Ruralpini - Pedenada di bergamì
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(19.02.15) Il valore sociale e culturale del cibo locale trova una definizione In stampa il libro che ricostruisce il "modello" sul quale si basano alcuni casi di successo dove la difesa e la valorizzazione del patrimonio legato ai sistemi agroalimentari locali tradizionali innesca processi virtuosi di rigenerazione comunitaria. All'insegna di uno sviluppo autosostenibile. uscirà a metà marzo il volume di Michele Corti, Sergio De La Pierre, Stella Agostini Cibo e identità locale. Sistemi agroalimentari e rigenerazione di comunità.Sei esperienze lombarde a confronto . Edita dal Centro Studi Valle Imagna l'opera comprende una presentazione di Alberto Magnaghi, fondatore della scuola territorialista"
(20.08.14)I bergamini visti da Scheuermeier Il mio libro - uscirà a metà settembre - "La civiltà dei bergamini. Una tribù lombarda di malghesi tra i monti e il piano tra il quattordicesimo e il ventesimo secolo", edito da Centro Studi Valle Imagna ha l'onore di essere illustrato anche con immagini (anche inedite) di Paul Scheuermeier l'etnografo svizzero che, negli anni '20, eseguì migliaia di riprese fotografiche che rappresentano una fonte unica sulla civiltà rurale dell'Italia e della Svizzera italiana e retoromancia. leggi tutto
38 (18.08.14) In stampa il libro sulla civiltà degli stracchini e della transumanza bovina lombarda La redazione del volume mi ha occupato negli ultimi mesi. Mesi in cui Ruralpini ha taciuto. Ma anni di studio dovevano essere messi a frutto con un volume che rendesse onore ai nostri, ai miei antenati malghesi o bergamini. 460 pagine che 'aprono' un capitolo sorprendentemente ignorato dalla cultura ufficiale pianocentrica e urbanocenbtrica. Perché i bergamini erano (sono) personaggi scomodi per la cultura della modernità, per la borghesia, per il progressismo coatto. E' la rivincita della montagna, dei pastori che fanno conoscere la loro storia. Una storia che raccontra come hanno scalzato gli agricoltori imborghesiti dalla conduzione di molte aziende della pianura lombarda, di una mobilità sociale straordinaria, di uno spirito d'impresa controcorrente, ma anche di vera solidarietà di gruppo e di valori solidi, senza le ipocrisie della 'società stanziale'. (uscita a fine settembre - poi acquisto su Internet sul sito Centro Studi Valle Imagna) leggi tutto
(14.03.13) Modelli virtuosi nelle Terre Alte In Valle Imagna e Val Taleggio (valli orobiche bergamasche) grazie al Centro studi Valle Imagna e all'Ecomuseo della Valtaleggio il progetto di valorizzazione delle tradizioni locali (la pietra, i formaggi) è riuscito a creare un corto circuito positivo tra produzione agroalimentare, turismo, attività culturali . leggi tutto
(28.04.12) La casa dello strachì : esempio da seguire Siamo stati a distanza di un anno a Corna Imagna (Bg). Ora il caseificio della piccola coop (6 soci con 10 vacche in media a testa) gira a pieno ritmo e intorno si sviluppano altri progetti e si consolida l'interesse e la partecipazione della comunità. Un modello di autentica sostenibilità che dovrebbe essere preso ad esempioda altre realtà della montagna leggi tutto
