(13.03.14) La Lombardia è un paese strano. Continua a presentarsi con l'immagine più industriale, terziaria, "da bere" ma nasconde insospettabili elementi di permanenza culturale. È ora di dissotterrare i tesori nascosti
Lombardia nascosta
Folklore e tradizioni nel mondo contadino pre e post-idustriale
Palazzo del Broletto - Pavia. Venerdì, 28 marzo 2014, h 18.00
La regione con l'immagine più industriale, terziaria, "da bere" nasconde insospettabili elementi di permanenza culturale. Forse proprio perché si sono sottratti ad uno sguardo che non voleva e sapeva vedere. Si sono ritratti incompresi e straniti. Ora, di fronte al ripensamento e alla crisi dei modelli urbani alternativamente, "pesanti" ed "effimeri", c'è una riscoperta di tutto un mondo di antiche credenze e i riti della società rurale millenaria che era ancora patrimonio e sentire comune sino agli anni '60. E anziani e giovanissimi uniti in un ponte ideale che "salta" una-due generazioni "smarritesi per strada" riprendono, venuti meno i complessi di inferiorità ed anzi con ritrovato orgoglio un cammino interrotto solo per mezzo secoli. Un battito d'ala nella storia della nostra terra. Spiace per tanti nostri vecchi che se ne sono andati prima che il loro mondo venisse in qualche modo "riabilitato", "sdoganato". Sono stati spesso dileggiati. Ora le loro profezie da "cassandre contadine", bollate a suo tempo come "superstizione e ignoranza", sono convalidate una dopo l'altra dalla Scienza. Il danno sulla salute e sul clima della chimica e dell'inquinamento era stato predetto dai vecchi contadini mezzo secolo fa.
In Lombardia sopravvive un insospettabile patrimonio di tradizioni che è per lo più sconosciuto, annidato in piccole comunità che hanno mantenuto in vita e trasmesso oralmente consuetudini e riti ancestrali una volta ampiamente diffusi anche nel Pavese e nella ‘Bassa’, ma ormai dimenticati.
Una ricerca quadriennale, che ha coinvolto decine di comunità lombarde, italiane ed europee, ha messo in rete tra loro i rituali contadini tra i meno conosciuti, facendo affiorare una realtà incredibilmente vitale di appuntamenti misurati sull’orologio solare, che si esprimono in forma di dramma, magia, festa, strepiti e mascheramenti, di cui il carnevale è soltanto una delle molteplici espressioni. Di questi riti, che hanno origini celtiche e romane, si hanno curiose testimonianze in antichi documenti ecclesiastici che dimostrano l’esigenza, mai pienamente riuscita, di eliminare un fenomeno di matrici pagane, se non addirittura demoniache.
Venerdì 28 marzo alle ore 18.00 nella sala del Broletto a Pavia, per iniziativa di Matteo Magnaschi, Assessore alla Cultura del Comune di Pavia, verranno presentati rituali pavesi e lombardi, con filmati, aneddoti, riferimenti al contesto pavese, lombardo ed europeo a dimostrazione della rilevanza culturale di queste espressioni folkloriche solo apparentemente marginali.
Interverranno Giovanni Siro Mocchi, autore della ricerca e del testo ‘Campanacci, fantocci e falò. Riti agro-pastorali di risveglio della Natura’, patrocinato dal Consiglio della Regione Lombardia, lo scrittore pavese Lino Veneroni, il Presidente del Circolo ‘La Barcela’ Gigi Rognoni e il prof. Michele Corti, docente di zootecnia montana- Defens - dell’Università Statale di Milano.
Sia permessa un'autocitazione:
Culture e tradizioni del mondo rurale in Lombardia: le sorprese di qualcosa che è più che un revival (dicembre 2001)
di Michele Corti
Nel periodo tra gli ultimi decenni del XIX secolo e la metà del XX secolo la dimensione rurale nella società occidentale si è andata progressivamente restringendo anche se è solo con il secondo dopoguerra che la società rurale si è sgretolata. In Lombardia, nonostante i processi già avviati nei primi decenni del XX secolo l’alluvione culturale degli anni ‘50-’60 che ha spazzato via oltre a dati di miseria, anche grandi ricchezze di memoria e di identità culturale, è avvenuta in modo altrettanto rapido e traumatico che in altre regioni più “arretrate”.
Durante le varie fasi dell’industrializzazione e, con più insistenza oggi nella fase tardo industriale si parla con sempre più insistenza di “revival rurali”. La cosa appare già di per sé strana di fronte a tanti “atti di morte” stesi ai danni del mondo rurale. Più la ruralità appare lontana nel tempo e nello spazio e più viene evocata. Viene il sospetto che l’esistenza della cultura rurale difficilmente possa essere racchiusa nella dimensioneconvenzionale di spazio e tempo sviluppatasi nella società occidentale negli ultimi cinque secoli.
