(30.08.10) Riflessioni in margine
a un week-end
a Sancto Lucìo de Coumboscuro (CN) durante il Roumiage
de Setembre dove mi sono recato insieme a Gianpiero
Mazzoni e Fausto Gusmeroli per partecipare al convegno
su: 'Bio-logic? Biocolture e Bioculture'
La montagna vive nella diversità e della pluralità
E
guida la resistenza alle omologazioni
Coumboscuro è un posto dove
impari che la via della rinascita della montagna è difficile
ma dove constati che la profonda consapevolezza, l'attaccamento
fiducioso ai valori, la caparbietà montanara portano,
alla lunga, risultati. Contro l'omologazione politica,
culturale, economica si può resistere.
testo di Michele Corti,
foto di Michele Corti, Gianpiero Mazzoni,
Coumboscuro centre prouvencal
A Coumboscuro (Valle scura) in
comune di Monterosso Grana, a non molti km da Cuneo, è in atto da oltre
mezzo secolo un'esperienza culturale unica. Una sfida difficile, a volte
incompresa, contro chi vuole la montagna desertificata, le lingue tagliate, un
mondo appiattito sui disvalori del materialismo e dell'individualismo. Il senso
di questa sfida riguarda le Alpi intere, l'Europa.
Resistere
in montagna anche per chi sta 'giù'
La montagna senza l'ossigeno della 'diversità' muore,
collassa demograficamente, torna alla 'natura selvaggia' (preconizzata e
favorita dai fautori delle pulizia etnica mondialista). Se vuole vivere deve
lottare, con le unghie e con i denti, per mantenere la sua diversità, il suo
'ossigeno'.
E' una lotta che dura da secoli ma ora si è fatta più
drammatica.
Ma gli altri? Altrove l'effetto distruttivo dell'omologazione
non è così immediato, e 'palpabile'. Essa, però, nella sua forma attuale
di globalizzazione acuta, procede a ritmi incalzanti e con esiti
imprevedibili. Per gli altri la morte sarà più lenta. Ma verrà.
La montagna oggi lotta per sopravvivere,
salvaguardando le sue 'piccole patrie', le lingue, la sua diversità
bioculturale, i valori comunitari, le biocolture (un tutto che 'si tiene' e che
solo le visioni economiciste, riduzioniste separano). Anche se pochi ne sono
consapevoli essa lotta anche per il 'popolo', sempre più indistinto e
atomizzato, delle grandi pianure, delle grandi città intorno alle Alpi (1). La
montagna 'marginale', come altre volte nella storia, può essere una chiave
di una rinascita europea.
In
nome della civiltà provenzale alpina
La
sfida di Coumboscuro inizia da lontano. Le
valli di Cuneo sono state colpite da uno spopolamento
precoce e drammatico. Prima dell'emigrazione verso la
pianura (o Torino) era già in atto quella verso la Francia.
A emigrazione si sommò emigrazione e le borgate
si svuotavano e restavano deserte. Nella
diaspora un'intera cultura scompariva, scompariva la
lingua ancestrale. Sergio Arneodo era stato nominato
insegnante alla scuola di Sancto Lucìo, di dove era
originario, su a 1.050 m; era il 1946, aveva vent'anni.
Anno dopo anno l'emigrazione definitiva proseguiva inesorabile
e Arneodo si rese conto che per evitare la morte del
paese, della valle, servivano iniziative culturali
forti per farli
rivivere. Riconoscere un valore alla propria cultura,
alla propria lingua ancestrale, alla sua specificità,
alla ricchezza che rappresenta per l'umanità; trasformare
tutto ciò in una motivazione per restare (perché una
cultura nata in un contesto non sopravvive fuori di
esso, almeno non come cultura viva). Questa forte
volontà, questa forte consapevolezza da sole però
non bastavano. Sono ancora su un piano astratto. Intanto,
però, bisogna condividerle. Sergio Arneodo nel
1961 è tra i fondatori dell' Escolo dou Po (la
scuola del Po). Promotore dell'Escolo era
Gaetano Di Salis, un poeta che apparteneva al movimento
letterario dei félibrige fondato nel 1854 da Fréderì
Mistral (2),
ma un ruolo di rilievo l'ebbe anche Tavo Burat (3), un biellese
di origine lombarda che diventerà il paladino delle
lingue e delle culture minoritarie, colui
che, per usare le parole di Sergio Arneodo :
'sessant’anni fa fece scoprire con le sue scorribande in lambretta lungo le valli, che il patrimonio della civiltà alpina era la nostra ricchezza e che li patois che parlavamo era una grande lingua letteraria d’Europa. Il provenzale'.
La
'scuoletta' centro di cultura
Il
sodalizio dell'Escolo dou Po ebbe un ruolo importante
nella rinascita della cultura provenzale al di qua delle
Alpi. Tra l'altro fissò anche una grafia alla quale
il Coumboscuro Centre Prouvençal
è rimasto fedele (non adottando quella standardizzata
occitana). Ma era pur sempre un cenacolo di poeti ed
intellettuali. Arneodo era consapevole che, fuori dalla
valli, fuori da una comunità concreta, la cultura provenzale
alpina non poteva rimanere viva. Vale per la stessa
lingua, che se da una parte è quella dei rovatori e
di Mistral dall'altra è anche quella parlata da
generazioni di contadini e pastori.
D'altra parte, per restare
viva, la cultura delle valli provenzali doveva poter
dialogare con le altre culture anche attraverso espressioni
'colte' sul piano della letteratura, dell'arte, delle
iniziative e degli scambi culturali. Nel caso della
cultura provenzale c'era una grande eredità da difendere, riscoprire, valorizzare
ma ogni forma di cultura ancestrale
oggi ha l'esigenza di trasporsi anche in canali nuovi, pena l'annullamento.
I
problema è coniugare il 'radicamento', lo stare in montagna,
lassù nelle valli, con l'iniziativa culturale sul piano
della cultura 'formale', dell'editoria, degli eventi.
Una sfida quasi impossibile.
A Sancto Lucio, in una modesta aula con parquet, stufa a legno e soffitto con grandi travi
(ore, però ci sono anche i pc), ha sede la piccola Escolo. In questa pluriclasse alpina da oltre cinquant'anni si sperimenta il plurilinguismo che integra l'insegnamento delle lingue italiano, francese e provenzale. Con l'intervento degli insegnanti ed esperti si producono opere e testi didattici, di poesia e letteratura.
Sergio
Arneodo aveva fatto la scelta di restare a Coumboscuro.
Di restare ad insegnare nella 'pluriclasse', dove i bambini
erano sempre meno. Nonostante avesse conseguito la laurea, avesse
la possibilità di insegnare alle superiori; nostante
i riconoscimenti come poeta. Così la 'scuoletta' divenne
uno straordinario laboratorio pedagogico, un centro
culturale, un crocevia. Un'esperienza che non ha avuto
la fama della Scuola di Barbiana ma che ha molte cose
in comune con essa.
