Ruralpini   Fotoracconti/Malghe Val di Rabbi

Condividi l'articolo su Facebook

 

 

Scorri i principali temi di Ruralpini e accedi agli indici degli articoli

 

Articoli correlati

(26.07.10) Lagorai significa civiltà delle malghe  

Sul Lagorai già sconvolto dalla prima guerra mondiale c'è un nuovo fronte. Che divide i sostenitori della wilderness, della deantropizzazione, del 'cuore selvaggio del Trentino' da coloro che vogliono difendere e valorizzare il paesaggio culturale delle malghe leggi tutto

 

(06.03.10) Originale Malghe del Lagorai Un autentico formaggio di malga che si distingue nel panorama trentino. Dietro vi è la storia tutta ruralpina della 'resistenza casearia' di montanari dalla testa dura. Che salva risorse preziose altrimenti perdute per sempre  leggi tutto

 

Maschèrpe e poìne (Pdf)

Fotoracconti sugli alpeggi

 

 

 

 

 

 

 

(02.07.12) Le belle malghe sono quelle con i pascoli ben tenuti, i fabbricati in ordine (ma dall'aspetto tradizionale), le casere attive. In Val di Rabbi ci sono. E ci sono anche produzioni artigianali sparite da molte malghe trentine

 

Le malghe della Val di Rabbi

 

(una valle alpina autentica)

 

di Michele Corti

 

Nella Valle di Rabbi in alcune malghe si producono ancora burro, formaggio, casolet, poina (ricotta) affumicata e... asni. Una tappa importante nella scoperta delle radici antiche (comuni e al tempo stesso variegate) del caseificio alpino.

 

Appena imboccata la Val di Rabbi non si può fare a meno di constatare la presenza di un gran numero di stalle di piccole e medie dimensioni. Ben diverse dalle grandi stalle "simil padane" che si incontrano in Val di Sole, a Malè. Quando poi, ai lati della strada, si vedono contadini che falciano a mano i prati e che con il badile sistemano le canalette di scolo si ha la conferma di trovarsi in un "altro Trentino", in un Trentino che non ha gettato alle ortiche le radici contadine. Niente condomini, niente villette a schiera. Qui che vuole farsi una casa (per vivere o per vacanza) deve riadattarne una vecchia.

Eppure non è una valle "fuori dal mondo". Qui il turismo (termale) ha secoli di storia. Non a caso è unanimemente riconosciuta come una delle valli più autentiche delle Alpi, tutto un altro mondo rispetto alla Val di Sole del turismo di massa.

Noi ci siamo andati per conoscere le malghe, che rappresentano un aspetto importante dell'autenticità della valle. E un esempio di come anche nel ricco e modernista Trentino ci siano realtà dove si trasforma il latte in alpeggio con i metodi tradizionali, dove si producono latticini "all'antica" con metodi che fanno storcere il naso alla burocrazia dell'igiene pubblica. Non l'unico, peraltro, perché in Trentino c'è anche quello delle malghe del Lagorai (catena montuosa tra la Valsugana e la Val di Fiemme) esempio importante di resistenza casearia (vedi articoli qui a fianco).

 

 

Le malghe che rappresentavano la nostra meta erano la Malga Villar e la Malga Monte sole (alla Malga Cèrcen purtroppo non siamo potuti andare). La Valle Cèrcen (Foto sopra)sbocca nella valle principale appena a monte delle Fonti. È una valle ricca di malghe (oltre alle già citate vi è la Malga Fassa, Stableti, Campo secco e Fratte). Alcune sono abbandonate, la maggior parte utilizzate e c'è anche un Agritur. Una situazione ideale per realizzare un "anello delle malghe" e iniziative di valorizzazione turistica. In effetti il Parco dello Stelvio organizza tutti i venerdì di luglio e agosto un'escursione "in malga con gusto" che consente di assistere alla lavorazione e di degustare i vari prodotti.

 

 

Meta principale della "camminata gastronomica" è la Malga Monte Sole alta (m 2048) che vediamo nella foto sopra. La nostra escursione è iniziata e terminata qui. Rimandando al pomeriggio la visita della Malga Monte Sole (dal nome del monte che la sovrasta) ci siamo incamminati verso la Malga Villar. Tra le due malghe vi è interposta la Malga Fassa le cui strutture non sono utilizzate, ma dove troviamo bestiame (della Malga Monte Sole). La nostra attenzione è stata attirata dalla mucca ritratta nella foto sotto: un eloquente esempio di duplice attitudine: solidità, muscolosità, ma anche latte. Un animale adatto all'alpeggio.