(11.01.11) Corna Imagna (Bg) Nascono la coop dei piccoli allevatori e il Centro per l'agricoltura Un esempio dalla Valle Imagna: grazie all'attività culturale, all'animazione sociale, rinasce anche l'agricoltura. Il modello agroindustriale e agriproduttivista fa chiudere le stalle (4.000 all'anno e non solo in montagna). In una valle 'marginale' come la bergamasca Valle Imagna, invece, grazie ad un encomiabile lavoro di riscoperta e valorizzazione delle radici culturali, le piccole stalle tornano a vivere. Una piccola grande lezione per i politici ma, soprattutto, per i burocrati e le agenzie corporative legate a visioni e interessi agroindustriali. 5 piccole aziende (con in totale 30 vacche da latte) il giorno 15 gennaio daranno ufficialmente vita a una coop per produrre strachì biologico (storia, tradizione ed ecologia vanno in comune accordo). Caseificio e centro agricoltura sono realizzati recuperando fabbricati storici del comune grazie al lavoro degli allevatori-muratori. leggi tutto
(29.01.11) Corna Imagna: vero 'sviluppo rurale' (Bg) Molti progetti di 'sviluppo rurale' hanno solo lo scopo di distribuire risorse a pioggia che vanno a 'bagnare' tanti soggetti (industria, professionisti, agenzie varie) ma poco o nulla i contadini e la montagna. A Corna Imagna con materiali edili forniti dal comune, tanto volontariato, condivisione, entusiasmo si sta innescando un progetto esemplare di multifunzionalità agricola leggi tutto
(10.02.10) Regione Lombardia Baita & Breakfast? Una idea troppo bella e... non passa Un progetto di legge sull'ospitalità diffusa prevedeva il riconoscimento del Baita & Breakfast. Ma la commissione cancella nel testo ogni riferimento al Baita & Breakfast. Fa passare solo l'albergo diffuso (con eventualmente l'uso di baite, ma alle stesse condizioni di altri alloggi) e ne approfitta per far passare in tutto il territorio regionale il passaggio da 6 a 12 letti per i B&B.
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(28.06.16) Con il "Cammino dei bergamini", grazie all'iniziativa di diversi attori locali, si è sperimentata una formula di evento culturale itinerante per scoprire in profondità un territorio e la sua storia attraverso quella di coloro che ne furono i protagonisti
Una cultura che si mette
lo zaino in spalla
"Cammino dei bergamini
24-26 giugno 2016"
di Michele Corti foto di Michele Corti, Sergio Poli, Antonella Invernizzi
Si è svolto nel week-end tra il 24 e il 26 giugno , l'evento che ha ricordato i legami tra Valsassina, val Taleggio, valle Imagna rappresentati in larga misura dalla "civiltà dei bergamini", gli allevatori bovini e casari transumanti, che qui ebbe il suo epicentro.
Il "cammino", preparato da tempo , rischiava di essere messo in forse dall'instabilità meteo. Dopo una rapida consultazione con i referenti di Morteronee di Corna Imagna si è però deciso che si poteva rischiare un "temporale isolato". Venerdì pomeriggio un drappello di partecipanti è quindi partito dalla Culmine di San Pietro, il passo che collega la Valsassina alla Valtaleggio. La chiesa di San Pietro era addobbata per l'imminente festa patronale ma purtroppo chiusa. Ai partecipanti ho mostrato le lapidi collocate nel vestibolo della chiesa e nella vicina cappella (provenienti da un cimitero un tempo esistente). La chiesa è della metà del Cinquecento ma la parrocchia soli del 1649 (fusa nel 1986 con quella di Moggio). Gli abitanti di questa strana parrocchia, divisa in diverse "frazioni" isolate (che corrispondevano a nuclei abitati da singole grandi famiglie patriarcali) erano - fatto salvo per qualche oste - i bergamini che svernavano di preferenza dell'est milanese (come indicano i luoghi di decesso di diverse lapidi). La parrocchia apriva a maggio e chiudeva a fine settembre; era transumante come i parrocchiani.
