(23.01.13) Ai comitati che chiedono paletti per frenare il far west delle biomasse si obietta che gli agricoltori sarebbero pronti a fare ricorsi su ricorsi per difendere quella che è una "fonte indispensabile di reddito". Quali agricoltori?
Agricoltori che si mettono la
corda al collo per impiccarsi?
Sono le organizzazioni agricole colluse con la speculazione industriale e finanziaria che spingono la corsa alle agribiomasse energetiche che sta preparando i presupposti per il fallimento di decine di migliaia di aziende agricole in tutta Italia
di Michele Corti
A Perugia l'altro ieri succedeva qualcosa di emblematico (che vale per tutta Italia): mentre i Comitati Terre Nostre organizzavano un sit in davanti alla regione un in Università si inaugurava un corso promosso dalla CIA per tecnici biogasisti facendo credere che gli agricoltori sono tutti schierati per il biogas, che è l'unica risorsa per salvare l'agricoltura. In Umbria gli "agricoltori" costringerebbero (alcuni hanno usato il termine "ricatto" vedi articolo di ieri) la regione a togliere i pochi paletti che limitavano la proliferazione incontrollata delle centrali a biogas/masse. Ma sostenere che i contadini, quelli veri, quelli onesti che non desiderano trasformarsi in percettori di rendite parassitarie, desiderino mettersi da soli la corda al collo per impiccarsi è offensivo nei loro confronti.
Ma quali "agricoltori" contro comitati?
Il quadro che viene dipinto da media compiacenti, però, è del tutto falso: cittadini preoccupati per la salute e il territorio non sono contro gli "agricoltori". Al contrario!
Si sostiene che gli "agricoltori" umbri sono pronti a scatenare ricorsi su ricorsi se la regione osa fermare la loro irrefrenabile voglia di farsi la biogas, anche a costo di piazzarla sotto la casa dei vicini. Le cose non stanno affatto così.
Chi spinge per il biogas (vale in Umbria come in tutte le regioni) è una cupola di imprenditori agricoli o pseudo imprenditori agricoli, fortemente legata agli interessi industriali e finanziari, una cupola ben accreditata presso il sistema politico, imprenditori singoli, società o coop (queste ultime attivissime nella partita nelle regioni rosse). Casualmente presidenti e vicepresidenti regionali e provinciali delle OOPPAA fanno parte - ma ci sono anche i funzionari nel gioco - di questa cupola. La stragrande maggioranza degli agricoltori, invece, è imbestialita per le conseguenze della proliferazione delle centrali che bruciano o fanno marcire prodotti agricoli e che hanno come conseguenza la lievitazione dei costi dei fattori di produzione (terra in affitto, servizi agrimeccanici, acqua di irrigazione, foraggi).
L'altro ieri una delegazione dei comitati umbri Terre Nostre (definiti molto impropriamente "ambientalisti" nell'articolo citato) ha incontrato il presidente del consiglio regionale e alcuni consiglieri. I Comitati sono stati ascoltati non tanto per spontanea benevolenza quanto perché era in atto un sit fuori della sede del consiglio e, in ogni caso, perché i comitati umbri sono agguerriti, pronti a dare battaglia (come dimostra la vittoria di Costano) e in grado di spostare consensi.
La squallida gara tra CIA e Confagricoltura a chi è più pro biogas
Molto emblematicamente nello stesso giorno all'Università di Perugia (un "covo" di biomassisti/biogasisti a giudicare dalla presenza di Centri studi sul tema e dal forte orientamento della ricerca in materia) veniva inaugurato un corso per per โTecnico per la conduzione di impianti agroenergeticiโ, proposto dalla Cia alla Regione dellโUmbria. Il corso era presentato da una "lezione" di Marino Berton, Presidente di Aiel - associazione promossa dalla Confederazione italiana Agricoltori - per dare impulso alle energie rinnovabili di origine agricola e forestale (e non lasciare il monopolio di questo torbido business alla Confagricoltura con la sua associazione di categoria Agroenergia).
