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Alpeggi 

  1. Vite ruralpine: a sei anni in alpeggio, poi uu fáa de tut. E dopo i 70 anni torna a cargáa i aalp
foto e testo di Michele Corti

Un racconto 'doppio'. La storia dell'alpe più bella della Val S.Giacomo e quella di chi la carica da dieci anni, da quando aveva già ottant'anni suonati.  Storia dell'Alpe dei Piani e storia di Dante, pastorello,  sfrosaduur, emigrante stagionale in Svizzera prima come boscaiolo poi  sui grandi cantieri, caricatore d'alpe, trasportatore- commerciante di bestiame,  poi ancora caricatore e anche casaro. "Ma  i vach e i cavaj i uu semper tegnuu". Dante Ambrosini, classe 1919, carica da solo l'Alpe dei Piani a 2.100 m in  alta Val S.Giacomo (SO). Lo fa da 10 anni e conta di tornare la prossima stagione

 
(27.08.10) 
Finalmente il 25 agosto (due giorni fa) sono potuto salire all'Alpe dei Piani. Era dal fotoracconto L'Alpe Andossi: due 'stili d'alpeggio' agli antipodi  del 7 luglio che mi ero ripromesso di farlo (e l'avevo promesso a chi legge questi racconti). Il motivo era semplice, ma di quelli che da soli bastano e avanzano: all'Alpe dei Piani carica - da solo - un alpée di 91 anni. Me lo aveva confermato l'amico Ettore segretario della Coldiretti a Morbegno aggiungendo che l'arzillo personaggio risponde al nome di Ambrosini Dante ed è di Dubino dove ha un'azienda di vacche da carne e cavalli.

A ferragosto il tempo eratempo deprimente; idem nei giorni precedenti il 25. Non se ne poteva parlare di andare fin su all'Alpe dei Piani, la più alta della valle a 2.070 m di quota. La mattina del 25 il tempo piovigginoso, uggioso, con nuvole basse ha lasciato il posto finalmente a un cielo limpidissimo, l'aria era fresca, la visibilità ottima.
Condizioni tipiche dei primi di settembre dopo che i temporaloni estivi (con tanto di 'tempeste' e nevicate sulle cime) spazzano il cielo. da ragazzo aspettavo questa stagione per fare tutte, o almeno un po' di quelle escursioni che ad agosto erano state progettate ma, come sempre, in buona misura 'saltavano'. Il vantaggio di una camminata in salita con l'aria fresca però questa volta non mi è servito perché la salita l'ho fatta in macchina
.

Gran belle strade, peccato che le hanno realizzate fuori tempo massimo

Da qualche anno, infatti, una magnifica strada consente di arrivare comodamente sin lassù. Dico magnifica perché, a parte i panorami che offre, è stata costruita come si deve: ampi tornanti, muri di contenimento realizzati con scogliere di massi ciclopici. Questa strada doveva essere realizzata 40 anni fa, quando gli alpeggi erano ben caricati con grandi malghe di mucche da latte.  Ora, molte baite sono 'case di vacanza' e la maggior parte delle non numerose bestie monticate è costituita da 'asciutti' o 'nutrici' (con sotto il vitello). Ci si può un po' consolare pensando che allora le strade da queste parti erano costruite con muri di contenimento in calcestruzzo non solo brutti da vedersi ma che, ciò che conta ancora di più,  dopo pochi anni crollavano, 'scoppiavano' o si sbriciolavano (chissà se era cemento 'depotenziato?').
Fatto sta che oggi i numerosi alpi e alpetti della Val Febbraro, comune di Madesimo,  sono tutti perfettamente serviti da piste forestali. Una particolari
tà del reticolo di piste forestali della Val Febbraro è che sono transitabili munendosi di un'autorizzazione giornaliera che viene rilasciata a tutti previa corresponsione di 3 € (i permessi sono rilasciati presso il Bar-Locanda Cardinello a Isola). Qualcuno potrebbe storcere il naso per il rischio di 'assalto motorizzato'. In realtà il numero di baite in valle è notevole; vi sono parecchi nuclei (basta dare un'occhiata alla cartografia).

