(26.07.10) Sul Lagorai già sconvolto
dalla prima guerra mondiale c'è un nuovo fronte. Che
divide i sostenitori della wilderness, della deantropizzazione,
del 'cuore selvaggio del Trentino' da coloro che vogliono
difendere e valorizzare il paesaggio culturale delle
malghe
Lagorai
significa civiltà delle malghe
Il 23-25 luglio
l'associazione Amamont (amici degli alpeggi e della montagna) ha organizzato
una visita nel Lagorai con meta principale la Malga Montalon.
Un'occasione per ribadire in un luogo-simbolo che monumenti di civiltà
pastorale come il sistema delle malghe del Lagorai meritano una valorizzazione
diversa e specifica e non la banalizzazione ad ormai anacronistici e
inflazionati 'Parchi naturali' o a fondale per 'giochi di sopravvivenza'.
foto e testo di Michele Corti
A Malga Montalon, cui si riferisce il
particolare della foto sopra, arriveremo con il nostro racconto tra un
po'. Prima un po' di storia.
Nella foto sopra il sandalo del principale
protagonista di questo fotoracconto, Oswald Tonner - che conosceremo a breve
- calca un blocco di porfido quarzifero (roccia particolarmente 'tipica'
proprio di questa montagna). Sul blocco, è incisa la data del 1906.
Dieci anni dopo tutta la zona del Lagorai veniva profondamente sconvolta
dalla guerra. Il fronte passava molto vicino. I paesi a valle vennero
evacuati, le malghe - distrutti i fabbricati e sconvolti i pascoli da trinceramenti
e granate - restarono deserte. La ripresa fu lenta e difficile.
Poi l'economia della malga tornò a rivivere e, sia pure senza rinverdire i fasti
del passato, riprese vigore non subendo più scossoni sino alla crisi profonda
dell'economia tradizionale tra gli anni '60 e '70.
Della quarantina di malghe presenti prima
della prima guerra mondiale solo a Telve e Carzano oggi ne restano solo 22 in
tutto il Lagorai. Parecchie, però, sono caricate
solo con bestiame giovane e asciutto. L'importanza economica delle malghe del Lagorai
rappresenta solo un pallido riflesso di quella del passato ma il filo della
storia non è stato spezzato, gli elementi di continuità non mancano e
neppure le prospettive di una nuova valorizzazione.
Il Lagorai delle malghe
Il Lagorai dal punto di vista geografico è
rappresentato da una catena montuosa lunga 50 km che rappresenta la 'spina
dorsale' del Trentino orientale, con la Val di Cembra a Ovest, la Val di Fiemme
a Nord, la Val Cismon a Est e la Valsugana a Sud. Il Lagorai quale area 'culturale'
è però più ristretto e coincide con la Valsugana centrale con le profonde valli
(Calamento e Campelle) che si dirigono a Nord e raggiungono la cresta della
catena. La presenza di aree con dversi connotati culturali (a Ovest la Valle
dei Mocheni, a Est il Tesino e il Vanoi) giustifica questa delimitazione. Nel
Lagorai ricadono i territori dei comuni di Telve (quello più grande e con più
malghe in relazione al suo ruolo di sede del castello degli
antichi signori della zona), di Carzano, Scurelle, Roncegno, Torcegno, Telve di
sopra, Spera, Pieve Tesino. Anche se la maggior parte delle malghe sono
al giorno d'oggi di proprietà comunale alcune delle migliori appartengono
alla famiglia Buffa di Castell'Alto.
I baroni Buffa dal XVI secolo al XIX
secolo sono stati i feudatari della zona. Rinunciarono alla giurisdizione nel
1825 ma conservarono i beni allodiali (di proprietà privata e, anticamente,
direttamente alle dipendenze del castello). La Malga Montalon è di proprietà
della nonagenaria baronessa Luigia (Ginetta) Buffa che dimora abitualmente nel
palazzo di famiglia a Padova. La famiglia degli ex-signori di Telve utilizza la
malga come riserva di caccia (in autunno, dopo la partrenza del malghese). Al di là di rapporti di proprietà che possono
vantare una continuità secolare (i documenti che fanno luce sulla realtà delle
malghe risalgono al XIII sec.) vi sono molti altri elementi della cultura della
malga che qui sul Lagorai risultano ancora vitali, a differenza di
molte altre realtà del Trentino piegate ad una 'modernizzazione' acritica (che
oggi è oggetto di un profondo ripensamento). Se oggi nel Lagorai è presente una
consapevolezza del valore della 'civiltà della malga' e del significato di un
'sistema eco-etno-culturale delle malghe' il merito è in buona parte di Laura
Zanetti. Laura negli anni '80 ha svolto un lavoro di ricerca etnografica sulle
malghe del Lagorai che è poi stato utilizzato per la redazione del volume 'Formaggi e cultura della
malga' (di L. Zanetti e P. Berni con disegni Giuseppe Liguori, 1988, Verona).
