L'Uncem (Unioni comuni comunità enti montani) del Piemonte punta tutto sulla green economy e opera come piazzista di centrali a biomasse attraverso l'agenzia PieMonti. C'è puzza di arrosto per la casta mentre alle comunità si regala il fumo
L'Uncem opera pro casta
o pro Terre alte?
di Michele Corti
Ai comuni di montagna non servono le centrali a biomasse che finiscono per utilizzare materiale "globalizzato" ma microimpianti domestii e collettivi per far risparmiare fdirettamente ai cittadini sulla bolletta energetica e per offrire alle imprese locali energia elettrica a basso costo compensando i fattori di svantaggio delle Terre Alte. Le centrali alimentano le lobby e il ruolo della casta tecnopoliticoeconomica
Da tempo l'Uncem ha sposato la green economy, lanciando vacui slogan come "comunità smart" che riecheggiano le parole d'ordine di Confindustria e delle lobby speculative. Dietro la retorica c'è una cruda realtà di un abile tentativo di irretire gli amministratori in progetti che di "pulito" hanno ben poco, che nascondono grumi di interessi poco trasparenti e una grande corsa alla speculazione.
Un nuovo colonialismo mascherato
Il rischio è che per produrre energia elettrica che serve altrove (con una potenzialità produttiva sempre più eccedentaria rispetto ai fabbisogni decurtati dalla crisi) si espongano le comunità locali a emissioni inquinanti. In cambio di cosa: di un po' di "teleriscaldamento" che si paga respirando gli inquinanti che fuoriescono dai camini delle centrali a biomasse. In alcuni casi sono società private di pura speculazione che propongono la realizzazione degli impianti, concedendo le briciole alle amministrazioni, in altri casi sono le stesse amministrazioni locali a farsi speculatrici. Lo fanno attratte dai lauti incentivi e dall'idea di sistemare i conti pubblici, di sfuggire alla morsa del patto di stabilità, di compensare pregresse cattive gestioni della cosa pubblica. Un baratto che, in ogni caso, vede come merce di scambio la salute degli amministrati.
Lido Riba, presidente dell'Uncem Piemonte, ardente - è il caso di dirlo - sostenitore dell'uso energetico delle biomasse legnose da quando era presidente dell'ente regionale IPLA (Istituto per per le piante da legno e l'ambiente). Politico (PD) di lungo corso è stato consigliere regionale
È di questi giorni il pronunciamento dell'ASL Cuneo 1 (ma anche degli uffici tecnici della provincia) sul controverso caso della centrale di Paesana in valle Po (da 992 kWh). Questa centrale sfrutta la tecnologia della "pirogassificazione", proprio quella che l'Uncem Piemonte, attraverso la sua agenzia PieMonti spinge come "virtuosa". PieMonti presenta così la sua mission:
Nelle Terre Alte si trovano i “pozzi di petrolio”, dal legno all'acqua. Biomasse, fotovoltaico, idroelettrico, eolico sono i settori che vedono direttamente impegnati gli enti locali e le imprese delle aree montane. PieMonti Risorse è il loro naturale partner.
Condizioni chiare e inderogabili
Questa rosea prospettiva omette di specificare due cose importanti:
1) L'energia servirà per lo sviluppo locale - compensando gli svantaggi delle Terre Alte con la disponibilità di un'energia autoprodotta e messa a disposizionedelle imprese locali a basso costo o alimenterà una forma di colonialismo energetico o no?;
2) L'energia sarà prodotta rispettando criteri di sostenibilità (ormai lo sanno anche i bambini che "rinnovabile" non vuol dire automaticamente sostenibile) o no?
Che l'energia da biomasse legnose non sia sostenibile dal punto di vista della qualità dell'aria lo sostiene l'ASL che ha qualificato la biomasse proposta a Paesana: "industria insalubre di prima classe" bocciandoil progetto che prevede la collocazione della centrale.
In realtà l'Uncem spinge per quelle che definisce "piccole" centrali da 400 kWh che sono solo un po' meno inquinanti (sempre che non le si realizzi in serie come capita spesso). Il grande vantaggio delle centrali di una certa dimensione è la vendita dell'energia elettrica al GSE che è costretto (a causa dalle decisioni politiche sciagurate degli ultimi governi) a pagarla 3-4 volte il prezzo di mercato.
Per mettere lafoglia di fico su questa operazione di pura speculazione si concedono gli incentivi (massimi) solo in caso di "assetto cogenerativo" ovvero di utilizzo dell'energia termica ottenuta quale "sottoprodotto" della produzione elettrica (che altrimenti andrebbe persa in atmosfera). Così si allacciano scuole, impianti, sportivi, case di riposo con tubazioni di acciaio alle centrali elettriche e si fa circolare acqua (non molto) calda ottenuta dal raffredamento dei motori. Il comune, felice di risparmiare sulle bollette, da la sua benedizione alla realizzazione delle centrali ... e gli amministrati respirano le emissioni.
La soluzione del teleriscaldamento generalizzato è invece impensabile perché, come tutti sanno, molte aree montane sono caratterizzate dalla disseminazione sul territorio di nuclei, frazioni e borgate che è impossibile allacciare con delle tubazioni che veicolano acqua calda (no si riesce a portare neppure il metano!). C'è anche il rischio che l'uso del legname per produrre energia elettrica da "esportare" verso la pianura si ripercuota negativamente sull'approvvigionamento locale facendo lievitare il prezzo della legna da ardere e lasciando chi si riscalda autonomamente ... al freddo.
