(18.08.14) Qualche mese di black-out di Ruralpini (dopo anni di aggiornamento continuo richiede una spiegazione). Oggi è andato alle stampe il mio volume (edito dal Centro Studi Valle Imagna) sui bergamini. Mesi di redazione e anni di studio.
Una tribù lombarda
tra i monti e le pianure
(sconosciuta ai più)
di Michele Corti
Era un dovere morale, verso i miei antenati, verso i tanti bergamini che in seicento anni di transumanza tra le Alpi e Prealpi e le Basse (non solo lombarde ma anche piemontesi ed emiliane) hanno contribuito in modo determinante a costruire l'agricoltura, la zootecnia, l'agroalimentare padano. Basta citare i nomi di Galbani, Locatelli, Invernizzi (valsassinesi), Negroni (valseriani) per capire di cosa parliamo. Sono stati i grandi capitani d'industria che hanno inventato il caseificio e il salumificio moderni non solo lombardi, ma anche italiani.
E i gorgonzolai novaresi sono in gran parte originari della Valsassina, della val Brembana, della val Seriana.
Egidio Galbani nel 1882 lanciava come 'prodotto di lusso' la sua robiola. Tradizione e innovazione
Oggi siamo finiti male perché abbiamo tradito le radici (e siamo diventati pappamolla e sudditi)
Sapevano innovare, sapevano rischiare, sapevano decidere. Esportavano nel mondo e creavano posti di lavoro. Oggi i marchi Galbani, Invernizzi, Locatelli, Cademartoiri sono tutti della multinazionale francese Lactalis che sta chiudendo stabilimenti storici in Lombardia e a Cuneo. C'è solo da vergognarsi se confrontiamo le realizzazioni di questi imprenditori lombardi che erano stati casari,allevatori, transumanti, montanari con la realtà attuale. In assenza di una "classe dirigente" e di alcuna strategia si procede vendendo i "gioielli di famiglia" subendo la globalizzazione e affondando nel declino.
Presi i marchi, la base produttiva viene delocalizzata (chi glielo fa fare alle multinazionali di morire di burocrazia e di tasse in Italia?). Succede nella moda e nell'agroalimentare. I bergamini erano gente che odiava la burocrazia, le formalità. Oggi la burocrazia comanda e l'attività economica è al suo servizio mentre le istituzioni dono "nel pallone".
Pioltello (Mi). Una cascina con il 'casone' per la produzione del formaggio (foto M.Corti 18.08.14)
Tanto orgoglio
Credo, però, che guardare indietro ci deve riempire di orgoglio. La classe politica (si fa per dire) e imprenditoriale (si fa per dire, pensano a speculare) sono da azzerare e si deve ripartire dal basso. La lezione dei nostri antenati che crearono industrie dal niente, dal popolo, ci dice che il capitale finanziario conta poco, conta il capitale umano, il capitale sociale, le reti. Dietro ai nomi citati c'erano decine di famiglie collegate che fornivano tecnici, maestranze, distributori, indotto. Era la "tribù" dei bergamini (definita "casta chiusa" dagli scrittori borghesi) che aveva iniziato a calare in pianura nel XI-XII secolo con pecore e capre (e qualche vacca). Allora erano chiamati malgarii o pergamaschi.
Poi, nei secoli successivi scesero alle Basse con sempre più vacche, nel mentre i grandi proprietari (spesso ex-industriali e ex-commercianti) investivano in reti irrigue e cassine i bergamini ci mettevano il capitale bestiame, il know how zootecnico e caseario (e commerciale)... il letame, preziosissima in un'agricoltura prechimica.
E' una storia che inizia nel XV sec. e finisce pochi anni fa. Molti bergamini hanno continuato a transumare per secoli risalendo in estate per l'alpeggio sulle alpi Orobice, in valle Camoniuca, val Trompia, val Sabbia. Altri diventavano agricoltori ("fittavoli").
La nostra classe agricola e allevatoriale deriva in gran parte da questi intraprendenti montanari. Però nessuno (o quasi) lo dice perché per l'ideologia dominante (non importa se tinta di sinistra e di progressismo, sempre la solita ideologia dei potentes è) quello che sorge dal basso, dal popolo, non conta nulla. Per liberali e marxisti i contadini, i pastori, gli allevatori sono 'idioti', braccia. Peggio ancora se 'rozzi e ignoranti' montanari. Eppure i montanari, i 'trogloditi', gli ignoranti, arcaici, superstiziosi, patriarcali, montanari hanno creato le strutture agrozootecniche e agroalimentari.
Non era così vero che fuori dalla borghesia non c'era'intelligenza', intraprendenza. Senza falsa modestia devo dire che il mio libro, frutto di anni e anni di studio e di una faticosa redazione, spazza via le superstizioni delle culture dominanti del passato e del presente.