La frazione Musciada della Culmine lungo il nostro cammino
A farci da guida dalla Culmine a Morterone è stato il sindaco, sig.ra Antonella Invernizzi, di fresco riconfermata alla guida di quello che è stato per lunghi anni il comune più piccolo d'Italia. Con i suoi 38 abitanti non rischia di tornare in vetta alla non invidiabile classifica perché vi si sono insediate delle giovani coppie. Già superato da Pedesina (nelle Orobie valtellinesi) lo è ora da Moncenisio, in provincia di Torino. In realtà il comune è grande, esteso su 13,8 kmq. A metà percorso incontriamo un signore seduto a leggere un libro. Subito riconosciamo Giuseppe Invernizzi un morteronese che, pur risiedendo a Cernusco sul naviglio e lavorando ad Erba (è direttore dell'associazione interprovinciale allevatori), è assiduo del paese.
Come tanti Invernizzi (i verniss, quelli dell'inverno, i transumanti) la sua storia è quella di una famiglia di bergamini stabilitisi nella Martesana. Qui i cognomi più frequanti sono Invernizzi, Locatelli, Manzoni che non possono definirsi né valdimagnini, né taleggini, né valsassinesi ma tutte e tre le cose insieme. Del resto queste tre valli hanno molto in comune: i bergamini, la civiltà degli stracchini, l'arte della stagionatura. La Valtaleggio, la testata della valle Imagna e Morterone (politicamente valsassinese, ma geograficamente valtaleggino) sono accomunate anche dalla caratteristica architettura rurale (ma su questo torneremo poi). Cosa leggeva Giuseppe Invernizzi? Il libro dal quale ha attinto brani utili per un commento del nostro cammino: "Morterone. Sedici racconti di vita contadina sulle pendici del Resegone a cura di Antonio Carminati e Costantino Locatelli con la collaborazione di Giuseppe Invernizzi, edito dal Centro Studi Valle Imagna nel 2007). Nei brani letti si parlava del parroco della Culmine, mons. Figini, rettore del seminario di Venegono, che rinunciò a divenire vescovo pur di poter salire tutte le estati con i "suoi" bergamini. Nella testimonisnza di un antico abitante della frazione Musciada , la più distante dalla chiesa (foto sopra), si riferisce che mons. Figini per celebrare la messa attendeva che fossero arrivati "quelli di Musciada"). Storie che ci immergono in atmosfere di altri tempi (anche se non sono così lontani).
Un maggiociondolo ancora in piena fioritura. In alto alcuni ruderi testimoniano di una densa rete di insediamenti permanenti e stagionali
Dal territorio della Culmine (comune di Moggio) si passa senza accorgersi in quello di Morterone dalle 49 contrade. Ne incontriamo alcune lungo il cammino. Una (sotto) è caratterizzata da un grande fabbricato non in "scala" con le costruzioni rurali locali. Invernizzi spiega che il grande edificio doveva essere sorto come casermetta di confine ai tempi dello Stato di Milano, in pendant con il posto di fontiera (veneziano) di Arnosto a Fuipiano.
Tra letture e spiegazioni il tempo passa veloce.
Raggiunta la strada asfaltata le nostre guide ci risparmiano l'ultimo tratto di cammino e ci caricano sulle loro vetture (anche perché dalla Trattoria Cacciatori ci sollecitano per la cena). Anche la Trattoria ha una sua storia. Era un albergo già oltre un secolo fa (oggi è anche B&B). Curioso un particolare della reclame dell'epoca (letta da Invernizzi): "su prenotazione si mettono a disposizione comode cavalcature". A giudicare di quanto è tortuosa la strada carrozzabile che si arrampica si qui per 16 km da Ballabio è difficile pensare quanto "comodo" poteva risultare risalire a dorso di mulo fin quassù. Però il posto era una frequantata meta turistica.
Intanto la comitiva si è infoltita con qualcuno arrivato direttamente a Morterone.
