- Vite
ruralpine: a sei anni in alpeggio, poi uu
fáa de tut. E
dopo i 70 anni torna a cargáa i
aalp
foto
e testo di Michele Corti
Un
racconto 'doppio'. La storia dell'alpe più bella della Val
S.Giacomo e quella di chi la carica da dieci anni, da quando aveva
già ottant'anni suonati. Storia dell'Alpe dei Piani e storia
di Dante, pastorello, sfrosaduur,
emigrante stagionale in Svizzera prima come boscaiolo
poi sui
grandi cantieri, caricatore d'alpe, trasportatore- commerciante di
bestiame, poi ancora caricatore e anche casaro. "Ma
i vach e i cavaj i uu semper tegnuu". Dante Ambrosini, classe
1919, carica da solo l'Alpe dei Piani a
2.100 m in alta Val S.Giacomo (SO). Lo fa da 10 anni e conta di
tornare la prossima stagione
(27.08.10) Finalmente
il 25 agosto (due giorni fa) sono potuto salire all'Alpe dei
Piani. Era dal fotoracconto L'Alpe
Andossi: due 'stili d'alpeggio' agli antipodi del
7 luglio che mi ero ripromesso di farlo (e l'avevo promesso a chi
legge questi racconti). Il motivo era semplice, ma di quelli che da
soli bastano e avanzano: all'Alpe dei Piani carica - da solo -
un alpée di
91 anni. Me lo aveva confermato l'amico Ettore segretario della
Coldiretti a Morbegno aggiungendo che l'arzillo personaggio risponde
al nome di Ambrosini Dante ed è di Dubino dove ha un'azienda di
vacche da carne e cavalli.
A ferragosto
il tempo eratempo deprimente; idem nei giorni precedenti il 25.
Non se ne poteva parlare di andare fin su all'Alpe dei Piani, la più
alta della valle a 2.070 m di quota. La mattina del 25 il tempo
piovigginoso, uggioso, con nuvole basse ha lasciato il posto
finalmente a un cielo limpidissimo, l'aria era fresca, la visibilità
ottima.
Condizioni tipiche dei primi di settembre dopo che i
temporaloni estivi (con tanto di 'tempeste' e nevicate sulle cime)
spazzano il cielo. da ragazzo aspettavo questa stagione per fare
tutte, o almeno un po' di quelle escursioni che ad agosto erano state
progettate ma, come sempre, in buona misura 'saltavano'. Il vantaggio
di una camminata in salita con l'aria fresca però questa volta non
mi è servito perché la salita l'ho fatta in macchina.
Gran
belle strade, peccato che le hanno realizzate fuori tempo massimo
Da
qualche anno, infatti, una magnifica strada consente di arrivare
comodamente sin lassù. Dico magnifica perché, a parte i panorami
che offre, è stata costruita come si deve: ampi tornanti, muri di
contenimento realizzati con scogliere di massi ciclopici. Questa
strada doveva essere realizzata 40 anni fa, quando gli alpeggi erano
ben caricati con grandi malghe di mucche da latte. Ora, molte
baite sono 'case di vacanza' e la maggior parte delle non
numerose bestie monticate è costituita da 'asciutti' o
'nutrici' (con sotto il vitello). Ci si può un po' consolare
pensando che allora le strade da queste parti erano
costruite con muri di contenimento in calcestruzzo non solo brutti da
vedersi ma che, ciò che conta ancora di più, dopo pochi
anni crollavano, 'scoppiavano' o si sbriciolavano (chissà se
era cemento 'depotenziato?').
Fatto sta che oggi i numerosi
alpi e alpetti della Val Febbraro, comune di Madesimo, sono
tutti perfettamente serviti da piste forestali. Una particolarità
del reticolo di piste forestali della Val Febbraro è che sono
transitabili munendosi di un'autorizzazione giornaliera che viene
rilasciata a tutti previa corresponsione di 3 € (i permessi sono
rilasciati presso il Bar-Locanda Cardinello a Isola). Qualcuno
potrebbe storcere il naso per il rischio di 'assalto motorizzato'. In
realtà il numero di baite in valle è notevole; vi sono parecchi
nuclei (basta dare un'occhiata alla cartografia).
Le proprietà sono
state in alcuni casi cedute a turisti e, anche dove sono rimaste agli
'originari', sono più quelli che salgono per 'fare vacanza' che
quelli che hanno bestiame. Il rilascio di permessi ad hoc
risulterebbe decisamente oneroso e fonte di infinite discussioni per
via dei casi 'dubbi'. Così il Consorzio forestale e dei
boschi di Isola ha deciso di istituire
l'autorizzazione-contributo di manutenzione. Il tutto definito con
delibera comunale (ai sensi della legge regionale forestale). La
strada è asfaltata da Isola all'imbocco della Val Febbraro (a 1.500
m) poi è in parte sterrata e in parte asfaltata e si inerpica
attraverso abetaie ormai (stra)mature con inesistente rinnovazione
(risultato delle le gestioni 'naturalistiche' che piacciono tanto ai
verdi e che anche le regioni nei decenni passati hanno assecondato
concedendo tagli 'stitici'). Più su lariceti alternati a rodoreti.
Più su ancora si aprono i pascoli di alta quota. Mantenendosi in
quota ed offrendo un panorama entusiasmante la strada arriva all'Alpe
dei Piani (il suo punto più alto, poi scende a Borghetto). Da
lontano l'alpe con le estensioni di pascoli in dolce pendio, le vette
che fanno da sfondo e il grandioso stallone da subito l'idea di
qualcosa di notevole.
L'Alpe
dei Piani con le vette dei Pizzi Bianco e Dei Rossi a sinistra, dei
Piani a destra. Quando ero ragazzo e salivo a piedi da queste parti
nei canaloni la neve non si scoglieva neppure in questa stagione.
L'acqua comunque è ancora abbondante.
