(04.2.13) Giovedì e Venerdì scorsi presso l'Istituto Solari di Tolmezzo (UD) si è tenuto un importante e partecipato incontro sui prodotti di malga. Erano presenti rappresentanti dei servizi veterinari di quasi tutte la regioni alpine
Malghe e alpeggi: lo scambio di
esperienze può aiutarli
di Michele Corti
Le incongrenze e le difformità riscontrate tra regione e regione nell'approccio al riconoscimento dei caseifici d'alpeggio e nella gestione dei controlli consentono ampi margini di miglioramento dell'efficacia e della semplificazione delle procedure a vantaggio degli operatori e della valorizzazione delle produzioni
Giovedì e Venerdì scorsi si è tenuto a Tomezzo un importante evento in tema di malghe/alpeggi. Un dibattito sui prodotti caseari di malga dell’arco alpino (…ovvero confronto tra le buone prassi veterinarie nella sanità pubblica) che ha coinvolto rapresentanti dei servizi veterinari di Valle d'Aosta, Lombardia, Veneto, Prov. aut. Trento, Prov. aut. Bolzano e Friuli. Alle due giornate hanno preso parte numerosi veterinari e tecnici ma anche operatori lattier-caseari, rappresentanti di associazioni, allevatori e malghesi che hanno gremito l'Aula Magna dell'Istituto Solari (una scuola molto orientata alla montagna che ha attivato un corso sulla bio-edilizia del legno).
L'importanza di verificare le incongruenze tra le prassi di riconoscimento e controllo
Di incontri e convegni sul tema delle produzioni d'alpeggio e del difficile applicazione delle norme igienico-sanitarie a questa realtà ne sono stati organizzati parecchi dai tempi del dpr 54/97 in poi. Qualcuno anche con la partecipazione di rappresentanti di diverse regioni. Questo di Tolmezzo, però, organizzato dalla U.O. Assistenza Veterinaria dell' ASL Alto Friuli è stato impostato in modo da consentire un confronto serrato e approfondito che, a detta dei partecipanti, ha raggiunto lo scopo prefissato. Esso consisteva nel far emergere senza falsi pudori incogruenze e difformità nell'applicazione delle normative per arrivare a formulare indicazioni per lo sviluppo di linee guida nazionali che tengano conto della specificità del sistema di malga. Con lo scopo dichiarato di contemperare le comprovate e reali esigenze di sicurezza alimentare con la valorizzazione degli aspetti tradizionali e le altre potenzialità multifunzionali del sistema all’interno di criteri di sostenibilità ambientale ed economica. All'interno di questi obiettivi si assegna notevole importanza alla semplificazione documentale nelle fasi della produzione con l’adozione di Buone Prassi Veterinarie - punto cruciale per la definizione di procedure condivise ed armonizzate del controllo ufficiale.
Una prima macroscopica differenza è emersa sin dalle prime esposizioni della situazione della Valle d'Aosua e della Lombardia. In queste regioni, dove una componente significativa della produzione d'alpeggio è destinata al mercato nazionale e internazionale, i caeseifici d'alpeggio sono invariabilmente "riconosciuti", hanno perciò il "Bollo CE" e rientrano nelle previsioni del reg. 853/04. I rappresentanti dei servizi veterinari del Veneto e del Friuli si sono molto sorpresi di questo fatto, così come dell'assegnazione di un unico nimero di identificazione dell' "impianto" anche per gli alpeggi con più "tramuti", "mutate" "calecc", ovvero "stazioni" dell'alpeggio dove si lavora il latte.