Ricerca-azione
Laura ha interpretato
lo spirito dell'osservazione partecipata, della ricerca-azione come pochi
altri. L'aver documentato il valore di un patrimonio culturale di
grande spessore ha spinto la Zanetti a non limitarsi alla documentazione, ma ad operare per fare di questo lascito un bene
'patrimoniale', parte della memoria collettiva, elemento da valorizzare
nell'ambito di una ecomomia identitaria rispettosa della diversità
bioculturale. Così sono nate le campagne per difendere il Lagorai dalla
speculazione turistica e per conservare un sistema di pascolo e di
caseificazione ancorato alle pratiche tradizionali; un
caso praticamente unico in Trentino. Da qui è nata la Libera
associazione malghesi e pastori del Lagorai di cui Laura e
Oswald Tonner sono rispettivamente presidente e vice-presidente.
Laura ci ha accolti nella sua casa di Telve venerdì sera
(era il 23 luglio). Eravamo alcuni dei partecipanti alla escursione alla
Malga Montalon del giorno dopo (quelli che venivano da lontano) (nella foto
Laura è all'estrema sinistra). Una casa la sua sistemata con rispetto per
il passato ma apertura al presente, con amore per i particolari e tanta
sobrietà, dove niente è 'soprammobile', 'fossile' ma tutto contribuisce a
una narrativa, di sè, della famiglia, della cultura del luogo. Anche le 'collezioni'
(sotto quella degli stampi del butiro' ) sono parte di una storia viva,
in progress. Difficile parlare con Laura senza che il discorsa vada prima
o poi a toccare le malghe e il butiro ('che da qui veniva esportato sino
a Venezia')(su butiro vedi: La storia surreale del
Butiro di malga).
Le cose, le storie, del latte, del formaggio, del butiro si intrecciano con i
temi della cultura e della politica, della poesia innanzitutto. Nella foto in
basso a sinistra su una piastrella l'autografo di Lawrence Ferlinghetti
(un'icona vivente della poesia contemporanea per intenderci).
Frequentatrice di poeti e organizzatrice di eventi poetici
Laura è tutt'altro che una 'svagata poetessa' e, anzi, non 'molla' mai
(come forse qualcuno spererebbe) le sue cause: le 'sue'
malghe, i 'suoi' casari, la 'sua' latteria. Lo sanno bene i burocrati e i
tecnocrati che non sono sinora riusciti a fermare le sue iniziative. Per
mantenere tale la Libera
associazione malghesi e pastori del Lagorai la nostra Laura è riuscita ad
autofinanziarla producendo ogni anno un calendario delle malghe del Lagorai e
andandolo personalmente a venderlo sin nei Palazzi della politica a Trento.
E' di questa primavera la nascita del Casólo (foto sopra),
il formaggio invernale 'di latteria' (vedi: Il Lagorai raddoppia le
sue produzioni artigianali ). Un tassello di una strategia perseguita con tenacia che
ha portato prima a riaprire l'antica Latteria sociale di Strigno (Il ritorno degli
artigiani del latte (riapre l'antica latteria di Strigno) ), per adibirla a sede di
iniziative culturali e didattiche, e poi ha dato la possibilità
all'azienda bio di Renato Pecoraro di valorizzare il suo latte che
avrebbe finito per essere ritirato dal 'sistema lattiero-caseario provinciale'
a prezzo del latte convenzionale. Nel fare ciò la Latteria ha anche intrapreso
il rilancio prodotti artigianali ormai 'estinti'. Ora dalle mani della
giovane casara Anna (che conosceremo poi a Malga Montalon) escono tosèla,
Casólo, yogurt. Un grave rammarico di tutti è il non poter produrre,
almeno per ora, la puína (ricotta). Colpa della 'tecnologia', dei
progettisti (ingegneri, architetti) che hanno forse sbagliato qualcosa, di
collaudi nion eseguiti (pare). Di fatto la tecnologica calgéra non va
oltre i ...50°C ('ci fosse la vecchia calgéra con sotto la fiamma
...'). In attesa della puína i maiali di Renato ingrassano che è un piacere.