Nella dimensione del tempo cui siamo abituati nella società industriale fatta di scansioni regolari e uniformi e di un “senso unico” discorrimento quello che è passato è finito, è superato. Le culture rurali erano sino a ieri un “residuo”, un arcaismo. Questione di tempo e nulla sarebbe rimasto.
La cultura rurale vive in una dimensione di tempo diversa, in tempi ciclici. Non è solo la ciclicità dell’anno solare e delle operazioni agricole che fa vivere la cultura contadina in un tempo “altro”; si tratta anche della sua vita (o ritorno in vita) nei tempi lunghi della storia umana quando emerge l’esigenza di riferimenti originari.
Come spiegare altrimenti il fatto che oggi si guarda alla cultura rurale (quella stigmatizzata dalla sociologia di “residua lità”) come ad una risorsa vitale e preziosa?
Le cose cambiano e i valori si ribaltano. La tendenza ad affermare il dominio dell’uomo sulla natura è stata sin troppo incoraggiata e gli orientamenti culturali oggi devono prenderne atto. Lo spazio naturale “libero” è drasticamente ridotto, l’agricoltura è essa stessa industrializzata, il rapporto di “dominio” dell’uomo sulle altre specie animali e su quelle vegetali si è tanto esteso dal determinare la scomparsa di molte forme selvatiche e la manipolazione genetica di quelle domestiche. I rischi dell’impoverimento biologico del pianeta sono evidenti, mentre è altrettanto evidente che scienza e tecnologia, nonostante uno sviluppo sempre più accelerato, non risolvono di per sé i problemi dei conflitti tra gruppi umani, della guerra, della fame, della carestia. An che la complessità del vivente rimane insondata e le nostre azioni sulla natura, sempre più incisive ed estese, comportano conseguenze sempre più pesanti ma sempre poco prevedibili.
E’ evidente che le concezioni del mondo tradizionali hanno riguadagnato terreno di fronte all’appannamento del culto della scienza e della tecnologia e alla crescente esigenza di porsi di fronte al mondo naturale con prudenza e rispetto e, soprattutto, come a qualcosa che non è separato da noi.
All’inizio del XXI secolo non c’è più ombra di nostalgia o “passatismo” nel riproporre la cultura rurale come modello di relazionitra uomo, mondo animale, vegetale e inorganico rispettoso delle sottili interdipendenze tra di essi e dell’esigenza di utilizzare il capitale naturale senza esaurirlo. La cultura rurale in questa prospettiva non è la cultura di uno stadio “arretrato” dell’umanità, ma quella che riflette e sedimenta nei tempi lunghi dell’evoluzione umana l’esigenza di un rapporto di equilibrio tra uomo e ambiente. Quella che è arretrata è la cultura industriale anche nelle sue espressioni più recenti.
Il rinchiudersi dell’orizzonte umano entro gli spazi sempre più virtuali e artificiali non risolve il problema ecologico della cura di immensi spazi del pianeta che conservano, sia pur alterati e degradati, carattere naturale.
Dell’aria e dell’acqua abbiamo bisogno. Il circondarsi da parte dell’uomo urbano-industriale di proiezioni artificiali del proprio corpo che hanno sostituito la relazione interspecifica con gli animali non risolve il problema psicologico, della privazione di quelle esperienze di contatto con la realtà animal e che hanno segnato per decine di migliaia di anni l’evoluzione umana e impresso alla nostra specie caratteri psichici non modificabili nei tempi brevi dell’evoluzione culturale.
C’è tutto meno che il folklorismo alla basedell’esigenza che por ta a capire cosa può essere riproposto oggi della cultura, dei valori delle esperienze del mondo rurale. Di fronte ad un meccanismo economico e tecnologico che si alimenta da sé, apparentemente senza fini e valori, non è fuori luogo rivalutare una cultura ecologica “con i piedi per terra” meno antropocentrica e meno individualista di quella che domina oggi il mondo occidentale.
Insomma un ritorno con il cuore (la riscoperta della ruralità è occasione di gioia di vivere in alternativa ad un mondo artificiale), ma anche con la testa. Un ritorno che non vuole essere consolatorio o, peggio, una regressione ad una dimensione “calda e dolce” di fronte ad un presente “duro” e incerto; che non vuole essere un revival, ma piuttosto l’incontro, rinnovato, di una dimensione umana (temporaneamente) smarr ita. A conferma che la rivalutazione della ruralità è tutt’altro che una “melassa” culturale (come lascere bbero supporre le superficialità di un country style “internazionale”, una contraddizione in termini!) va sottolineato come la ruralità viva di sfumature e differenze e sia irriduci- bile a schemi di facile consumo. Ciò presuppone un impegno culturale serio da parte di ampi settori del mondo scientifico, culturale, artistico per far emergere localmente i contenuti attuali di una cultura rurale che non può essere ovviamente astratta, ma quella concreta, di un territorio concreto. Per comprendere ancor meglio l’importanza di questo lavor o, che è tutt’altro che “archeologico”, vale la pena ricordare parlando (se ce ne fosse ancora bisogno) che stiamo par-lando dell’unica cultura popolare del territorio visto che i tentativi di inventarsi altre “culture popolari” e del territorio diversa da quella contadina sono pateticamente falliti.