Dopocena il mini convegno in municipio: Antonella Invernizzi, il sindaco, ci ha illustrato il museo di arte contemporanea all'aperto che, da trent'anni a questa parte ha trasformato il piccolo paese in una specie di galleria d'arte. Giuseppe ha parlato dei bergamini; lo ha fatto a lungo ma nessuno si è distratto o annoiato perché catturato non solo da una storia in sé affascinante ma anche dalla passione con cui è stata raccontata "da dentro". Ovvero da chi come Giuseppe apparteneva a una famiglia di bergamini di generazioni dove, morto il padre a quarant'anni per un tragico incidente, la madre è riuscita a non mollare l'attività. Si dice che le donne dei bergamini "valessero come gli uomini" (per mungere, caseificare, assistere ai parti. Probabilmente valevano anche di più. La storia dei bergaminiattira l'interesse anche per un tanto di mistero. Perché pur essendo così importante, avendo segnato non solo la storia di intere vallate ma anche quella della bassa Lombardia, pur avendo prodotto le dinastie casearie degli Invernizzi (più di una), dei Locatelli, un genio come Egidio Galbani è stata rimossa? "Persino a me che studiavo agraria a Milano nessuno mi ha mai parlato dei bergamini" ha precisato Giuseppe Invernizzi. Per le "chiavi del mistero" (sociologiche, ideologiche) Giuseppe rimanda al mio libro "La civiltà dei bergamini. Un'eredità misconosciuta" edito anch'esso, nel 2015, dal Centro Studi Valle Imagna, l'associazione culturale che ha fatto da propulsore delle tante iniziative culturali in cui il "Cammino" si inserisce. .
Dopo il mini convegno il sindaco ci fa visitare la chiesa parrocchiale (qui non ci sono Peppone e Don Camillo). Il parroco risiede a Lecco ma, immancabilmente (anche in inverno), sale a celebrare la messa. Nella chiesa ammiriamo due delle opere d'arte contemporanea più interessanti tra quelle che hanno trovato collocazione a Morterone: l'altare e il fonte battesimale. Sono le più ammirate (o, secondo i punti di vista, le meno contestate). Del fatto che la presenza delle opere contemporanee abbia diviso la piccola popolazione il sindaco non ha fatto mistero nella sua presentazione. Pur apprezzando l'altare nero, che si apre come un fiore dal pavimento sorreggendo la mensa, il mio interesse è stato attirato dalla statua dell'Assunta. La festa dell'Assunta, cadendo in estate, con la presenza in paese dei bergamini transumanti (la maggior parte della popolazione) rappresentava un momento topico del calendario rituale morteronese. Tornando alla statua si nota che lo sguardo rivolto al cielo è dolce e sereno ma non "ieratico", distaccato dalla terra. La Madonna non ha un visino pallido da principessina ma un viso largo e colorito che rivela la natura "bergamina" di questa Madonna. Una Madonna che scatenava grandi competizioni per ottenere, con un'asta al rialzo, l'onore di trasportarla in processione. Questo onore conferiva indubbio e concreto prestigio ed erano i "grossi" bergamini ad aggiudicarsi regolarmente. Ricorda Giuseppe Invernizzi che si arrivava a dover vendere una bella vacca per poter portare l'Assunta. Da diversi anni la Madonna non va più in processione. Peccato. Perché era un rito di sacralizzazione del territorio, di rinnovato incontro tra il cielo e la terra, di cui si sente il bisogno.
La parrocchiale e, sullo sfondo, la frazione "Centro"
Al mattino del sabato ci raggiungono altri amici. Nella foto sotto, nella sede della pro loco, però. il ragazzo con la maglia gialla non è un camminatore ma un giovane neolaureato in agraria di Lecco che, insieme a un suo collega del milanese, ha preso in gesitone la stalla comunale. Un ritorno alla montagna, un cammino al contrario rispetto alla tendebza alla fissazione in pianura dei bergamini che ha fatto di Morterone un paese con più frazioni che abitanti. I due ragazzi hanno già cinque Grigie alpine che sono salite in alpeggio a Valmana, meta della nostra camminata mattutina.