Le proprietà sono state in alcuni casi cedute a turisti e, anche dove sono rimaste agli 'originari', sono più quelli che salgono per 'fare vacanza' che quelli che hanno bestiame. Il rilascio di permessi ad hoc risulterebbe decisamente oneroso e fonte di infinite discussioni per via dei casi 'dubbi'. Così il Consorzio forestale e dei boschi di Isola ha deciso di istituire l'autorizzazione-contributo di manutenzione. Il tutto definito con delibera comunale (ai sensi della legge regionale forestale). La strada è asfaltata da Isola all'imbocco della Val Febbraro (a 1.500 m) poi è in parte sterrata e in parte asfaltata e si inerpica attraverso abetaie ormai (stra)mature con inesistente rinnovazione (risultato delle le gestioni 'naturalistiche' che piacciono tanto ai verdi e che anche le regioni nei decenni passati hanno assecondato concedendo tagli 'stitici'). Più su lariceti alternati a rodoreti. Più su ancora si aprono i pascoli di alta quota. Mantenendosi in quota ed offrendo un panorama entusiasmante la strada arriva all'Alpe dei Piani (il suo punto più alto, poi scende a Borghetto). Da lontano l'alpe con le estensioni di pascoli in dolce pendio, le vette che fanno da sfondo e il grandioso stallone da subito l'idea di qualcosa di notevole.

L'Alpe dei Piani con le vette dei Pizzi Bianco e Dei Rossi a sinistra, dei Piani a destra. Quando ero ragazzo e salivo a piedi da queste parti nei canaloni la neve non si scoglieva neppure in questa stagione. L'acqua comunque è ancora abbondante. 

Noto che una cascina poco distante dai fabbricati principali è abitata (c'è un cane a fare la guardia) e ne deduco che Dante si trova in casa. Visto che c'è e so dove localizzarlo ne approfitto per scattare prima dell'incontro un po' di foto dei fabbricati (si sa poi come va a finire, si comincia a ciciarà e il tempo vola, la luce cambia e ... non si sa mai).

Splendore e decadenza dell'Alpe dei Piani

La vecchia IGM 1:25.000 con i rilevi del 1932 (foglio 'Passo Baldiscio' acquistato tanti anni fa, ma non c'è ancora 'versione' più recente) aiuta a capire la posizione molto favorevole dell'alpe (se cliccate sulla mappa si apre una versione ingrandita con indicazioni). Occupa i pendi posti al di sopra del ripido solco vallivo percorso dal torrente Febbraro e ai piedi delle cime, tutte sopra i 3.000 m dei Piani (due come gemelle) e del Pizzo Bianco e dei Rossi (anch'esse prossime). Nella foto sopra da sinistra il P.zzo Bianco, quello dei Rossi e, spostate a destra e parzialmente coperte dalla nuvola, le cime dei Pizzi dei Piani. Sono pascoli poco sassosi e ricchi d'acqua.

Mappa IGM 1:25.000 (rilievo anni '30) Cliccare sulla mappa per ingrandirla. La freccia indica la localizzazione dello stallone. Il cerchio la casa dove abiota Dante; il cerchio più piccolo le case al piede dell'alpe

Nella foto sotto si vedono il casèl del lacc, il locale semi interrato per la conservazione del latte e l'affioramento della panna ( a sinistra) e una , completamente diroccata, alla testata dell stallone (le montagne sullo sfondo sono il gruppo del Suretta, con quello che resta del piccolo ghiacciaio).

 

Il casel del lacc (a sinistra) e una cà diroccata (in testa allo stallone)

Il fabbricato più suggestivo è senza dubbio lo 'stallone'. E' rimasto in piedi sino a vent'anni fa. L'ho ripreso da tutti i lati (nella foto sotto il lato lungo a NO e il lato corto a NE).

