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in montagna: sport o vandalismo? Un problema non solo
bergamasco
La
Storia di due caprai, di una scrofa innamorata e di
un gatto coraggioso
Una
storia in controtendenza: qualche volta gli alpeggi
rinascono
(Aggiornamento)
Come
nasce la maschèrpa d'alpeggio
delle Valli del Bitto
|
(20.11.09) Con questa storia proviamo a raccontare in modo un po' diverso
i temi che ci stanno a cuore. Con piacere verranno pubblicati
i 'fotoracconti ruralpini' di coloro che ce li invieranno
La
Storia di due caprai, di una scrofa innamorata e di
un gatto coraggioso
di Michele Corti
Questa storia trae spunto dal comportamento curioso di un
animale. Al momento, l’episodio – risalente a pochi giorni fa - mi ha molto
divertito; poi, a freddo, nel mentre guidavo sulle autostrade che mi riportano
ineluttabilmente a Milano al termine delle giornate trascorse in montagna, l'ho
'ruminata' e le riflessioni scaturite mi hanno
indotto a raccontare una ‘storia ruralpina’ a tutto tondo
che finisce per toccare i problemi scottanti con cui deve quotidianamente
confrontarsi ci vuole continuare a vivere ‘di’ montagna.
La ‘location’
Siamo a Bracchio, un bel villaggio
in comune di di Mergozzo mel VCO (noto per il laghetto a un tiro di schioppo
dal ben più grande Verbano). Come al solito il mio interesse mi porta da
allevatori e pastori e la mia meta è in realtà l’Alpe Boscopiano (non fatevi
ingannate dal ‘titolo’, è a poco più di 400 m!). In questa ‘visita’ mi guida il Sandro
un giovane veterinario di quelli che non si fanno pregare per andare a curare
un maiale, un asino una pecora anche quando c’è da camminare. Lasciamo la
macchina parcheggiata al villaggio e ci incamminiamo per una mulattiera,
percorribile con difficoltà anche dai ‘piccoli mezzi agricoli’ (di fatto quello
che la percorre lo vedete nella foto sotto che illustra anche l’aspetto dell’Alpe per chi arriva
dalla mulattiera da Bracchio).
Foto 1 – L’Alpe Boscopiano. Si noti il ‘mezzo’ con il quale,
sia pure con difficoltà, il Gianni effettua i trasporti da Bracchio e, sulla
destra, i due cani.
In una ventina di minuti raggiungiamo la
meta. Qui incontriamo il Gianni, un capraio soddisfatto delle sue scelte e che ha abbracciato consapevolmente uno stile di vita che qualcuno
potrebbe etichettare ‘arcaico’, ‘marginale’, ma che a noi pare realmente
sostenibile e che comunque non è subito. ‘Ho il formaggio, i salumi, l’orto mi
basta poco per vivere’. Il suo unico
mezzo di trasporto è quello agricolo (‘quando mi serve la macchima ni faccio
portare dagli amici’). E’ un modo di
vivere la montagna ‘integrale’ ma senza atteggiamenti ‘talebani’ o ‘(pseudo)alternativi’.
Il Gianni non è un ‘cittadino in fuga’, non ha alle spalle scelte ideologiche
sbandierate. E’ un quarantenne molto dinamico che, da ragazzo, con alcuni ‘soci’
ha fatto la scelta di vivere non solo in montagna ma di montagna, in simbiosi con
gli animali, centrando la propria attività sull’alpeggio. E’ ‘del posto’ anche
se i genitori sono di origini bresciane. All’Alpe Boscopiano non c’è
l’allacciamento alla rete di distribuzione dell’energia elettrica, c’è solo il
pannello fotovoltaico per l’illuminazione.
L’Alpe dispone di diversi
fabbricati, in parte del Gianni in parte di altri proprietari, dai quali, però, il
Gianni vorrebbe rilevarli. Sono fabbricati che hanno mantenuto in toto le loro
caratteristiche tradizionali tanto che il nucleo assume un indubbio valore
architettonico ed etnografico. D’estate ci sono
problemi con l’acqua (troppo calda per le necessità del caseificio, specie per
quanto attiene alle esigenze di raffreddamento del latte della sera). Nel
classico ‘volto’ ovvero cantina il Gianni conserva i formaggi dell’alpeggio
(quello vero, l’Alpe Balma, in Valstrona
dove il Gianni e il Daniele, altro capraio dello stesso stampo, caricano 170
capre ).