Nella sede della Pro loco sono esposte numerose fotografie storiche
I cimiteri sono a volte più ricchi di informazione degli archivi. Così Giuseppe prosegue al cimitero il suo racconto su Morterone. Qui, in scala più ampia che alla Culmine, è possibile rendersi conto della "diaspora" morteronese verso le pianure: non solo verso la Martesana ma anche la Gera d'Adda e persino la bassa bresciana. C'era chi scendeva scollinando attraverso la Costa del Pallio, verso la valle Imagna, e chi scendeva a Lecco. I primi tendevano a scendere più ad est, anche nel cremasco e nella bassa bresciana, i secondi nel milanese.
All'inizio del cammino osserviamo nei prati altre opere d'arte contemporanea.
Allontanandosi dalla frazione "Centro" l'ambiente si fa più "selvatico". Solo grazie a passaggio regolare di un grosso gregge questi pascoli si stanno conservando. Quest'anno, però, le pecore sono arrivate un po' tardi e hanno lasciato indietro molte "bacchette" (steli lignificati di dicotiledoni).
Attraversiamo boschi di faggio e diversi suggestive "valli," dove la roccia carbonatica, messa a nudo, manifesta la sua stratigrafia e crea dei levigati piani inclinati dove scorre l'acqua. Finalmente arriviamo a Frasnida , una contrada simbolo, dove le cascine hanno mantenuto le caratteristiche dell'architettura di questo angolo di Orobie. Alcune sono più grandi, altre sembrano case di hobbit. In qualche modo siamo in una "terra di mezzo", una specie di terra di nessuno tra l'area milanese/valsassinese e quella bergamasca. Visto però non da punto di vista degli stati (o delle provincie) ma da quello "del monte" questo era invece un "centro". Morterone ha un etimo abbastanza trasparente murteer è il mortaio e murterun è un grande mortaio. Metaforicamente un crogiolo di genti e culture delle valli con cui è in connessione (anche se la "fusione" è in larga misura il frutto di unioni matrimoniali combinate in pianura).
Si leggono testimonianze di abitanti della contrada ma il cielo è sempre più minaccioso e tra i partecipanti serpeggia una certa inquietudine. Qualcuno si accerta di non aver dimenticato la mantella.
Come temuto si scatena non il "temporale isolato" ma un vero nubifragio che ci sferza con secchiate d'acqua di traverso. Il bosco non riesce a mitigare la furia dell'acqua. Non c'è altra alternativa che proseguire con l'acqua che ruscella dentro le scarpe. A Giuseppe Invernizzi nella salita verso la Costa del Pallio (il costone che separa Morterone dalla valle Imagna) ci sostituisce come guida Sergio Poli, un forestale di Morterone che lavora all'Ersaf, l'ente regionale che gestisce il demanio della regione Lonbardia e una trentina di alpeggi grandi e piccoli. Siamo entrati nella foresta demaniale e alcune targhe segnalano i "grandi alberi", piante maestose e secolari che, anche in epoche di tagli intensivi a ceduo e di grande produzione di carbonella, venivano risparmiate come "matricinine" per salvaguardare attraverso la produzione di seme il rinnovamento del bosco. Ovviamente nessuna sosta didattica e si tura dritto.
Arriviamo all'agriturismo "Alpe Valmana" con la pioggia, sebbene in diminuzione, e pensiamo ad asciugarci e a cambiare gli indumenti inzuppati. Poi si va a tavola. Apprezzata la frittata con i cügoi, gli spinaci selvatici che altrove nelle valli bergamasche, ma anche in Valtellina, sono i parüch. Il sole splendente nel cielo illimpidito dalle secchiate d'acqua suona un po' come una beffa ma nessuno si augura che tornino (subito) i neri nuvoloni.
