(09.09.13) Piuttosto che essere del tutto scacciati dalla wilderness i montanari lanciano una provocazione: siamo noi in via di estinzione, creiamo dei parchi per l'uomo montanaro per difendere la biodiversità culturale umana che rischia di sparire
Riserve indiane per montanari
Una provocazione che non passerà inosservata
di Michele Corti
Lasciateci vivere almeno nelle riserve indiane :"Sono i montanari la specie in via di estinzione". Lo dice Alte Terre l'associazione di resistenza montanara di Cuneo
È forte la provocazione politica che viene dagli amici di Alte Terre. Non solo per il contenuto profondamente politically scorrect, ma anche perché viene dal Piemonte, da una regione dove l'intellighentsia liberal-comunista (al caviale), erede del dirigismo sabaudo, mantiene a tutt'oggi un'egemonia culturale ferrea. Un'egemonia (o meglio un monopolio idelogico-culturale) che permea ogni ambito comprese le organizzazioni che si occupano di montagna e che vorrebbero imporre, sia pure sotto vesti "buoniste" e "sostenibili", l'egemonia torinese e borghese su un territorio dove - dopo decenni di stagnazione - vi sono segnali di fermento sociale. Timidi forse, ma pur sempre potenzialmente pericolosi per chi vuole decidere tutto.
Smascherare il bigottismo politically correct
L'ideologia ambientalista ha assunto un ruolo importante nel conflitto sociale comtemporaneo in funziona di legittimazione delle strategie economiche delle classi dominanti e di controllo sociale. Nelle Alte Terre questo ruolo si palesa in modo scoperto. I Parchi sono divenuti - oltre uno strumento di rappresentazione e divulgazione dell'ideologia ambientalista - un concreto strumento di controllo poliziesco del territorio e di ulteriore restrizione dei margini di autonomia economica e sociale dei montanari, già compressi dall'avvento dello stato nazionale e dei corpi burocratici specializzati centralizzati.
I Parchi hanno rappresentato (e rappresentano) un ottimo canale per ricompensare economicamente l'intellighentsia ambientalista e per creare una casta operativa (direttori, esperti, consulenti, guardie, "addetti alla comunicazione") che costituisce una vero e proprio "braccio armato" dell'ambientalismo urbano. Una casta ben pagata, specie in relazione alle concrete mansioni espletate. Come succede per tutti i pretoriani.
Grazie alla fortissima egemonia culturale della sinistra borghese queste operazioni antipopolari sono state legittimate in senso "democratico e progressista", secondo un ben oliato procedimento ideologico che ha garantito per tutta una fase storica alle classi dominanti di imporre i propri interessi senza ricorrere a quegli "spiacevoli" mezzi coercitivi che dovevano utilizzare in passato.
Parchi & C.
Quando si parla di Parchi facciamo riferimento al sistema delle "aree protette", non solo ai Parchi nazionali e regionali (con la loro brava lobby della Federparchi" ma a tutta quella serie di "istituti" delle riserve naturali, delle Zone a ProtezioneSpeciale, dei Siti di Interesse Comunitario.
La "rete" ha palesemente lo scopo di mettere comunque la montagna sotto una campana di vetro e di "governare" il territorio attraverso le competenze espropriate agli enti territoriali. Tutti questi istituti sono stati messi in pedi con pretesti più o meno singolari: un endemismo, una pozzanghera... Quello che conta è il chiedersi: "ma se queste preziosità ambientali sono sopravvissute sino ad oggi, nonostante il terribile disturbo antropico, ha senso metterle sotto una campana di vetro per difenderle da questi disturbi"?
Già il presentare le cose in termini di "disturbo antropico", mettendo sullo stesso piano un contadino con una falce e l'agricoltura industriale, è di per sé fuorviante. L'impronta ecologica delle comunità rurali del passato pesa come una piuma rispetto a quella dell'uomo metropolitano attuale. Anche se pratica la raccolta differenziata (che spesso finisce in inceneritore o a biogas) anche se acquista al supermercato prodotti bio e "equo e solidale" provenienti da migliaia di km di distanza.