A sinistra mio nonno Michele, al centro mio trisavolo Luigi (laté = piccolo imprenditore caseario indipendente di origine bergamina), nato a Bascapè (Pv) nel 1822. In piedi a destra il bisnonno Francesco, agricoltore-laté. Foto del 1912 nella cascina di famiglia a Bustighera di Mediglia (Mi)
Le tribù contano
Nel mio studio ho scoperto che tutti quelli che hanno parlato (bene) di bergamini erano di recente o lontana ascendenza bergamina. Una bella smentita per i razionalisti borghesi illuministi che negano ogni valore ai fattori identitrari, alle radici (in realtà odiano tutto questo - in nome del 'progressismo' perché vogliono un mondo di automi al servizio del capitale e del consumo). Mi voglio anche sbilanciare dicendo che i bergamini sono scomodi perché 'troppo lombardi', perché discendono da liberi montanari e non dai docili servi che in pianura dovevano sottostare alla dura imposizione dei signori.
Tanta storia (la nostra, quella della maggior parte degli allevatori lombardi, casari, industriali agroalimentari, commercianti di bestiame e di formaggi)
Nel libro non ci sono solo queste considerazioni 'ideologiche' c'è tanta storia (documentata). Si parla di epoche, di aree di montagne, di aree di pianura, di tipologie casearie, di evoluzione di strutture zootecniche, agricole, agroalimentari. Si parla anche di cultura, strutture famigliari e tanto altro.
Presto pubblicherò il calendario delle presentazioni già previste.
Di seguito la prefazione di Robi Ronza che ringrazio insieme ad Antonio Carminati (direttore Centro Studi Valle Imagna) e ai tanti altri che hanno reso possibile questo libro.
C’è qualcosa di molto moderno nell’azienda bergamina
(Prefazione di Robi Ronza)
Con questa sua originale e sorprendente ricerca sui bergamini o malghesi Michele Corti apre una pagina che era sin qui ben poco conosciuta anche al pubblico più attento e interessato alla riscoperta della storia e delle civiltà delle Alpi. Al di là di ogni ulteriore valore aggiunto gastronomico, in origine il formaggio era in sostanza la trasformazione in prodotto trasportabile (e soprattutto conservabile a lungo) di un cibo facilmente accessibile, ma altrimenti di difficile trasporto e destinato al pronto consumo.
La sua invenzione costituisce perciò un evento storico di cruciale importanza, grazie al quale già in epoca preistorica l’uomo fu in grado di stabilirsi in montagna potendovi trascorrere pure l’inverno; e abitare quindi anche territori molto più salubri delle pianure, che in antico erano quasi sempre paludose. Perciò nella storia dell’uomo, in particolare dell’uomo europeo, la vicenda casearia conta assai di più di molte glorie oggi remote di famosi re e condottieri.Allevatori transumanti di bovini per secoli in movimento tra gli alpeggi di montagna e le pianure della Lombardia e dell’attuale Piemonte, i bergamini o malghesi - usciti di scena nella seconda metà del ‘900 - sono all’origine di quel particolare sviluppo dell’arte della trasformazione del latte in formaggio da cui deriva tra l’altro la moderna grande industria casearia italiana, perciò quasi tutta concentrata nel nordovest del nostro Paese. Non a caso sono tutti di famiglie di origine bergamina i nomi dei marchi delle industrie casearie più note, pur oggi quasi sempre passati in altre mani.
Per molti aspetti vicini, ma in sostanza assai diversi sia dai pastori di ovini che dai contadini di montagna, compresi quelli proprietari di piccole mandrie fatte salire nei mesi estivi dal villaggio agli alpeggi di prossimità, i bergamini erano rispetto ai tempi degli imprenditori agricoli di tutto rispetto. Se sono sfuggiti ovvero sono stati sottovalutati se non misconosciuti da tanti studiosi della società e dell’economia pre-industriale, ciò si deve al fatto che - come bene sottolinea Corti - non rientravano negli schemi della scienza economica e sociale dei secoli XIX e XX, tutta legata all’idea che, nel bene e nel male, prima e al di fuori dell’industrializzazione contassero soltanto la volontà padronale e la proprietà terriera.
Alla base delle imprese zootecniche e casearie dei bergamini, grandi allevatori e produttori di formaggi, c’erano invece in primo luogo la solidarietà familiare, un capitale mobile, il bestiame, e il patrimonio immateriale costituito da una competenza tecnica in campo caseario custodita e tramandata in famiglia. Cascinali di pianura e pascoli di montagna venivano di solito affttati, ma anche quando venivano acquistati non costituivano il cuore dell’azienda. In questo senso c’è paradossalmente qualcosa di molto moderno nell’azienda bergamina, che aiuta a capire come mai le moderne grandi industrie casearie lombarde e piemontesi nacquero per lo più da loro, e non dai proprietari terrieri da cui prendevano in locazione terre e cascine. Con i loro stagionali spostamenti dalle Alpi alle pianure, e anche con i frequenti cambi di luogo delle loro soste invernali in bassa quota, i bergamini furono in ne pure un fattore di relazione tra la società delle terre alte e quelle delle pianure, facilitando così scambi di idee e di esperienze in un’economia agraria ancora molto statica.Per tutti questi motivi l’opera di Michele Corti si raccomanda alla lettura non solo di un pubblico di proverbiali “addetti ai lavori”, ma anche di chiunque abbia interesse e attenzione per la straordinaria capacità che l’uomo ha, almeno nché il potere non glielo impedisce, di trasformare le dif coltà un motore di progresso.