Alla cena preparata da Laura (senza nessun aiuto) oltre al
Casólo abbiamo degustato anche la tosèla che tradizione
vuole si cucini alla piastra (ma che noi, per apprezzarla, abbiamo anche
provato tal quale). Sono formaggi a latte bio, crudo, con solo caglio e sale. E
si sente. Dopo cena piacevoli discussioni tra amici ma poi a nanna abbastanza
presto per affrontare la camminata del giorno successivo
Con le auto abbiamo risalito la profonda Val Campelle.
Superato il rifugio Crucolo si lascia la strada principale che prosegue sino al
fondovalle principale per raggiungere l'Hotel SAT Lagorai (la SAT è
l'equivalente trentino del CAI). Qui si parcheggia (siamo a quota 1.360
dobbiamo salire a 1.864). Sul sito dell'Hotel vedremo poi che si reclamizza una
'cucina mediterranea, cucina sarda di pesce e grigliate all'aperto’ e persino
un evento di quad cingolati svoltosi lo scorso febbraio. Lasciamo ai lettori le
considerazioni del caso. A pochi minuti di cammino, prima che si interrompa la
strada forestale, passiamo per una bella magiolera (maggengo)
costruita con tronchi squadrati a blockbau (foto sopra). Poi si prosegue
lungo un sentiero pedonale che rappresenta il collegamento della Malga Montalon
(nostra meta) con il fondovalle. Il cammino è quasi sempre accompagnato dal
mormorio del Rio Montalon e di suoi piccoli affluenti. Mentre saliamo ci
raggiunge il giovane Stefano Centa 'capostite' dei 'ragazzi in alpeggio'. Nella foto sotto lo vediamo
tra Plinio Pianta (presidente di Amamont) e Laura Zanetti (a destra Lucia,
moglie di Plinio).
La camminata a piedi è di circa un'ora e mezza; verso la
fine, superato il cancello di legno che delimita il pascolo di proprietà si
esce dalla fitta abetaia e si scorge la malga in lontananza (il puntino chiaro
tra le cime di due abeti nella foto sotto è la casera di malga Montalon). I
colori sono spenti perché sta piovendo, non in modo battente ma comunque
fastidioso.
Per portare a valle il formaggio si usano gli asini. Ma Oswald,
la sua compagna Joanna, gli animali (bovini, ovini, caprini) arrivano da Nord,
dall'alto, ovvero dalla Forcella di Montalon che costituisce
un collegamento tra Val Campelle e la Val di Fiemme (è l'intaglio tra le
montagne nella foto sotto, scattata, però, nel pomeriggio dopo il ritorno
del sole).
E' una vera e propria migrazione
alpina quella rappresentata dal percorso di 45 km tra il Maso di Oswald (Maso
Berger, in frazione Caoria di Salorno, BZ) e la Malga Montalon. Una
migrazione che, dato che le mandrie non percorrono più di 20-25 km
al giorno richiede una tappa, presso malghe 'amiche' o 'aree attrezzate'. Una
migrazione relativamente breve ma dura, con lunghi tratti su strade
asfaltate dove 'alle mucche non piace camminare' come osserva Joanna (che ha
già condiviso co Oswald diverse stagioni di malga). Quest'anno poi è stata più
dura del solito perché ha nevicato e quattro capre non ce l'hanno fatta a
superare la Forcella. Lo sbalzo termico, unito allo stess del lungo cammino è
stato per esse fatale.
In realtà in linea d'aria
sarebbero solo 15 i chilometri che separanola malga dall'azienda di
Oswald (al confine tra le provincie di Bolzano e
la trentina Val di Cembra). Però se si devono seguire le strade
percorribili dagli automezzi la distanza si allunga a 110 km. Ed anche la
distanza culturale non è poca in quei 15 km a volo d'uccello: si passa
dall'area sudtirolese-tedesca a qualla fiammazza (trentino-ladina) a quella
valsuganotta (trentino-veneta). La 'frontiera nascosta' (per richiamare un noto
testo di antropologia alpina: La frontiera nascosta. Ecologia e etnicità fra Trentino e Sudtirolo di Cole John W. e
Wolf Eric R., Roma-San Michele all'Adige, 1993) non è così netta come
altrove (la Val di Fiemme è un po' un'area cuscinetto) ma c'è. Ci
torneremo.