Le società contadine vivevano in simbiosi (simboleggiata dalle veglie nelle stalle) con molti animali e piante e queste simbiosi hanno garantito ecosistemi "seminaturali" ricchi di biodiversità e molto resilienti. La forte pressione sulle risorse ecologiche verificatasi nel XIX secolo nelle comunità alpine è stata il frutto di "disturbi" (per restare nelle analogie) derivati dai processi esterni di industrializzazione e creazione di un mercato nazionale.
promozione del Parco delle Alpi Marittime (la "centrale" del lupo)
La campana di vetro
Quando, invece, si estrapola una "preziosità ambientale" - e si vieta ogni pratica agropastorale col pretesto di tutelarla - ci si dimentica che il lasciare a sé stesso un angolo di "natura" più o meno arbitrariamente delimitato, può portare allaperdita di quelle stesse specie "preziose" che si voleva tutelare.
Un conto è sincronizzare l'utilizzo delle superfici a prato e pascolo con i ritmi biologici di specie botaniche, entomofauna, avifauna, un conto è lasciare che si inneschi una progressione vegetazionale che porta spesso attraverso vari stadi a formazioni monotone povere di biodiversità. Il mito della vegetazione climax originaria è smentito dall'impossibilità di tornare alle condizioni originarie. Ci sono - sempre più numereose come regalo della globalizzazione - le specie animali e vegetali "aliene", c'è il cambiamento climatico, ci sono gli incendi e le frane.
Molto più saggio sarebbe praticare una stewardship che non impedisca un utilizzo realmente sostenibile agrosilvopastorale massimizzando una serie di utilità multifunzionali. In realtà poi, quando ci si accorge che la "natura" lasciata a sé stessa non evolve come desiderato e che i preziosi endemismi sono soffocati dalla vigorosa vegetazione che subentra al non utilizzo, si deve intervenire con sistemi costosi di manutenzione. Dove si è proibito di raccogliere alcunché si pagano imprese per tagliare canne palustri o praticare degli interventi meccanizzati sulle superfici incespugliate. Per chi auspica una gestione dirigistica, la montagna abbandonata o manutenzionata da poche imprese e coop di green economy può essere allettante. A parte gli effetti sociali non è economicamente sostenibile (anche se incrementa il PIL laddove i montanari producevano i loro servizi quali esternalità positive largamente gratuite).
Spopolare la montagna
Chi vede la presenza umana come un "disturbo" non si accontenta di mettere le "aree protette" sotto la campana di vetro. È un fatto che questa "protezione della natura" presenta molti vantaggi per i gruppi dominanti urbani. Oltre a quello già ricordato dell'utilizzo della spesa pubblica per foraggiare il "braccio armato" dell'ambientalismo urbano si è ottenuto anche il cospicuo vantaggio di sottrarre alla già ridotta potestà di gestione territoriale degli enti territoriali elettivi una larga parte di territorio. Tanto larga da condizionare anche la parte "non protetta" e impedire una programmazione.
I Parchi hanno organi di gestione "secondari" dove siedono rappresentanti delle istituzioni elettive. Ma questi rappresentanti sono gli stessi che, per un piatto di lenticchie (appalti, posti di lavoro subalterni nella burocrazia verde, speranza di modeste attività economiche indotte), hanno accettato la realizzazione delle aree protette. Nei Parchi comandano i direttori, legati tra loro e a Legambiente tramite la lobby Federparchi. Presidenti e rappresentanti dei comuni fanno tapezzeria indotti a non disturbare la struttura tecnoburocratica con la prospettiva di qualche contentino.
I Parchi, in linea con l'ambientalismo verde e borghese, perseguono la politica antipopolare dlelo spopolamento delle Terre Alte. Lo fanno attraverso il vincolismo, il divieto di tagliare una pianta anche quando ti cresce davanti a casa, ma anche perseguendo attivamente politiche di "disumanizzazione" della montagna come quella della diffusione dei grandi predatori. L'associazione Alte Terre è nata come risposta alla sempre più invadente presenza dei lupi nelle vallate cuneensi. La volontà di non piegarsi al politically correct, che impone di esaltare il ritorno del lupo e di bollare con marchio di infamia come retrogrado, reazionario chiunque manifesti dissenso, ha fatto da catalizzatore di una presa di coscienza del più generale conflitto sociale che oppone le Terre Alte al modello economico dominante.