Alcuni partecipanti che avevano in progetto di scendere a Corma (magari per un percorso più breve, in parte automobilistico) un po' perché provati dal nubifragio, un po' perché si è fatto tardi, decidono di tornare subito a Morterone. Restano i giovani, venuti anche da lontano (Genova) che non rinunciano al programma iniziale. Nonostante qualche nuvola (ogni tanto più scura) il tempo "tiene". La discesa verso Corna in realtà comtempla diversi saliscendi. Si scende al passo del Grassello e si risale ai Canti (1563) dove lasciamo traccia nel libro di vetta. Il panorama dal crinale è slpendido spaziando su buona parte della valle Imagna e della val Taleggio con i suoi grandi pascoli per secoli sovracaricati dai bergamini e oggi sottocaricati. Ma non c'è molto tempo (e voglia) per le foto e le illustrazioni e si pensa a seguire la traccia. Si tira il fiato solo ai Tri Fo (tre faggi) località panoramica che oltre a tre vecchi faggi si caratterizza per la curiosa edicola mariana della foto (l'incanto è un po' rotto in realtà dall'invasivo enorme pennone metallico portabandiera eretto degli alpini che in questo luogo sta come i cavoli a merenda).
Dai Tri Fo in avanti la discesa si fa a tratti molto ripida e le gambe sono messe a dura prova. Il persorso si sviluppa nel bosco dove, ogni tanto, si nota un rudere antico. Siamo ormai a Corma Imagna e, anche se stanco, non posso non fotografare l'austera costruzione della foto qui sotto. Abbandonata da chissà quanti anni denuncia parecchi secoli (a giudicare dalle architravi e dai montanti di taglio medievale delle aperture). Attende una rinascita forse non del tutto impossibile nel clima di recupero architettonico (e di cultura rurale viva) in atto nel comune.
Una volta raggiunta la strada asfaltata chiamo senza pudore Antonio Carminati, direttore del Centro studi Valle Imagna. Dopo pochi minuti arrivano tre auto di soci dell'associazione che ci traghettano alla Cà Berizzi, la secentesca dimora signorile oggetto di un recupero pluridecennale ma che ora, grazie al Centro studi sta conoscendo una rapida trasformazione (vai all'articolo sulla inaugurazione della biblioteca nel 2015). A Cà Berizzi, poche settimane orsono inaugurata quale "bibliosteria" siamo veramente coccolati. L'arsura viene calmata e poi viene calmato l'appetito. La cena con Antonio Cmminati, Giorgio Locatelli (presidente del Centro) e l'amico sociologo De La Pierre, che ci ha nel frattempo raggiunti con il suo camper da Milano, ripaga della fatica della giornata. Una cena abbondante di calorie (premurosamente fornite ai camminatori) ma anche di stimoli culturali, ricca di discussioni a sfondo antropologico e sociologico che coinvolgono anche i "ragazzi" che al cammino sono venuti per precisi interessi culturali. Nulla di più lontano dal "turismo" (almeno quello convenzionale ). Antonio snocciola con la sua consueta instancabilità e precisione la densa storia del Centro Studi. Si concentra sul restauro della sCà Berizzi, sull'idea di legare strettamente ospitalità nell'ambiente rurale e cultura, sul successo dell'esperimento dell'Antica locanda Roncaglia (con una formula di ospitalità più popolare). La formula assunta dalla sistemazione di Cà Berizzi è quella della "Bibliosteria". La biblioteca, intitolata a Costantino Locatelli, è "diffusa" e "penetra" nelle camere da letto dove sono sistemate parte delle scaffalature. Camere da letto che abbiamo l'onore di "collaudare". La struttura è dotata non solo di cucine e di camere ma anche di due sale riunione. Perfetta per seminari e piccoli convegni o corsi residenziali di un week-end (o anche di qualche giorno). Giorgio Locatelli ripercorre insieme ad Antonio la storia del Centro studi e ci invita a visitare il giorno dopo la sua casa in contrada Corna.