Noto
che una cascina poco distante dai fabbricati principali è abitata
(c'è un cane a fare la guardia) e ne deduco che Dante si trova in
casa. Visto che c'è e so dove localizzarlo ne approfitto per
scattare prima dell'incontro un po' di foto dei fabbricati (si sa poi
come va a finire, si comincia a ciciarà e il tempo vola, la luce
cambia e ... non si sa mai).
Splendore
e decadenza dell'Alpe dei Piani
La vecchia
IGM 1:25.000 con i rilevi del 1932 (foglio 'Passo Baldiscio'
acquistato tanti anni fa, ma non c'è ancora 'versione' più recente)
aiuta a capire la posizione molto favorevole dell'alpe (se cliccate
sulla mappa si apre una versione ingrandita con indicazioni). Occupa
i pendi posti al di sopra del ripido solco vallivo percorso dal
torrente Febbraro e ai piedi delle cime, tutte sopra i 3.000 m dei
Piani (due come gemelle) e del Pizzo Bianco e dei Rossi (anch'esse
prossime). Nella foto sopra da sinistra il P.zzo Bianco, quello dei
Rossi e, spostate a destra e parzialmente coperte dalla nuvola, le
cime dei Pizzi dei Piani. Sono pascoli poco sassosi e ricchi d'acqua.
Mappa
IGM 1:25.000 (rilievo anni '30) Cliccare sulla mappa per ingrandirla.
La freccia indica la localizzazione dello stallone. Il cerchio la
casa dove abiota Dante; il cerchio più piccolo le case al piede
dell'alpe
Nella
foto sotto si vedono il casèl del lacc, il locale semi
interrato per la conservazione del latte e l'affioramento della
panna ( a sinistra) e una cà, completamente
diroccata, alla testata dell stallone (le montagne sullo sfondo sono
il gruppo del Suretta, con quello che resta del piccolo ghiacciaio).
Il casel
del lacc (a sinistra) e una cà diroccata (in testa allo
stallone)
Il
fabbricato più suggestivo è senza dubbio lo 'stallone'. E' rimasto
in piedi sino a vent'anni fa. L'ho ripreso da tutti i lati (nella
foto sotto il lato lungo a NO e il lato corto a NE).
Lo
stallone(lati NO e NE). Sullo sfondo le pietraie della Cima di Barna.
Il
dettaglio (foto sotto) mostra i travetti ravvicinati che
sostenevano le piode e i contrafforti di rinforzo del muro laterale.
Richiamano quelli dei una cattedrale romanica. Lo stallone manca in
elevazione rispetto alla cattedrale, è più stretto ma emana una sua
suggestione e maestosità.
Lo
stallone(lato NO. Si notano i contrafforti che aiuavano a sostenere
la spinta della pesante copertura.
Il
lato SE si presenta molto spanciato (notare la sinuosità della linea
di gronda) nonostante i robusti contrafforti.
Lo
stallone(lato SE). Si notano i contrafforti ce gli spanciamenti
E'
all'interno che lo stallone rivela la sua condizione di rudere ormai
prossimo al crollo decisivo. La parete a SE è fortemente
inclinata (anche perché è gravata dal peso della copertura dato che
la falda del tetto a SE è ancora appesantita dalle piode), le travi
delle capriate sono sconnesse.
L'interno
dello stallone. Si notano l'inclinazione della parete a destra.
Questo
stallone è il più grande di tutti gli alpeggi della la Val
Chiavenna. Un primato che si spiega con il fatto che sono pochissimi
in Val Chiavenna gli alpeggi unitari. La stragrande maggioranza degli
alpeggi in questa valle della provincia di Sondrio (costituita da
Valtellina, Val Chiavenna e Livignasco) sono rappresentati da
multiproprietà dotate di numerose cascine dove ogni famiglia
lavorava il latte e ricoverava il proprio bestiame, in autonomia. Una
regola che vale anche per la Val Febbraro. L'Alpe dei Piani, che fino
agli anni'40 era di un solo proprietario e dove la gestione era
affidata a un affittuario con numerosi salariati è una vera e
propria eccezione che conferma la regola (in realtà vi è anche
qualche altra alpe privata o con pochi proprietari ma più piccole,
vedasi l'Alpe Zocana al Pian dei Cavalli (altipiano che chiude a S la
stessa Val Febbraro). Nello stallone si produceva parecchio letame
che fertilizzava il sottostante 'grasso'. Il 'grasso' era cinto da un
muretto a secco (in parte ancora visibile) per impedire l'ingresso
del bestiame prima dello sfalcio. Lo sfalcio veniva eseguito ad
agosto data l'altitudine sino a trent'anni fa.
La produzione di fieno
era notevole. Molto in eccedenza rispetto alla necessità di 'scorta'
per l'alpe e quindi veniva venduto agli abitanti di Isola i quali,
una volta caduta la neve, salivano sin quassù e portavano a
casa il fieno con le slitte (queste informazioni informazioni mi sono
state fornite dal genero del Dante, Sig. Noseda, salito con la
moglie a trovare il suocero verso la fine della mia visita a
pomeriggio inoltrato). Questo sistema della vendita del fieno (non
certo positivo per il mantenimento della fertilità dei pascoli) era
praticato spesso sugli alpeggi della Val S.Giacomo (SOCIETÀ AGRARIA
DI LOMBARDIA, 1904).
Il
'grasso', grazie alla presenza del bestiame è ancora tale anche se
viene utilizzato solo per il pascolo. Nella foto sotto vediamo il
grasso ma anche (in alto a sinistra) una cà completamente
ricostruita (a fianco vi è un altro fabbricato più piccolo che
serviva da cantina e quindi un altro rudere (che nella foto non si
può distinguere). Tutti i fabbricati e i ruderi sono indicati nel
rilievo del 1932.
La
nuova cà ricostruita (in alto a sinistra). In primo piano il
'grasso' una volta (trent'annio fa) sfalciato. Sullo sfondo il gruppo
del Suretta con il piccolo ghiacciaio.