I Parchi avevano già indotto una parziale presa di coscienza. Era già chiaro il ruolo di "carrozzoni verdi", di nuova fonte di vincoli e di oppressione sociale burocratica, di aree di svago e rigenerazione (per garantire l'efficienza della produzione e del consumo del ceto medio urbano). Ma è stato con il lupo, proiezione di una volontà aggressiva e dominatrice della città sulla montagna, che c'è stato uno scatto di orgoglio. L'imposizione del lupo, quel: "dovete conviverci" è vissuta come intollerabilmente arrogante e ha reso limpidi i termini del conflitto.
ZPS per l'uomo
L'associazione Alte Terre, che ha lanciato come temi politici il problema del lupo, la legge forestale, i sistemi di rappresentanza politica che penalizzano le Terre Alte, ora aggredisce il tema dei Parchi e delle aree protette. Lo fa in un modo singolare ma estremamente efficace attraverso una provocazione forte, che costringe la gente a riflettere e a schierarsi.
Il lupo ha prappresentato di per sé una cartina al tornasole. Posti alle strette se dichiararsi pro o contro il lupo la maggior parte dei finti amici della montagna si defilano, non osano contraddire il politically correct, subire il bollo d'infamia di retrogrado reazionario che l'intellighentsia è pronta ad affibbiare agli eretici. Ma questo conformismo, questo defilarsi di chi ama la montagna e i montanari finché sono politicamente passivi, è prezioso: consente alle Terre Alte di definire un perimetro di autonomia politico-ideologica e quindi di rafforzare i processi di autoriflessività e di elaborazione di un progetto politico svinvolato dalla subalternità alle classi dominanti urbane.
Ora la provocazione si concretizza nella seguente "rivendicazione": "Vogliamo delle riserve indiane dove l'uomo montanaro possa essere protetto dall'estinzione". Utilizzando la stessa logica delle "aree protette" si arriva a chiedere che queste aree di protezione umana siano libere da quei "disturbi" che provocano l'estinzione dell'uomo. Se nelle ZPS, Sic, riserve parchi ecc. devono essere annullati o ridotti i "disturbi antropici" nelle ZPS umane devono essere aboliti o ridotti i distrurbi "naturali", faunistici tanto per cominciare. E i lupi se vi mettono piede dovranno poter essere uccisi senza tanti complimenti (come avvenva su tutto il territorio nazionale sino al 1973).
La proposta, alla fine, consente al lupo, ai cinghiali, ai cervi, agli orsi, alle linci, agli sciacalli,ai gipeti, ai grifoni, alle aquile di prolificare indisturbare nella maggior parte del territorio. Ovviamente, per par condicio, anche le ZPS umane dovranno poter essere organizzate con corridoi antropici, speculari ai corridoi ecologici che connettono le aree protette e in modo che come sia assicurata agli umani come ai lupi e agli orsi una "popolazione minima vitale" in ogni area delle Alpi.
Opporsi a questa proposta equivale a dire: "l'uomo montanaro vale meno del lupo, dello sciacallo, non ha diritto a un minimo di riserva indiana, deve sparire per espiare il peccato di aver cercato di eliminare animali così nobili, belli, fieri".
E alla razza padrona, che si è pulita la coscienza ecologica sulla pelle dei montanari, ha compiuto la dovuta riparazione simbolica, ha elevato a vitello d'oro orsi e lupi sia consentito fare ancora il suo comodo a spese della tanto osannata "natura" (in montagna, in pianura, ovunque).
Il documento di Alte Terre
ZPS a salvaguardia del montanaro!