Foto 2. L'Alpe Balma in Valstrona
(Foto tratta da : D. Barbaglia,
R. Cresta, C. Conti Alpi, alpigiani e formaggi dal Mottarone alla Formazza,
Alberti libraio editore, Verbania, 2009)
Nella foto
sotto vedete il Gianni intento a farci assaggiare il
prodotto dell'alpe (nella foto c’è anche il Sandro). La tometta di
capra in questione è della fine di agosto e a tre mesi ci pare esprimersi al
meglio (la pasta è ancora elastica, il gusto intenso, ci sono gli aromi
dell’alpe).
Foto 3. Si assaggia il formaggio estivo
dell'Alpe Balma
I problemi del Gianni
sono quelli dei produttori rurali
Terminata la ‘degustazione’ discutiamo con il Gianni dei
suoi problemi (la sua produzione, anche d’alpeggio, è destinata all’autoconsumo
per mancanza di autorizzazione sanitaria). Per capire meglio il modo di vivere
‘di montagna’ del Gianni osserviamo che si
è dimostrato interessato a valutare le possibilità di ‘messa a norma’ sia a
Boscopiano che all’alpeggio (qui, però essendo la proprietà di un privato, le
possibilità di ristrutturazioni dipendono molto dalla ‘propensione
all’investimento’ di quest’ultimo). Il Gianni non si scandalizza neppure quando
– forse per deformazione professionale - oso buttare lì che ‘forse si potrebbe
pensare anche ad un agriturismo’. Si
discute del problematico percorso di ‘regolarizzazione’, ‘valorizzazione’ e mi
rendo conto che in situazioni come questa si va al cuore dei problemi (o,
meglio, dilemmi) della montagna.
Da una parte si ha paura a spingere un allevatore, un
pastore a imbarcarsi in un difficile cammino di burocrazia, pesanti
investimenti (anche quando i finanziamenti dei PSR arrivano devi anticipare
costi di progettazione, devi produrre fatture quietanzate ecc. ecc.),
dall’altra hai gli scrupoli di coscienza: se non si incoraggiano i produttori
rurali a intraprendere un percorso ‘imprenditoriale’ non si rischia di
condannarli al ‘presepe’ magari per inseguire un nostro ideale cittadino di
‘purezza’, di ‘ritorno alla madre terra’ ecc. ecc.? Ovvio che se sei parte di
chi vuole vendere servizi e mezzi tecnici tutti questi rovelli di coscienza non
ci sono.
Come se ne esce
se si vogliono realmente cercare
soluzioni? Solo facendo qualcosa di concreto ovviamente. La commedia
dell’autoconsumo è solo una delle espressioni di quella generalizzata e pervadente ipocrisia dietro le
quali si nascondono i problemi (un altro esempio è quello dei lupi: sono
intoccabili ma gli si spara e si fa tutti finta di niente Wwf compreso). Nel
bel volume, Alpi, alpigiani e formaggi
dal Mottarone alla Formazza (di D. Barbaglia, R. Cresta, C. Conti , Alberti
libraio editore, Verbania, 2009) (link
alla recensione), quando si parla delle produzioni degli alpeggi, si
deve ricorrere in troppi casi alla dicitura: ‘il latte prodotto serve esclusivamente per
soddisfare il fabbisogno famigliare e per i vitelli/capretti’. Così per la
maggior parte degli alpeggi del VCO dove si munge e si trasforma, compresa
l’Alpe Balma dove caricano il Gianni e il Daniele.
Però, accidenti, la loro
tometta è squisita ed è un peccato tenerla nella ‘clandestinità’. Bisogna fare qualcosa dicevamo.
