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(26.09.12)Biogas: altro che emissioni zero!

Continua la corsa al biogas per quanto frenata dall'aumento del costo delle biomasse e dalla resistenza politica e sociale (vedi Regione Marche dove i comitati hanno ottenuto un pronunciamento di sospensiva del consiglio regionale). Intanto i dati che emergono sulle emissioni nocive nell'aria desta forte preoccupazione. Che si aggiunge agli altri pesanti impatti ambientali, economici e sociali. la Regione Emilia-Romagna ha "graziato" dalle centrali a biomasse le aree con concentrazioni oltre i limiti di legge delle polveri sottili. Regione Lombardia dove il business è ancora più forte se ne guarda bene  leggi tutto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(09.12.12) Il convegno di sabato 8 dicembre ad Assisi segna l'approfondimento della riflessione sugli aspetti etici della proliferazione degli impianti a biomasse. In vista della Prima marcia per la terra e contro le bioenergie insostenibili

 

 

L'immoralità delle biomasse

 

 

di Michele Corti

 

“Etica, salute e ambiente” era il titolo del convegno di ieri ad Assisi. Un modo per parlare di biogas e di biomasse che fa chiaramente intendere come, alla base dell'opposizione dei comitati e dei coordinamenti dei comitati. non ci sia solo la protesta motivata dai disagi imposti a tante comunità locali ma considerazioni che riguardano più ampie realtà territoriali, il “sistema paese” e persino la dimensione globale

 

 

La stessa scelta di Assisi esprime la ricerca di un coinvolgimento di componenti sociali ed ideali sensibili alle problematiche del bene comune e alle implicazioni morali di controverse scelte economiche e tecnologiche. A partire dal mondo cattolico, dagli stessi ambiti ecclesiali. Assisi è stata (ed è) sede di iniziative che, in nome di Francesco, hanno precocemente ispirato una corrente di ecologia cristiana.

 

 

Per di più l'amministrazione comunale di Assisi si è mossa prontamente contro la realizzazione della centrale a biogas di Costano (frazione del limitrofo comune di Bastia Umbra) facendo presente che il suo territorio è tutelato dall'Unesco e che la centrale violava le stesse linee guida nazionali rientrando nel cono paesistico di Assisi.

Tutti questi elementi hanno da tempo portato i comitati, non solo dell'Umbria ma anche di altre regioni, a proporre una “Marcia per la terra e contro le bioenergie insostenibili” per la primavera del 2013 proprio ad Assisi. Il convegno di ieri ha in qualche modo dato il via alla preparazione di questa iniziativa che intendeattirare l'attenzione dell'opinione pubblica non solo italiana ma di tutta Europa sul problema della sottrazione di terre coltivata alla produzione di cibo (non solo in Europa, ma – per effetto indiretto - anche in Sud-America, Estremo oriente e Africa). Al “Cenacolo francescano” (Ora Hotel) dove si è svolto il convegno erano attese delegazioni di altre regioni. La neve caduta sull'Appennino (il Subasio era ben imbiancato) ha purtroppo scoraggiato i comitati marchigiani (quelli più numerosi e organizzati). L'impostazione delle relazioni della mattinata, però, è stata caratterizzata da una visione del problema su scala nazionale ed internazionale rimandando al pomeriggio la discussione più operativa sulle linee di azione dei comitati umbri.

 

 

Ha introdotto i lavori don Paolo Giulietti vicario generale della diocesi Perugia-Città della Pieve che ha esposto alcuni principi contenuti nel Compendio di dottrina sociale della Chiesa (link al testo) pertinenti al tema in discussione chiarendo che il giudizio sulla eventuale immoralità di scelte e comportamenti non può discendere direttamente da tali principi ma da una loro applicazione al caso specifico.

Il Compendio in realtàfa riferimento alle energie rinnovabili in termini molto generali: “In una prospettiva morale improntata all'equità e alla solidarietà intergenerazionale, si dovrà, altresì, continuare, tramite il contributo della comunità scientifica, a identificare nuove fonti energetiche, a sviluppare quelle alternative”. Una preoccupazione che nasce sia dalla scarsità di fonti energetiche facilmente disponibili che dal cambiamento climatico. L'aspetto dell'equità va tenuto presente nelle relazioni sempre più strette in un'era di interdipendenza globale e che comportano pesanti ripercussioni su paesi e popoli che vedono aggravarsi problemi dipovertà e accesso al cibo.