 

Mentre le superfici più comode sono ancora pascolate guardando verso l'alto si osserva il rimboschimento spontaneo in atto anche di superfici a pendenza non particolarmente elevata.

Avvicinandosi alla Malga Villar notiamo che purtroppo i pascoli sono infestati da Deschampsia caespitosa, una graminacea che ha uno scarso valore pastorale e che tende con i suoi cespi a dominare vaste estensioni di pascoli.

Dopo una rapida puntata alla Malga Villar alta (2183 m) che sarà caricata ai primi di luglio e dove fervono i lavori per il rifacimento delle coperture in scandole (foto sotto) scendiamo alla Malga Villar bassa (2020 m).

 

 

Qui la mandria pascola le superfici vicine alla stalla. Nonostante l'aspetto tradizionale (e non "impattante") le strutture sono state rinnovate in anni recenti adattando i vecchi stalloni a sale di mungitura (un po' scomode perché bisogna fare entrare le vacche, legarle alla posta, dar loro il mangime, slegarle ...).

Mentre sostiamo sul piazzale antistante la stalla diverse bovine alla spicciolata arrivano per dissetarsi. La vicinanza al pascolo fa si che ognuna si avvicini alla fontana quando ne ha voglia evitando assembramenti. Qui alla malga bassa la copertura è in lamiera ma i tamponamenti in legno di larice scurito dal tempo si inseriscono armoniosamente nel paesaggio.

C'è tempo per  una rapida colazione con ottimo pane di segale locale, molto diverso da quello solito che si trova in Sudtirolo ma anche in Valtellina e Valle Camonica, più chiaro e soffice e molto aromatizzato con l'anice. Poi si pasa alla visita della malga guidati da Manuel Penasa, giovane gestore che insegna chimica all'Istituto Agrario di S. Michele all'Adige e che, quando il suo lavoro lo consente, aiuta i famigliari nell'attività agricola. Nonostante il suo ruolo Manuel è moderatamente "modernista" e ci tiene a motivare alcune scelte un po' lontane dalla tradizione.

 

Poi si pasa alla visita della malga guidati da Manuel Penasa, giovane gestore che in inverno insegna chimica all'Istituto Agrario di S. Michele all'Adige. Nonostante il suo ruolo Manuel è solo moderatamente "modernista" e ci tiene a motivare alcune scelte un po' lontane dalla tradizione.

Il burro ha riguadagnato terreno nell'ambito delle produzioni di malga grazie all'affievolirsi della campagna terroristica di qualche anno fa ("prodotto igienicamente non sicuro"). Per produrlo si usa una moderna zangola tutta in acciaio che ha mandato in pensione la classica "botte" con le doghe di legno. In realtà ne ha già viste parecchie anche in Lombardia.

Fedeli alla tradizione i classici "stampi" (sotto) che imprimono alla superficie dei panetti il classico disegno del fiore. Qui ogni innovazione sarebbe rifiutata dal consumatore che identifica il burro di malga, da panna cruda di affioramento, lavorato a mano con quello confezionato "come una volta", con la mucca o il fiore alpino. Peccato che qualche volta non sia sempre così.

Passando al formaggio Manuel spiega perché si produca un solo tipo: semigrasso da 10 kg. La ragione è nella forma di gestione della malga, una conduzione sociale (Società Malga Villar) composta da 13 soci. Di fatto c'è un proprietario (il Comune di Malè), un conduttore (Società Malga Villar), un gestore (la famiglia Penasa-Dalla Serra). La stessa tripartizione un po' complessa che troveremo a Malga Monte Sole, ma con uno stile di gestione molto diverso. Qui i soci caricano le proprie vacche ma svolgono anche delle attività saltuarie a favore della malga secondo le antiche consuetudini delle società d'alpeggio. Mentre, però, in altre malghe si divide il prodotto a fine alpeggio proporzionalmente al latte prodotto dalle bestie di ognuno (o si divide l'incasso della vendita) qui ogni proprietario di bestiame e socio acquisisce il diritto a un certo numero di "caserate" ovvero del frutto della lavorazione giornaliera. Tutto quelle che si produce il giorno x (poina, formaggio, burro) è del socio y, viene marcato con la sua sigla e lo ritirerà per venderselo (o mangiarselo). È l'antico sistema delle latterie turnarie, nato sugli alpeggi e oggi rimasto in vigore solo sugli alpeggi. In realtà proprio qui vicino, nella vicina "valletta" di Pejo (oltre il crinale che chiude la valle della foto iniziale), esiste l'ultimo caseficio turnario di villaggio "invernale" di tutto il Trentino. Per sfuggire alle draconiane norme igienico-sanitarie e al dirigismo tecno-buro-industrialista (di stampo un po' sovietico) della PAT ("mamma provincia autonoma") e dell'altra "mamma", la Federazione delle cooperative (che hanno imposto la concentrazione della produzione in poche unità di produzione specializzate in tutta la provincia) il caseificio di Pejo è dovuto diventare museo di sé stesso. Così con una deroga ad hoc sopravvive. Un po' triste dover musealizzarsi per vivere. Ma torniamo alla nostra malga.