Lo stallone(lati NO e NE). Sullo sfondo le pietraie della Cima di Barna.

Il dettaglio (foto sotto) mostra i travetti ravvicinati che sostenevano le piode e i contrafforti di rinforzo del muro laterale. Richiamano quelli dei una cattedrale romanica. Lo stallone manca in elevazione rispetto alla cattedrale, è più stretto ma emana una sua suggestione e maestosità.

 Lo stallone(lato NO. Si notano i contrafforti che aiuavano a sostenere la spinta della pesante copertura.

Il lato SE si presenta molto spanciato (notare la sinuosità della linea di gronda) nonostante i robusti contrafforti.

  Lo stallone(lato SE). Si notano i contrafforti ce gli spanciamenti

E' all'interno che lo stallone rivela la sua condizione di rudere ormai prossimo al crollo decisivo. La parete a SE è fortemente inclinata (anche perché è gravata dal peso della copertura dato che la falda del tetto a SE è ancora appesantita dalle piode), le travi delle capriate sono sconnesse.

  L'interno dello stallone. Si notano l'inclinazione della parete a destra.

Questo stallone è il più grande di tutti gli alpeggi della la Val Chiavenna. Un primato che si spiega con il fatto che sono pochissimi in Val Chiavenna gli alpeggi unitari. La stragrande maggioranza degli alpeggi in questa valle della provincia di Sondrio (costituita da Valtellina, Val Chiavenna e Livignasco) sono rappresentati da multiproprietà dotate di numerose cascine dove ogni famiglia lavorava il latte e ricoverava il proprio bestiame, in autonomia. Una regola che vale anche per la Val Febbraro. L'Alpe dei Piani, che fino agli anni'40 era di un solo proprietario e dove la gestione era affidata a un affittuario con numerosi salariati è una vera e propria eccezione che conferma la regola (in realtà vi è anche qualche altra alpe privata o con pochi proprietari ma più piccole, vedasi l'Alpe Zocana al Pian dei Cavalli (altipiano che chiude a S la stessa Val Febbraro). Nello stallone si produceva parecchio letame che fertilizzava il sottostante 'grasso'. Il 'grasso' era cinto da un muretto a secco (in parte ancora visibile) per impedire l'ingresso del bestiame prima dello sfalcio. Lo sfalcio veniva eseguito ad agosto data l'altitudine sino a trent'anni fa.

La produzione di fieno era notevole. Molto in eccedenza rispetto alla necessità di 'scorta' per l'alpe e quindi veniva venduto agli abitanti di Isola i quali, una volta caduta la neve, salivano sin quassù e portavano a casa il fieno con le slitte (queste informazioni informazioni mi sono state fornite dal genero del Dante, Sig. Noseda, salito con la moglie a trovare il suocero verso la fine della mia visita a pomeriggio inoltrato). Questo sistema della vendita del fieno (non certo positivo per il mantenimento della fertilità dei pascoli) era praticato spesso sugli alpeggi della Val S.Giacomo (SOCIETÀ AGRARIA DI LOMBARDIA, 1904).

Il 'grasso', grazie alla presenza del bestiame è ancora tale anche se viene utilizzato solo per il pascolo. Nella foto sotto vediamo il grasso ma anche (in alto a sinistra) una  completamente ricostruita (a fianco vi è un altro fabbricato più piccolo che serviva da cantina e quindi un altro rudere (che nella foto non si può distinguere). Tutti i fabbricati e i ruderi sono indicati nel rilievo del 1932.

 La nuova cà ricostruita (in alto a sinistra). In primo piano il 'grasso' una volta (trent'annio fa) sfalciato. Sullo sfondo il gruppo del Suretta con il piccolo ghiacciaio.

