(27.01.13)
Le
opere di sei
artisti
originali che
modellando la
pietra e il
legno,
colorando la
tela e il
legno riescono
a trasmettere
il senso della rinnovata forte
espressione
artistica del
mondo alpino
Alpi dell'arte
a Cuneo sino al 24.02 e poi ad Alba dall' 1 al 31.03
di Michele Corti
L'arte degli artisti alpini, che espongono a Cuneo sino al 24 febbraio, trasmette fortissime emozioni e apre il cuore a una saggezza antica
La mostra attualmente esposta a Cuneo, presso l'ex chiesa di S.Francesco (un complesso monumetale recuperato dopo un lungo e attento restauro e inaugurato nel dicembre 2011), merita di essere visitata da coloro che si identificano nella cultura alpina, nelle Alpi dell'uomo. Ma meriterebbe anche una "transumanza" attraverso l'arco alpino.
Raccogliendo un numero notevole di opere di sei artisti alpini, che operano (cinque sono viventi) dalla val Gardena alla Val Bregaglia, dalla valle d'Aosta alle cuneesi val Grana e val Gesso, la mostra mette in risalto come le Alpi non siano solo un "campo giochi", o wilderness; come la cultura alpina non sia solo declinata in un passato nostalgico, in un folklore addomesticato e riesumato per i turisti.
Profondamente radicate nella cultura e nei valori alpini le opere degli artisti di "Alpi nell'arte" rappresentano nel loro insieme - al di là grande difformità di tecniche, stili, personalità, espressioni artistiche originalissime, capaci di parlare alla sensibilità e allo spirito disorientati dell'uomo contemporaneo. Arte che trae linfa dalla cultura e dalla religiosità popolare e l'attualizza attraverso l'esperienza di percorsi artistici e di vita comunque legati alle Alpi, anche quando sono stati caratterizzati da un temporaneo allontanamento da esse.
La mostra è stata organizzata con l'apporto della provincia, dei comuni di Cuneo e Alba, della Regione autonoma Valle d'Aosta, della Regione, dell'ATL del Cuneese, dal Coumboscuro Centre Prouvençal e dall'Escolo de Sancto Lucio, della famijia Albeisa. Determinanti per l'ideazione e la realizzazione i rapporti intrattenuti da tempo con gli artisti alpini da Coumboscuro (vedi articolo su ruralpini). A Coumboscuro - inteso come centro culturale - faceva riferimento Bernard Damiano uno degli artisti esposti (scomparso nel 2001) che ebbe modo di collaborare con il poeta Sergio Arneodo e dera originario della piccola valle.
Mauro Arneodo, figlio di Sergio con una scultura di Dorino Ouvrier
A tu per tu con una grande forza espressiva che attinge a ispirazioni ancestrali
Una mostra di grande impatto in ragione anche della stesso rilievo materico delle opere - un rilievo che ha implicato anche un grande impegno in termini di trasporti considerato che si traduce in masse da spostare. È un arte che si esprime nella materia delle montagne: la pietra e il legno: i grandi gruppi lignei di Ouvrier, la serie stupenda e numerosa dei bassorilievi cromatici di Thoux, il grande crocifisso sanguinante di Damiano (trasportato per l'occasione dalla chiesa di Coumboscuro in valle Grana), le teste di pietra di Lucchinetti. Da questo punto di vista va menzionato il supporto fornito dalla Regione Valle d'Aosta che - presente con due suoi artisti - ha voluto partecipare all'evento sostenendo i costi del trasporto delle opere.
L'ambientazione nelle navate dell'ex chiesa di S.Francesco contribuisce senz'altro alla suggestione di questa mostra. Le opere sono collocate nelle cappelle laterali e nella navata centrale. Nella foto sopra al centro della cappella vediamo esposti i volti di pietra di Lucchinetti: a sinistra alcuni lavegg' del Lucchinetti-artigiano, a destra alcune sculture di Willy Messner.
Le dolci e lisce sculture di Messner, ispirate per lo più al tema del presepe - che evidenziano per contrasto la natura dura e grezza della materia da cui provengono (sopra). Esse costituiscono un contrasto stridente ma stimolante con la pittura e la scultura di Damiano.
In quest'ultimo l'estremo espressionismo cromatico, l'estrema tensione (come nel cristo sanguinante ) arriva, forse, ad una intensità tale da trasformarsi in uno stato di raggiunta pacificazione spirituale. L'angoscia trasmessa è tale infatti da operare la sublimazione della stessa, da spingere a trovare delle ragioni di tanto dramma.