"nel caso di più strutture situate in un unico alpeggio (Alpe) a diverse altitudini ed utilizzate dallo stesso caricatore in tempi diversi, almeno la struttura principale di lavorazione e deposito del formaggio deve avere i requisiti sotto elencati; le altre strutture che vengono utilizzate saltuariamente e per tempi limitati possono avere requisiti meno rigidi purchè vengano utilizzate esclusivamente per le prime fasi di lavorazione del latte, subito dopo la mungitura e per la preparazione di formaggi con più di 60 giorni di stagionatura" (Giunta Regionale della Lombardia, deliberazione n. VI/42036 del 19.3.1999)
Prescrizioni e dissuasioni a volte inspiegabili
Veneti e friulani si sono chiesti: "ma come fate ad ottemperare ai requisiti di potabilità vista la difficoltà di vericarla nelle condizioni dell'alpeggio?". La risposta ha lasciato ancora più sconcertati gli "orientali" dal momento che è emerso che a ovest non solo sono diffusi i potabilizzatori a reggi UV ma si opera il controllo dell'acqua in regime di autocontrollo. In realtà questo è perfettamente legittimo e l'affiamento ai controlli ufficiali praticato ad Est rappresenta uno dei tanbti esempi di "eccesso di zelo". Va subito detto, però, che lo zelo (ingiustificato) è uniformemente ripartito tra ovesr ed est. In Piemonte, per esempio, (almeno in alcune ASL) si impone un'altezza minima dei locali del caseificio di 2,7 m che preclude la ristrutturazione di moltissimi fabbricati o la loro profonda alterazione (tanto che questa prescrizione ha una certa responsabilità nel mantenere "in nero" la lavorazione su diversi alpeggi). In realtà la norma europea (allegato II del reg. 852/04) dice solo che :
"i soffitti (o, quando non ci sono soffitti, la superficie interna del tetto) e le attrezzature sopraelevate devono essere costruiti e predisposti in modo da evitare l'accumulo di sporcizia e ridurre la condensa, la formazione di muffa indesiderabile e la caduta di particelle".
In Lombardia è tutto rose e fiori? In realtà in Lombardia (Valtellina in particolare) in anni non lontani sono state applicate alla produzione del burro di malga restrizioni tali da farne quasi scomparire la produzione. Sempre in Valtellina, per gli stessi motivi, è scomparso l'uso dell'agra in qualità di acidificante nella produzione di ricotta. Recentemente ho scoperto che in Piemonte è ancora usata e a Tolmezzo i veterinari della U.O. assistenza veterinaria mi hanno confermato che è regolarmente utilizzata nelle loro malghe e che su di essa vengono anche eseguiti dei controlli microbiologici. Sempre in Friuli si registra un ampio ricorso alla affumicatura della ricotta stessa mentre in Trentino, dove pure è praticata in condizioni molto controllate in apposite camere (vedi foto sotto tratta dall'articolo sulla Val di Rabbi di Ruralpini), la Azienda sanitaria provinciale cerca di scoraggiarla adducendo il rischio del benzopirene e degli IPA (idrocarburi policiclici aromatici). In realtà il prof. Giaccone (autore della relazione sui rischi igienici della produzione di malga) sostiene che è più rischioso il fumo chimico liquido utilizzato dai caseifici industriali per via della grande difficolatà di dosaggio. Molto più critica del dosaggio del fime vero.
Adeguamenti formali non sempre equivalgono a miglioramenti
Tornando al tema "caeifici riconosciuti" va anche detto che il processo di adeguamento delle strutture che ha consentito il riconoscimento della gereralità degli "impianti" non è stato indolore. In seguito al dpr 54/95 in tutta la regione, grazie ad appositi finanziamenti per l'adeguamento alle nuove norme igienico-sanitarie vennero erogati ai comuni (proprietari della maggior parte degli alpeggi) in conto capitali contributo a fondo perduto all' 80%. Ne seguì una vera e propria corsa alla ristrutturazione che lasciò fuori solo comuni del tutto disinteressati al proprio patrimonio alpestre.
Come ho ricordato nella mia relazione di venerdì a Tolmezzo nel procedere agli adeguamenti al fine di ottenere l'agognato "Bollo" i comuni procedettero ad una progettazione abboracciata che, per di più, doveva trovare il placet di veterinari a dir poco "rigidi".
Va precisato che non sempre si è tenuto (e si tiene) conto delle deroghe per le produzioni tradizionali e di quelle specifiche per gli alpeggi (già citata deliberazione n. VI/42036 del 19.3.1999).