Agli occhi di chi ha assunto come
'ordinaria' una visione della malga 'modernizzata' con le autocisterne del
latte che fanno la spola con i caseifici industriali del fondovalle forse
Montalon può apparire una malga 'particolare per persone particolari'. Gente un
po' 'strana' che vuole provare l' 'esperienza della vita di malga, quella dei tempi passati'.
Lo affermava, in modo alquanto discutibile, una Guida
alle malghe
pubblicata qualche anno fa dalla Provincia. Nel frattempo parecchie cose
sono cambiate anche a Montalon. C'è la luce elettrica prodotta da una turbina
da 4 kW, c'è il telefono (grazie ad un ripetitore nelle vicinanze a ad una antenna),
si munge a macchina. Però in una regione Trentino-Sudtirolo dove non sono più
di 10 le malghe senza strada Montalon continua ad essere 'particolare'. La
gente che ci lavora, utilizzando gli asini per i trasporti è ancora senza dubbio 'strana' (almeno agli occhi dei
'tecnici' di stampo agriproduttivista della Fondazione Mach,
ex. Ist agrario di San Michele, braccio operativo della Provincia autonoma in
agricoltura).
Nonostante la luce elettrica a Montalon i fabbricati
(fuori e dentro) sono ancora quelli di tipo tradizionale e la vita è
sicuramente 'spartana' (ma con lati molto più confortevoli di molte malghe
'modernizzate'). Il visitatore (qui ne arrivano parecchi a piedi o a cavallo)
deve superare un cancello in legno dove molto discretamente sono incise le
tipologie di prodotti realizzati in malga: formaggio, burro, puína e yogurt.
Non si dice 'vendita' peraltro. Il formaggio è vaccino (Originale
malghe del Lagorai) , caprino e misto.
A Montalon il siero oltre che a produrre puína
serve ad ingrassare i maiali (che diventeranno speck, degustabile sul posto
l'anno successivo).
Tra gli animali presenti a Montalon figurano anche gli
asini indispensabili, come si è detto, per i trasporti a valle e per la
'transumanza' da effettuare a piedi. Nel grande vano che separa l'area 'giorno'
(dove c'è la cucina e si lavora il latte) dall'area 'notte' , e dove sono
radunati indumenti da lavoro e attrezzi, sono appesi anche i tradizionali basti
e le ceste della foto sotto che non appartengono certo alla tradizione
alpina ma che Oswald ha adottato per i trasporti a dorso d'asino.
Multiculturalismo 'buono'.
Dal grande locale di 'disimpegno', che serve anche per
evitare di mettere direttamente in rapporto i vani abitati con l'esterno, si
accede alla cucina attraverso una porta dove è affisso il poster dedicato a
Francesco Franzoi, storico malghese del Lagorai, mancato lo scorso anno. Il
poster annuncia la serata del 23 maggio 2003 svoltasi a Telve e dedicata alla
proiezione del filmato che con Francesco e la 'sua' Malga Valpiana
protagonisti. In qualche modo Francesco, che guarda dal poster i visitatori
che entrano nel 'cuore' della malga, è presente anche al nostro incontro.
Mi piace pensare così.
Nel locale cucina insieme a tanti oggetti ed utensili
vecchi e nuovi sono appese diverse edizioni del Calendario delle Malghe del
Lagorai.
Mentre mi dedico alle foto Fausto Gusmeroli si da più
concretamente da fare con il tarèl della polenta.
Il sistema di allontanamento del fumo è molto efficiente.
Tira un forte vento (freddo) da Nord che sembra voler risucchiare il fumo che
esce a gran velocità dal lungo tubo che lo porta alla colma del tetto. Pare una
vaporiera.
La
polenta alfin è cotta e Joanna ha l'onore del taglio. Il colore è invitante (e
il sapore non sarà da meno).
Oswald, che è rimasto indietro nelle faccende, si siede a
tavola con tutti noi solo a pranzo inoltrato (è a capotavola, con il
cucchiaio nell'ottimo 'orzetto' tanto 'cattivo' che tutti hanno chiesto il bis.