Nel frattempo scorgo un uomo seguito dal cane che si dirige verso gli animali al pascolo. E' munito di lungo bastone ed è sicuramente un alpeggiatore ma stento a credere che sia il Dante che sto cercando. l passo è sciolto e sicuro, la schiena diritta. Se è l'Ambrosini dimostra 15 anni di meno. Il dubbio è subito sciolto quando a domanda risponde di essere lui il Dante Ambrosini. Chiedo conferma sul fatto che abbia 91 anni. 'Non ancora faccio il compleanno tra due mesi'. Inizio a spiegare il motivo del mio interesse per lui, per le sue storie, per la storia dell'alpe quando sopraggiunge un'escursionista diretta al Lago Grande (di Baldiscio). Con piglio deciso il Dante (foto sotto) fornisce tutte le spiegazioni del caso.


Dante indica la via ad un'escursionista. Il tenero cagnotto sorveglia le mucche.

La ciciarada non si preannuncia breve. Dante non si meraviglia più di tanto che ci si interessi alle sue storie, si vede che ne ha molte da raccontare e che non gli dispiace affatto farlo. Così si fa dietro-front e seguiti dal cagnot si va verso la cà (così mi dimentico di fotografare il bel branco di cavalli Haflinger che pascolava poco più in altro). Il fabbricato non si presenta in grandi condizioni. Saliamo al livello superiore dove c'è il 'vano unico'. Come tutte le cascine di questi alpeggi in un solo locale si preparano e si consumano  i pasti, si lavora il latte, si soggiorna. Tutto è in ordine e pulito.

 La vecchia cà dove abita Dante (al livello superiore dove si accede con la scala esterna)

Il racconto prende avvio dall'alpe. Fino al '43, racconta Dante, era di un proprietario unico, tale Pozzoli che possedeva anche la Cascina Bodengo a Samolaco. La Cascina Bodengo è abbastanza famosa in Val Chiavenna non solo perché è in fregio alla SS 36 'Del Lago di Como e dello Spluga' ma perché era l'unica azienda capitalista, stile bassa Lombardia, della zona. Con gran bei prati meno suscettibili alla siccità come la maggior parte di quelli della bassa Val Chiavenna ricavati da bonifiche delle 'gere' della Mera (alluvioni ghiaiose). Il fatto che Bodengo e l'Alpe dei Piani fossero della stessa proprietà la dice lunga sul carattere eccezionale di quest'alpe: la migliore cascina del piano legata alla migliore alpe dell'alta valle.  

Non a caso quest'alpe era stata aspramente contesa tra il comune di Mesocco (capoluogo della Valle Mesolcina nell'atuale Canton Grigioni) e quello di Chiavenna nell'XII secolo. L'aspra contesa che durava da mezzo secolo era stata risolta con la divisione della grande alpe chiamata allora Alpe di Rasdeglia (dal nome di una località  sopra Isola abitata in passato in modo permamente)(BECKER C. , 2002).

Ma torniamo a tempi più recenti. Sfortuna vuole che la già citata indagine sugli alpeggi dei primissimi anni del '900 si ... dimentica dell'alpe dei Piani.  Nella tab. a p. 150, con la 'statistica' che indica il numero dei comproprietari e quello delle 'vaccate', l'alpe dei Piani è dimenticata. Sappiamo dal testo, però, che l'alpe dei Piani con poche altre (Zocana, Macolini) era gestita a 'mandria unica'. Nelle altre (17 su 20) ogni proprietario/affittuario faceva pascolare le proprie bestie come e dove voleva. Ai Piani come nelle altre alpi gestite in modo 'unitario' la cosa era possibile perché i comproprietari erano pochi. Alla sottostante alpe Borgetto, per fare un confronto, i proprietari un secolo fa erano ben 150 (su 194 'vaccate'). L'inchiesta si un secolo fa ci dice solo che i proprietari erano 'pochi', che la gestione del pascolo era unitaria ma non ci dice nulla sul numero di vaccate. Riguardo ai fabbricati si nota che sono costruiti con tronchi di legno incastrati (tecnica localmente nota come cárden, in architettura blockbau). Lo stallone non esistava ancora (sarebbe stato citato). Sarà stato realizzato a cavallo della grande guerra. La presenza di diversi fabbricati più o meno decentrati nella mappa del '32 (fabbricati tutt'ora in sito e con le caratteristiche delle classiche cà 'autonome') conferma la presenza di più proprietari anche nei primi decenni del '900. In ogni caso per un certo periodo, a metà del secolo scorso, la proprietà parrebbe concentrata in un unico soggetto.