Al di là delle costanti che riflettono il legame con gli stra ti più profondi della cultura umana, la cultura rurale vive di differenza e di radicamento nello specifico territoriale. L’atteggiamento dell’uomo all’interno di una cultura rurale è di adattamento all’ambiente e non di adatta mento dell’ambiente alle proprie esigenze. Ciò presuppone la conoscenza approfondita di alcuni aspetti “cosmici”, ma anche della realtà concreta del territorio, conoscenza che può consentire di vivere in ambienti molto diversi adottando forme sociali, modi di produzioni, culture diverse e in armonia con l’ambien te in una simbiosi dove il biologico e il culturale si confondono.
Parlare di tutto ciò in Lombardia ha un significato particolare perché un certo approccio di facile “spendibilità” alla cultura rurale e ai suoi revival ci propina se non più il modello campagna inglese quello, bontà loro, di una mediterraneità chic provenzal-toscana che, con la Lombardia, c’entra forse ancora meno.
Chi parla di “fattorie lombarde” sostituendo il termine asettico di “aziende agricole” con quello tosco-italiano arcaizzante (e da tempo regredito all’uso infantil- pubblicitario) di “fattoria” credendo di conferire un caldo tono ruralal suo discorso, ha proprio capito tutto! Per dare corpo e significato culturale al recupero della ruralità si tratta di sgomberare il campo da tutto ciò e pensare a quel crogiolo di conflitti e contraddizioni che è il rapporto tra la ruralità e la cultura e l’immagine della nostra regione.
L’esercizio può essere molto utile. Qui possiamo limitarci a dire che il materiale non manca.
La Lombardia in questo senso è un laboratorio avanzato anche perché, per una serie di ragioni storiche, culturali, geogr afiche nelle pieghe del suo territorio, straordinariamente vario sotto il profilo culturale, agrario e naturale vi sono aree dove la dimensione rurale piena e autentica del passato è ancora sorpren-dentemente sufficientemente vitale e dove le nuove esigenze culturali di risco-perta del rurale possono essere vissute in continuità con l’esperienza reale delle inesistenti e senza forzature di alcun tipo. Ciò avviene più facilmente in montagna ma non solo.
E’ una ricchezza rimasta celata sotto lo stereotipo della regione dell’industria e della moda, che si riflette nel fatto –poco conosciuto come altri primati lombar-di non collimanti con le immagini convenzionali- che la nostra regione non è solo la prima regione italiana per le principali produzioni agricole di massa, ma è anche la regione italiana dove, in estate, si producono più formaggi d’alpeggio sui pascoli alpini e quella che ha il più lungo elenco di prodotti alimentari tipici tutelati o in attesa di diventarlo. Ma non è finita. In Lombardia si allevano ben 5 razze di capre di razze di origine locale, primato incontrastato in Italia e apparentemente sorprendente considerato che la capra è l’animale per eccellenza dell’agricoltura contadina tradizionale di montagna.
Quelle scene di attività rurali tradizionali rurali, che in altre regioni del “Centro-Nord”, con immagine maggiorment e “rurale”, si osservano ormai solo nelle cartoline, in Lombardia, si possono ammirare dal vivo.
Non certo perché sia stata fatta una qualche politica di valorizzazione di tradizioni e attività tradizionali (da questo punto di vista vi sono Regioni molto più solerti e la Lombardia ha molto da riguadagna re!), ma perché in una regione per definizione “ricca” gli aiuti alle aree marginali sono arrivati tardi e in minore misura che altrove a parità di effettivi bisogni. Paradossi cultural-politico-amministrativi!
Basti pensare all’uso dei trasporti con animali o al trasporto di pesi sulla persona. Foglie secca, legna vengono ancora trasportati a spalla con il gerlo a stecche distanziate (chiamato in più aree campàc’) che è di per sé un vero e proprio simbolo della cultura materiale lombarda, diffuso esclusivamente nell’area lombardofona delle Alpi e prealpi.
Scoprire queste realtà e immergersi in una ruralità che non è ancora “ad uso turistico”, ma che necessita di rivitalizzazione intelligente, rappresenta un’occasione di incontro culturale e di profondo arricchimento. Per tutti.comunità locali senza inventare tradizioni.