Quelle cantine stravolte
Tra le deroghe per gli alpeggi era espressamente previsto che: nei locali di stagionatura si applicassero quelle previste per la fabbricazione di prodotti a base di latte che presentano caratteristiche tradizionali (Decisione 97/284/CE del 25 aprile 1997); pertanto i locali di stagionatura potevano avere: pareti geologicamente naturali muri, pavimenti, soffitti e porte non lisci, non impermeabili, non resistenti, senza rivestimento chiaro o non composti di materiale inalterabile dispositivi e utensili di lavoro destinati a entrare a contatto diretto con le materie prime e i prodotti in materiale non resistente alla corrosione, non facili da lavare e da disinfettare.
Eppure quante cantine piastrellate, impermeabilizzate, private di sfiati idonei a garantire la circolazione dell'aria, quante pavimentazioni incongrue lungo pareti perimetrali (utili solo ad elevare la temperatura nei locali di stagionatura stessi). Quanti locali per l'essiccazione della ricotta o per la sosta del latte ridotti di volume e quindi privati della doppia o tripla esposizione che facilitava l'arrieggiamento magari per realizzare "vestiboli" o altro. Con il risultato che per avere un adeguamento formale si perdevano le caratteristiche funzionali dei locali atte a garantire anche la sicurezza igienica (per il burro la temperatura di sosta del latte in affioramento è cruciale).
Produzioni diverse, rischi diversi
Nelle interessanti discussioni sollevate intorno al problema del controllo dell'acqua e alla "facilità" di riconoscimento dei caseifici d'alpeggio da parte di alcune regioni è emerso un fatto determinante: l'adeguatezza di locali, attrezzature, comportamenti degli operatori deve essere pesata per la specificità dei rischi concreti associati a determinate produzioni. I Valdostani non hanno mancato di sottolineare che la Fontina è prodotta con latte che non subisce sosta (quindi acidificazione e potenziale moltiplicazione di batteri patogeni o alteranti) e che viene portata a valle entro pochi giorni presso i depositi di stagionatura delle coop. A questo punto, però, ci si potrebbe chiedere: "ma in Lombardia dove si producono anche formaggelle a breve o brevissima maturazione perché si è stati di "manica larga" nel concedere i riconoscimenti dei caseifici?". Alcune risposte sono arrivate con la relazione del Prof Valerio Giaccone svolta nella giornata di venerdì.
"Fresco" e "stagionato" non sono il solo elemento di valutazione
Giaccone ha trattato dei veri o potenziali rischi nei prodotti a base di latte delle malghe distinguendo i rischi del formaggio fresco (convenzionalmente < 60 giorni di maturazione) da quello stagionato (> 60 giorni). La sua relaizone è stata di estremo interesse perché ha coniugato il rischio sanitario con quello di alterazione tecnologica considerando le varie cause di difetti legati a problemi microbiologici. Ha messo in evidenza come il criterio del "fresco = pericoloso, stagionato = sicuro" non può essere assunto rigidamente per stabilire prescrizioni più o meno severe.
Un rischio che non si riduce con la stagionatura è quello della presenza delle tossine stafilococciche. Il giorno prima il tema "stafilo" era stato ampiamente dibatturo (e giudicato secondo solo a quello della qualità dell'acqua). Il rappresentante del Trentino aveva ricordato i casi di tossinfezioni del 2008 verificatisi presso una malga "modello" sita, però, 1.000 m di quota e quindi esposta al problema del controllo della temperatura nella fase di sosta del latte. L'esperienza aveva chiarito come la presenza della tossina permane con la stagionatura - questo il risvolto negativo - ma anche come la produzione di tossina sia conseguente ad elevate cariche di Staphylococcus aureus nel latte a loro volta legate alla persenza di animali mastitici infetti. La semplice accortezza del mungere in coda i capi positivi può mentenere entro valori relativamente bassi la presenza dello stafolo e prevenire la presenza di tossina nel formaggio. Giaccone, però, ha ricordato che nei formaggi stagionati non vi è solo il rischio di presenza di tossina stafilococcica . Un altro fattore di rischio è legato alla presenza di ammine biogene (tiramina, istidina, putrescina, feniletilammina, cadaverina, spermina, spermidina). Sono prodotti legati alla degradazione degli aminoacidi a loro volta originati dalla scomposizione delle proteine. Le amine biogene sono presenti anche nelle carni conservate, nel vino e in altri prodotti alimentari e non sono una "specialità dei formaggi stagionati). Istamina, tiramina e 2-feniletilamina sono dotate di maggiore tossicità mentre e putrescina, cadaverina, spermina e spermidina che, pur non essendo di per sé molto tossiche, potenziano gli effetti delle altre e rappresentano possibili precursori per la formazione delle nitrosoamine, sostanze potenzialmente cancerogene (i nitrati arrivano nell'intestino con l'acqua, le carni conservate, gli ortaggi).
