(30.04.13) È del tutto vero che l'impossibilità di eradicare il cinghiale o di contenerne il numero è dovuta all'insufficienza delle pur superate normative nazionali e regionali? Pare di no. Su 350 "selecontrollori" a Como la Vigilanza ne attiva ... 18
Flagello cinghiali
ma a Como "selecontrollori" disoccupati
di Michele Corti
Il 25 aprile il dibattito sui danni dai cinghiali all'agricoltura a Erba (Como) sollecitato dalla CIA - ma è intervenuta anche la Coldiretti - si è trasformato in un contradditorio tra i pochi ma esasperati agricoltori di montagna , alcuni sindaci dei comuni più colpiti dal "flagello cinghiali" e il dirigente del Settore della provincia, dr Marco Testa che ha fatto da parafulmine.
L'incontro di ieri nell'ambito di Agrinatura, la rassegna agricola delle provincie di Como e di Lecco, ha fatto emerge solo alcune delle problematiche sul tappeto, altre sono emerse nelle discussioni a microfoni spenti. Al di là delle carenze legislative: scarsa responsabilizzazione dei cacciatori per i danni provocati dalla fauna cacciabile, assurda limitazione a 55 delle giornate di caccia staginali stabilita dalla legge 157/92, divieto di caccia nelle aree protette le responsabilità sono anche locali. La Vigilanza venatoria (Polizia provinciale) cui sono demandate le competenze in materia di controllo numerico delle specie "nocive", in provincia di Como si coordina in modo insufficiente con i cacciatori e lo stesso Servizio faunistico. Perché sono attivati solo 18 selecontrollori (tutti in Valle Intelvi) su 350 che hanno sostenuto il corso? Perché così tante difficoltà ad attivare i contadini con regolare licenza di caccia in funzione di controllo?
Un problema sociale di rilevanza nazionale
Mancano i soldi per gli indennizzi (lo ha ammesso dal dirigente della provincia). I danni ai privati non sono per nulla indennizati e anche quelli agli agricoli sono decurtati da franchigie e riduzioni. Sebastiano Ruiu di Blessagno, un allevatore di capre in prima fila nella protesta contro i danni dei cinghiali ha ricordato che "pwr 2 ha di prato dannegiati ho ricevuto 200 €). Con queste "tariffe" l'ammontare dei danni resta sommerso. Le statistiche parlano di una punta di un iceberg. E succede in tutta Italia. La punta sono 50 milioni di danni da cinghiale all'agricoltura. ma la massa dell'iceberg quante centinaia di milioni?
Tra i motivi per i quali il prelievo venatorio riusulta insufficiente al completamento dei piani di abbattimento il dr. Testa cita, oltre alle normative obsolete (limite dei 55 giorni, dei due capi di selvaggina stanziale per giornata di caccia) anche un interesse inferiore dei cacciatori rispetto agli altri ungulati nonché una certa conflittualità tra gli stessi cacciatori che praticano le diverse forme di caccia al cinghiale (alla cerca, all'aspetto, battute e girate).
Lo stesso dr. Testa ammette che la gestione del cinghiale attraverso la pratica venatoria (e non il controllo numerico) soffre di indubbi limiti. La caccia al cinghiale si allontana molto dall'etica della caccia di selezione agli ungulati, crea una categoria di "cinghialisti" sin troppo appassionati che si spingono frequentemente ad operare rilasci abusivi esasperando i contadini ma creando anche divisioni e risentimenti all'interno del mondo venatorio. Più si caccia e più si vorrebbe cacciare (e meno c'è la volontaà reale da parte venatoria di ridurre la popolazione del suide).
Il prelievo del cinghiale ha assunto in ogni caso una dimensione notevole. Nella stagione venatoria 2012-2013 i capi abbattuti sono risultati ben 2.217.
Tabella - Prelievi del cinghiale in provincia di Como
|
caccia selezione |
cacce collettive |
controllo (guardie + cacciatori) |
controllo con trappole |
Totale |
CAC Alpi |
788 |
44 |
71 |
5 |
908 |
CAC Prealpi |
621 |
0 |
36 |
38 |
695 |
CAC Penisola lariana |
293 |
269 |
6 |
29 |
597 |
ATC Canturino |
0 |
0 |
1 |
0 |
1 |
ATC Olgiatese |
0 |
0 |
4 |
12 |
16 |
Totale |
1702 |
313 |
118 |
84 |
2217 |
Il dato che balza agli occhi in modo macroscopico è la scarsissma incidenza della percentale di capi abbattuti con il controllo numerico, pari ad un misero 9%. Il dato avvalora la fondatezza delle proteste degli agricoltori che subiscono forti danni mentre i cacciatori ... riempiono il carniere e alimentano - inutile girarci intorno - anche un business di tutto rispetto.
