(05.12.12)A favorire la corsa al biogas e all'accaparamento delle terre ci pensano anche i Parchi e il demanio regionale. A Staffarda, nel Parco fluviale del Po cuneense terreni in affitto passati da margari a biogasisti
Quando è il Parco fluviale
che alimenta... il biogas
di Michele Corti
La corsa al biogas non conosce ostacoli. Terreni fluviali che erano pascolati dai margari con proibizione di lavorazione passano ai biogasisti e alla coltivazione intensiva
Sono tante le storie dei margari della provincia di Cuneo che non riescono a sostituire i terreni con contratti di affitti che scadono. Il mercato è andato alle stelle per colpa del biogas (1600 € /ha/anno). Diventa più amara la pillola quando a metterti fuori dalla porta è il demanio regionale, un Parco. È successo a Giovanni Dalmasso, il presidente dell'Associazione difesa alpeggi Piemonte. Dalmasso interpellato sulla questione biogas ha subito premesso che la sua associazione considare il problema come una minaccia molto grave, altrettanto grave di quelle contro le quali si è battuta sin dalla nascita: i lupi e le speculazioni sui pascoli. "Per i margari trovare terreni in affitto in pianura è altrettanto vitale che disporre degli alpeggi". "La situazione è grave come testimonia quello che è successo a me".
Dalmasso riferisce che con la sua mandria utilizzava con il pascolo un terreno demaniale lungo il Po in comune di Revello. "Erano 100 giornate (2,62 giornate equivalgono ad un ettaro) che avevo trovato in pessime condizioni perché abbandonate da tempo. L'affitto era rinnovato annualmente e in qualche anno il terreno è molto migliorato, è divenuto appetibile".
Quest'autunno il terreno è andato all'asta. Dalmasso ha capito che faceva gola a chi gestisce una vicina centrale a biogas e: "non ho offerto un centesimo di più di quello che potevo pagare". Così il terreno (a 600€ per giornata) è andato ai biogasisti. "Quello che mi fa dispiacere è che loro lo potranno usare come seminativo mentre io, per ragioni ambientali, non potevo azzardarmi ad effettuare nessuna lavorazione". "Quando a ottobre ero tornato dopo l'alpeggio avevo trovato erbacce alte come piante avevo pensato di trinciare tutto, e volevo provare su una piccola superficie. Non l'avessi mai fatto, dopo mezz'ora che ero entrato con il trattore mi hanno subito fermato e ho dovuto smettere".
Dalmasso aggiunge che il Parco gli ha proposto altri terreni da utilizzare solo per il pascolo ma di non aver accettato di partecipare all'asta nel timore di dover contribuire ancora una volta a creare le premesse (trasformazione in terreni appetibili) per ... perdere un'altra volta l'affitto.
Coltivare biomasse per alimentare i digestori anaerobici in terreni prossimi al fiume non pare molto ecologico e coerente con la "missione" di un Parco fluviale. "Durante il ciclo del mais useranno tre passate di diserbanti" sottolinea Dalmasso. Chissà se poi non si lanceranno nei secondi raccolti, si può aggiungere, e chissà se - come probabile - si procederà allo spandimento dei digestati con il sicuro effetto di dilavamento dei nitrati nelle acque. Si vede che le esigenze di cassa fanno premio su tutto. È certo che nella forma il tutto è cpoerente con gli strumenti di piano, le classificazioni, le destinazioni d'uso dei terreni. Però nella sostanza resta da chiedersi: se anche dei terreni prossimi al fiume possono essere destinati a una coltura super-intensiva che senso ha un Parco fluviale, che cosa tutela? Intanto le vacche di Dalmasso (e non solo le sue) dovranno cercarsi altri pascoli.