C’è bisogno che gli enti (a partire dall’Asl) esercitino il massimo di
elasticità nei confronti di queste realtà. Ma non basta. I costi per poter
lavorare in condizioni ‘adeguate’ dal punto di vista igienico-sanitario sono
elevati. Gli investimenti per sistemazioni di locali, attrezzature vanno
rapportati al fatturato di un gregge di capre ‘meticcie’ (basta con questo
insulto e chiamiamole ‘Alpine comuni’ come di diritto). Non si pretende di
concedere autorizzazioni alla vendita senza che i ‘laboratori di produzione’
rispondano a requisiti minimi e ragionevoli di igiene, ma si chiede che ci sia
una defiscalizzazione per attività di così ridotte dimensioni economiche
e che (a differenza di attività agricole industrializzate e che provocano pesanti
impatti ambientali), producono una lunga serie di ‘esternalità positive’.
Pare lecito chiedere che queste microimprese vengano adeguatamente sostenute da
servizi di consulenza che le ‘accompagnino’ nel ginepraio amministrativo ma
anche una guida nelle scelte progettuali e tecniche. Che non le si lasci sole a
trattare individualmente, quindi con scarsissimo peso contrattuale, con enti e agenzie. Questo tipo di sostegno è
per la maggior parte dei piccoli produttori più importante dei contributi in conto
capitale tanto più che essi obiettano che se le opere le facessero ‘per conto
proprio’ e a modo loro dovrebbero sostenere dei costi molto più bassi. Sono tematiche non solo
‘ruralpine’. Sono i temi della campagna nazionale per l’agricoltura contadina (link al sito) la cui prima fase
che si è conclusa l’11 settembre con la raccolta di migliaia di firme a
sostegno di una proposta di legge per ‘liberare i contadini dalla
burocrazia’.
La scrofa innamorata
Ma torniamo a dove eravamo
rimasti con la nostra storia: all’Alpe Boscopiano. Da qui siamo scesi insieme
verso Bracchio: io, il Sandro, il Gianni, una ragazza francese che è lì a fare uno stage sull’allevamento
caprino estensivo (la si vede nelle prossime foto, ma solo di spalle perché non
voleva essere ritratta). Scopo della discesa al villaggio era quello di andare
ad eseguire una diagnosi di gravidanza su una giovane vacca Piemontese del Gianni che
lui
tiene giù in paese. La comitiva, oltre agli umani, comprendeva i due cani del
Gianni e … - qui viene il bello - una scrofetta del medesimo. Il Gianni ci ha
spiegato che, con la moria dei cinghiali, dovuta alla neve ‘anomala’ dello
scorso inverno, se la sta passando benone riempiendosi di quelle ghiande e
castagne che prima si pappavano gli indesiderati selvatici.
La scofa, sentito che il padrone si allontanava,
ha preso a seguirci lungo la
mulattiera. Ad un cittadino viene in mente Babe (il
cinematografico maialino coraggioso) che si crede un cane pastore; però qui non
si tratta di trans specie ( di questi
tempi ne sentiamo già troppe di trans gender) ma del tipo di rapporto che in un allevamento rurale si istaura tra uomini e animali (il nimal, l’animale – per inciso
– è proprio il maiale nel lessico contadino , mentre la bes-sctia, è il bovino).
Inutile discettare di scale di intelligenza delle specie domestiche; quando con
un animale c’è un rapporto di famigliarità riconosce la tua voce, può essere
chiamato per nome, ti viene dietro. Che sia cane o maiale o capra. La scrofetta
ci ha seguiti per quasi un chilometro sino al villaggio (o meglio ha seguito il
Gianni che, scherzando, dice che è ‘innamorata di lui’). Ha attraversato le
stradine di Bracchio e qui – altra constatazione interessante – chi l’ha
incrociata sulla sua strada o l’ha vista dalla finestra non ha trovato nulla di
strano. Sono piccoli episodi di questo genere che ti danno la misura di una
dimensione rurale che esiste ancora, palpabile.
Così siamo arrivati in un piccolo terreno cintato nel ‘contesto
edificato’ dove era la giovane vacca (insieme ad una manza Jersey, concessione alla
globalizzazione).
Foto 4. Il Sandro effettua la diagnosi
di gravidanza. La Jersey osserva curiosa.
Si è proceduto ad effettuare la diagnosi (foto
sopra) mentre la scrofetta aspettava fuori
del cancello approfittando per uno spuntino a base di erba (foto sotto) mentre i cani
curiosavano in giro affacciandosi ogni tanto a vedere dov’era il padrone (foto
sotto quell'altra).