Perché la 'scuoletta' di Sancto Lucìo è meno
conosciuta? Nel '68 l'esperienza di Don Milani è stata
letta (e strumentalizzata) alla luce della 'contestazione
studentesca'. La 'Lettera ad una professoressa' per
molti si intercalava al 'Libretto rosso' (il catechismo
in pillole del sanguinario Mao Tze-Tung). E' comunque
rimasta un'icona 'progressista' in una lettura
del tutto superficiale.
L'ancoraggio di Coumboscuro
ai valori tradizionali (anche in ambito religioso),
alla cultura ancestrale, invece, a quei
tempi era un elemento altamente 'sospetto'.
Ma il
Centro di Coumboscuro, cresciuto intorno alla 'pluriclasse',
negli anni '60 diventa comunque un 'caso'. Svariate
università in ogni parte del mondo intrattengono relazioni
con la 'scuoletta' (per approdondimenti vai all'articolo
su Ruralpini: L'esempio
dell'Escolo de Sancto Lucio).
Nel
1962 il foglio ciclostilato della pluriclasse (nato
nel 1955) diventa un periodico mensile registrato con
la testata Coumboscuro. Alunni ed ex-alunni della
'scuoletta' (I fiet de l'escolo) intanto si impegnano,
oltre che nella produzione poetica, anche in attività
teatrali (Teatre Coumboscuro) ed artistiche
(stimolate dall'introduzione, sin dal 1958, di due banchi
da scultore nella scuola). La tradizione del coinvolgimento
degli allievi in tutte queste attività artistiche e
di artigianato artistico dura sino ad oggi.
Tutte queste
date, che rimandano al periodo a cavallo tra gli anni
'50 e '60, vanno tenute presente alla luce delle polemiche
tra 'provenzalisti' e 'occitanisti' (polemiche che in
anni recenti hanno assunto un'asprezza che,
'da fuori', appare spesso incomprensibile). L'esperienza
di Coumboscuro, al di là di ogni altra considerazione
è comunque venuta prima.
Un
contrasto di visioni: provenzalisti ed occitanisti
L'esperienza di Coumboscuro
(e dell'Escolo dou Po) precedde la nascita dell'occitanismo.
Quest'ultimo si pone su un piano direttamente politico ed è espressione
di un etno-nazionalismo che, in molti punti, si allontana
dall'autonomismo culturale, con il rischio - come per
altri movimenti analoghi - di ricadere
in un nazionalismo su scala più piccola. Il guaio è
che si tende poi a condizionare la dimensione culturale
alle esigenze della politica. L'Occitania (e la Padania)
sono probabilmente delle macro-regioni con una dimensione politica
'efficace' e hanno anche alcuni tratti culturali che
accomunano, al loro interno, le risopettive aree
(vi sono anche elementi culturali comuni anche tra Occitania
e Padania).
Se,
però, l'identità culturale delle regioni storico-culturali
(tra le quali Limosino e la Provenza in Occitania, il
Piemonte e la
Lombardia in Padania) deve essere, anche solo in
parte, sacrificata alle esigenze dell'occitanismo (e
del padanismo) allora si rischia di innescare un processo
di omologazione analogo a quello storicamente imposto
dallo stato-nazione. Senza
contare che Piemonte e Provenza hanno
più elementi in comune che Piemonte e Veneto.
In ogni caso l'occitanismo
'italiano' o 'piemontese' nasce nel fatidico 1968 per
opera del guascone François Fontan
leader, in esilio,del PNO (il Partito nazionalista
occitano, sorto nel 1959). Fontan fondò nelle vallate
cuneensi il Moviment Autonomista Occitan (MAO, Movimento Autonomista Occitano) che
operò per parecchi anni con una forte connotazione ideologica
(di estrema sinistra) e trasfuse poi in parte la propria
esperienza nel movimento Ousitanio Vivo. Le premesse per una profonda
incomprensione tra provenzalisti e occitanisti erano
evidenti. E l'incomprensione dura ancora.
Il movimento
occitanista ha nel tempo perso i marcati connotati ideologici
e ha dedicato il suo impegno ad interessanti iniziative
di 'economia identitaria' ma è purtroppo subentrato un nuovo elemento di attrito rappresentato dall'applicazione della legge
nazionale 482/99 (Tutela delle
minoranze storico
-linguistiche)
che riconosce solo l'occitano e non prevede alcuna
tutela e riconoscimento per la variante provenzale-alpina.
.
Greggi davanti alla
Parrocchiale di Sancto Lucìo (da: Nosto Peuesìo, Escolo Sancto Lucìo de Coumboscuro)
Coumboscuro
vive
La
continuità della 'scuoletta' e le tante iniziative culturali ricorrenti
(4)
per quanto preziose
non bastano a spiegare perché Coumboscuro viva. Una comunità per vivere realmente
deve essere costituita
da gente che risiede tutto l'anno sul posto, che
trae da vivere stando in montagna, vivendo di montagna.
Le comunità di pensionati o pendolari si spengono anche
se ci sono le Sale conferenze, le Mostre, i Convegni
ecc. ecc. A Coumboscuro si vive anche la quotidianità.
Questa quotidianità è certamente intrecciata alle iniziative 'eccezionali'
che la portano spesso all'attenzione del 'mondo esterno'
ma è anche una quotidianità fatta delle normali attività
di chi vive (o viveva) in montagna.
Le persone che si occupano di organizzazione culturale,
didattica, poesia sono le stesse che si occupano delle
occupazioni pratiche, comprese le attività manuali .
Ciò è quello che distingue Coumboscuro da altre realtà.
Ed è, a mio avviso, la sua forza.
La dimostrazione che le tante energie investite per
far vivere Coumboscuro non sono state profuse invano
è tangibile nel fatto che 5 dei 6 figli di Sergio Arneodo
vivono e lavorano qui, occupandosi di pedagogia (almeno
tre figli sono coinvolti o sono stati convolti nella
'scuoletta'), di musica, di poesia, di organizzazione
culturale, ma anche di artigianato artistico (intaglio
e tornitura del legno, tessitura) e agricoltura.
E' una straordinaria esperienza di multifunzionalismo
e 'ricontadinizzazione' ante litteram. Dietro
ci sono considerazioni pratiche ma anche una profonda
consapevolezza che fare agricoltura non è solo un modo
di sopravvivere producendo del cibo (e altri beni materiali
necessari)
ma è prima di tutto un modo di operare uno scambio
con la natura (J.D. Van der Ploeg parla di 'coproduzione'
a proposito del rapporto tra agricoltura contadina e
risorse naturali, cfr 'I nuovi contadini').
Tale 'coproduzione' è al tempo stesso condizione
di ricostituzione e riproduzione delle risorse naturali
e delle culture nelle quali le pratiche produttive si
inscrivono (a differenza dell'agricoltura industriale
che consuma risorse sulla base di considerazioni 'drogate'
di produttività supportate dalla 'scienza economica').
La 'coproduzione' quale scambio agricolo con la natura
ha implicazioni materiali, ma anche simboliche e spirituali.
Tutto ciò fa parte della linfa vitale di una cultura
'ancestrale' che, prescindendo da questi rapporti, si isterilisce.