Gli agricoltori (e a maggior ragione i "privati" che non vedono un euro di rimborso per i danbni a orti, giardini, prati) hanno ragione da vendere quando sostengono che i danni li dovrebbero pagare i cacciatori e non un ente pubblico sempre più al verde. È inaccettabile che il contributo dei cacciatori si limiti a 5 ore di prestazioni volontarie per i ripristini. Ripristini che, oltretutto, rappresentano una goccia nel mare considerata l'estensione delle aree danneggiate e considerato che gli stessi terreni ripristinati sono facilmente suscettibili di essere ancora devastati.
I cinghiali , sostengono, i contadini, "sono alimentati a nostre spese ma i cacciatori hanno solo i benefici e non ci pagano i danni". Fin che il sistema resta così i danni non faranno altro che moltiplicarsi. E la tensione a crescere.
È indispendsabile modificare l'art. 476 della legge regionale 29/93 che stabilisce il riparto dei costi dell'indennizzo dei danni della fauna cacciabile tra la provincia e i Comitati di gestione dei Comprensori alpini e degli Ambiti. Andrebbe anche ampliata la stagione di caccia, il numero di giornate e il carniere giornaliero come si è già detto. Ma è ovvio che i verdi di fronte a queste richieste opporranno barricate insormontabili.
Necessario un cambio radicale di approccio ai problemi faunistici
I verdi attaccano la caccia facendo leva sull'argomento "uccidono per divertirsi". Ma la caccia e la gestione venatotria hanno già subito una profonda trasformazione da quando la gran parte dei cacciatori erano dediti alla migratoria e alla caccia vagante di selvaggina "pronta caccia". Questo tipo di cacce non ha un legame con il territorio, la "pronta caccia" la pagano i cacciatori e non ha molto tempo per utilizzare le risorse dell'ambiente. Tutt'altra cosa rappresentano gli ungulati che si alimentano per il loro ciclo vitale delle risorse agroforestali. Spostandosi la caccia verso queste specie il vecchio approccio settoriale "faunistico" non funziona più. Risorsa o flagello che siano sono parte di un'economia agrosilvo pastorale e vanno gestiti tenendo presente che se una componente di questa economia (ed ecologia) si espande troppo a danno degli altri, se vantaggi e svantaggi, danni e guadagni non sono ripartiti in modo equo c'è una perdita per alcuni soggetti e per il territorio nel suo insieme.
I sindaci presenti all'incontro di Erba (quello di Casasco e quello di Ponna) non hanno mancato di fare presente come i danni degli ungulati non si limitino ai prati e ai pascoli. Si registrano pesanti danneggiamenti dei muri a secco, sradicamenti di piante. Non basta sostenere che questi animali sono conseguenza dell'abbandono e che occupano una "nicchia" lasciata vuota sfruttando la produttività naturale dell'ambiente boschivo (faggiole, ghiande, castagne, tuberi e bulbi); va riconosciuto che queste specie, se non controllate numericamente, accentuano i processi di abbandono. Si solo lasciati crescere i boschi sino al limite dei paesi (prevedendo sanzioni salate per una singola pianta tagliata) e ora gli ungulati arrivano nei giardini e negli orti. Il problema non riguarda più solo i cinghiali ma anche i cervi cresciuti sino a superare la densità massima agroforestale.
Il cervo, molto più del cinghiale, provoca gravi danni a causa dei frequenti incidenti automobilistici. Considerando i danni per incidenti stradali, ai campi, ai prati, ai pascoli, agli orti e ai giardini, il danno al turismo legato al timore di incontrare branchi di cinghiali nei boschi e sui sentieri pare lecito chiedersi se sia giusto mantenere un sistema come quello attuale. Esso, per lo più, difficilmente può essere corretto perché gli animal-ambientalisti si oppongono ad ogni modifica della 157 consapevoli che una legge sempre più obsoleta non può che accentuare i problemi di convivenza tra varie specializzazioni della caccia e tra cacciatori e contadini. Obiettivo non nascosto degli animal-ambientalisti è lasciare tutto com'è aspettando che si diffondano i grandi predatori che, nelle loro speranze, si devono sostituire ai cacciatori. Per evitare questa deriva è necessario impostare il problema faunistico su basi radicalmente diverse consone alla nuova realtà. I nodi da sciogliere sono la "caccia come divertimento" e la definizione giuridica di selvaggina quale "proprietà indisponibile dello stato". Si tratta di "europeizzare" la caccia (perché in altri settori si e in questo no?), di togliere allo stato la proprietà del selvatico assegnandola al fondo (proprietario-conduttore privato o ente di gestione dei beni silvopastorali)È la logica conseguenza dell'incapacità dello stato di rispondere ai danni della "propria" selvaggina. Ci penseranno a questo punto cacciatori, agricoltori, gestori di boschi e pascoli a trovare una formula che consenta un più equo ed equilibrato utilizzo integrato, oculato e sostenibile delle risorse agro-silvo-faunistiche-pastorali. La caccia a questo punto diventa un'attività di interesse socio-economico e ambientale e ai verdi non sarà più possibile sstenere atteggiamenti ideologici antivenatori sulla base dell'argomentazione "uccidono per divertimento".