Foto 5. La scrofa aspetta il padrone
fuori dal cancello
Foto 6. La scrofa con un dei suoi amici
cani
Al termine dell’esame il Gianni con
la manza è uscito soddisfatto (l’esito era positivo).
Foto 7. La scrofa, il Gianni, la Piemontesina
e(si intravede) la stagista
Abbiamo salutato il Gianni
e la ragazza francese; quindi il Sandro mi ha accompagnato sino a Gravellona toce.
Qui avevo parcheggiato il mio mezzo presso i centri commerciali (foto
sotto). Inevitabile il contrasto tra i carrelli rigurgitanti di cibo industriale (e
figuriamoci le prossime settimane di consumismo coatto natalizio che roba …) e il ‘modello di consumo
alimentare’ del Gianni basato sul metro zero (altro che km!). Eravamo solo a pochi
km in linea d’aria da Boscopiano.
Foto 8. Il parcheggio del Centro commerciale
Appendice (dal Daniele)
Da Gravellona ho raggiunto
Arola, villaggio a 600 m nell’estremo Sud del VCO. Lo scopo: visitare il
Daniele, il socio del Gianni all’Alpe Balma. Vive in una cascina a pochi minuti
dal paese. Scherza sul fatto che si arriva prima a piedi che in macchina (il
tracciato della strada è caratterizzato da diversi tornanti) ‘quand che te seet giò cunt la machina mi uu
giamò bevuu el cafè e fumaa na sigarèta …). La casetta del Daniele (foto
sotto) è vicina
al villaggio ma isolata e non si arriva in macchina (lui, però, ha una vecchia
Panda parcheggiata a lato della strada soprastante che mi è servita per capire
che ero arrivato al posto giusto).
Foto 9. Qui abita il Daniele. La casetta
è in secodo piano, quella da dove esce il fumo (che
nelle foto si vede poco)
Di questi tempi le capre si ‘fanno’ di
castagne e, come era successo già dal Gianni, nonostante il mio interesse morboso
per le 'locali', non
ho potuto vederle. I fabbricati non sono di proprietà di Daniele e anche qui si
pone il problema degli ‘adeguamenti’. Erano rustici un tempo usati come
stalle-fienili e dove – in considerazione della vicinanza al paese – i contadini
si trattenevano solo occasionalmente a dormire. Insediamenti temporanei nella
terminologia geografica. Daniele mi fa notare come in
passato questi rustici avessero tetti di paglia (i segni strutturali sono evidenti).
Qui il
nostrio capraio ci passa tutto l’inverno.
La stanza riscaldata è una sola, dove si dorme e cucina. Tutto molto ordinato
e pulito peraltro (foto non ne ho fatte perché bisogna saper autolimitare
l’invadenza ). Anche il Daniele ha l’orto e i maiali e per lui l’autoconsumo è
un fatto non solo di ‘facciata’. Mi spiega che all’Alpe Balma il proprietario
sta eseguendo dei lavori ma che non è facoltoso e che per mettere a posto i
locali al fine di venire incontro ai requisiti dall’Asl ci vorrà
del tempo. In un deposito seminterrato sono accumulate diverse derrate (tra
l’altro delle belle zucche e tante piccole mele). In una cantina un po’ di
formaggi dell’alpe. Con queste provviste e pochi acquisti il Daniele passa
l’inverno. Oltre alle capre e al maiale il Daniele ha anche gli asini
(mantenuti entro una rete elettrica). Grazie a loro l’intorno è ben tenuto e
rasato. La
loro funzione principale però è quella di assicurare i trasporti con gli
alpeggi. Alla Balma, come in tanti altri alpeggi della valle, non si arriva con
le ‘piste forestali’ e per i trasporti da e per il fondovalle (Campello Monti
alt 1330) il quadrupede è indispensabile. Le capre utilizzano le castagne,
quelle ‘inselvatichite’, piccole, che nessuno raccoglie. Così il Daniele
aspetta la primavera. A Maggio sale all’Alpe Fissè e poi, a metà giugno, alla Balma con il Gianni. Curiosa
combinazione: anche il gatto del Daniele ‘si crede’ un cane. Non me l’ha
raccontato lui; si legge nel volume sugli alpeggi del VCO sopra citato: ‘il
gatto dell’alpeggio si chiama «Fenomeno» in quanto partecipa attivamente
insieme al caricatore e ai cani al recupero delle capre’. Così c'è scritto.