Da questo punto di vista le bioenergie possono diventare un fattore di criticità se, per soddisfare in modo “alternativo” gli elevati standard di consumo energetico dei paesi ricchi, viene impedita la soddisfazione di bisogni primari di quelli poveri. Così come devono essere tenute presenti le implicazioni sull'equità tra popoli sono altrettanto importanti sotto il profilo della valutazione etica quelle relative alla solidarietà intergenerazionale che rappresenta un preciso dovere morale. Su tutta la materia non incidono poi solo le scelte dei responsabili politici ed economici ma c'è anche un problema che riguarda anche la sobrietà e gli stili di vita e che non può che riguardare tutti noi tanto che, con riferimento all'esperienza francescana si potrebbe parlare di una “ascesi democratica”. Il Compendio pone con forza anche il problema del “principio di precauzione”: “All'approccio precauzionale è connessa l'esigenza di promuovere ogni sforzo per acquisire conoscenze più approfondite, pur nella consapevolezza che la scienza non può raggiungere rapidamente conclusioni circa l'assenza di rischi. Le circostanze di incertezza e provvisorietà rendono particolarmente importante la trasparenza nel processo decisionale”. Il tema del principio di precauzione è stato poi ampiamente ripreso nell'intervento del Dr. Maurizio Venezi - Medico psicoterapeuta, ISDE Perugia. Esso, però, è stato preceduto dal mio intervento e da quello del Dr. Roberto Pellegrino che hanno riguardato rispettivamente il tema dei rischi connessi alla produzione di biogas e quello l'efficienza con la quale il biogas risponde all'esigenza di sostituire energia fossile con energia “rinnovabile”.

 

Ho messo in evidenza come il rischio riguarda chi opera nell'impianto e chi abita nelle vicinanze o nel territorio ma che vi sono anche rischi a livello di sistemi nazionali (sicurezza alimentare) e globali (peggioramento delle emissioni di gas serra per via dell'ILUC – indirect land utilization change). Tra i rischi concreti a danno di chi lavora nell'impianto ma anche di chi abita nelle vicinanze ci sono quelli di esplosione, incendio, esposizione a emissioni nocive, a odori e rumori molesti, rischi biologici. Rischi per l'ambiente e la salute derivano non solo da occasionali ma frequenti episodi di sversamenti di liquami nei corpi idrici (la casistica tedesca è ormai numerosa) ma anche dai fenomeni di lisciviazione di nitrati derivati dallo spargimento dei digestati.

L'utilizzo di scarti agroalimentati, dell'industria dellamacellazione e – in prospettiva - della Forsu determinano la produzione di ingenti quantitativi di digestati per i quali il reperimento di terreni in grado di utilizzare il potere fertilizzante è molto difficile. La parte “buona” dei digestati rappresenta solo il 20% dell'azoto ma concentra la sostanza organica residua e il fosforo. Frazione solida e liquida andrebbero utilizzate in tempi diversi sullo stesso terreno o nello stesso tempo su colture diverse. In realtà la frazione “palabile” è trasportabile a decine di km mentre nelle vicinanze del digestore con o meno sistemi di fertirrigazione si cerca di utilizzare una gran parte della frazione liquida. Spargendola inevitabilmente in tempi inidonei all'assorbimento da parte delle colture e conseguendo un'efficienza di utilizzo alta solo per le concimazioni primaverili del mais. Altrimenti l'efficienza è mediocre o bassa, il che significa che i nitrati non assorbiti dalle piante in crescita finiscono dilavatinelle acque di falda o superficiali.

Quanto ai rischi microbiologici ho sottolineato che vengono minimizzati sostenendo che il Clostridi (batteri anaerobici che comprendono diverse specie patogene per l'uomo e gli animali) sono comunque presenti nel terreno e che il trattamento anaerobico abbatte gran parte dei patogeni. Ma allora perché in Europa si sta imponendo la pastorizzazione dei substrati e dei digestati (70°C per un ora)? E perché la Svezia impedisce di utilizzare comunque i digestati sui pascoli per timore della diffusione dei Clostridiun chauovei causa di una grave malattia nei ruminanti e il Consorzio del Parmigiano Reggiano ha tenuto lontane le centrali a biogas dal suo territorio per paura del Clostidium tyrobutyricum che provoca un grave difetto nelle forme di formaggio? Perché la stessa precauzione che è stata applicata in alcuni casinon si ritiene necessaria per altri? Se sul piatto dei rischi (ho solo accennato a quelli economici, alla sicurezza stradale, alla perdita di valori immobiliari) vi è un bel carico cosa c'è sull'altro piatto della bilancia a compensare. Nulla o quasi. Lo ha dimostrato chiaramente il Dr. Pellegrino.