La cena della sera di sabato, anche se un po' offuscata dalla stanchezza del cammino, è stata veramente piacevole. Sia per la compagnia che per l'atmosfera sovrastata dalle scaffalature di libri (anche preziosi), con il grande tavolo quadrato per dieci coperto dalla tovaglia candida, le grandi fineste aperte sulla valle che scuriva, un buon vino bergamasco (anche se, almeno per ora, non a km 0). Ma la colazione del mattino non è stata meno gradita. Da una condizione un po' elettrizzante della sera prima ad un meritato relax. Quindi, senza fretta, la graditissima visita alla casa di Giorgio Locatelli. Qui sotto vediamo il corpo di fabbrica antico con un passaggio coperto che lo collega al "moderno".
Avrebbe meritavo una foto anche l'ala moderna (comunque plurisecolare), soprattutto, il prato-balconata se cui la casa si affaccia, ma sarebbe stato invadente. La grande balconata erbosa sulla valle è lo spettacolare risultato della realizzazione, dopo la prima guerra mondiale, di un muro di contenimento ciclopico ("mio nonno ha voluto dare lavoro alla gente di qui in un periodo di crisi"). Bellissime poi le rose coltivate dalla signora Locatelli all'ombra di un grande "morone" (che ricorda le fortune degli avi con la vendita dei bozzoli). Invidiabile lo studio ricavato da una tipica stalla-fienile cui si accede dal giardino. All'amore e al rispetto per la casa degli avi Giorgio Locatelli ha unito, senza soluzione di continuità, l'amore e il rispetto per la cultura architettonica della gente semplice di Corna. Una cultura che si esprime non solo nelle case ma anche nella raffinata realizzazione di stalle, mulattiere selciate (caalire) e altre opere d'arte. Dalla forte volontà di preservare questi valori, e non vederli soccombere alla banalità della cultura edilizia contemporanea, dalla sintonia tra Antonio e Giorgio (oltre che dall'apporto di altri personaggi mlto motivati) è nato il Centro Studi Valle Imagna che macina non solo progetti editoriali ma anche ricerche, restauri e ... progetti agricoli. Il cerchio deve chiudersi. Eccoci allora alla "Casa dello stracchino". Un'idea che nasce da un preciso intendimento: restaurare per musealizzare non serve, non ha senso, non ha prospettive economicamente sostenibili. Serve rifunzionalizzare fornendo nuove chance alle attività agricole rurali che dal valore aggiunto culturale possono sperare di "tirarsi fuori" dalla dittatura della quantità e del ribasso dei prezzi.
Della Casa dello stracchino, come esperienza esemplare di progetto culturale che ridà fiato ad un'agricoltura residuale, abbiamo già parlato più volte ( ne ho parlato qui e poi anche qui). La Casa dello stracchino fonde cultura della pietra e dello stracchino. A partire dall'ingresso, uguale a quello dei fienili. Come quello ("dimostrativo") che sorge accanto alla Casa e restaurato con cura (foto sopra). La Casa dello stracchino è gestita da una coop ma la struttura è di proprietà comunale. Il sindaco Giacomo Invernizzi (sotto) ha illustrato ai partecipanti del Cammino la realtà della coop e della Casa.
Ultima tappa la Locanda Roncaglia raggiunta a piedi seguendo una vecchia mulattiera che collega le contrade. La Locanda è il risultato del recupero di una vecchia osteria, tornata alla sua funzione, ma anche, della corte dove si affacciano rustici e fabbricati "civili". La Locanda, che ha anche alcune camere arredate con mobili d'epoca (i "lettoni" delle nonne), trasforma in offerta gastronomica il lavoro portato avanti dal Centro studi in materia di alimentazione contadina e di recupero di antiche ricette. Il Cammino è finito a tavola in un allegro spirito conviviale foriero di nuove iniziative. Poi, grazie al Centro Studi, a un simpatico consigliere comunale (autista provetto) e al di lui pullmino, veterano di pendolarismi annosi verso cantieri sparsi per la Lombardia, siamo arrivati alle auto lasciate alla Culmine o alla stazione di Bergamo. Una piccola-grande esperienza è andata in porto.
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Per informazioni e comunicazioni: ruralpini@gmail.com Creazione/WebmasterMichele Corti |