In mattinata ha avuto la visita del CFP (Corpo Forestale Provinciale) che ha
accuratamente controllato il bestiame caricato (va detto, però, che nonostante
questi controlli anche in Trentino si sono verificate in passato le truffe
dei 'pascoli d'oro').
La mancata separazione tra la zona pranzo e quella di
lavorazione del latte (notare nella foto sopra il braccio girevole cui è
sospesa la calgéra) rappresenta uno dei motivi per cui la malga non è 'a
norma igienico-sanitaria'. Però le piastrelle, in modo un po' ironico, ci
sono (almeno nel disegno della plastica lavabile che 'tapezza' l'area di
lavorazione del latte che vediamo nella foto sopra).
Dopo un fresco antipasto di crauti, verdure e cereali (non
mancavano però in tavola i formaggi: vaccino, caprino
e misto e un burro giallo oro accolto da grande entusiasmo
dai comemnsali) il palato e lo stomoaco sono stati confortati
da uno
squisito 'orzetto'. Poi i piatti forti: agnello e spezzatino. Tutte carni
del maso, ovviamente. Pur avendo già mangiato carne martedì, contravvenendo alla regola che mi sono imposto di
un solo pasto carneo settimanale, il piatto di portata con
l'agnello (foto sopra) è troppo invitante e cedo (solo a una porzioncina di
agnello, beninteso). E' comunque carne bio allevata in modo sostenibile ecc. La
coscienza ecologica è a posto.
Dopo pranzo (è stato servito anche un dessert di
yogurt con salsa di mirtilli rossi) ci raggiungono altri due personaggi: Anna
Pecoraro e Laura Milone. Anna, che è qui di Telve ma non è parente del Pecoraro allevatore,
ha preparato la sua tesi etnografica sulle malghe (si
è laureata in Lettere
a Padova). Poi ha imparato a fare la casara da Oswald e in una malga vicina.
Ora, sempre da volontaria, lavora nel caseificio di Strigno (vedi sopra).
L'altra ragazza è Laura Milone che, invece, è una vecchia conoscenza. Venuta
a studiare a Trento da Varese (ingegneria
informatica) è rimasta a vivere qui.
Non proprio qui in Valsugana, ma a Brentonico sotto il Monte Baldo. E' anche
l'esponente di R.A.R.E.
(associazione per le razze autoctone a rischio di estinzione) in
Trentino e la 'sitista'. Laura, che fa parte anche dalla Libera associazione
malghesi e pastori del Lagorai (a sottoineare una vocazione del sodalizio
ad allargarsi fuori dalla Valsugana) da qualche anno alleva capre Bionde
dell'Adamello. Un allevamento amatoriale con 8 capi. La sua idea è quella
di creare una rete di piccoli allevatori solidali che si aiutino tra loro
superando le difficiltà di chi, con poco tempo e poco terreno, vuole
allevare per autoconsumo o per pura passione animali di razze autoctone. Idee
troppo intelligenti per essere sostenute dalle 'istituzioni' (ma che lobby
accontentano?). Entrambe le ragazze leggono con attenzione lo speciale di Terra
trentina appena uscito e dedicato alle malghe. E sul quale parecchi dei
presenti avrebbero da avanzare qualche obiezione.
Oswald dopo pranzo senza indugio inizia la sua
presentazione della malga (foto sopra). Spiega che, rispetto al passato, ci
sono alcune 'comodità' in più. Da tre anni è possibile comunicare con il
telefonino (anche se solo da una postazione fissa con antenna) mentre prima era
necessario stabilire un ponte radio. La turbina copre le varie utenze
elettriche e l'energia non utilizzata serve ad accumulare acqua calda (nella
cucina campeggia un enorme boiler blu). Tra le difficoltà della malga, a parte
l'accesso, Oswald segnala la vetustà delle strutture 'non a norma' (a parte
l'impianto elettrico). Aggiunge, però, che essendo cresciuto in un ambiente
'non a norma' ha imparato dai vecchi contadini una 'autodisciplina' che 'loro
avevano dentro'. 'Quando sono arrivati qui tre anni fa in quattro per fare i
prelievi hanno visto che i locali non erano a norma; quando hanno visto i
risultati delle analisi con grande stupore hanno dovuto constatare che erano
molto migliori della media'.