Ovvio che il Gianni e
il Daniele con gli animali hanno una ‘simbiosi’ particolare.
Il Daniele munge la capre
della Balma. Foto tratta : D. Barbaglia,
R. Cresta, C. Conti Alpi, alpigiani e formaggi dal Mottarone alla Formazza,
Alberti libraio editore, Verbania, 2009)
Nel ritorno, come dicevo in
apertura, ho ‘rielaborato’ queste impressioni ed emozioni. Ho ripensato alla
trasmissione che ascoltavo all’autoradio al mattino ‘venendo in su’. Si parlava
del vertice Fao e di ‘fame nel mondo’. Occasione ghiotta per i sacerdoti (in
questo caso una vestale) degli OGM per pontificare. Anna Meldolesi spiegava che
l’Africa si è fatta traviare dagli europei e che diversi governi ‘plagiati’ si
oppongono irresponsabilmente agli OGM. Però l’Africa non può permettersi il
lusso di rifiutarli, pena la
fame. Anzi nemmeno l’Europa può farlo per inseguire le
nostalgie del cibo naturale. Dicono proprio queste cose questi qua.
Lo sterco del demonio
E allora le riflessioni
cruciali. I 'nostalgici' come il Gianni e il Daniele con le loro capre, il loro
maiale che gli viene dietro come un cagnolino, i prati, i boschi e i pascoli
che non precipitano nell’abbandono grazie a questa simbiosi tra uomini e
bestie, rappresentano un sistema energetico altamente efficiente, sfruttano risorse
che andrebbero perdute. L’impronta ecologica di questi amici ruralpini è
leggerisima (pensiamo anche che per l’energia ‘vanno a legna’ tagliandosela nel
bosco), incommensurabilmente più leggera di coloro che abitano solo 100-200 m
‘sotto’ e che affollano i centri commerciali sempre più numerosi e sempre più
grandi. Per soddisfare la fame di carne di questi consumatori eterodiretti
sono ‘necessari’ il mais e la
soia OGM, è ‘necessario’ disboscare le foreste (poi ci si
salva l’anima con le aree wilderness in Europa). Peccato che la Meldolesi e
quelli della sua genìa non
dica che l’Europa, quella che non potrebbe fare a meno degli OGM è quella che consuma 1 q.le
di carne pro capite ‘dimenticandosi’ che oggi persino gli istituti della
nutrizione ufficiali (INRAN in Italia) dicono una cosa molto chiara, ovvero che
per salvaguardare la salute è consigliabile mangiare carne 1-2 volte la settimana (letto bene
'alla settimana' non 'al giorno'), meglio se meno. Dicono anche che le proteine
animali (quindi anche uova e latticini che pure sono meno imputati di danno alla
salute e di danno all’ambiente) vanno nel complesso dimezzate. Ingozzarci di
carne (per far girare l’agroindustria) fa aumentare le malattie
(cardiovascolari e tumorali), fa asfissiare il pianeta per via dell’emissione
di gas serra (e conseguente global warming), causa la disanimalizzazione degli
animali trasformati in cose , macchine da latte e bistecche. Che abisso tra la
condizione della scrofa del Gianni e quelle degli allevamenti intensivi forzate
a scodellare a ripetizione nidiate di 12 e più suinetti che le prosciugano
ingabbiate nelle ‘sale parto’. Che abisso tra le capre che pascolano libere,
ora in alta montagna ora nei castagneti quasi tutto l’anno all’aria aperta a
'fare le capre' e le
povere forzate del latte (mucche ma anche capre) sempre chiuse in stalla per
fornire un latte-commodity che alimenta l’agribusiness.
E allora le balle dei
sostenitori degli OGM che mirano solo ad estendere il potere della Monsanto e
C. e a fare di poche corporation i padroni assoluti del cibo e della vita cosa
sono? Sterco del demonio. I suppose.
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