 

 

Roberto Pellegrino ha subito messo in evidenza i limiti della produzione di biomasse da fonti dedicate. Limiti che sono legati alla natura poco “densa” dell'energia fotosintetica (che riesce a catturare solo l'1% della radiazione solare – valore max teorico - mentre un pannello FV “cattura” il 15-20%). L'energia da biomasse coltivate richiede enormi superfici da sottrarre alla produzione alimentare. Quanto poi al gran parlare di scarti andrebbe analizzato caso per casa se questi scarti non potrebbero avere un'utilizzo più efficiente o se è la mera convenienza a produrre energia elettrica super-sovvenzionata a farli diventare “scarti” da digerire.

La grande inefficienza del biogasconsiste nel suo limitarsi a fornire energia elettrica lasciando che buona parte del potere calorifico del metano prodotto si disperda come calore nell'atmosfera. Da questo punto di vista non cambia se la “cogenerazione” resta sulla carta o è una finta cogenerazione, ovvero destinata a processi più o meno fittizi all'interno dello stesso impianto (inventandosi essiccazioni varie di dubbia utilità). La vera cogenerazione si ha quando il calore viene teletrasportato a utenze che, sfruttandolo, spengono in tutto o in parte le loro caldaie domestiche. Ma per farlo le centrali dovrebbero essere vicine a serre, capannoni, case, scuole (altrimenti il costo delle tubazioni è insostenibile e l'acqua arriva … tiepida). Ma i rischi di stretta vicinanza (odori, rumori, pericolo incendio ed esplosione, emissioni) non consigliano cero di tenere insediamenti a ridosso delle centrali. Così il calore sarà sfruttato pochissimo o in modo fittizio e l'efficienza energetica (EROEI) del biogas resterà, se va bene, di poco al di sopra di 1 (in caso di biomasse coltivate “dedicate”impegnando notevoli quantità di energia fossile). Il che significa che non si risparmia nemmeno un barile di petrolio: per produrre energia “rinnovabile” si deve impiegare un uguale quantitativo di energia non rinnovabile e al netto non si risparmia nulla. Pellegrino ha poi insistito sul fatto che a livello nazionale e regionale l'obiettivo della percentuale di energia elettrica da fonti “rinnovabili” stabilito per il 2020 è stato ampiamentesuperato.

Siamo invece in grave ritardo sulla quota di energia ingenerale e sulla quota di produzione di calore da fonti rinnovabili. Produrre ulteriore energia elettrica da biogas non serve. Si dovrebbero spegnere centrali elettriche (magari nuovissime) a combustibili fossili, senza risparmiare sull'uso dei combustibili fossili ma peggiorando le emissioni (per unità di energia biogas e biomasse a combustione sono molto più inquinanti di una turbogas). Il Dr. Pellegrino a questo punto ha fatto presente che la percentuale di energia “rinnovabile” è calcolata sull'energia consumata. Se si riduce il denominatore la percentuale aumenta anche se non si aumenta la produzione di energia rinnovabile.

L'aspetto cruciale ditutta la questione è che se gli incentivi regalati alla produzione fortemente impattante di energia elettrica da biogas e biomasse fossero reindirizzati verso la produzione di energie veramente rinnovabili e sostenibili (es. solare termico) e verso il risparmio energetico potremmo raggiungere molto meglio gli obiettivi. A fronte dei problemi sollevati la produzione di biogas da reflui zootecniche e da attività agricole e forestali (scarti e biomasse dedicate) resta marginale e pesa solo per il 2% dell'energia elettrica da fonti rinnovabili nonostante il forte aumento (non tanto di quella da reflui zootecnici quanto da biomasse coltivate). I margini di risparmio energetico sono enormi. Basti pensare (come dimostrano le termografie di edifici pubblici nuovi) che case e uffici dissipano enormi quantità di energia e che si potrebbe arrivare all'80% del risparmio.