Quanto alle azioni a favore dei formaggi di malga Oswald
racconta che 'per il concorsi di Cavalese per i primi due anni quelli di San
Michele facevano le cose molto seriamente; venivano a luglio a timbrare le
forme destinate a partecipare. Poi l'anno dopo mi telefonano alla
vigilia e mi chiedono di portare i miei prodotti che me li pagano. Faccio presente
che non lo ritengo serio perché chiunque potrebbe andare a comprare prodotti di
altri ma, alle mie rimostranze, ribattono: "Perché prendi la cosa così sul
serio, è solo un contorno dell'evento turistico della Desmontegada". Non
ho più partecipato.
Quando ai BLA (batteri lattici autoctoni) che lo 'speciale
malghe' di Terra trentina presenta come una 'difesa della biodiversità' Oswald
osserva che a lui nessuno è venuto a proporre nulla perché sanno come la pensa.
Lui mette una bottiglia di latte vicino alla stufa avvolta in una
coperta (al cui calduccio 'lavora') è quello è il suo 'innesto'. Poi
aggiunge che la flora 'autoctona' per preparare i BLA 'Lagorai' è stata
'selezionata' in una malga che è la più lontana dalla tradizione dove si usano
mangimi e le vacche sono Frisone'.
Insomma i BLA sarebbero una forma un po' più sottile di
omologazione. 'Dicevano che ci vuole una qualità uniforme, omogenea, che
altrimenti non si va nel mercato mondiale. Tutto l'Alto Adige usa gli stessi
fermenti'. Secondo Oswald l'uso dei fermenti selezionati, sia pure autoctoni, è
un ulteriore modo per realizzare una centralizzazione, per avere un potere di
controllo. E aggiunge che la Libera associazione gode di scarso sostegno perché
non è nata per impulso dall'alto 'sostengono e aiutano chi parte con il loro
benestare, noi siamo un'associazione spontanea'.
Mentre Oswald prosegue a illustrare la sua 'filosofia' di
gestione della malga seguito con molta attenzione (nella foto sopra, da
sinistra Luca Battaglini presidente del corso di laurea in Scienze e cultura
delle Alpi dell'Università di Torino, Fausto Gusmeroli, ricercatore della
Fondazione Fojanini di Sondrio e Plinio Pianta, già nominato presidente di
Amamont). Sono interessanti anche le cose che Oswald dice sul consumatore
(co-produttore). Come spesso mi dicono i malghesi anche Oswald sostiene che
'non mi interessa il turista che mi compra 500 g di formaggio come un souvenir
ma il consumatore tradizionale, del posto, quello che acquista 3-4 'pezze'
di formaggio e se le cura durante l'inverno'. Aggiunge che a chi gli dice che
la ricotta è cara e che la trovano a miglior prezzo al supermercato suggerisce
di andare da Lidl dove costa ancora meno. Cita anche il caso del figlio del
riccone locale che arriva in elicottero ('direttamente dalla spiaggia') e vuole
la puína di malga per il papà, ma deve risparmiare, poverino. Poi
aggiunge che chi si ferma a mangiare qui 'mangia come mangiamo noi'.
Ovvero tutti prodotti aziendali (tranne qualche prodotto confezionato ma bio).
'Prima di tutto ci teniamo alla nostra qualità di vita e di alimentazione, poi
che chi viene impari qualcosa'. 'Quando siano arrivati qui 10 anni fa abbiano
trovato una montagna di scatolette di tonno e di Simmenthal' A noi piace vivere
diversamente. E che Montalon sia una malga 'particolare' lo dice anche il fatto
che mancheranno certe 'modernità' ma c'è il micro-mulino per macinare i cereali
e farsi il pane fresco in malga. Le cose buone poi sono molte e si notano tanti
vasi e vasetti. Come nella cucina accogliente di un maso. In ultimo si parla
dei 'ragazzi' che vogliono venire a fare esperienza di lavoro e di vita qui a
Montalon. Oswald ne ha formati diversi ma ammette che molti scappano non tanto
per la fatica ma per la paura della responsabilità sia pur minima. Però qui
anche adesso lavorano due ragazzi.