L'importanza
della dimensione artigianale ed agricola
Lavoro
manuale e lavoro intellettuale a Coumboscuro si integrano
e questo evita l'alienazione insita in entrambe le forme;
la separazione tra 'arte' e 'artigianato' poi non è così
netta (un altro aspetto comune nelle culture tradizionali). Vi è poi la
consapevolezza che la dimensione fisica della comunità
è tutt'altro che un 'optional'. Senza curare i boschi,
senza tagliare i prati e pascolare le praterie in quota
la dimensione fisica della comunità, strettamente connessa
alla sua dimensione sociale, collassa. Qui si respira
la consapevolezza che le separazioni tra materiale e
sociale (e spirituale), tra 'cultura materiale' ed espressioni
culturali 'alte' imposte dalla cultura occidentale (urbana)
sono arbitrarie. Mauro, il primogenito, è stato fortemente
impegnato nelle attività agricole (anche nell'allevamento
bovino e nella coltivazione dei cereali). Al tempo stesso
si occupa della 'scuoletta' e di organizzazione culturale.
Mauro in questa mia ultima visita a Coumboscuro non
l'ho incontrato ma l'ho conosciuto all'inizio degli
anni '90 quando ero venuto qui con un amico che si occupa
di cooperazione agricola (Antonio Zamara di Vercelli). Con
tutta probabilità (il ricordo è vago) avevo conosciuto in
quella occasione anche Annéto (Anna).
In
occasione della mia prima visita a Coumboscuro
avevo acquistato il volume su Blins (Bellino)(ed. 1992)
La 'scuoletta' mi aveva colpito già d'allora ma non riesco a focalizzare quali membri della
famiglia avessi incontrato. Indipendentemente da quel lontano contatto
Anna
Arneodo l'ho conosciuta (o rivista) molto di recente, il 10 di questo
mese, giù a Monterosso per la conferenza stampa sul progetto
regionale a favore della pastorizia.
Alcune
pecore di Anna Arneodo che pascolano insieme alle galline.
Notare i prati perfettamente tenuti
Anna:
pastora, pedagogista, artigiana
In
famiglia ora è
principalmente Anna che si occupa di allevamento e
pastorizia. Nella foto sopra alcune
delle sue pecore e galline che pascolano e razzolano
insieme. Il grosso delle capre
e delle pecore è però affidato per l'alpeggio al pastore Mario Durbano di
Frise, nella valletta vicina. Abbiamo già conosciuto
Mario Durbano in un precedente fotoracconto (Pastori o lupi? Quale la razza in via di estinzione?).
Su Ruralpini sono state pubblicate le lettere di Durbano (Tra
la nebbia e il lupo)
e il documento di Anna Arneodo e di Durbano stesso
sul problema del lupo (Pastre, loup e fée
). Anna,
in occasione del Roumiage, mi ha consegnato anche una lettera
(scherzosamente definita una 'email a mano') a commento
ed integrazione del mio fotoracconto. Mi ha anche
consegnato la
prima appassionata
lettera di Mario Durbano scritta
in seguito al primo impatto con il lupo. . Sono convinto
che molti dei lupofili televisivi o indottrinati dal
'Centro uomini e lupi' di Entraque (realizzato con grande
disponibilità di
mezzi) parlando con Mario e Anna o solo leggendo
queste lettere cambierebbero idea.
Oltre ad imballare il fieno e ad accudire capre e
pecore Anna svolge altre due attività 'chiave': insegna
nella scuoletta ('a titolo del tutto gratuito') e lavora
nel laboratorio artigianale ricavato nella sua
bella e grande casa in borgata Marchion (1.116 m). Qui,
oltre agli strumenti per la lavorazione del legno, c'è
anche un telaio Jacquard.
Anna Arneodo fornisce una dimostrazione di intaglio
Il
laboratorio è condiviso con il marito - di professione
infermiere - che, a sua volta, è anche artigiano e
aontadino (e si lamenta, giustamente, per i
vincoli burocratici e fiscali alla 'pluriattività'). Anna è laureata in lettere (con una tesi
di linguistica con Tullio Telmon). Come i fratelli potrebbe
lavorare fuori ma la scelta per quasi tutti è stata di vivere e lavorare
a Sancto Lucìo.
La
casa di Anna Arneodo dove vive con il marito e i figli
Campanelli
in stile 'tibetano' tintinnano con il vento rompendo
il silenzio
La
musica coinvolge
Davi Arneodo
aveva dato vita all'importante gruppo musicale
dei Troubaires de Coumboscuro, che vedeva la partecipazione
di Claréto (Clara), voce
solista nei Troubaires. Il gruppo aveva inciso
con Fabrizio de André. In seguito alla decisione di
Clara di fare la mamma a tempo pieno i Troubaires
si sono trasfromati nei Marlevar una formazione di world music, che porta in
spettacolo le liriche di Sergio
Arneodo, nelle lingue neolatine del mediterraneo, compreso il
provenzale e il genovese di De André. Tale formazione è tra i testimonial del
profetto Unicef 'All children in school'. Anche Mauro canta e Fréderic
suona.
I
Marlevar nel tour All children in school (foto Coumboscuro centre prouvencal)
La musica, forse ancor più della poesia, è stata
capace di coinvolgere vari membri della famiglia (anche
i nipoti). La musica (collegata al ballo) è un'espressione
tra le più spontanee e coinvolgenti della cultura provenzale
e una forte leva per la sua rinascita, stimolo di socializzazione
e di recupero identitario. La musica e gli strumenti
tradizionali acustici si prestano ad animare occasioni
informali, nelle osterie, nelle piazze ad accompagnare
il ballo. Oltre ai Troubaires è opportuno ricordare
che sono attivi diversi altri gruppi
che gravitano nella sfera dell' occitanismo e hanno
trasposto in chiave musicale i presupposti ideologici
del pan-occitanismo (tra questi Lou Dalfin, fondato da Sergio Berardo
nel 1982 come gruppo di musica tradizionale occitana
e 'rinasce' nel 1990 con nuovi musicisti provenienti dalle più diverse estrazioni abbandonando
la formula acustica sull'onda del 'rock etnico' e ricorrendo
a molte contaminazioni). A differenza degli occitanisti
i provenzalisti dedicano molta attenzione alla musica
corale (a Coumboscuro è attivo anche un coro polifonico).
Nella foto sotto Davi Arneodo (in piedi) suona
la fisarmonca; gli è accanto Guido Corniolo, dirigente del
settore cultura della Regione Valle d'Aosta, segretario
del sindacato autonomista valdostano e membro di diversi
organismi internazionali delle 'nazioni e minoranze
senza stato'.
Sabato
durante il pranzo collettivo si suona e si canta informalmente
Basterebbe
aver assistito a questa occasione musicale del tutto
informale con Davi Arneodo (sabato all'ora di pranzo
prima del Convegno, sempre la foto sopra) per
capire che le attività di Coumboscuro pur coinvolgendo
intellettuali, università, politici sono genuinamente
popolari e mantengono vivo uno spirito comunitario.
