "Via dei Carden" come itinerario di esclusivo interesse museale ed etnografico).
I pochi alpeggi rimasti sono quelli di comodissimo accesso largamente "industrializzati"(vedi articolo). Quanto alle poche "perle" gastronomiche locali si è provveduto a comprometterne la valorizzazione. Il Violino di capra è tutelato da un Presidio Slow Food sul quale gli esperti locali hanno sempre avuto perplessità (ora fatte proprie anche dagli esponenti di presidi seri e credibili come quello del Grano saraceno di Teglio). Relativamente a "gioielli" come i Biscutin de Pròst (frollini ricchissimi di burro, simile a specialità nordiche), formaggi di capra artigianali ecc. vale la pena ricordare anche un'altra vicenda perché ci ririporta direttamente al Consorzio turistico Valchiavenna e alla skiarea: "i prodotti di paese della Valchiavenna".
Un'esperienza penosa: "I prodotti di paese della Valchiavenna"
Era il 2001 e il Consorzio turistico Valchianenna nuovo fiammante era pieno di propositi (sulla carta). Nel clima di "riscoperta" delle risorse agroalimentari locali era maturato un progetto che poggiava su lodevoli intenzioni: recuperare piccole produzioni "sommerse", fornire occasioni di attivazione di piccoli circuiti economici ai piccoli centri delle Alte Terre dove qualche famiglia si ostina a restare ancher in inverno, unire cultura e produzioni agrolaimentari all'insegna del recupero di valori e tradizioni territoriali. Promotore dell'iniziativa era l'assessore alla cultura Marco Sartori. Una persona che, prima di divenire assessore, aveva manifestato forte sensibilità per l'identità locale. Il progetto pareva interessante e partecipai alla definizione delle linee programmatiche. Poi la delusione cocente. Sartori non solo impose come logo dei "prodotti di paese" lo stesso identico della SKI AREA e del Consorzio turistico (l'omino che scia con il sole come testa e il profilo delle montagne come braccia e bastoncini) ma il paniere iniziale - che avrebbe dovuto comprendere prodotti artigianali come i già citati biscottini e la pregevolissima prouzione di lavegg in pietra ollare (le antiche pentole in pietra locale lavorabile al tornio) - venne "diluita" da successivi "input" assessorili che andavano dagli abiti da sposa, agli sci in laminato plastico, all'acqua minerale, ai "Fidelin del Moro" (Moro pasta è la più grossa industria pastaia della provincia leader nei pizzoccheri industriali secchi che con i pizzoccheri veri non hanno nulla a che fare). Ciliegina sulla torta la "Salsa dell'assessore", su ricetta dello stesso narcisistico assessore che viene anche ricordato per un'altra brillante iniziativa: il corso di laurea sul turismo che, a Chiavenna, si seguiva in teleconferenza con Perugia (con il piccolo particolare che gli esami bisognava darli a Perugia). Di fonte alle mie critiche Sartori disse (non in faccia) che "non capivo niente" e non mi affidò l'incarico. Avendo la fortuna di non dover fare marchette per vivere mi è andata bene.
La Comunità Montana poi partecipò come socia al "Consorzio dei Prodotti di Paese". Poi tutto finì nel nulla e se cercate sul sito della Comunità Montana o del Consorzio turistico Valchiavenna dei "Prodotti di paese" non trovate traccia. Forse c'è ancora qualcuno che mette l'omino che scia su qualche prodotto. Ora che chi ha la neve si è chiamato fuori e che lo stesso Consorzio turistico non ha più ruolo e immagine l'omino che scia è il triste e grottesco emblema di una casta locale fallimentare.