Dal momento che ad un socio appartiene la produzione della giornata per non dover eseguire più lavorazioni lo stesso giorno si è deciso di produrre solo un solo formaggio: semigrasso con forma di 10 kg. Un po' un peccato non poter produrre formaggelle o sperimentare altre produzioni. Ma la regola della "caserata" lo impone. Così come impone di ridurre al minimo il rischio di difetti. Se la produzione di quel giorno va incontro a difetti il danno è a carico di quel solo socio cui essa compete (che possiamo bene immaginare come se la prenderebbe con il casaro). Così anche se Manuel concorda che "ci vorrebbe un fermento su misura" si usano le "bustine" (i fermenti selezionati). "Ma ne uso in quantità ridotta". C'è peraltro il progetto di produrre dei fermenti se no su misura per la malga almeno per la valle. Meglio che niente. Manuel intravede una prospettiva di differenziazione nella valorizzazione del formaggio stagionato. Le forme della foto sotto sono rispettivamente, quella a sn più ambrata e quella a dx con impressa una M, del 2010 e del 2011. Sono forme particolari perché ottenute il primo giorno d'alpeggio con latte che è ancora in larga misura "di stalla" (il rumine impiega 72 ore a svuotarsi). Per radicata tradizione appartengono a chi lavora in malga (per questo sono marchiate M?) e costituiscono la "dote" del personale. Una dote che viene conservata e in parte stagionata come si vede. Il formaggio di due anni non pizzica per nulla anche se non rivela particolari personalità (ma bisogna pensare che non è un formaggio di malga per quanto caseificato in malga).

"Caserata" dopo caserata le forme si accumulano. Una volta salate in salamoia e indurita la pasta vengono marchiate con la sigla del "proprietario".

Ma come è possibile conoscere esattamente quanto latte produce ogni munta la tale bovina di tale proprietario? In questo caso la tecnologia ha dato una grossa mano. E siccome non interferisce nella qualità del prodotto, nella sua naturalità, non impatta sull'ambiente perché (conti economici a parte) non adottarla? Trattasi di lattometri elettronici applicati ai gruppo di mungitura (foto sotto). Grazie alle proprietà di conducibilità elettrica del latte, misurando il differenziale tra un elettrodo immerso nel flusso di latte ed uno di riferimento, si può calcolare quanto latte "transiti". Il tutto fornisce dati computerizzati.

È quindi un po' curioso che si ricorra ancora come un tempo ad un immenso librone, un supporto cartaceo, per riportare i dati uno ad uno e tirare le somme. Non sarebbe meglio un foglio elettronico? Si vede che i soci vogliono "toccare con mano". Sotto vediamo il librone aperto all'ultima pagine della scorsa stagione di malga. Media giornaliera 10,8 q.li per 808 q.li totali. Con 80 vacche (a inizio alpeggio) non è affatto male. Adesso, a inizio alpeggio, si viaggia sui 17 kg/vacca/die.

Si tratta di un risultato che non è ottenibile senza i sacchi di mangime (sotto). La quantità giornaliera somministrata è pari a 3-4/kg/capo/die. "Anche a fine alpeggio?" chiedo. Sì, risponde Manuel "Per compensare la declinante qualità dell'erba". Un fatto che indica che qui l'obiettivo della gestione è produrre parecchio latte e far tornare in stalla le vacche in buone condizioni. Si privilegia insomma l'aspetto zootecnico, adattando la gestione della malga alle esigenze di vacche relativamente "spinte". Ma cosa succede ai pascoli? Non è difficile capire che a fine alpeggio, con la produzione declinante, un livello di mangime costante comporti una ridotta ingestione di foraggio, minor utilizzazione del pabulum, maggiore possibilità per la bovina di selezionare. Così il pascolo non può migliorare.

La qualità del mangime quantomeno viene variata in funzione della diversa qualità dell'erba. Adesso, a inizio alpeggio, si usa il mangime qui sotto "Alpeggio" ricco di fonti di fibra digeribile (polpe di bietola essiccate e crusca), poi si passa ad un mangime "Stalla" ma con una percentuale moderata di proteina grezza (13,5%).