Nel
frattempo scorgo un uomo seguito dal cane che si dirige verso gli
animali al pascolo. E' munito di lungo bastone ed è sicuramente un
alpeggiatore ma stento a credere che sia il Dante che sto cercando. l
passo è sciolto e sicuro, la schiena diritta. Se è l'Ambrosini
dimostra 15 anni di meno. Il dubbio è subito sciolto quando a
domanda risponde di essere lui il Dante Ambrosini. Chiedo conferma sul
fatto che abbia 91 anni. 'Non ancora faccio il compleanno tra due
mesi'. Inizio a spiegare il motivo del mio interesse per lui, per le
sue storie, per la storia dell'alpe quando sopraggiunge
un'escursionista diretta al Lago Grande (di Baldiscio). Con piglio
deciso il Dante (foto sotto) fornisce tutte le spiegazioni del caso.
Dante
indica la via ad un'escursionista. Il tenero cagnotto sorveglia le
mucche.
La
ciciarada non si preannuncia breve. Dante non si meraviglia più di
tanto che ci si interessi alle sue storie, si vede che ne ha molte da
raccontare e che non gli dispiace affatto farlo. Così si fa
dietro-front e seguiti dal cagnot si va verso la cà (così
mi dimentico di fotografare il bel branco di cavalli Haflinger che
pascolava poco più in altro). Il fabbricato non si presenta in
grandi condizioni. Saliamo al livello superiore dove c'è il 'vano
unico'. Come tutte le cascine di questi alpeggi in un solo locale si
preparano e si consumano i pasti, si lavora il latte, si
soggiorna. Tutto è in ordine e pulito.
La
vecchia cà dove abita Dante (al livello superiore dove si
accede con la scala esterna)
Il
racconto prende avvio dall'alpe. Fino al '43, racconta Dante, era di
un proprietario unico, tale Pozzoli che possedeva anche la Cascina
Bodengo a Samolaco. La Cascina Bodengo è abbastanza famosa in Val
Chiavenna non solo perché è in fregio alla SS 36 'Del Lago di Como
e dello Spluga' ma perché era l'unica azienda capitalista, stile
bassa Lombardia, della zona. Con gran bei prati meno suscettibili
alla siccità come la maggior parte di quelli della bassa Val
Chiavenna ricavati da bonifiche delle 'gere' della Mera (alluvioni
ghiaiose). Il fatto che Bodengo e l'Alpe dei Piani fossero della
stessa proprietà la dice lunga sul carattere eccezionale di
quest'alpe: la migliore cascina del piano legata alla migliore alpe
dell'alta valle.
Non
a caso quest'alpe era stata aspramente contesa tra il comune di
Mesocco (capoluogo della Valle Mesolcina nell'atuale Canton Grigioni)
e quello di Chiavenna nell'XII secolo. L'aspra contesa che durava da
mezzo secolo era stata risolta con la divisione della grande alpe
chiamata allora Alpe di Rasdeglia (dal nome di una
località sopra
Isola abitata in passato in modo permamente)(BECKER C. , 2002).
Ma
torniamo a tempi più recenti. Sfortuna vuole che la già citata
indagine sugli alpeggi dei primissimi anni del '900 si ... dimentica
dell'alpe dei Piani. Nella tab. a p. 150, con la
'statistica' che indica il numero dei comproprietari e quello delle
'vaccate', l'alpe dei Piani è dimenticata. Sappiamo dal testo, però,
che l'alpe dei Piani con poche altre (Zocana, Macolini) era gestita a
'mandria unica'. Nelle altre (17 su 20) ogni
proprietario/affittuario faceva pascolare le proprie bestie come e
dove voleva. Ai Piani come nelle altre alpi gestite in modo
'unitario' la cosa era possibile perché i comproprietari erano
pochi. Alla sottostante alpe Borgetto, per fare un confronto, i
proprietari un secolo fa erano ben 150 (su 194 'vaccate').
L'inchiesta si un secolo fa ci dice solo che i proprietari erano
'pochi', che la gestione del pascolo era unitaria ma non ci dice
nulla sul numero di vaccate. Riguardo ai fabbricati si nota che sono
costruiti con tronchi di legno incastrati (tecnica localmente nota
come cárden, in architettura blockbau). Lo
stallone non esistava ancora (sarebbe stato citato). Sarà stato
realizzato a cavallo della grande guerra. La presenza di diversi
fabbricati più o meno decentrati nella mappa del '32 (fabbricati
tutt'ora in sito e con le caratteristiche delle classiche cà
'autonome') conferma la presenza di più proprietari anche nei primi
decenni del '900. In ogni caso per un certo periodo, a metà del
secolo scorso, la proprietà parrebbe concentrata in un unico
soggetto.
I
pascoli erbosi dell'Alpe Piani che salgono a 2.500 m. A sinista in
basso alcuni vitelli. Sotto i fabbricati la malga delle mucche (manze
e cavalli pascolano per conto loro)
Nel
'43 i Pozzoli che la detenevano fecero fallimento e l'alpe è
finita alle banche. Dalle banche è poi passata in blocco alla
famiglia Ghislanzoni, grossi commercianti dell'Alto Lario. La casa e
20 'erbate' appartengono ancora ai Ghislanzoni ('la Bianchina del
'23, sta a Domaso') 1
Nel
tempo, però, i Ghislanzoni hanno ceduto la maggior parte della
proprietà, che ha quindi subito quel frazionamento che pare il
destino comune degli alpeggi valchiavennaschi. Le origini del
frazionamento sono diverse (unità demiche intere che formalizzavano
i propri diritti di possesso in termini di proprietà, semplice
effetto delle successive successioni ereditarie, vendite frazionate
come in questo caso). Il grosso (con lo stallone e gli altri
fabbricati, il 'grasso' e 50 erbate) è di proprietà dei Bianchi
Bazzi, una famiglia di industriali di Lecco originaria dell'alto
lecchese (Vestreno in Valvarrone). Questa famiglia avevan sio a
poco tempo fa un'azienda agricola con 300 vacche da latte ad
Airuno (10 km a S di Lecco). I Bianchi Bazzi (l'architetto e i figli)
sono tutt'altro che proprietari assenteisti. Lo dimostra la cà ben
sistemata (in fase di finitura all'interno) con ampie aperture, pur
nel rispetto della volumetria e dei materiali originali. Pur avendo
case a Madesimo si vede che sono interessati a soggiornare quassù
(un posto facilmente raggiungibile in fuoristrada, con vista
superba data la posizione dominante sulla Val S.Giacono e...
decisamente 'esclusivo').