Dopo gli anni a questa parte si sta assistendo ad un proliferare di parchi, aree protette, ZPS (una protezione speciale), SIC (sito di interesse comunitario) sui nostri territori montani che nascono addirittura all'insaputa della popolazione delle amministrazioni, con la scusa di tutelare una specie botanica, una qualche rara fauna o, sembra, persino delle rocce. Che si tratti di paesaggio, di rocce di fiori o di animali, fino ad oggi sono stati tutelati in silenzio, proprio da chi ora si sente tacciato di essere improbabile distruttore: lo ha fatto non per lucro o perché finanziato da qualche ente esterno, ma perché rientrava nella sua cultura lasciare la natura intatta o addirittura migliorata in quanto era ciò che prometteva la vita. Senz'altro oggi la notorietà che viene data queste "specie da salvaguardare" più che preservarle rischierà di danneggiarle. L'istituzione di queste aree protette condiziona negativamente le già difficili condizioni di vita dell'uomo in montagna. Il taglio del legname viene consentito per un periodo troppo limitato; il diritto di caccia può essere messa in questione; vengono messe in forse anche dei diritti secolari al pascolo; aprì una pista forestale o addirittura avere accesso ad una pista già esistente può diventare, a discrezione di qualche funzionario, un problema insormontabile. Così si stanno oltrepassando tutti i limiti nel ledere la libertà di vivere i nostri territori arrivando addirittura non rispettare la proprietà privata. L'associazione Alte Terre denuncia queste pratiche nocive per la sussistenza umana sulle Alpi e intende promuovere provocatoriamente un nuovo tipo di progetto di tutela: ciò che veramente rischio d'estinzione in montagna è l'uomo montanaro e con lui tutto il suo sapere miliardario che ha fatto sì che si potesse suo vivere sopravviva in questi luoghi severi con un'armonia mirabile. È nel nostro intento adoperarci presso chi ne ha la competenza (sede europea) per favorire la nascita di zone di tutela per uomini dove le regole di attenzione vengono attuate a favore delle comunità umane delle Alpi al fine di:
Il parco per uomini dovrà avere l'intento di favorire la permanenza stabile dei pochi rimasti magari torno di altri che rafforzerebbero l'aumento del numero minimo vitale di queste comunità a rischio di estinzione (insediamenti mirati). Dovrà favorire lo sviluppo di attività in loco con snellimenti burocratici, agevolazioni enorme a bocca per quelle micro-imprese che svolgono un ruolo importante decisiva per l'economia di questi luoghi. Dovrà agevolare la vita in inverno con servizi funzionanti, tra dei collegamenti efficienti per quanto possibile. Dovrà essere garantita l'assistenza agli anziani più debole affinché possano corrività continua a vivere a casa loro. La società moderna delle pianure delle città continua a promuovere la globalizzazione dei mercati, la migrazione delle genti (per lavorare bisogna adattarsi spostamenti continui), ma se si può trasferire un Tuareg in Amazzonia, un indios in Olanda o un esquimese a Palermo cosa ne farà del suo bagaglio di sapere in quel luogo? Come per gli animali anche per la specie umana occorra generazione per adattarsi ad un particolare ambiente. Qui sulle Alpi occidentali della vita umana in serio pericolo di estinzione e pertanto necessario, per salvaguardare biodiversità antropica, impegnarsi per la sua conservazione, non solo per il bene del montanaro, ma per il bene di tutti. |
Appendice
Wounded knee. Non è mai troppo tardi per far rinascere l'orgoglio dei vinti
Alla fine di dicembre del 1890 la tribù Miniconjou dei Lakota Sioux alla notizia dell'assassinio di Toro Seduto, partì dall'accampamento. Vennero intercettati Il 29 dicembre 1890 dalle giacche blu sul torrente Wounded Knee. 300 su 350 membri della tribù morirono falciati dalle mitragliatrici. I cadaveri rimasero congeati nella neve sul terreno del massacro. Il sito del masacro fu occupato nel 1973 da 150 militanti che tennero testa ai federali per 71 giorni. Morirono un agente dell'FBI e due militanti indiani. Nessuno finì in prigione (effetto della coscienza sporca degli yenkee).
sopra 1891 - il cadavere congelato del capo Piede Grosso,
sotto il sito di Wounded Knee liberato temporaneamente nel 1973