Il tema della condizione alpina nella sua piena leggibilità
Nell'opera di Damiano le tensioni e i drammi della reatà alpina sono inscritte - anche se forse ancora riconoscibili - in una più generale drammatica condizione umana. Negli altri tre artisti che ci rimangono da trattare i temi della condizione alpina sono rispecchiati in modo trasparente nelle opere esposte caratterizzate da un contenuto figurativo e, nel caso degli artisti valdostani, popolare. Inutile dire che sono le opere di questi tre artisti, principalmente Aime e Thoux, ma anche Ouvrier che mi hanno ipnotizzato. L'emozione suscitata dalle opere artistiche è legata alla meraviglia che ogni volta si rinnova in noi di fronte alla loro capacità di condensare valori, racconti. Laddove tecnica e contenuto, estetica ed etica si fondono l'opera d'arte colpisce cuore e cervello senza distinzione, apre finestre, ti fa comprendere nell'intuizione nella suggestione di un attimo ciò che a volte saggi interi non riescono a spiegare. Una verità da sempre nota ma che riscopriamo sempre con gioia.
Il pittore di Roaschia
Tino Aime dipinge quello che vorrei dipingere anch'io se ne fossi capace e quindi è l'artista che mi ha colpito di più. In tanti, però, hanno dipinto pecore e pastori e grumi silenziosi di case di montagna cadendo spesso nella maniera. Qui senti c'è un un respiro diverso.
In realtà Aime più che dei dipinti su tavola ha realizzato delle installazioni utilizzando dei veri serramenti lignei. I paesaggi notturni e lunari di Roaschia sono paesaggi vissuti attraverso una finestra. Questo sgombra l'equivoco di una mera ricerca grafica. Una ricerca raffinata come il tocco quasi impercettibile di carminio delle ultime bacche di sorbo degli uccellatori che ravvivano alberi scheletrici e un paesaggio in bianco e nero.
Quel tocco di rosso pare voler sottolineare per contrasto la cupezza lunare del paesaggio di case con i muri sbrecciati a i segni eloquenti dell'abbandono. Quello che ha colpito centinaia, forse migliaia di nuclei e borgate alpine. Un tempo pulsanti di vita, sia pure scandita dalla fatica e rallentata dal gelo invernale.
La prospettiva usualedi Aime - la visione della montagna e delle case dalla finestra - è ribaltata nella bella tavola della foto sotto. Qui c'è un personaggio - emblema di una umanità rarefatta - che guarda all'interno un ambiente con pochi oggetti lasciati lì da chissà quanto tempo e una cassa del tipo di quelle usate per impastare e far lievitare il pane. Molto belle anche le installazioni vere e proprie, realizzate con vecchie porte ed elementi vegetali.
Ouvrier: una vita semplice ma vigorosa prende forma nel legno
Il valdostano Ouvrier riesce a conferire una grande forza plastica anche alle piccole opere, non solonelle grandi piramidi e colonne intarsiate ricche di figure umane che lo hanno fatto conoscere e che richiamano espressioni artistiche fiorite in varie culture "etnografiche" del pianeta.
Le figure di Ouvrier sono colte nella tensione dello sforzo del lavoro, una tensione di masse di corpi tesi e piegati che permane anche nella dimensione ludica. Molte le raffigurazioni di suonatori di fisarmonica (tanto che è stato definito lo scultore della fisarmonica). È un mondo popolare immediato non filtrato da convenzioni stilistiche quello di Ouvrier che conferma l'originalità ma anche il forte radicamento con le forme di espressione artistica tradizionali degli artisti alpini di oggi. Artisti a tutto tondo lontani da mode e scuole.
Thoux: il narratore che usa la sgorbia (e il colore) al posto della penna
L'opera di Thoux, un altro valdostano, è una raccolta in cicli: i Santi, le leggende, i costumi , i giochi della valle d'Aosta. Una saga valdostana in tanti riquadri costruiti contornando la scena principale - che di per sè è spesso carica di teatralità e si scompone in più scene secondarie, di simboli iconografici pieni di significato.