Business sui polmoni dei bambini
Se non fosse intervenuta l'ASL gli alunni di Paesana avrebbero dovuto respirare le emissioni della centrale a biomasse, e lo stesso avrebbe già potuto succedere a Luserna S. Giovanni se non ci fosse stato uno stop del TAR di Torino. Quest'ultimo, però, ha accolto il ricorso avverso all’autorizzazione alla realizzazione rilasciato dalla Provincia di Torino all’azienda agricola Guido Merlo. Nella sentenza del TAR si chiarì come le esigenze connesse all’approvvigionamento energetico da fonte rinnovabile non possono ritenersi “talmente preminenti da legittimare la totale pretermissione delle esigenze di tutela del territorio, dell’ambiente e della salute pubblica connesse alla pianificazione territoriale”. Un modo chiaro di dire che i comuni, se vogliono, possono opporsi in quanto responsabili sia della salute dei loro cittadini che del rispetto delle linee di governo del territorio. È evidente che l'azione dell'Uncem, attravreso PieMonti, mira a coinvolgere le amministrazioni, a renderle partecipi della "spartizione della torta" prevenendo la loro opposizione e facendole schierare contro i cittadini che rifiutano una centrale sotto casa.
Chi ci guadagna dalle centrali elettriche a biomasse?
La realizzazione delle centrali, sulla base dell'assetto di incentivazioni vigente, è un business che premia tanti soggetti (finanziatori, progettisti, ditte costruttrici e di manutenzione) ma che non migliora per nulla l'ambiente. Aggiunge nuove fonti di combustione in territori dove - in pianura ma anche nelle valli - sono già numerose le fonti di emissioni. Lo fa senza una reale necessità, ovvero per produrre quell'energia elettrica che, non solo può essere prodotta senza combustioni, ma che oggi è caratterizzata da una domanda decrescente e da una offerta da fonti rinnovabili che ha già superato l'obiettivo per il 2020 (senza contare l'ampio margine di risparmio conseguibile combattendo gli sprechi).
A queste considerazioni si obietta, da parte della lobby, che le centrali, bruciando materiali legnosi con sistemi ad elevato rendimento e con efficaci sistemi di filtri e di abbattimento, sono molto più ecologiche degli impianti privati a biomassa legnosa.
In realtà i limiti per le emissioni delle centrali a biomasse sono attualmente fissati in 100 mg di NOx/Nm3 a fronte di emissioni delle caldaiette a condensazione di ultima generazione che scendono sino a 15 mg. Quando le centrali che oggi si cerca di realizzare saranno ancora in funzione le specifiche di emissioni degli impianti domestici saranno ridotte dalle norme europee a 10/20 mg, un valore in ogni caso di parecchio inferiore a quello delle centrali.
La realtà è che i progressi tecnologici si applicano anche ai microimpianti che hanno il grosso vantaggio di rappresentare fonti di emissioni molto meno concentrate e quindi tali da non elevare localmente la concentrazione di inquinanti nell'aria che si respira oltre soglie pericolose.
Sì alle vere filiere locali, no a progetti sulla carta che alimentano solo business e globalizzazione
La questione politica è semplice: si vuole incentivare i privati a sostituite le vecchie stufe e caminetti con moderne caldaiette a legna, dando lavoro alle ditte artigiane e ai boscaioli del posto (e incoraggiando la gente a tornare a tagliarsi da sè i lotti di bosco pubblico assegnati di diritto) o si vogliono alimentare filiere industriali, grosse ditte della pianura o estere, professionisti e studi della pianura e gli intermediari affaristici e politici di questo giro?
Posto che il legname è una risporsa rinnovabile va anche chiarito:
1) che le rosee previsioni di produzione legnosa autoctona dell'Uncem (che sogna la messa a frutto di 900 mila ha di boschi) non tengono conto delle difficoltà di una gestione di moderni cantieri forestali nelle condizioni orografichedelle Alpi occidentali;
2) che la prospettiva di bruciare legname per ottenere energia elettrica non tiene conto del fatto che se in passato l'utilizzo del legname rappresentava l'unica fonte energetica le emissioni non si sommavano a quelle di altre combustioni legate ai trasporti e ad attività produttive energivore.
La Green Economy come raffigurata nel sito Uncem Piemonte. Il messaggio è chiaro.
È lodevole utilizzare la biomassa legnosa delle filiere brevi per produrre energia termica (la cui quota attuale da fonti rinnovabili è al di sotto degli obiettivi per il 2020) il più vicino possibile ai luoghi di produzione, ovvero con i microimpianti ottenendo energia elettrica per esclusivo uso locale. Non, però, per salvare la finanza locale e continuare a mantenere un regime di spesa pubblica allegra, ma per consentire alle imprese delle Terre Alte di pagare l'energia meno di quelle della pianura.
Facendo così si può anche contribuire alla cura dei boschi con vantaggi in termini di regimazione delle acque e di sfruttamento multifunzionale dei boschi stessi. Pensare alle grosse filiere è invece una pericolosa illusione alimentata in cattiva fede dalla lobby. La dimostrazione viene dalla virtuosa Bolzano dove le numerose "piccole" centrali a biomasse legnose, che avrebbero dovuto essere alimentare con materiale locale, oggi "lavorano" per la gran parte con materiale legnoso rigidamente global, per nulla sostenibile ma alla luce dei parametri di un'economia che non ha ancora imparato a contabilizzare la distruzione del capitale naturale, "conveniente".
Tutte cose che sarà bene che i cittadini e i comitati spieghino ai loro amministratori prima che essi si lascino sedurre dalle sirene dell'Uncem e di una casta di politici trombati e del relativo sottobosco operante in un quadro di forte autoreferenzialità. Un sottobosco che alle Terre Alte guarda solo in modo strumentale e che , quando c'è da difendere i piccoli comuni e le questioni reali della vivibilità in montagna, si trova dall'altra parte della barricata.