Oltre ai Bianchi Bazzi altre frazioni della
proprietà sono state cedute ai Quadrio (titolari della più
importante impresa di costruzioni della Valtellina e, guarda caso,
proprietari della Cascina Bodengo). I Quadrio detengono 30 erbate ma
senza fabbricati. Fin qui i proprietari 'borghesi'. Di frazioni
più piccole (15-20 erbate) sono proprietarie anche famiglie
contadine (Geronimi di Regoledo e Pelegatta di Dubino). Queste
proprietà sono dotate di case (al piede dell'alpe, la più bassa a
1.966 m). I Pelegatta sono stati gli ultimi caricatori dell'alpe
prima del Dante (che ha iniziati a caricare qui 10 anni fa). Ricordo
personalmente il Rineo che negli anni '80 era su da solo e produceva
delle formaggelle (le foto sotto sono dell'estate 1988).
Il
Rineo che caricava l'alpe dei Piani prima di Dante
Il
Rineo mi pareva un 'vecchio pastore'. Rispetto al Dante era
un giunót. Ai tempi del Rineo la parte alta dell'alpe
era utilizzata solo dai cavalli e il Rineo utilizzava con le sue
poche mucche i pascoli più bassi vicino alla sua cà. Solo 10 anni
prima le cose erano completamente diverse. L'alpe funzionva
ancora e
lo stallone era ancora in piedi. Erano pascolati 174 ha (su 274) con
45 vacche, 50 manze, 61 vitelli e un cavallo. Il declino comunque era
in atto e vi era già sottocarico (dati dall'indagine regionale del
1978-70, ERBA G., GUSMEROLI F., RIZZI I., 1986).
Oggi Dante carica da solo una ventina di vacche (di cui 3-4 da
latte e le altre 'nutrici' con sotto il vitello), più una dozzina di
manze, un toro e 25 cavalli (compresi i puledri). I bovini sono
suoi e sono di razza del tutto indefinita.
La
componente carne è data non solo da Blu Belga ma anche da Chianina,
poi c'è Bruna, Pezzata Rossa, Frisona ecc. 'Incrocio tutti della mia
testa' dice Dante. I cavalli 'per la maggior parte sono miei' e
di pura razza Avelignese (Haflinger), ci tiene a precisare
Dante. Le bestie non sono poche. Di uomini, invece uno solo. Pensare
che ai 'tempi d'oro' ce n'erano 28 (la fonte anche in questo
caso è il genero del Dante). Ma già il Rineo era solo.
Ricordi
di gioventù
Chiariti
parecchi aspetti della storia dell'alpe Dante inizia a raccontare la
sua vita. L'alpeggio rappresenta il capitolo iniziale ma anche quello
più recente. Pare un paradosso ma fa parte della vita di parecchi
ruralpini. La prima stagione è stata quella nella Valle dei Ratti
(in bassa Val Chiavenna). Aveva sei anni e dopo la cresima lo zio
(uno zio si soli 15 anni) l'ha portato su. Il compito: curare
i manzöö (la voce è al maschile anche per le
femmine in lumbaart). Il secondo anno all'Alpe di Avero
(bassa Val S.Giacomo, comune di S.Giacomo e Filippo). Il terzo anno
in Val di Lei (Alpe Palù). Prima della costruzione dell'enorme
sbarramento idroelettrico vi erano grandi alpeggi e i pascoli erano
utilizzati anche dai pastori transumanti bergamaschi. Il lavoro di
Dante consisteva sempre nel curare i manzöö. 'A mesdì
mangiavi la pulenta cunt i peguréer'. Dai pastori
professionisti che 'giravano il mondo' il pastorello di 8 anni
avrà appreso chissà quante storie, ma anche utili conoscenze.
Un contatto, sia pur indiretto, con il mondo che i transumanti hanno
sempre girato e non possono non conoscere. C'è da giurare che avrà
lasciato un impronta in quel bambino che poi, però, per 14 anni
passerà l'estate all'Alpe Morone nella conca di S.Sisto (comune di
Campodolcino, media Val S.Giacomo). Della sua infanzia per il resto
non racconta molto se non che quando andava a scuola curava le capre
(20-30) dello zio. A Morone stava con la mamma, la zia un cuginetto
più giovane. L'atmosfera di quello stile d'alpeggio, matriarcale, me
la posso ben immaginare. Negli anni '70 da ragazzo mi colpiva molto
la quantità di gente che abitava i piccoli villaggi estivi della
conca. Era pieno di bambini e ragazzi; allora la distanza
antropologica era palpabile, erano vestiti 'da contadini'. Si
comportavano 'da contadini'. Non parliamo della lingua che, allora,
era per me incomprensibile. Dopo pochi anni tutto questo è quasi
scomparso e le baite hanno inziato a restare sempre più deserte. Per
anni sono state le donne (sempre più le nonne, sempre meno le
giovani spose) a 'mandare avanti' l'alpe. Nelle foto sotto due donne
dell'Alpe Morone da me fotografate negli anni '80, credo 1986).