I pascoli erbosi dell'Alpe Piani che salgono a 2.500 m. A sinista in basso alcuni vitelli. Sotto i fabbricati la malga delle mucche (manze e cavalli pascolano per conto loro)

Nel '43 i Pozzoli che la detenevano fecero fallimento e l'alpe è finita alle banche. Dalle banche è poi passata in blocco alla famiglia Ghislanzoni, grossi commercianti dell'Alto Lario. La casa e 20 'erbate' appartengono ancora ai Ghislanzoni ('la Bianchina del '23, sta a Domaso') 1

Nel tempo, però, i Ghislanzoni hanno ceduto la maggior parte della proprietà, che ha quindi subito quel frazionamento che pare il destino comune degli alpeggi valchiavennaschi. Le origini del frazionamento sono diverse (unità demiche intere che formalizzavano i propri diritti di possesso in termini di proprietà, semplice effetto delle successive successioni ereditarie, vendite frazionate come in questo caso). Il grosso (con lo stallone e gli altri fabbricati, il 'grasso' e 50 erbate) è di proprietà dei Bianchi Bazzi, una famiglia di industriali di Lecco originaria dell'alto lecchese (Vestreno in Valvarrone). Questa famiglia avevan sio a poco tempo fa un'azienda agricola con 300 vacche da latte ad Airuno (10 km a S di Lecco). I Bianchi Bazzi (l'architetto e i figli) sono tutt'altro che proprietari assenteisti. Lo dimostra la  ben sistemata (in fase di finitura all'interno) con ampie aperture, pur nel rispetto della volumetria e dei materiali originali. Pur avendo case a Madesimo si vede che sono interessati a soggiornare quassù (un posto facilmente raggiungibile in fuoristrada, con vista superba data la posizione dominante sulla Val S.Giacono e... decisamente 'esclusivo').

Oltre ai Bianchi Bazzi altre frazioni della proprietà sono state cedute ai Quadrio (titolari della più importante impresa di costruzioni della Valtellina e, guarda caso, proprietari della Cascina Bodengo). I Quadrio detengono 30 erbate ma senza fabbricati.  Fin qui i proprietari 'borghesi'. Di frazioni più piccole (15-20 erbate) sono proprietarie anche famiglie contadine (Geronimi di Regoledo e Pelegatta di Dubino). Queste proprietà sono dotate di case (al piede dell'alpe, la più bassa a 1.966 m). I Pelegatta sono stati gli ultimi caricatori dell'alpe prima del Dante (che ha iniziati a caricare qui 10 anni fa). Ricordo personalmente il Rineo che negli anni '80 era su da solo e produceva delle formaggelle (le foto sotto sono dell'estate 1988).

 

 Il Rineo che caricava l'alpe dei Piani prima di Dante

Il Rineo mi pareva un 'vecchio pastore'. Rispetto al Dante era un giunót. Ai tempi del Rineo la parte alta dell'alpe era utilizzata solo dai cavalli e il Rineo utilizzava con le sue poche mucche i pascoli più bassi vicino alla sua cà. Solo 10 anni prima le cose erano completamente diverse. L'alpe funzionva ancora e lo stallone era ancora in piedi. Erano pascolati 174 ha (su 274) con 45 vacche, 50 manze, 61 vitelli e un cavallo. Il declino comunque era in atto e vi era già sottocarico (dati dall'indagine regionale del 1978-70, ERBA G., GUSMEROLI F., RIZZI I.,  1986).  Oggi Dante carica da solo una ventina di vacche (di cui 3-4 da latte e le altre 'nutrici' con sotto il vitello), più una dozzina di manze, un toro e 25 cavalli (compresi i puledri). I bovini sono suoi e sono di razza del tutto indefinita.