Tutta la gente ai tavoli di quella che potrebbe apparire
una 'sagra' come tante partecipa ai canti e ai cori. In
provenzale naturalmente.
Ruoli
plurimi
Musica
come elemento importante di aggregazione e di identità.
Ma andiamo avanti. Clareto oltre che 'voce' dei Troubaires
è stata a lungo impegnata nella
'scuoletta' e ha realizzato il primo manuale scolastico
per l'insegnamento della lingua provenzale con la supervisione
e la prefazione di Mario Lodi (5). Curiosamente (foto
sotto) il manuale si intitola Lou Loup e Babéto.
Allora il lupo popolava solo le favole. Ora c'è un branco
stabile a minacciare le pecore e le capre di queste
valli e dè un incubo per i pastori.
Il
manuale di Clareto, sotto il volume su Blins di Jean-Lc
Bernard visto in precedenza
Dei
figli del patriarca Sergio Arneodo solo Paoléto (Paola)
vive 'via' (a Cuneo). Nel caso di Arneodo il termine 'patriarca'
non ha alcuna implicazione negativa. I figli sono rimasti
e sono stati coinvolti nelle attività di Centro di Coumboscuro
in quanto fiet de l'escoulo prima che figli.
Si sa come va a finire quando i padri (e le
madri) egocentrici e possessivi proiettano le loro aspettative
sui figli e progettano una continuità di residenza e
di attività. Se ne vanno. Sergio Arneodo ha 14 nipoti
(e il primo pronipote in arrivo). Qui le cose hanno
funzionato diversamente.
Il
figli di Anna si preparano per la Messa e la successiva
processione (G.Mazzoni)
La
continuità a Coumboscuro è assicurata dalla famiglia.
Sarebbe ingiusto, però, identificare l'esperienza di
questo posto speciale con la storia del gruppo famigliare
Arneodo. Certo il ruolo della famiglia in questo
è un elemento di forza ma può anche di debolezza. In realtà
è un ruolo 'portante' ma non quello di un clan chiuso.
Basta pensare a quanta gente è coinvolta nelle attività,
musicali, nei Roumiage, nei convegni.
Un
centro artistico
Dalla 'scuoletta' sono usciti tanti ragazzi che hanno
tratto giovamento nella loro vita da questa esperienza
pedagogica d'avanguardia, anche se solo pochi hanno
avuto la fortuna di restare. Fin dagli inizi la 'scuoletta'
ha privilegiato anche l'espressione artistica e la manualità.
L'
Ateìe d'art Coumboscuro creato in questo contesto
ha avuto proprio la finalità di consentire ai giovani
(con buona volontà e talento) di rimanere a vivere sulla loro montagna. Tra gli scolari di quella straordinaria avventura c'è
Peire Rous (Pietro Rosso) che è stato anima delle creazioni artistiche di Coumboscuro, con numerose opere ed iniziative dedicate all'arte del legno.
Un segno particolare lo ha lasciato con i crocefissi
(tra cui quello collocato ai piedi del campanile della chiesa). Rous
era originario di una borgata di Coumboscuro. Morto
prematuramente nel 1985 a soli 38 anni aveva avuto come
maestri lo scultore Beppe Viada (nato nel 1935
a Cuneo e mancato nel 2004) e il pittore espressionista
Bernard Damiano (1926-2000), quest'ultimo figlio della Coumboscuro
(borgata Saretto). Viada insegnò a lungo a Coumboscuro,
ma anche Damiano vi era legato, tanto che nel 1994 l'artista dona alla Chiesa Parrocchiale di Sancto Lucìo la Passione: 14 dipinti. Alla stessa Chiesa donerà Lou Crist Sagnànt, crocifisso ligneo di
inusitata forza drammatica (con un corpo che prefigura
già gli insulti della morte sulla carne). La chiesa
di Sancto Lucìo è una straordinaria galleria d'arte
impreziosita dalle opere di Damiano e di Viada (di quest'ultimo diverse sculture
lignee tra le quali quelle che si vedono a destra in
alto nella foto sotto, scattata durante la Messa la
domenica mattina).
L'interno
della Parrocchiale di Sancto Lucìo è arricchito di opere
d'arte dei secoli passati e degli artisti contemporanei
che hanno operato a Coumboscuro. Sancto Lucìo è stata
elevata a Parrocchia nel 1924.
Riproduzione
materiale e simbolica
Coumboscuro,
però, non è solo poesia, manuali linguistici, opere
d'arte, convegni internazionali, manifestazioni musicali. Tutto ciò è servito
a costruire rapporti, a garantire contatti, presenze,
sostegni, insomma a dare una grossa mano. Ma dietro
al prestigio dell'esperienza culturale esemplare ci sono i legami con le radici coltivati
giorno per giorno, il lavoro silenzioso.
Le
espressioni artistiche e artigianali hanno anche finalità
e ricadute pratiche: l'artigianato è una fonte di reddito e un
modo di produrre oggetti utili, per 'autoconsumo'. 'Autoconsumo'
è una
brutta, bruttissima parola, (quando ci decideremo a cambiarla?). Il
'consumo' implica 'distruzione'. Qui, invece, ma anche
in tanti altri contesti di 'resistenza rurale' che si
pongono in linea di continuità pon il passato (con
lo sguardo ad un futuro post-consumista) la produzione,
anche quando non è autoproduzione (termine più appropriato), è in ogni caso una forma
di riproduzione materiale e simbolica. Con il legno e con
la fibra tessile (almeno in parte di origine locale) si producono
oggetti culturali necessari a riprodurre una civiltà
materiale a nosto modo (ma in evoluzione). Nella
maggior parte dei casi, dove gli oggetti 'tradizionali'
sono acquistati sul mercato, la cultura si banalizza,
si omologa nell'intimo, si folklorizza.
L' Ateìe d'art Coumboscuro è nato principalmente per produrre
mobili. L'artigianato artistico produce
oggetti in cui l'utilità si fonde con il valore estetico, simbolico,
la loro capacità di comunicare valori. Al tempo stesso
questa produzione di alta qualità garantisce un
reddito attraverso la vendita.
Attrezzi
e oggetti nell'atelier di Anna e del marito
La
devozione
Oltre
a i crocefissi artistici a Coumboscuro sono parecchi
i segni di un'arte popolare devozionale che si rinnova
non per vezzo estetico o intellettuale ma nel segno
della funzione tradizionale, di queste
opere, di questi manufatti. Alcuni esempi: nella borgata
Marchion sul muro di un fienile di recente costruzione
è stata realizzata una pittura devozionale-murales
(foto sotto).
Pittura
murale di ispirazione popolare a Marchion
Nella
stessa borgata il crocefisso con gli strumenti della
Passione di Cristo si presenta in perfette condizioni
(evidentemente perché oggetto di manutenzione e restauro).
C'è l'attenzione ma ci sono anche strumenti e capacità
pratiche per 'curare' i segni materiali con i quali
la comunità si esprime contrassegnando il suo spazio.