Alpe
Morone, 1986
La
famiglia di Dante aveva 2-3 vacche, la famiglia allargata 10-12. Nel
frattempo Dante da pastorello passa a pastore; impara a mungere e
deve trasportare il latte a cà. 'I vach i a lassavum sü a durmì
e purtavum giò el lacc cunt el brentèl (bidoncino di
alluminio con cinghie per trasporto a spalla). 'A 14 anni sa cosa
abbiamo combinato?' All'insaputa di mamma e zia da in
custodia 1
o 2 mucche e con i soldi ricavati decide di fare il piccolo
contrabbandiere. Si trascina dietro il cuginetto di 11 anni e sale al
Passo di Barna (2.547 m) dove passa il confine con la Svizzera, da
qui giù all'Alpe di Barna (1.741 m) e a 'Mezzocco' (Mesocco). A
Mesocco c'è l'acquisto di 14 kg di zucchero. I negozianti commossi
dalla vista di due ragazzini senza scarpe (ghevum i zócur de
legn) ' i finissen puu de fáa regaj'. Risalire da
Mesocco sono 1.800 m di dislivello poi non sarà stato uno scherzo ma
chissà con quale fierezza i nostri piccoli eroi avranno trasportao
quel zúcher.Mamma e zia, contente per lo zucchero,
perdonano la marachella. Pragmatismo contadino.
Autoiniziato
a náa de sfróos dopu ... uu cuminciáa a náa inánz'. 'Se
te se rangévet mia era grami'. I 14 kg diventano mezzo
quintale, ma con un trasporto più comodo. In fondo alla conca di S.
Sisto sino agli anni '60 c'era una cava di pietra (piöt per
i tetti). La cava era sotto il Picco Montagna vicinissima al confine
(a ca 2.600 m). Della teleferica che portava già il materiale a
S. Sisto e poi di qui a Starlegga ci sono ancora le tracce. Non
sapevo che prima della guerra c'era anche una teleferica che portava
giù i piöt in Svizzera. Contemporaneamente
ai carichi di pietre che scendevano salivano i sacchi da mezzo
quintale di zucchero, pronti per essere caricati su spalle robuste.
Eravamo 20 uomini a fare il trasporto sino a dove adesso c'è il
ponte (sulla strada, realizzata non molti anni fa che da Starleggia
porta a Morone). Passata la valle c'era un camion ad aspettare.
Alpe
Morone, 1986
La
guerra
La
'normale' vita da montanaro è bruscamente interrotta dalla guerra.
Chiamato alle armi Dante va da recluta ad Aviano. Da qui passa alla
mensa della scuola ufficiali dell'aviazione a Pordenore. Impara
rapidamente da un professionista il mestiere e diventa cuoco. L'8
settembre scappa subito in borghese verso casa. Ha l'accortezza di
scendere dal treno prima di Treviso poi con un commilitone padovano
attraverso le campagne raggiunge la cascina della sua famiglia. Di
qui in treno a Brescia, Bergamo e a casa.
L'attitudine
a scappare è ormai acquista. Sfugge ad una retata nella quale
vengono presi tutti i suoi compagni in fuga all'8 settembre e
renitenti alla leva ('stavamo giocando a carte ...'). Sale in
montagna con i partigiani ma l'esperienza è di brevissima durata.
Durante un pesante rastrellamento, quando già la colonna delle
Brigate Nere sta ridiscendendo a valle un compagno con una raffica di
'parabellum' uccide un milite. Vengono presi con le armi in pugno.
Quindi tradotti a Morbegno e poi a Sondrio ('nel palazzo dei
Balilla'). 'C'erano due fratelli di Talamona dei criminali, volevano
impiccarmi, ma il capo di tutti i fascisti della Valtellina
(comandava 3.000 fascisti), che era una brava persona, mi ha fatto
consegnare ai tedeschi' 2.
I
tedeschi lo portano nelle carceri di Bergamo e la condanna a morte
viene pragmaticamente commutata in lavoro coatto in Germania. Un buon
affare per i tedeschi e la salvezza per Dante. Intrapredente e
volenteroso Dante lavora nel cantiere di uno stabilimento meccanico a
40 km da Kassel riesce a cavarsela bene e a instaurare ottimi
rapporti con i compagni di lavoro tedeschi (marinai
della Kriegsmarine che, data le scarse possibilità
operative della flotta, sono destinati allo sforzo industriale
bellico).
Il
panorama dalla cà di Dante: a sinistra il Suretta, a destra l'Emet
(3.209 m)
Anche
in Germania l'esperienza di sfosaduur viene messa a
frutto. Un suo compagno di notte produce pentole d'alluminio ma non
ha lo spirito del venditore. Ci pensa Dante a commercializzare le
pentole in cambio di 'filoni di pane e patate' dispensate anche ai
compagni. Stesse doti di intraprendenza e solidarietà in fabbrica.
Quando lo zuccherificio di Kassel viene bombardato dagli americani si
fa 'coprire' dal compagno di lavoro-responsabile (che 'timbra') e va
'in fuga' a Kassel. Approfittando dell'allarme riesce a portare via
dallo stabilimento bombardato una fodera (da letto ... ci si
arrangia) piena di zucchero (non del tutto raffinato). Con lo
zucchero era un po' che aveva imparato a trafficare (la vita di Dante
è piena di ricorsi).
Il
'bottino' viene diviso con i compagni di lavoro tedeschi. I tedeschi
che dipinge Dante non sono quelli degli stereotipi: i
marinai-meccanici erano bravi. Come aveva imparato, sulla sua pelle,
a distinguere tra fascisti e fascisti Dante distingue ora anche
tra tedeschi e tedeschi ('era il poliziotto locale, che aveva anche
il compito del controllo del campo, che era una carogna'). Alla fine
della guerra, per non aspettare di essere trasportato dagli
americani, con qualche compagno, in sella a bici rubate attraversa la
Germania ('uno era riuscito ad avere una cartina stadale'). A
Innsbruck gli americani li portano in una valle con altre migliaia di
ex-prigionieri da rimpatriare in Italia. In questo caso la voglia di
far da sé e di scappare non ha portato vantaggi: nel campo trovano i
loro compagni di prigionia che si erano lasciati 'gestire' dagli
americani.