All'esposizione di Oswald segue un'interessante
discussione e non posso fare a meno di considerare che in occasioni
'autentiche' come queste si arrivano a toccare i veri problemi della montagna
meglio che in tanti convegni. Poi ognuno riprende le proprie attività. Un
gruppo si incammina per il Lago di Montalon e la Forcella, io resto per
accompagnare Joanna e Stefano a recuperare gli animali. Nel frattempo ancora
qualche scatto. La vecchia zangola che potete ammirare ancora mentre gira
in: La
storia surreale del Butiro di malga giace oggi inoperosa. La cosa mi
mette un po' di tristezza. La ruota ad acqua che trasmetteva l'energia
idraulica per farla girare giace nel prato. Il traliccio che ne: La storia surreale del
Butiro di malga potete ammirare ancora integro (l'avevo fotografato quando ero venuto
per la prima volta a Montalon nel 2007) è in parte crollato. Rimane
però parte della struttura (foto sotto). Oswald non se la sente di
ripararlo a sue spese. La malga dopotutto non è sua ma della baronessa e chi
può essere sicuro delle intenzioni degli eredi? Con una spesa inferiore Oswald si
è comprato una zangola elettrica in acciaio. Non c'è né storia, né poesia né cultura in questo
utensile ma se quel capolavoro di ingegneria contadina o di archeologia
industriale pastorale (scegliete voi) è un bene culturale (e
io ritengo di si) dovrà intervenire qualcuno. Forse.
Se si consoliderà la consapevolezza che le malghe del
Lagorai sono un patrimonio culturale prezioso, se non prevarrà l'idiozia del
'Lagorai selvaggio' che un marketing turistico-territoriale ruffiano cerca di
far passare. Non prendono i telefonini, non ci sono rifugi (nel Lagorai vero e
proprio c'è solo quello di Cima d'Asta). Qualcuno allora preferisce
probabilmente che le ultime malghe vengano abbandonate in modo da spacciare
questo territorio di millenaria cultura della malga per un'area wilderness,
dove organizzare settimane di sopravvivenza usando le malghe abbandonate come
bivacco (di 'manipoli'?). In assenza di opportunità di 'valorizzazione
sciistica' o di altre succose speculazioni le 'vacanze avventura' possono
essere un ripiego. E se qualche malghese si ostina a sopravvivere gli toccherà
fare la comparsata da 'selvaggio'.
Noi tutti radunati a Montalon siamo decisi a scongiurare
questa eventualità ma anche ad opporci alla parchizzazione del Lagorai. Le malghe
non hanno bisogno di Parchi. Ce ne sono già troppi, oltretutto.
Lagorai significa anche acqua. L'acqua sul Lagorai non
solo è abbondante, e quindi disponibile per la l'autoproduzione 'sostenibile'
di energia elettrica ma è anche freddissima. Nella foto sotto i bidoni di latte
immersi nell'acqua a 4° C. Un sistema di conservare il latte meglio che in un
tank refrigerato. Utile per mantenere il latte di capra (non molto abbondante)
da un giorno all'altro.
Alle sedici si esce per recuperare gli animali. Il
primo capo che incontriamo è questa vacca Grigia dall'aria molto compunta,
tranquilla e rilassata. Una vera signora.
Le vacche in genere non si fanno pregare ad alzarsi e
mettersi in movimento verso la stalla. Questa manza Grigia un po' 'vecchio
tipo', invece, deve essere convinta da Joanna (che calza gli stivali per paura
delle abbondanti vipere).
Alla fine la piccola mandria, 15 vacche in lattazione
più alcune manze e un torello molto loquace si avvia verso la mungitura.
Ad aiutare Joanna c'è Stefano che abbiamo già conosciuto.
Stefano era qui due anni fa. Poi lo scorso anno ha lavorato presso Malga
Brigolina, una malga 'modello' gestita da Latte Trento (asse portante del polo
industriale lattiero-caseario provinciale) dove, incredibile a dirsi, nel 2008
c'è stato un sequestro di formaggi allo Stafilococco aureo coagulasi + (vedi articolo). Eppure è dotata
di attrezzature tecnologiche all'ultimo grido e accorgimenti igienistici
tanto che Stefano dice che lì 'è un delirio'. Ed è tornato a Montalon.
Dopo un
po' che le vacche sono già in stalla arriva il gregge delle capre e delle
pecore. Lo conduce Riccardo, un ragazzo di Reggio Emilia che è qui come
volontario della associazione sudtirolese del Volontariato in
Montagna
La stalla
è vecchia ma confortevole. La pavimentazione è in selciato a lieve pendenza con
l'acqua che scorre in continuazione (per la pulizia si rompe una 'diga'). Con
questi sistemi Ercole si sarebbe risparmiato una delle sue fatiche ..