Croce
con gli strumenti della Passione a Marchion
Oltre
che nella cura degli oggetti materiali la devozione religiosa
e l'attaccamento alla tradizione si esprime anche nelle processioni
e nei pellegrinaggi. Sono espressioni vissute
in modo non folklorico, puramente esteriore, o, peggio
ancora,
'per i turisti'. Una delle manifestazioni più caratteristiche
del legame con la devozione del passato è costituito
dai pellegrinaggi ('roumiage', dai 'romei', ovvero i pellegrini
medioevali). A Coumboscuro si celebra senza interruzione
da 44 anni il Roumiage dell'Addolorata, ispirato dai
monaci benedettini che si installarono qui dieci secoli
fa provenendo da oltre Rodano (Puy-en-Velay). Il Roumiage
è un pellegrinaggio 'interno', un percorso circolare
con 5 stazioni basato sul modello della processione
rogazionale (ovvero finalizzata a chiedere l'intercessione
divina per scongiurare le calamità che possono compromettere
i raccolti, fonte della sopravvivenza della comunità).
Un rito di sacralizzazione e umanizzazione del territorio. Il disegno
sotto (da Coumboscuro n. 459-460) richiama gli antichi
monaci in cammino attraverso i pascoli, un
territorio umanizzato e sacralizzato dove pascolano
gli agnelli (e che ora è tornato insidiato dal lupo,
metafora del male ma anche minaccia di una 'apocalisse'
quanto mai concreta).
C'è un
Roumiage 'interno' (al quale sono invitati peraltro
anche tutti coloro che si riconoscono nella comunità
provenzale alpina) ma anche un Roumiage di
collegamento con l'esterno, quello de Setembre. E'
un modo di tenere vivo il legame con le valli provenzali
al di là di quel confine politico che da secoli divide un
unico popolo alpino (con periodi di 'chiusura' più o
meno accentuata). Al Roumiage si arriva Traversando
ovvero - se si hanno lo spirito del pellegrino, tempo e
gambe allenate - partendo otto (o sei) giorni prima da diverse
località della Provence: St. Véran, Ceillac, Barcelonnette, Isola, Valdeblore, St. Martin Vésubie, Casterino-Tende, St. Etienne. Per poi
attraversare colli (passi) di confine e le valli della Provincia di Cuneo. Ogni tappa delle Traversados nei paesi di frontiera prevede serate di festa ed incontro.
Un modo di coinvolgere l'insieme delle valli. Nella
foto sotto vediamo alcuni dei partecipanti di Traversando
accampati presso un altro luogo di forte valore simbolico
di Sancto Lucìo: la fusione di Bernard
Damiano Lou Mounge dal Couvent. La statua si trova su un piccolo rialzo oltre il paese ed indica l'altura del 'Couvent' dove i monaci del Puy-en-Velay avevano una piccola dipendenza: tra i boschi la leggenda tramanda che viva ancora il Mounge, il Monaco benedettino.
A prima vista la figura (che purtroppo nella foto
non si può apprezzare) mi ha richiamato il 'nostro' l'homo selvadego
(e i tanti analoghi sarvan e affini diffusi sulle
Alpi). Vi è una indubbia sovrapposizione tra queste
figure benefiche 'silvane'.
Partecipanti-pellegrini
accampati presso la statua de 'Luo Mounge dal
Couvent'
Anche
il Roumiage de Setembre prevede una breve processione
con la statua della santa (Sancto Lucìo). Il trasporto
della statua del santo non è più molto frequente nel
Nord-Italia; rimanda a riti 'ancentrali' in cui i simulacri
della divinità protettrici, in occasione dei più importanti
rituali annuali di propiziazione (di norma connessi
con i cicli agrari e di fertilità) venivano trasportati su carri
o a spalla attraverso i campi e lungo i 'confini'
dello spazio comuntario.
Un
modo di rendere efficace, attraverso una presenza fisica,
l'azione apotropaica delle divinità (poi dei santi in
cui le divinità pagane sono state trasposte).
La
processione è anche occasione per confermare l'unità
della comunità (6).
Essa percorre la
breve via del villaggio. Arrivati al Centro delle Conferenze
(in qualche modo un nuovo elemento dell'organizzazione
simbolica della comunità) fa dietro-front
e termina con la benedizione alle lapidi dei caduti. Tra
queste si nota la nuova targa in provenzale dedicata ai caduti e dispersi in Russia,
collocata sul muro esterno della Parrocchiale (foto
sotto).
Comunicare
il senso di appartenenza
La
processione è anche l'occasione per manifestare verso
l'esterno il senso di appartenenza indossando il costume
tradizionale.
A
Coumboscuro il costume tradizionale non è folklorizzato.
Non è una divisa fornita dalla Pro Loco o, peggio, da
qualche ente di promozione turistica. Ognuno indossa
i propi abiti tradizionali 'autentici'. La differenza tra abiti
tradizionale e 'costume folkloristico' è semplice: gli
abiti sono ereditati, confezionati in proprio, rammendati,
combinati in vario modo con accessori che sono capi
di vestiario reali anche se non utilizzati tutti i giorni.
I copricapo femminile è un elemento distintivo importante
(anche tra valle e valle). E quindi è anche particolarmente
ricco ed elaborato (come la cuffia indossata da Anna,
foto sotto).
(foto
di Gianpiero Mazzoni)
Anche
i bambini indossano i loro bravi abiti tradizionali.
Il
gruppo dei coristi-ballerini ospite del Roumiage con
la 'divisa' che richiama l'abbigliamento contadino tra
XIX e XX secolo ; sotto durante la processione e...
qui
sopra ...
durante il ballo
Il
Roumiage di settembre è anche un evento in cui si svolgono
incontri su temi di interesse politico-culturale con
lo sgurdo all'Europa. Quest'anno il tema era quello
della biodiversità. Prima dell'inizio del convegno io
e Fausto Gusmeroli ci tratteniamo per qualche minuto
con Sergio Arneodo.
Sergio
Arneodo con me e Fausto Gusmeroli (foto Gianpiero Mazzoni)
Avremo poi modo di
conversare con lui anche durante la visita al 'Museo: una raccolta etnografica di oggetti
della cultura materiale di qui. Arneodo, durante questa visita, mi spiega l'origine semi-leggendaria
del nome Coumboscuro (Valle scura),
un elemento che comunque ha condizionato non poco la vita di coloro che da qui
emigravano in Francia (7).
Fausto Gusmeroli durante
il suo intervento. Pensosi i relatori al tavolo (foto Gianpiero Mazzoni)
Il
Convegno si è svolto nella sala delle Conferenza, una
'casa della comunità, che ospita mostre ed eventi (vi
è anche una sala al livello superiore). Nella foto sopra
Fausto Gusmeroli mentre svolge il suo intervento. Rimando
alla nota (8) per
una breve sintesi dei principali interventi. Ha moderato l'incontro Gianpiero Mazzoni che ha presentento
come introduzione una carrellata di immagini delle Alpi
tratte dal suo lavoro fotografico. Gianpiero, presentando
Van De Sfroos, ha citato il Bitto storico quale esempio
di resistenza alla omologazione culturale e biologica.