Intanto
che Dante parla della sua vita il tempo scorre. Ho imparato a
rispettare i tempi della narrazione. Chi 'intervista' è interessato
a certi aspetti ma il testimone che narra ha le sue priorità.
La memoria personale ha delle gerarchie che non possono essere
forzate. Bisogna lasciare parlare. Certo ci vuole tempo ma è proprio
questo quello che distingue il turista da chi vuole capire, studiare,
comprendere una realtà è il tempo. Devo ammettere che l'ansia di
'intervistare', interrogare, fotografare è stata in me inibita dalla
lettura (non molti giorni fa) di un bel libro di Marco Aime (M. AIME,
2005). Un libro forse più bello di altri dello stesso autore,
forse perché espressione di un vissuto personale. Aime è
stato viaggiatore e accompagnatore turistico in paesi 'esotici'
prima di divenire antropologo di mestiere. Aime parla dell'ansia di
ottimizzazione del tempo del turista che vuole vedere (ma,
soprattutto, fotografare, quante più cose possibili. Ciò vale anche
per il turismo 'responsabile' che per offrire prodotti che reggano
sul mercato deve assecondare l'ansia 'turistica' (che condiziona
anche i 'turisti responsabili'):
Ne
consegue una relativa compressione che va a scapito del tempo
richiesto da ogni incontro che voglia dirsi tale e così, fra la
fretta del turista e la lentezza del nativo, ancora una volta
l'incontro si rompe'
Nel
mio caso non si tratta di incontro tra 'turista' e 'nativo' ma l'idea
che l'incontro 'che voglia dirsi tale' richieda tempo e non vada
condizionato da ritmi estranei l'ho fatta mia. Così, dicevamo, il
tempo passa. Dante ad un certo punto si interrompe e scalda
il minestrone. Me ne offre una scodella che consumo volentieri.
Segue l'assaggio del formaggio (ma di questo dobbiamo parlare dopo).
Nella foto sotto Dante ai fornelli; in primo piano la pentola per la
lavorazione del latte. La differenza è che ora pietanze e latte si
scaldano sul formello a gas invece che sul focolare.
Epopea
del contrabbando
Fedele
al principio: 'Se te se rangevet mia era grami' Dante
appena tornato a casa non riesce a stare fermo. I ponti sul Po sono
ancora bombardati ma gli viene in mente di andare a Genova a prendere
il sale che era diventato merce rara. Passato il Po con i traghetti
caricano (erano in due) il fatidico 'mezz quintal'. Ma
arrivato a Pavia Dante pensa bene che 'chi l è el siit del
riis'. Caricano l'altro mezzo quintale.
Spalloni
di pianura per una volta, memorabile, nella vita. Ben più
difficili da tarsportare saranno per Dante le bricolle degli anni che
seguiranno su e giù per gli aspri sentieri, praterie, nevai,
ghiaioni delle valli tra il Lario e la bassa Val Chiavenna e la bassa
Val Mesolcina. Dante non stacca mai il cordone ombelicale con la
terra, con le vacche. Ha sempre la sua vacca ma, preso dal
contrabbando 'i práa ghi uu fáa segáa d un omm' [ho
incaricato un uomo di fare il fieno]. I sentieri del contabbando
si intecciano ancora una volta con quelli dell'alpeggio. Di più: i
guadagni del contrabbando sono subito investiti in terreni, terreni
su in montagna, sopra Stazzona pagati molto di più del loro valore
(è 'la passione', onnipresente chiave interpretativa dell'agire
contadino, che spiega l'agire apparentemente poco razionale agli
occhi del calcolo economico, dell'egoismo,
dell'individualismo cittadini).
Dante
si procura merce da portare in Svizzera per barattarla cunt i
sigarèt. Nell'immediato dopoguerra anche in Svizzera c'era
carenza di generi alimentari e il riso (ma no solo) nava dent alla
grande. 'Travi insèma el butéer de la Val di
Rat' [raccoglievo il burro in Val dei Ratti] (la Valle dei
Ratti, guarda caso, era quella dove Dante aveva iniziato la sua
carriera di alpée a sei anni). I passi per andare
in Svizzera sono quelli classici: S. Jorio, Vincino. 'Mi uu purtáa
fö de tut' e cita alcuni esempi:
biciclette, cani da caccia). Tutto un 'dent e
fö'. Punto di riferimento per trattare la merce in Svizzera
era sempre Roveredo. Nella bassa Mesolcina.
Ma
dopo il periodo 'caldo' dell'immediato dopoguerra accetta di lavorare
(anche) come stagionale 'nei boschi'. Il lavoro si svolge nella
bellissima Val di Cama, una profonda valle laterale della Mesolcina
in collegamento, con aspre bocchette, con le valli Bodengo (laterale
bassa Val Chiavenna) e di Livo (alto Lario occidentale). Il lavoro di
boscaiolo è integrato da quello di contrabbandiere (il prima
diventa, però, quasi una copertura) 'me piasiva mia lauráa in de
l busch'. Contrabbando spericolato 'ma semper
de per mi, suul'. Con questo Dante vuole dire che non hai
fatto lo spallone alle dipendenze di 'caporali' ma sempre in modo
autonomo gestendosi la merce.
Il
percorso da Cama prevedeva il passaggio della 'bucheta
de Darengh' 3 quindi
la discesa della Val Bodengo sino a Gordona, di qui al 'Punt
del pass'.
Si vanta che la Finanza non è mai riuscita a prendergli un sacco 'mi
me n aan purtáa via gnáa vuun' [a
me non sono mai riusciti a portarlo via]. Per la verità una volta il
'sacco' la Finanza è riuscita a prenderglielo ('ma me lo sono
ripreso'). Quest'ultima è una vanteria comune nel mondo
degli sfrosaduur. Episodi
rischiosi ce ne sono stati: uno ha per teatro 'el
punt de la maja vaca'
sopra Roveredo. 'Serum
in cinq'. Bagnati
fradici. La neve era marcia dalla parte di qua mentre di là era
ancora crostosa.