 

 

Al Dott. Maurizio Venezi - medico psicoterapeuta, ISDE-medici per l'ambiente di Perugia è toccato riprendere gli aspetti etici dopo il quadro fortemente negativo tracciato da me e da Pellegrino. L'intervento di venezi ha ripreso il tema del rischio con riguardo all'incapacità della politica e degli esperti scientifici, cui la politica delega spesso il compito di fornire delle valutazioni, di affrontarlo. Ha citato i casi di Fukushima e dell'Aquila per dimostrare l'incapacità della scienza con i metodi “classici” della verifica empirica dei nessi di causa e di effetto di fornire risposte adeguate alla rapidità delle trasformazioni tecnologiche e alla complessità crescente di una realtà sempre più manipolata in estensione e profondità dagli apparati tecnici ma pur sempre esposta a fattori di rischio“naturali”.

Gli scienziati avevano giudicato i sistemi disicurezza di Fukushima del tutto idonei a resistere ad eventi catastrofici. Che un terremoto e uno tsunami abbiano messo in crisi queste certezze in un paese abituato a convivere con i terremoti e che ha inventato il termine “tsunami” da di che pensare. Anche il caso dell'Aquila, in cui gli allarmi legati all'ipotesi di aumento dell'emissione di gas radon quale probabile indicatore di terremoti imminenti erano stati liquidati come “non verificati scientificamente” e in cui la popolazione era stata tranquillizzata, è indice di una scienza che non riesce più a dare risposte in tempi utili. Lo stesso si potrebbe dire con l'evidenza dei casi di tossicità ambientale.

L'Ilva insegna che sono solo gliallarmi e le prove raccolte dalle vittime che smuovono la medicina ufficiale e le agenzie ambientali. Un meccanismo che si ripete con i pesticidi, con l'amianto ecc. Come si può correggere questa crisi della conoscenza scientifica che manifesta la sua impotenza nel gestire il rischio che il sistema tecnologico-industriale pare voler moltiplicare e associare inevitabilmente alla ricerca di profitto? Il criterio di precauzione citato anche dalla dottrina sociale della Chiesa viene in soccorso. Non si può più aspettare che si accumulino prove che i morti arrivino a “pesare” sufficientemente da validare un test statistico. Si devono , almeno provvisoriamente, tenere per buone delle serie indicazioni che indicano la pericolosità di certi artefatti, prodotti, meccanismi, sistemi. Si deve soprattutto far scendere gli esperti dal loro piedistallo di autoreferenzialità e spingerli a collaborare non solo con altri esperti (oggi la parcellizzazione del sapere fa si che su qualsiasi argomento si trovano esperti in grado si sostenere valutazioni opposte sulla bontà o la rischiosità di qualsiasi cosa) ma anche con chi ha delle conoscenze locali “informali” ma preziose, con chi è portatore di saperi popolari, con chi osserva giornalmente i fenomeni con i quali “convive”.

Gli esperti piuttosto che esserechiamati a fornire pareri devono fornire supporti ai cittadini nel contesto di procedure di partecipazione condotte nel massimo della trasparenza. Proprio all'opposto di quello che avviene nel caso delle biogas e delle biomasse dove si cerca di tenere le comunità locali il più possibile decisioni e progetti e si interviene semmai con una informazione a senso unico dando voce ad esperti interessati nel business che decantano ogni aspetto di queste iniziative.

 

Alla fine lo squilibrio che emerge tra il bene comune danneggiato e l'utile privato emerge con forza. L'unica motivazione che giustifica la realizzazione di queste centrali è il profitto, non già un profitto che ripaga rischio, capacità e spirito di intraprendenza, ma un profitto speculativo, una rendita parassitaria legata al trasferimento garantito dallo stato di risorse dalle tasche di molti verso le tasche di pochi. Se aggiungiamo che il tutto viene “condito” con il richiamo a valori di elevato profilo etico (la salvezza del pianeta) e gestito nella carenza di informazione quando non nell'aperta manipolazione del pubblico e di portatori di interessi diretti lesi pare difficile esimersi dal ritenere che siamo di fronte a comportamenti profondamente immorali.


 

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