E' stata una garbata provocazione che richiamava vicende dello scorso
novembre (ampiamente trattate su Ruralpini) (9).
Il
ritorno di Davide VdF a Coumboscuro
Alla
sera c'è stato l'atteso concerto di Van De Sfroos. Il nostro
'cantautore' (ma 'cantautore' è definizione riduttiva) lumbart è ritornato a Coumboscuro dopo dieci anni di assenza. Il Roumiage lo aveva scoperto e lanciato nei primi anni di attività. Nell'accettare
di partecipare al Davide ha dichiarato: 'Dopo dieci anni, ritorno a Coumboscuro per il Roumiage de Setembre, in una terra di frontiera, luogo delle Alpi, pulsante di cultura, ispirazione e ricerca'.
Davide Van de Sfroos in
concerto a Sancto Lucìo in occasione del Roumiage de Setembre la sera
del 28 agosto (foto Coumboscuro centre prouvencal)
Nel presentare i brani Davide si è prodotto in spassosi
pastiche linguistici confermando una grande capacità
di giocare con i registri linguistici e di improvvisazione.
Grande Davide (nonostante la storia del Bitto... ma
non era colpa sua).
Al concerto è
seguita la Nuéch dal Fueiassìer, la notte che intorno al falò (foto
sopra) brucia l'estate e che prevede una lunga notte di musiche e danze folk europee con palco aperto a musicisti di ogni provenienza.
Tanta era la luce che è 'venuta' la foto sopra.
Il
momento del falò della Nuéch dal Fueiassìer (M.
Corti)
Dopo il
concerto ufficiale ci sono state musiche sino alle 2
del mattino con Davide che cantava con i fiet de l'escoulo
(ma questo ce l'hanno riferito perché noi siamo andati
a nanna e la simpatica foto sotto ci è stata gentilmente
trasmessa dagli amici di Coumboscuro).
Davide VdF nella 'scuoletta'
di Sancto Lucìo in occasione del suo concerto (foto Coumboscuro centre prouvencal)
Agriturismo?
Ospiti di Anna in un rustico che potrebbe
diventare un perfetto agriturismo. Diciamo potrebbe perché, nonostante
i lavori eseguiti (c'è un impianto elettrico 'a norma'),
la legge piemontese è più ottusa di quella lombarda (che
ha saputo inventare l'agriturismo 'in famiglia' per bypassare
le forche caudine delle autorizzazioni sanitarie). Così i piccoli agricoltori di montagna, che
hanno pochissime camere e vorrebbero limitarsi a offrire
servizi di alloggio (non aspiranoad aprire il ristorante
più o meno cammuffato da agriturismo) devono limitarsi
a somministrare 'cibi confezionati'.
Una prospettica a cui Anna, giustamente, si ribella
perché equipara una borgata alpina a un B&B nel
centro di Torino.
Il
rustico dove siamo stati ospitati da Anna (M. Corti)
Il
rustico è quello che si vede nella foto sopra. Le camere
da letto (al livello superiore) sono 'come una volta', arredate con letti artigianali,
con le foto degli antenati sbiadite e le immagini sacre.
I 'milanesi' (mi dimentico sempre che lo sono anch'io,
in modo molto contradditorio) o i 'torinesi' pagherebbero
fior di soldoni per vivere in un 'museo vivente'. Ma
servirebbero nuovi costosi lavori. Eppure al piano di
sotto c'è un bagno moderno, tutto piastrellato come
ASL comanda. E la bella cucina della foto sotto
(foto 'neorealista' scattata il mattino della domenica, come quella del rustico).
Una cucina
con tanto di 'cucina economica' in ghisa, la credenza
ecc. Con gli
amici 'montanari' mi sono preso la rivincita di essere
l'unico a saper usare la vecchia caffettiera napoletana
(10). Così si
è potuto preparare il caffé-latte.
E'
evidente che questa bella cucina non è abbastanza 'attrezzata'
e 'piestrellata' per i burocrati. Piuttosto che spendere
un sacco di soldi e rovinare la cucina Anna rinuncia
all'agriturismo. Così si aiuta la montagna a vivere.
Per recarti al servizio (che è in testa al fabbricato)
passi davanti alla
stalletta delle pecore (nella foto - sotto - le pecore non ci
sono perché erano state fuori la notte). Non è questo
l'agriturismo? La domanda, ovviamente, è 'retorica'.
Era
domenica mattina e non c'era pressa. Così ho
scattato
altre foto che ritraggono la ruà (borgata) (diverse le ho già fatte vedere).
Quella sotto ritrae un cartello che, con incerta grafia
(autore qualcuno che non è certo passato dalla'scuoletta'),
avverte del pericolo della caduta della neve dei tetti.
Eh si, siamo ad agosto e il sole splende. Ma verrà l'inverno
e la neve. Che in tempi recenti però, per tanti anni, si è fatta attendere
invano o è stata scarsa (11)
.
Nella
borgata silenziosa campeggia il vecchio forno mantenuto
in buone condizioni. Un simbolo delle strutture (al
tempo stesso sociali e materiali)
della vita ruralpina di un tempo (ma che con il ritorno
all'autoproduzione, alla didattica rural-alimentare
può tornare ad essere una struttura viva).
La
ruà è silenziosa ma una coperta appesa a prendere
aria, un cinquantino da trial, un ranghinatore, la porta
di una stalleta aperta sono tutti
elementi, presenti nel quadro, che ci dicono che quello che altrimenti
parrebbe un presepio, in realtà non lo è (o almeno non
lo è del tutto) e qui si continua
a fare agricoltura e allevamento. Su piccola scala,
a nosto modo. Un modo che torna ad essere possibile,
auspicabile.
Un
aspetto della contrada: i segni di un parziale abbandono
Che
qui non sia un presepio lo
dice in modo più esplicito il fienile di Anna (foto
sotto). Ogni
balletta (qui non sono arrivate le rotoballe, siamo ancora
ale piccole balle 'prismatiche') è un pezzo di prato
falciato. Un pezzo di Coumboscuro che resta vivo, antropizzato,
aperto all'alleanza tra l'uomo e la luce. Alleanza che
tiene indietro la natura scura e caotica del bosco selvaggio,
del bosco dove si possono celare il serpente e il lupo
(12). Non
solo metaforici, purtroppo.
Non ho trovato da nessuna
parte altrettanta consapevolezza del ruolo politico
del lupo, poco pelo, carne, ossa e tanta costruzione
sociale e ideologica, strumento perfetto per sottomettere,
desertificare e ricolonizzare la montagna. Il lupo
è come le tassa sul sale, i rimboschimenti, le leggi
che impediscono la pluriattività: una costruzione socio-politica
della città che vuole dominare la montagna.
Decenni
di lavoro culturale, di consapevolezza sul significato
della 'resistenza' in montagna hanno lasciato il segno.