Nel frattempo gli amici che erano
saliti alla Forcella tornano e assistono anch'essi alla mungitura (nella foto
sotto Luca Battaglini e Plinio Pianta osservati con curiosità da una vacca).
Sopra una soppalcatura della grande stalla il vecchio
'camerino' (foto sotto). Più recentemente ne è stato realizzato uno nuovo più
spazioso. Un tempo dormivano qui anche i 'signori'.
L'energia elettrica non fa girare solo le pompe del vuoto
delle mungitrici ma (foto sotto). Alimenta anche una radionina. E' sintonizzata
su RAI 3 mi pare di capire. 'Di solito trasmette classica' dice Stefano. Al
momento è jazz; speriamo che le mucche lo gradiscano.
La stalla è molto più grande del 'fabbisogno' attuale e
viene utilizzata solo la parte terminale.
Nella foto sotto una panoramica della stalla quasi tutta
vuota. 'Ci starebbero 80 capi ' precisa Stefano. I tempi sono cambiati.
La scuola di Montalon ha già 'diplomato' diversi ragazzi.
Non è una scuola facile. Per alcuni l'impatto può essere duro. Specie se non si
comprendono certe diversità culturali. Va detto che in questo contesto la
diversità è comunque temperata dall'esperienza di Oswald che pur appartenendo
alla cultura tedesca d'origine è anche osservatore abbastanza distaccato
di entrambe nella sua posizione privilegiata con un maso sul confine e una
malga in Trentino. Una posizione che consente a Tonner di essere anche equanimamente
critico verso i 'sistemi' politici di entrambe le provincie autonome. Dalla sua
posizione di no-global contadino, di ecologista di maso e di malga (lontano
anni luce di quelli da salotto), di rivoluzionario-conservatore (o
conservatore-rivoluzionario) lontano al massimo da retoriche micro o
macronazionalistiche non nasconde una pragmatica nostalgia per l'Austria
('che paga entro l'anno solare i contributi europei mentre con l'Agea a Roma
non ci sono arrivati ancora quelli del 2008'). Una nostalgia condivisa anche da
Laura, da posizioni politiche 'insospettabili'. Tutti sanno che nella
Valsugana rurale la fedeltà all'Imperatore d'Austria era fortissima ed è durata
ben oltre il 1918. E qualcosa è rimasto. Sentimenti retrogradi? Viene proprio
da dire di no se si conosce l'esperienza (politica, umana, culturale) dei
nostri amici.
Ma torniamo alle bestie. Qui sotto vedete Riccardo, un
ragazzo che viene 'dalla periferia di Reggio Emilia', un ambiente molto lontano
da Montalon. Eppure in quindici giorni ha imparato benissimo e ora munge 16
capre a mano. La 'sala di mungitura' tutta in legno mette in evidenza come da
queste parti la 'civiltà del legno' di Šebesta (il fondatore del Museo
degli usi e costumi delle genti trentine di San Michele all'Adige) non
sia morta.
Facciamo poi in tempo ad assistere ad alcune fasi di
lavorazione. Adesso è l'Oswald casaro che parla con i gesti. Parla anche con il
luccichio della calgèra perfettamente pulita (ha solo tre anni ed è
perciò nuovissima, il che facilita la pulizia, ma non c'è traccia
microscopica di ossido di rame).
La stalla mezza vuota fa pendant con la dimensione della
caldaia. Sotto una foto storica in cui la calgèra era di ben diverse
proporzioni.
E' ora di partire. Arrivati con la pioggia partiamo con un
cielo limpido spazzato dal vento di Tramontana con le nuvole che corrono veloci
e basse a incastrarsi sotto le masse di aria calda in quota (dove le nuvole
restano 'ferme' tra le opposte correnti). Il Lagorai non è Dolomiti, ha le sue
cime ma soprattutto ha i laghi, i boschi, e le malghe. Forse è più bello e
certamente meglio essere la Terra delle malghe che una Dolomite-cenerentola. Le
rocce qui poi sono vulcaniche e metamorfiche, che c'entra il signor Dolomieau?
Portiamo via con noi tante impressioni, tante idee, tanti
propositi. Il Lagorai, ne sono certo, è una solida trincea e un
caposaldo della civiltà delle malghe, della civiltà ruralpina. In rete con
altri capisaldi può sviluppare una bella resistenza.
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