Nel quadro di una gestione integrata viene meno il problema del risarcimento danni perché nel valore del prelievo che il cacciatore (in forma singola o in quanto comitato di gestione) riconosce al proprietario del fondo è incluso il danno e la mancata produzione. Sarà quindi interesse del cacciatore contenere i danni e le perdite di produzione agroforestali. Non si tratta di inventare nulla perché questi istituti di gestione della caccia sono molto diffusi all'estero e abbiamo esempi anche in Italia.
E intanto?
Attualmente nonostante che la densità agrofaunistica (DAF) dei cervi abbia ecceduto il limite massimo ci si affida al solo prelievo venatorio. Per vari motivi legati ai "lacci e lacciuoli" imposti da una legge finalizzata non a gestire ma a proteggere una fauna che negli anni '80 era ridottissima o non era ancora riapparsa, non si riesce a completare se non il 75% del piano di abbattimento. Una circostanza che può far felici gli amici di Bambi ma che significa aumento della popolazione, aumento dei danni e della esasperazione della popolazione di montagna. Anche con il cinghiale le cose non vanno diversamante. Il 91% degli abbattimenti di cinghiali viene realizzato nell'ambito della normale attività venatoria "di divertimento" limitando a soli 84 i prelievi con le trappole e a 118 gli abbattimenti diretti da parte di guardie e cacciatori "selecontrollori". Per una specie che da anni è considerata un flagello siamo all'assurdo. A questo punto viene da chiedersi se non sarebbe più giusto chiedere che i cacciatori di impegnrsi un po' di più negli interventi di controllo volti ad alleggerire i danni? I volontari selecontrollori svolgono un vero e proprio servizio per la società, ma sono pochi. In realtà, come si accennava all'inizio, i cacciatori che hanno seguito i corsi e che possono quindi essere impiegati, al di fuori dell'attività venatoria, a supporto delle guardie provinciali sono 350. Peccato che ne siano stati attivati solo 18 e tutti in Valle Intelvi. Nessuno nel Triangolo dove pure vi sono contadini esasperati quanto gli intelvesi. Le foto di questa pagina si riferiscono quasi tutte ai terreni di un'azienda agricola di Barni. La titolare, presente all'incontro di Erba ha fatto presente la situazione lanciando un grido di dolore: "Non mi interessano gli indennizzi, è il mio prato che viene danneggiato, non c'è rispetto".
Le responsabilità della Vigilanza venatoria
Dei 18 attivati qualcuno come un cacciatore della Tremezzina ha ucciso da solo 17 cinghiali. Raccontava (nel dopo convegno) che la collaborazione con i contadini è efficaccissima: "Hanno comprato le fototrappole e utilizzano distributori automatici di masis, quando la fototrappola "cattura" il cinghiale mi chiamano subito e spesso riesco a tirare". Altri contadini, però, sono talmente esasperati che mi insultano anche quando vado a togliere i cinbghiali che danneggiano i loro prati. Ma il pnto è che la Vigilanza venatoria non si fida dei cacciatori, i pochi attivati lo sono stati sulla base di un "rapporto fiduciario". Così non va. E non va assolutamnente bene che ai condatdini con licenbza di caccia che intendono fare i selecontrollori sul proprio fondo vengano messi i bastoni tra le ruote. "Ho telefonato per tre mesi alla vigilanza - dice Giacomo Ruio, figlio di Sebastiano e impegnato anch'egli nell'azienda agricola - poi ho dovuto recarmni di persona a Como per sbloccare la situazione". La morale è che i selecontrollori non sono incoraggiati. Per di più pare che la Vigilanza tenda a non impiegare i selecontrolori con tutte le possibilità di deroga alle norme sula caccia che pure la normativa vigente prevede. Uno dei motivi di lamentela è che imporrebbero la stessa distanza di sicurezza dalle abitazioni dell'azione di caccia, cosa alla quale si può derogare. Così gli interventi molto richiesti dai residenti nei pressi dell'abitato sono lasciati alle poche trappole. Non ci siamo proprio.
Possibile che la politica sia così assente dai pronlemi reali da non riuscire a imporre un minimo di coordinamento tra due servizi della stessa provincia (caccia e polizia locale?). In altre provinciua, dove pure il flagello cinghiali aumenta invece di diminuire si è assistito a quyalkche sforzodella Vigilanza per un impiego più elastico dei selecontrollori demandando, entro i limniti di legge, all'autogestione dei cacciatori l'impiego tempestivo dei selecontrollori. A Como la Provincia si è vantata a più riprese di aver affrontato con impegno il problema cinghiali. Non risulta proprio.
Ora i contadini, appoggiati dalla CIA, sono decisi a non lasciarsi condire via dalle solite assicurazioni e sono decisi a non mollare. Così è stata annunciata la nascita di un Comitato. Ci voleva.