Con Anna non c'è neanche bisogno di parlare di queste
cose. Ci capiamo subito. Basterebbe questo, dal mio
punto di vista, per dare un giudizio positivo sull'esperienza
di Coumboscuro.
Dopo
queste foto c'è stata la visita all'atelier di Anna e del marito (le ho presentate prima). Abbiamo
rapidamente discusso delle alle leggi sull'agriturismo sulla pluriattività,
delle tante partite IVA che il montanaro dovrebbe aprire... per fare il montanaro,
ovvero un po' di artigianato, un po' di agricoltura, un po' di turismo, un po'
d'altro. Dopo siamo scesi in paese per assistere alla Messa e alla processione.
Fausto ha attirato la mia attenzione su dei vecchi manifesti. 'Preghiamo da
uomini liberi'. Dietro c'è la storia di un parroco allontanato perché usava il
provenzale nella liturgia. Quello che in Friuli è benedetto dalla CEI qui, e
altrove, è
condannato. La chiesa italiana, paladina strenua del centralismo e dell'unità
nazionale, è nemica di queste ed altre autonomie. Ha paura che l'uso della lingua
madre metta in pericolo l'unità nazionale (realizzata
contro la Chiesa). Dopo 150 anni!? Eppure qui si respira un
sentimento religioso radicato. Forse troppo, per qualcuno (anche nelle curie).
Vecchi
manifesti di protesta a difesa dell'uso del provenzale
nella liturgia
I
manifesti (o meglio ciò che ne rimane) è affisso a pochi passi dalla chiesa
parrocchiale.
Sempre a fianco della chiesa c'è un prato con dei meli. La neve li ha piegati
(venuta abbondantemente dopo anni di scarse precipitazioni, magari improvvisamente
a fine stagione e perciò
pesante); così appaiono come dalla foto:puntellati. Hanno un aspetto ancora più struggente se
confrontati ai meleti intensivi perfettamente regolari, allineati, con le
piante schiacciate a filare. Qui non si parla di chimica. Le mele si
(auto)producono sul posto, non viaggiano centinaia o migliaia di km. Quanto
PIL perso (niente pesticidi, niente carburanti). Dal punto di vista
della scienza economica 'ortodossa' queste piante sono improduttive e raccogliere una poma è un atto
economico 'in perdita', irrazionale.
Piante
di melo a fianco della Parrocchiale
Per
fortuna che c'è ancora un posto come Coumboscuro
dove si cercano di tenere in vita altre logiche. un posto che rappresenta
un'esperienza che, fino a qualche anno fa, poteva apparire elitaria, inimitabile.
Ma oggi la sua radicalità appare quanto mai realistica. Chiudo con l'ultima
immagine, trasmessami dagli amici di Coumboscuro (ero
già in viaggio per tornare a casa) relativa alla Festo
al pais l'evento di musica, danze e mimi che ha
occupato il pomeriggio della domenica al Roumiage.
Una sintesi che vale
più di molte parole.
Festo al pais: spettacolo
di mimi, musica, danze tra Provenza e Piemonte. In primo
piano i frutti della terra della Provenza tra mare e
Alpi: ulivo, aglio e.... Castelmagno (foto Coumboscuro centre prouvencal)
Appendice. E' proprio vero: il gusto è uno stimolo emotivo
ma anche intellettuale. I sensi non si lasciano ingannare e sono 'sovversivi'
Partiamo.
Ma di Coumboscuro mi porto dietro un
'ricordo' molto concreto (oltre a tanti stimoli, impressioni, riflessioni. E'
una forma di quasi 3 kg del formaggio prodotto con latyte ovicaprino e la
tecnica 'ancestrale' del Castelmagno. Un capolavoro artigiano che Mario Durbano
fa per sé e per gli amici di Sancto Lucìo (che gli affidano le capre e le
pecore). Prima del lupo di queste forme ne faceva parecchie, adesso munge
pochissimi capi perché quando non può sorvegliare il gregge al pascolo deve
chiuderlo a lungo nel recinto (con calo di produzione). Il giorno prima
Anna ci aveva fatto assaggiare quello di un anno, molto erborinato
(erborinatura asciutta, carica). Questa forma che ho aperto a casa dopo essere tornato
da Coumboscuro non è erborinata ma è
lo stesso un capolavoro. Grazie alla tecnica tradizionale, alla maturazione in
cantine 'primigenie', alle caratteristiche del latte caprino la pasta è già
amalgamata anche se il formaggio ha solo due mesi. Per nulla friabile tende a
scagliare. Regala grandi sensazioni e una persistenza 'interminabile'. Eppure
norme igienico-sanitarie pensate per l'industria, norme che concepiscono solo
l'azienda agricola specializzata, 'imprenditoriale' e ... i lupi penalizzano in
tutti i modo la pastorizia e sortiscono l'effetto di impedire che queste opere
di arte casearia vengano prodotte. Hanno la terribile 'colpa' di far
capire cosa si perde azzerando la biodiversità bioculturale.
Un
opera d'arte casearia 'ancestrale' (M. Corti)
Note
1.
C'è una evidente analogia
con il mitico proletariato marxiano che lottando
per sé, praticando la lotta di classe contro il capitalismo,
'liberava' - in prospettiva - l'umanità intera. La montagna
ha una missione salvifica analoga? Forse si. Con
la differenza che quella del proletariato era solo pensata
nella testa di Marx e dei suoi seguaci (che con il loro
agire, hanno spianato la strada all'avanzata del capitalismo
nel mentre proclamavano di combatterlo). torna
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2.
Fréderì Mistral fu insignito del premio nobel
per la letteratura nel 1904 non solo per la sua produzione
poetica ma anche per lo studio della filologia provenzale.
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3.
Tavo Burat (Gustavo Buratti) nato nel 1932 a Stezzano, nella
generosa tèra de Bèrghem, è morto lo scorso dicembre. Riporto quanto ho scritto
su Ruralpini il giorno della sua morte il 18.12.2009: 'Questa mattina alle 10 a Biella è ceduto il cuore di Tavo Burat. Un grande sostenitore delle lingue minoritarie e della cultura alpina. Da giovane era stato nel Partito contadino. Un ruralista, un autonomista, un piemontesista (anche se di origine lombarde); mai etichettabile con i criteri della topografia politica convenzionale (come noi, come i ruralpini). Uno che non aveva paura di essere su posizioni minoritarie (era valdese). E' stato socialista e Verde (a modo suo), ma anche un punto di riferimento per i leghisti (o almeno una parte di essi). Si è occupato di molti aspetti della cultura alpina: ha scritto sulla lingua e l'etnolingua ma anche sull'avventura di Fra Dolcino (l'eretico) e - forse lo sanno in pochi - sulla Pecora Biellese. Abbiamo potuto conoscerlo in più di una occasione e possiamo dire resterà un ispiratore dei ruralpini'.
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4.
Oltre al Roumiage de Setembre, al quale ho
partecipato e che viene di seguito descritto, dal 1976
si organizza in estate a Coumboscuro il Festenal
(popoli e culture d'Europa). Insieme di eventi musicali,
cinematografici, teatrali, artistici, editoriali
che negli anni ha coinvolto altre località della provincia
di Cuneo, del Piemonte e di altre regioni. torna
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5.