'Mi ghevi na vista bestiale e
disi: ghè là quaj coss su l punt'.
'I
guardi svizer che eren drée a guardamm cunt el binocolo e i a
muláa el can'. Segue
una scena convulsa con Dante che 'ghe
duu una stangada al can', il
cane che torna coda tra le gambe dalle guardie, queste che
sparano, i contrabbandieri che si dividono e fanno perdere le tracce.
Scena ancora più drammatica sopra Consiglio di Rumo. Finanza
appostata che non lascia passare, Dante che si lancia di corsa
inseguito da una raffica 'de
parabellum'.
Atmosfere dense di coraggio, fatica, violenza, onore (e
tradimento), generosità, smargiasseria. Riprese dall'ormai
copiosa memorialistica sul contrabbando moltiplicatesi in anni
recenti (ma con un un precedente 'alto' di un racconto
gaddiano de l'Adalgisa dove, peraltro, le tinte che prevalevano
erano quelle fosche - C.E.GADDA, 1974).
Ora
a distanza di tanti anni Dante ammette che si sentiva troppo sicuro
di sé e che ha rischiato troppo. E' di quelli che non hanno paura di
niente.
Il
panorama dalla cà di Dante: a sinistra il Pizzo Groppera, a destra
lo Stella con un residuo di nevaio
Sui
grandi cantieri della Svizzera ma poi, per causa di forza maggiore,
ritorno all'alpeggio
Lavorando
'ai busch'
in Val Mesolcina viene a sapere che nel Vallese cercano manodopera
per il cantiere di una grande diga. Paga molto elevata in confronto
al lavoro di boscaiolo, ma lavoro durissimo e nocivo. Dante è
sottoposto ad una visita medica accurata. Il lavoro è nei 'cassoni'
in un'atmosfera infernale con l'aria resa irrespirabile dai martelli
pneumatici. E' durata un mese perché 'a
l mè socio a ghe vegniva fö el saangh di urecc; ma a mi fava
nagot'. Ma
allora essere 'soci', l'amicizia, era una cosa importante. Dopo un
mese, però, Dante ritorna dalla stessa impresa e viene destinato
alla costruzione di una grande galleria sul Lago dei Quattro Cantoni.
Il lavoro è sempre stagionale. I turni sono interminabili '32
ur de fila'.
Da questo cantiere passa poi a cantieri a Zurigo città. Erano in
corso grandi demolizioni per costruire grandi palazzi (cita una banca
e la casa di riposo). Nel 48 subisce un grave incidente sul lavoro.
Colpito da un blocco di cemento cade a terra e urta violentemente la
testa subendo una commozione cerebrale. Deve tornare a casa. Ma
appena a a casa si rimette subito a lavorare. Inizia da qui la
seconda fase da alpeggiatore della durata di 13 anni. Tra le località
che Dante cita di più relativamente a questo periodo vi è Livigno
(con la Val Federia e il Foscagno). A Livigno il latte veniva portato
alla Latteria.
Ghevi
el camion (trasportatore-commerciante)
Dal
'63 al 77' Dante l'attività principale di Dante è consistita nel
trasportare e commerciare bestiame (bovino per lo più). 'Ghevi el
camion'. Non erano pochi ai tempi a svolgere questo servizio e il
lavoro non mancava. Oltre a trasportare le bestie in alpeggio (e
farle ridiscendere) Dante caricava gli animali (vitelli e vacche a
fine carriera principalmente) da portare all'ingrasso o
al macello.
Li comprava direttamente all'allevatore e li rivendeva. La sua
conoscenza di tanti alpeggi e di tanti allevatori l'ha certo
agevolato nel suo lavoro. Trattava non solo con gli allevatori della
Valtellina e Valchiavenna ma anche con quelli dell'Alto Lario e della
Valsassina. Il bestiame della montagna finiva in Brianza (i vitelli
in particolare vicino a Missaglia), ma a volte anche direttamente a
Milano. Dante ricorda bene come a Milano i vitelli della vecchia
razza Bruna alpina (di ceppo svizzero originale) facessero una gran
figura in confronto a quelli che provenivano dalle aziende della
Bassa. Quanto alla frequentazione di Livigno e alle esperienze di
contrabbando sono servire a Dante ad essere un protagonista (ma in
tempi ancora 'eroici') del contrabbando di bestiame dalla Svizzera
attraverso Livigno. Per farmi raccontare qualcosa di più gli dico
che conosco bene il percorse del bestiame di contrabbando da Tre
Palle attraverso la Val Pila sino all'Alpe Trela e poi giù per le
Bocche di Trela scendendo a Isolaccia (dove c'erano i camion pronti a
caricare). Nonostante questo Dante ha un certa ritrosia a
parlare di questo 'traffico' meno eroico di quello con le
bricolle nel primo dopoguerra. Tra trasporto, commercio e un po' di
contrabbando Dante, che è originario di Cercino (ma dopo la guerra
la famiglia non aveva più nulla), ha acquistato con i frutto
del suo lavoro l'azienda a Dubino. E' sita nel Pian di
Spagna quasi sul confine con la provincia di Como (comuni di Gera
Lario e Sorico). Oggi è ancora titolare dell'azienda ma
limitatamente ai cavalli; le vacche nutrici sono intestate alla
figlia Clementina (hanno due partite IVA distinte). 'Mi i vach e i
cavaj i uu semper tegnuu' ci tiene a sottolineare Dante. Però in
formaggio non l'aveva mai fatto. Da ragazzo a Morone lo faceva la
mamma. Nelle sue altre esperienze d'alpeggio non s'è mai prestata
l'occasione (a Livigno, come visto il latte si usava già begli anno
'60 portarlo giù in paese alla Latteria).
Ha
imparato a fare il formaggio da solo già settantenne seguendo la
'ricetta' di uno zio 'de la mè pora dona' che portava le sue
bestia alla vicina Alpe Vamlera.