Sarebbe interessante capire quali ceppi di batteri producano maggiormente gli enzimi che portano alla formazione delle ammine e a quali condizioni queste sono a loro volta degradate e inattivate.
Quanto ai "freschi" è noto che possono essere più facilmente contaminati con patogeni (E.coli, Salmonella, Lysteria monocitogenes, Campylobacter). Giaccone, però, ha invitato a considerare che la salagione e la perdita di acqua (e quindi l'abbassamento della Aw) che si ottiene con diversi mezzi possono in qualche modo equivalere agli effetti della stagionatura nel provocare l'abbassamento della carica batterica nel formaggio.
Nella sua relazione il docente ha reso noto un fatto molto preoccupante anche se non ha nulla a che vedere con lo specifico della malga: il 60% dei batteri lattici sono diventati antibiotico resistenti. Qualcuno potrebbe pensare: meglio, così non si inibisce la caseificazione anche se ci sono residui di antibiotici. Invece è un fatto pernicioso perché i batteri si scambiano tra loro informazione genetica abbastanza facilmente e da un utile lattico la resistenxza può passare ad un patogeno. Con conseguenze gravissime.
Giaccone ha trattato della qualità tecnologica e persino di quella organolettica. Ha ricordato come nel latte non termizzato e non addizionato di fermenti selezionati vi siano decine e decine di specie di batteri, oltre ai "veri lattici" quelli che si chiamano anche eterofermentanti e che sono responsabili della produzione di svariate sostanze aromatiche capaci di conferire al formaggio artigianale non standardizzato. Avendo la fortuna di intervenire dopo di lui con una autostrada già spianata ho potuto concentrarmi sui temi della valorizzazione comemrciale, della sostenibilità del complessivo sistema pastoralista alpino, sulla multifunzionalità e, in primo luogo, il turismo. I temi che trovate trattati i vari post e articoli su Ruralpini e che non sto a riprendere.
Progetto Piccole Produzioni locali
In chiusura terrei a ricordare come in varie regioni sono in atto interessanti progetti sul tema degli alpeggi. In Friuli il progetto (PPL = piccole produzioni locali) ha compreso un regolamento apposito per le produzioni di malga (Regolamento per la produzione, lavorazione, preparazione e vendita diretta di prodotti lattiero-caseari tipici di malga, approvato con Decreto del presidente della regione del 14 luglio 2011, n. 0166/Pres.). Il progetto giguarda attualmente 11 malghe mentre altre 21 sono oggetto di controlli e registrate. Uno degli aspetti interessanti del regolamento è che definisce in modo puntale (a volte troppo, come quando si prescrive il pascolo tra le 6 e le 8 ore o si indica una integrazione tra 3 e 3,5 kg di concentrato) l'attività di malga. Un tale regolamento che garantisce una serie di controlli preventivi ha anche il pregio di chiarire cosa NON è l'attività di malga e quindi di evitare le speculazioni sui pascoli e i titoli PAC che hanno fatto capolino anche in Friuli. Nell'ambito del programma sono stati adottati semplici acorgimenti che possono risultare molto utili come la fornitura di fascette colorate per contraddistinguere le bovine positive agli esami per l'infezione stafilococcica.
L'incontro di Tolmezzo ha dato in la a dei confronti molto utili che potrebbero allargarsi dal campo veterinario a quello delle altre competenze che possono aiutare a contribuire alla sostenibilità e alla valorizzazione del pastoralismo alpino.
Da parte mia sono molto interssato a tornare in Carnia a discutere di malghe e di prodotti, questa volta non in un'aula di un istituto scolastico ma sul campo.