Sono numerosi i bassorilievi cromatici di Thoux esposti nella chiesa di S.Fracesco (e che dal 1° marzo saranno esposti in S. Domenico ad Alba). Pur non rappresentando espressione di arte sacra le opere di Thoux sono imbevute di una religiosità che ha ispirato i cicli delle sculture delle facciate e degli interni delle cattedrali romaniche e i grandi cicli di affreschi medioevali. Una religiosità che non è finalizzata alla devozione ma raffigura la devozione ed è di essa espressione.
L'attualità di queste opere pare evidente nel richiamare i riferimenti che strutturavano la vita delle comunità alpine: i cicli della vita e della morte, il rapporto con i doni del creato, le forme famigliari e comunitarie. Il richiamo alla famiglia naturale, formata dall'unione di un uomo e di una donna pare quanto mai attuali in tempi in cui grandi gruppi internazionali in grado di esercitare uno stretto controllo sui media preparano l'ultimo assalto alla famiglia. Con la legalizzazione, a dispetto di ogni legge naturale, del matrimonio omosex e con l'affido in adozione a questa "famiglia" di bimbi cui sarà negato il diritto di avere un padre e una madre.
Una delle opere più belle di Thoux, ispirata al Genesi è quella della foto sotto. Thoux ha, con grande semplicità, delineato una teologia della crazione declinata nel contesto alpino. Piante, animali, montagne sono descritti come i compagni dell'uomo e della donna. Èun mondo segnato dal lavoro, dalla cura, dall'amore dell'uomo ma in cui si inserisce, in modo pacifico, non da dominatore. Come non commuoversi per quelle mucche valdostane, per qualle pecore che sostituiscono le "fiere selvatiche" di altre rappresentazioni del genere. Dico questo ben sapendo che i fanatici sostenitori del popolamento delle Alpi con orsi e lupi non possono che disprezzare queste espressioni artistiche in cui i valori che essi spregiano sono trasmessi in modo così esplicito.
Questa è una teologia contadina, ma proprio perché tale è in sintonia con lo spirito della scrittura. E anche qui non possiamo non cogliere l'attualità di una narrazione che parla di un ordine naturale, quello che oggi si vuole sovvertire, scacciando dalle montagne le pecore e le mucche per fare posto alle fiere.
Il nichilismo, al servizio di quello che Benedetto XVI definisce capitalismo sregolato, si presenta brillante e seducente: promette diritti (anche se poi questa rincorsa ai diritti va a scapito dei più deboli). Promette libertà, piacere, espressione dell'io senza limiti e chiama prigione la vita condotta nell'alveo della famiglia naturale, chiama prigione la solidarietà autentica di una comunità. Poi ti inganna e ti lascia solo. Specie quando sei malato e inutile. Allora è pronta l'eutanasia - contrabbandata per un'altra forma di libertà - e una rapida cremazione (così non dai più fastidio e sparisci nel nulla). Nessun filo deve unire morti e vivi, passato e futuro. Conta solo il presente. Nudi e soli di fronte al potere dei direttori delle danze.
Senza il sostegno comunità di vivi e di morti. Da una parte il potere dall'altra tanti piccoli atomi illusi di essere autodeterminati.
Nel ciclo della vita e della morte l'uomo della comunità non era solo. Fosse quella popolare della valle e del villaggio o quella dei confratelli la comunità c'era, sino all'ultimo. E la persona dopo la morte viveva nel ricordo rispettoso di chi restava che da esso traeva forza, coesione, orientamento.
L'individuo, il cui egotismo viene opportunamente sollecitato dal nichilismo, cessa di essere una persona, diventa un atomo infinitesimo della mega macchina come quelle sagome senza volto che si agitano sullo sfondo del grattacieli della metropoli nel bassorilievo (sotto) di Thoux. Dalla metropoli il figlior prodigo riesce però a fuggire per tornare al padre, alla comunità, alla terra... e alle solide mucche valdostane. Un messaggio di attualità quasi eversiva. Così come eversivo e rivoluzionario rispetto al potere è divenuto il richiamo ai valori tradizionali.
Cicli e ritorni. "Nove volte bosco e nove volte prato/ e poi verrà il tempo promesso / dove tutto sarà quallo che una volta era". La canzone degli gnomi minatori, degli spiriti delle montagne dolomitiche richiamata a suo tempo da Mario Rigon Stern a propostito dei quadri di Tino Aime vale anche per Thoux e gli altri artisti alpini: l'antica saggezza può,deve, ritornare.