Alpe
Vamlera di dentro (c'è anche Vamlera e Vamlera di fuori). Queste
baite sono visibili dalla strada che sale all'Alpe dei Piani e
raggiungibili da un ramo della stessa.
Anche
nella sua terza stagione d'alpeggio, all'età in cui gli altri
sono in pensione, Dante ha continuato a mantenere un approccio
'ardimentoso', quasi temerario. Si vanta che quando era sugli Andossi
cacciava su il bestiame dove nessuno osava farlo, 'su verso la
cava' 4.
Quando si parla di formaggio non posso fare a meno di scattare
qualche foto. Mi incuriosiscono lo spino professionale e
da rudèla appese
al muro. Penso che a inizio stagione ci sia più latte e che
probabilmente si usa caldèra vera
e propria.
Spino
e rudèla
La
forma del giorno prima è ancora caricata da delle belle pietre
scure. Però Dante quando vede che intendo fotografarla così,
caricata, le toglie. Ci tiene a far vedere il suo formaggio 'nudo'..
Chiedo
di vedere anche la piccola cantina. Ci sono una quindicina di forme a
metà tra grosse formaggelle e piccoli formaggi (non più di 4 kg).
E' formaggio grasso (salvo una leggera spannatura del latte mantenuto
in caldaia dalla sera). Quello che assaggio 'non ha neanche un mese'
ma data la ridotta dimesnione e la maturazione più rapida assomiglia
molto ad un Bitto giovane. Ed è anche migliore di tanti Bitti fatti
usando le 'bustine' e somministrando diversi kg di mangime alle
bestie.
Dante
mi fa vedere la paletta che usa per somministrare un po' di mangime
alle mucche in lattazione 'giusto per farle venire'. E' molto
piccola. Per mungere le 3-4 mucche da latte (le altre, come visto
hanno tutte sotto il vitello che 'tetta') le porta nella stalletta
legate alla mangiatoia (foto sopra). Oggi ci meravigliamo che una
persona possa riempire la giornata mungendo e lavorando il latte di
3-4 mucche ma un tempo lo si faceva anche per 1-2. Nell'economia di
sussistenza contadina 1-2 mucche erano una ricchezza e andava
'coltivata'. Comunque ci sono anche le vacche nutrici da sorvegliare
e spostare e il branco di cavalli. Il pascolo è ben tenuto ('prima
era un disastro' ci tiene a sottolineare Dante). Intando ci siamo
portati di nuovo all'aperto e mi preparo al congedo. Da quando è
iniziata la 'ciciarada' sono passate quasi 6 ore. Arriva però un
grosso pick-up. 'E' il mio genero'.
La
macchina parcheggia e scendono il genero e la figlia. Il genero ha
una ditta di idraulica e i due nipoti lavorano con il padre. Però la
madre assicura che danno una mano anche in stalla a lei e al nonno.
Abitano tutti insieme. Era un po' di giorni che la figlia e il
genero non salivano perché c'era da finire di fare il
fieno. Di regola, però, salgono una volta la settimana. E' anche
grazie al genero se la vecchia cà dei Ghislanzoni (della
Bianchina') è stata resa abitabile e rimessa un po' in sesto. Del
resto il genero dimostra di conoscere bene la situazione e la storia
dell'alpe (è la fonte di alcune delle informazioni riferite
all'inizio). La figlia Clementina, che in
inverno accudisce
le vacche e a cui sono intestate, conosce bene i proprietari
e
riferisce che i Bianchi Bazzi (la 'Bianchina' non c'è bisogno
di dirlo) hanno garantito al papà che finché campa l'alpe la carica
lui. E Dante, animato da una energia inesauribile, è ben
intenzionato a salire per altre stagioni. E mi invita a venire a
trovarlo l'anno prossimo. Vado pensando che qualche ragazzo potrebbe
venire qui, dare una mano a Dante che potrebbe fare maestro
d'alpeggio e di vita.
Note
1. L'erbata
è l'unità di diritto di pascolo per una 'bestia grossa' che nella
denominazione si ricollega direttamente al latino medioevale:
'erbaticum', il termine che va per la maggiore in zona è 'vaccata',
ma Dante utilizza il più elegante 'erbata').
2. La
memorialistica, di parte RSI, riferisce che tale Rino Parenti, capo
della GNR (o del partito?) finì in carcere dopo il 25 aprile ma non
venne trovato alcun motivo per condannarlo a morte; G.ROCCO, 1992).
3. Lago
di Darengo, in alta Val di Livo. E' l'unico lago alpino della
provincia di Como.
4. Gli
Andossi sono l'altipiano calcareo che separa il solco principale
della Val S.Giacomo dalla valletta di Madesimo e che da qui all'Alpe
dei Piani si domina completamente dall'alto.
Bibliografia
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Bollati Boringhieri, Torino.
BECKER
C., 2002, Il comune di Chiavenna nel XII e XIII secolo.
L’evoluzione politico-amministrativa e i mutamenti sociali in un
comune periferico lombardo. Centro di studi storici
valchiavennaschi. Raccolta di studi storici sulla Valchiavenna, XVII,
Chiavenna (So).
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G., GUSMEROLI F., RIZZI I., 1986. Alpeggi e pascoli in
Valtellina. SPAFA, Sondrio, Supplemento a Rezia Agricola e
Zootecnica n. 3/4, Poligrafiche Bolis, Bergamo.
GADDA
C.E., 1974, L'Adalgisa. Disegni milanesi. Con una
nota di G. Contini. Einaudi, Torino.
SOCIETÀ
AGRARIA DI LOMBARDIA, 1904. Atti della commissione
d’inchiesta sui pascoli alpini. Vol I, Fasc. III “I
pascoli alpini della Valtellina e del Chiavennese ”, Premiata
Tipografia Agraria, Milano.
ROCCO
G., 1992, Com'era rossa la mia valle. Greco &
Greco, Milano.
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