Le motivazioni sono le solite: l'agricoltura è in crisi e quersto è uno dei pochi mercati che tirano. In realtà a parte pochi agricoltori che sono in grado di saltare sul carro del business gli altri (la gran parte vedono nel biogas un ulteriore fattore di criticità in conseguenza dell'aumento dei costi degli affitti, dei foraggi, dell'acqua di irrigazione). Forse si potrebbe dire di salire su una scialuppa di salvataggio con pochi furbi contribuendo a fare affondare la nave con i veri agricoltori.
Cosa c'è dietro la (già di per sè sordida) speculazione biogasista
Come abbiamo avuto più volte modo di sostenere dietro la strategia delle biomasse/biogas ci sono dei disegni molto pericolosi:
1) mettere in crisi gli agricoltori, costringendoli a cedere le aziende alle società finanziarie e al tempo stesso compromettere la sicurezza alimentare aumentando la dipendenza dall'import dal commercio internazionale delle principali derrate agricole controllato da poche multinazionali;
2) accentuare l'integrazione della produzione agricola annullandola all'interno del meccanismo tecnoindustriale dal momento che nelle centrali l'agricoltore - meglio ex-agricoltore - diventa una specie di rentier che si limita a computare quanto finisce nei digestori mentre i campi li coltivano i terzisti e la centrale la gestiscono i tecnici delle società che offrono i servizi chiavi in mano di assistenza;
3) costituire una capillare rete di smaltimento di rifiuti di ogni tipo sottraendo il loro destino ad ogni controllo e creando i presupposti di un mega ecobusiness per le mafie di ogni tipo.
In tutti questi meccanismi molti sono i soggetti allettati dentro industrie, società di consulenza, università, cooperative, intermediari finanziari, politica, ecc. Che gli agricoltori, però, siano tutti contenti di mettersi una corda al collo non pare proprio credibile. E il fatto che le "organizzazioni professionali agricole" si facciano esse stesse promotrici della proliferazione delle biomasse la dice tutta sulla natura di un meccanismo di rappresentanza che marca la mancata autonomia sociale dei produttori agricoli, la loro subalternità ad interessi esterni e spesso contrapposti ai loro ma che coincidono con le cupole e le strutture burocratiche delle OOPPAA (con qualche differenza tra loro, ma senza che la sostanza sia diversa). Tutto ciò è dimostrato anche dal fatto che se CIA e Confagricoltura prendono a livello nazionale e regionale aperte posizioni pro biogas/biomasse la Coldiretti tenta, come suo solito, di tenere il piede in due scarpe.
I comitati Terre Nostre sono per definizione a favpore dell'agricoltura e composti anche di produttori agricoli
La battaglia dei Comitati, però, è apertamente pro agricoltura, pro una agricoltura di aziende legate al territorio alle quali garantire un futuro, aziende in rete con consumatori, operatori turistici, artigiani alimentari, non con i mercanti di rifiuti e di ambigue tecnologie pseudo green. I Comitati non a caso di chiamano TERRE NOSTRE (nome adottato a livello nazionale e in alcune regioni come Umbria e Marche). Il Biogas uccide le relazioni virtuose tra agricoltura e comunità locali, mette una pseudoagricoltura contro il territorio, sottrae terra alla produzioni tipiche, uccide paesaggio, tradizioni culture agroalimentari. Le OOPPAA, veri maestri di opportunismo, quando fa comodo, quando c'è da monopolizzare risorse, progetti, iniziative proclamano di essere anc'esse per una agricoltura sostenibile, territoriale. ecc. ecc. Ma chi è per il biogas non può essere per queste cose.
I comitati Terre Nostre già oggi vedono la presenza di produttori agricoli. Si tratta in prevalenza di aziende legate a produzioni tipiche, ad attività agrituristiche, particolarmente legate a mantenere una buona immagine del territorio in cui operano (biologici e biodinamici ma anche "convenzionali".
Tutti gli altri produttori agricoli che già si rendono conto di quale aggravio di costi comporti la destinazione di decine di migliaia di ettari in una provincia alla produzione agrenergetica devono sapere che nei comitati e nei coordinamenti regionali e nazionale dei comitati possono trovare non solo un interlocutore ma anche un soggetto che gli può consentire di organizzarsi autonomamente, di creare delle reti: reti tra gli stessi produttori, ma anche reti con i cittadini-consumatori. Per un modello di agricoltura (e di società) diverso da quello dei biogasisti.