Tra modernità (con contoindicazioni o meno) e tradizione un punto fermo è rappresentato dalla produzione della poina affumicata. Un tempo era affumicata "alla buona", oggi, per evitare lo sviluppo di composti chimici eterociclici (cancerogeni) si lavora con la brace di segatura, in modo controllato e a bassa temperatura. Ma, ci racconta Manuel, all'Asl non va ancora bene. "Dicono che nel materiale legnoso sono presenti composti tossici come gli alcaloidi che si depositano sulla superficie della poina". Ma aggiunge: "Prima del consumo lo strato affumicato viene comunque rimosso". Pensare, rifletto tra me, che le Asl non trovano niente da ridire di fronte alle centrali a combustione di biomasse legnose costruite - per pura speculazione - a fianco alle scuole e agli impianti sportivi.

Viste così le poine della Val di Rabbi assomigliano molto alle maschèrpe degli alpeggi del Bitto. La differenza è il metodo di conservazione: con il fumo qui, con il sale e l'essicazione all'aria in Valtellina e Valbrembana.

La visita è finita e ci incamminiamo verso la Malga Monte sole da dove siamo partiti. Osserviamo ancora gli animali. Come si vede dalla foto sotto le grosse vacche (tra cui Frisone) pascolano in piano mentre ...

... gli animali più giovani e leggeri non esitano ad utilizzare pendii in forte pendenza.

Prima di lasciare i pascoli di Villar questo terzetto di vitelle si avvicina incuriosito al sentiero per salutarci.

Ripassiamo dalla Malga Fassa desolatamente chiusa (ma la fontana funziona)...

ed eccoci di nuovo in vista della Malga Monte Sole.

Un cartello segnala subito le differenze. Non solo si segnala la produzione di prodotti tipici ma tra di essi figura un misterioso "Asni". E poi come non notare che la ricotta viene offerta con miele, cioccolato, marmellata. Il sito www.trentinoagricoltura.com segnala che alla Malga non c'è vendita diretta, non c'è agriturismo, si produce (ma non si vende) casolet, nostrano, ricotta e burro. A giudicare dal cartello l'offerta è più ampia. Il Parco ha realizzato presso la malga uno spiazzo delimtato da una steccionata con i tavoli da pic nic. Non è logico che i turisti possano acquistare e consumare sul posto i prodotti?

La malga è di proprietà della Consortela Monte Sole ed è condotta dalla Società di Malga Monte sole, gestita da Guido Casna, allevatore e casaro. Di fatto chi ci accoglie e ci illustra con grande spirito di comunicazione è il suocero (foto sotto) che racconta la sua frequentazione dell'istituto alberghiero, l'imbarco per l'America a quindici anni e una vita da marittimo. Poi, con la pensione, il ritorno alla malga. Ma con idee molto "aperte".

La Consortela è una antichissima istituzione (parente di Vicìnie, Università agrarie, Regole, Comunanze, Patriziati) che secoli fa rilevò la malga dai signori Thun della Val di Non. La Consortela è padrona anche di boschi e con il tempo la gestione della malga si è resa autonoma. Le cose, però, funzionano in modo radicalmente diverso rispetto a Malga Villar. Qui la famiglia Casna (il titolare con la moglie, il figlio quindicenne e il suocero) conduce in realtà la malga in autonomia. I soci non hanno più bestiame e la malga si è aperta ad allevatori non soci. I Casna producono secondo i loro orientamenti e secondo una creatività commerciale che è spia di una gestione non ingessata in cooperative e regole ingessate. Tutto è più "in piccolo" ma più "artigianale". Nella stallone che anche qui funge da sala di mungitura ad ogni vacca corrisponde un segnaposto a cuore. Un dettaglio eloquente. Manca però la linea del latte e c'è solo la linea del vuoto. Quindi niente trasporto latte automatico ma movimentazione dei secchi. Tanto meno lattometri elettronici.

Per pesare il latte delle vacche dei diversi proprietari si usa ancora la vecchia stadera. Con una innovazione importante: prima la bilancia era tarata con i secchi di metallo. Ora il papà per evitare un inutile fatica alla figlia ha tarato la bilancia con dei pesi e si usano i secchi leggeri in plastica.

Anche alla Monte sole si alternano modernità e tradizione. Le vasche per l'affioramento della panna sono moderne in acciaio inox ma la zangola è quella classica di legno a botte.