Mario Lodi è un insigne pedagogista; analogamente a
Sergio Arneodo per lunghi anni fi maestro in una frazioncina
(Vho) della nativa Piadena (è del '22). Tra le sue iniziative
più importanti si ricorda la Scuola della Creatività
e il Giornale dei Bambini. E'anche una figura legata
alla autentica cultura padana (quella delle terre basse
lungo il basso corso del Po) e alla riscoperta e valorizzazione
delle varie forme di espressività popolare. torna
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6.
Nella
struttura simbolica del rito della festa la processione religiosa rappresenta un momento topico in cui la
massa dei partecipanti tende, avanzando incolonnata verso
un'unica meta, a perdere il carattere amorfo per raggiungere
un'espressione fisica di unità. torna
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7. Il nome 'Coumboscuro'
deriverebbe da un episodio semi-leggendario
avvenuto durante le guerre di successione spagnola nel XXIII secolo quando i
francesi volevano impadronirsi di Cuneo. Un soldato francese ferito chiese a
una contadinella di portargli delle bende. In cambio le offriva un sacchetto di
monete d'oro ma non avrebbe dovuto farne parola con nessuno. Non fu così e la
Valle si fece una pessima reputazione (scura quindi nel senso di 'malvagia').
Al di là della leggenda contò il fatto che per secoli i pastori e i muratori di Coumboscuro
per non essere discriminati dovevano
dissimulare la loro origine. torna su
8.
Gusmeroli ha parlato della
minaccia alla biodiversità come della incombente 'quinta
estinzione di massa' (tra le precedenti c'è stata quella,
indubbiamente la più famosa, dei dinosauri.) Il numero
di specie che noi umani stiamo eliminando è elevato
e non sembra che ci sia un rallentamento. La globalizzazione
con lo spostamento da un angolo all'altro del pianeta
di specie che non erano mai venute in contatto (predatori,
patogeni, parassiti) sta provocando una forte perdita
di biodiversità che si somma alla distruzione di habitat,
all'inquinamento, al rapido cambiamento climatico (di
probabile origine antropogena). le cose richiamate da
Fausto fanno pensare (guardate gli atteggiamenti pensierosi
di quelli che stanno a tavolo). Molto interessante anche
l'intervento del Prof. Girardino dell'Università di
Montreal (ma anche maestro nella 'scuoletta') che ha lavorato con le popolazioni amerinde
del Canada. Girardino ha ricordato come la 'civilizzazione' sia responsabile
dell'estinzione di un gran numero di lingue. Lingue
che fanno parte di quella grande ricchezza bioculturale
dell'umanità. Girardino sta lavorando al Dizionario
Provenzale (dopo aver realizzato quello Walser). Da parte mia ho parlato
di agricoltura contadina e agricoltura industriale di
monocolture e monoculture. Di biodiversità distrutta
senza che neanche ce ne accorgiamo, quando mangiamo una
fetta di prosciutto o di formaggio. Non potevo non fare
accenno al problema lupo che meno di tre settimane prima
mi aveva portato in questo stesso comune (e mi riporterà
presto tra queste valli). C'è
stato anche l'intervento di Davide Bernasconi (Van de
Sfroos) che, oltre che 'cantautore' è anche - per chi non
lo sapesse - un operatore culturale poliedrico. Recentemente è
stato chiamato da insegnati e dirigenti scolastici preoccupati
dell'impoverimento dell'orizzonte culturale dei ragazzi
e della loro perdita di contatto con la realtà concreta
(specie quella 'naturale'). Davide ha riferito che i bambini di Novate Mezzola,
località sul Lago di Mezzola, propaggine settentrionale
del Lago di Como, chiesti di citare i nomi di alcuni
pesci del lago hanno saputo rispondere solo ... 'squalo'.
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9.
Lo scorso novembre è stato lanciato da parte
mia, di Gianpiero e di altri 'sostenitori del Bitto storico'
un appello a Van de Sfroos perché nel suo concerto di
Morbegno del 15.11.09 dicesse qualcosa sulle vicende
paradossali del Bitto. Il Bitto storico, prodotto come una volta, per
le
regole della burocrazia che 'protegge la DOP', non
può essere chiamato tale, è de
sfroos, ovvero fuorilegge tanto da beccarsi un anno
fa una mega-multa
dalla 'repressione frodi' (sic) del Ministero
dell'agricoltura. Davide era stato accuratamente filtrato
dai suoi manager in contatto con gli organizzatori degli
eventi morbegnesi: la società 'a partecipazione pubblica' Valtellina
Eventi finita di recente nella tangentopoli valtellinese.
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10.
La 'napoletana' (niente ironia sul lumbart e
la 'napoletana' per favore), la
uso tutti i giorni dopo aver mandato per sempre a quel
paese le macchine 'espresso' che si rompono regolarmente
dopo un po' (il solito consumismo) e a
aver imparato, almeno per il rito del caffé, che
più le cose sono slow e più sono buone. Non solo uso quella di dell'anteguerra (salvata
dall'amore profondo che la mia povera moglie manifestava
per ogni oggetto 'umile' intriso di ricordi di
famiglia) ma ne ho anche
comprata una - quasi identica - nuova (che fa 1-2 tazze).
Un po' di comportamenti così e la decrescita è assicurata.
La 'napoletana' è indistruttibile e non c'è neppure da
cambiare la guarnizione di gomma ad anello come nella
'moka'. Un arnese 'sovversivo' che fa tremare gli economisti
che sostengono 'scientificamete' che riempirci la casa
di mille piccoli elettrodomestici per lo più assolutamete
inutili che si accumulano rubando spazio e che poi devono essere smaltiti con gravi costi
ambientali ... crea ricchezza.
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11.
In tema
di neve che 'manca' riporto un piccolo saggio
di poesia dei fiet (Regino Arneodo) che esprime
sinteticamente il senso di tristezza per la neve che
non c'è. (tratto da Nosto Pouesìo)
Neu
Neu
de tristesso
neu
que venes pa
dins
nosto Coumboscuro
Neu
de contentesso
per
i pichot
Arvèire,
bèlo neu
torna
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12.
Ancora sul lupo e sul suo rappresentare un 'cavaliere
dell'apocalisse' (per la vita ruralpina). Più che all'apocalisse
cristiana il riferimento è a quella 'pagana'. Fenrir
(lupo gigantesco e sommamente malvagio) è per la mitologia
germanica l'identificazione delle forze del caos e del male;
esso
si libera dalle catene che lo tenevano legato (durante
la 'storia') e sbranerà
Odino alla fine dei tempi (nel Ragnarok). Ma il lupo
è stato spesso identificato anche dal cristianesimo
con le forze del male. Povero lupo. Il maligno
agisce attraverso gli uomini (che agiscono attraverso
il lupo, usandolo per scardinare le strutture fragili
dell'economia ruralpina, come hanno usato in passato
le tasse, la leva, la 'forestale' ecc.).
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