I grandi cilindri di plastica che vediamo sotto servono per la messa in forma e lo spurgo delle grosse "poine". Accanto le fascere tradizionali in legno con la pasta ancora avvolta nei fagotti. Il formaggio "nostrano di malga" (ma non sarebbe il caso di dargli un nome più evocativo del bellissimo comprensorio malghivo?) è qui nettamente più piccolo che a Villar: meno vacche, meno "spinte", meno latte.

I segmenti di tubazione in Pvc trapanati sono del tutto artigianali anche se il materiale è quello più industriale che ci possa essere. Non serve essere etnografi per capire che un arnese così è il surrogato di un attrezzo tradizionale. Di esso ha conservato il nome: caròt (in tutta l'area lombardofona è uguale, con la variante garòt). Non è un elemento lessicale di origine celtica però ma greca, mutuato dal latino volgare: karoton = cilindro che spiega anche il nome della comunissima pianta di cui si consuma la radice.

L'archetipo però c'è. Eccoli qui sotto i "veri" caròt in doghe. Uno ha ancora i cerchi in legno intrecciato. Un pezzo da museo. Si capisce perché non li usano. Sono rimasti solo questi due e non si vogliono sciuparli. Qui nessun artigiano li fa più (a differenza della Valle del Bitto dove, nel clima di resistenza casearia, le vecchie pratiche sono state rivitalizzate).

Mi ha meravigliato il servizio che viene offerto. "Se un cliente deve tornare a Roma gli confezioniamo sotto vuoto il pezzetto di formaggio. È un servizio". Di solito negli alpeggi il cliente che acquista 2 etti di formaggio è mal visto. Qui no. Si punta sul valore aggiunto. Una flessibilità che è frutto di una gestione famigliare e "libera", senza condizionamenti. Senza subalternità.

Nelle saline c'è solo il "nostrano" ma qui si producono diversi formaggi. Compreso un grasso. "Oggi si produce questo domani quello in funzione della richiesta, dell'arrivo di comitive". Un sistema "orientato al consumatore".

 

 

Mi ha meravigliato il servizio che viene offerto. "Se un cliente deve tornare a Roma gli confezioniamo sotto vuoto il pezzetto di formaggio. È un servizio". Di solito negli alpeggi il cliente che acquista 2 etti di formaggio è mal visto. Qui no. Si punta sul valore aggiunto. Una flessibilità che è frutto di una gestione famigliare e "libera", senza condizionamenti. Senza subalternità. C'è però una pressa pneumatica ultratecnologica (di solito in malga, anche quelle "moderniste" si vedono quelle d'epoca, molto eleganti, a torchio che fanno tanto "altri tempi").

Infine la chicca. Oltre ai caròt vi è qui un altro elemento vivo di archeologia casearia. Qui, nella bella, autentica e culturalmente conservativa (in senso buono) Val di Rabbi per la quale sento una affinità empatica trovo anche un tassello che non conoscevo del mosaico delle prearazioni casearie arcaiche alpine: l'Asni. Cos'è? È filologicamente legato al Brous, Cachat, Cachaille (Provenza), al  Bruss (Langhe, Piemonte), al Salgnun (Torinese), Salignun, Salagnun, Sargnon, Serniun (Biellese, Valsesia), al Sancarlin (Biellese), al Zingarlén, Zancarlin, Sancarlìn, Zincarlin, Masarèt (Ossola), al Zincarlin, Sancarlìn, Sancarlign, Zancarlìn, Zìgra (Canton Ticino), al Zìngher, Zincarlìn, Sancarlin, Zingherlìn (Comasco), al Zìgher, Zigar (Alta Valtellina, Valfurva), al Zieger (Canton Grigioni), al Ziger (Canton Glarona), alla Zigera di Pinè e Valfloriana (Trentino) al Zieger (Alto Adige), al Zigher, Schiz (Dolomiti bellunesi). L'elenco non è ancora completo ma la gioia di aver trovato un "nuovo" prodotto non ancora descritto da nessuno è tanta. Ma cos'è? Ricotta impastata a mano con panna, sale, pepe. Un tempo rifermentata. Oggi in versione "soft". Un Asni è anche valore aggiunto perché la ricotta con la quale è preparato è venduta a un prezzo più elevato che compensa la manualità e anche la fantasia e il coraggio di una tradizione guardata con sospetto.

Commenti

 

 

***

 

 

           commenti, informazioni? segnalazioni? scrivi

pagine visitate dal 21.11.08

Contatore sito counter customizable
View My Stats

 Creazione/Webmaster Michele Corti