 La componente carne è data non solo da Blu Belga ma anche da Chianina, poi c'è Bruna, Pezzata Rossa, Frisona ecc. 'Incrocio tutti della mia testa' dice Dante.  I cavalli 'per la maggior parte sono miei' e di pura razza Avelignese (Haflinger),  ci tiene a precisare Dante. Le bestie non sono poche. Di uomini, invece uno solo. Pensare che ai 'tempi d'oro' ce n'erano 28 (la fonte anche in questo caso è il genero del Dante). Ma già il Rineo era solo.

Ricordi di gioventù

Chiariti parecchi aspetti della storia dell'alpe Dante inizia a raccontare la sua vita. L'alpeggio rappresenta il capitolo iniziale ma anche quello più recente. Pare un paradosso ma fa parte della vita di parecchi ruralpini. La prima stagione è stata quella nella Valle dei Ratti (in bassa Val Chiavenna). Aveva sei anni e dopo la cresima lo zio (uno zio si soli 15 anni) l'ha portato su. Il compito: curare i manzöö (la voce è al maschile anche per le femmine in lumbaart). Il secondo anno all'Alpe di Avero (bassa Val S.Giacomo, comune di S.Giacomo e Filippo). Il terzo anno in Val di Lei (Alpe Palù). Prima della costruzione dell'enorme sbarramento idroelettrico vi erano grandi alpeggi e i pascoli erano utilizzati anche dai pastori transumanti bergamaschi. Il lavoro di Dante consisteva sempre nel curare i manzöö. 'A mesdì mangiavi la pulenta cunt i peguréer'. Dai pastori professionisti che 'giravano il mondo' il pastorello di 8 anni avrà appreso chissà quante storie, ma anche utili conoscenze. Un contatto, sia pur indiretto, con il mondo che i transumanti hanno sempre girato e non possono non conoscere. C'è da giurare che avrà lasciato un impronta in quel bambino che poi, però, per 14 anni passerà l'estate all'Alpe Morone nella conca di S.Sisto (comune di Campodolcino, media Val S.Giacomo). Della sua infanzia per il resto non racconta molto se non che quando andava a scuola curava le capre (20-30) dello zio. A Morone stava con la mamma, la zia un cuginetto più giovane. L'atmosfera di quello stile d'alpeggio, matriarcale, me la posso ben immaginare. Negli anni '70 da ragazzo mi colpiva molto la quantità di gente che abitava i piccoli villaggi estivi della conca. Era pieno di bambini e ragazzi; allora la distanza antropologica era palpabile, erano vestiti 'da contadini'. Si comportavano 'da contadini'. Non parliamo della lingua che, allora, era per me incomprensibile. Dopo pochi anni tutto questo è quasi scomparso e le baite hanno inziato a restare sempre più deserte. Per anni sono state le donne (sempre più le nonne, sempre meno le giovani spose) a 'mandare avanti' l'alpe. Nelle foto sotto due donne dell'Alpe Morone da me fotografate negli anni '80, credo 1986).


Alpe Morone, 1986

La famiglia di Dante aveva 2-3 vacche, la famiglia allargata 10-12. Nel frattempo Dante da pastorello passa a pastore; impara a mungere e deve trasportare il latte a cà. 'I vach i a lassavum sü a durmì e purtavum giò el lacc cunt el brentèl (bidoncino di alluminio con cinghie per trasporto a spalla). 'A 14 anni sa cosa abbiamo combinato?' All'insaputa di mamma e zia da in custodia 1 o 2 mucche  e con i soldi ricavati decide di fare il piccolo contrabbandiere. Si trascina dietro il cuginetto di 11 anni e sale al Passo di Barna (2.547 m) dove passa il confine con la Svizzera, da qui giù all'Alpe di Barna (1.741 m) e a 'Mezzocco' (Mesocco).  A Mesocco c'è l'acquisto di 14 kg di zucchero. I negozianti commossi dalla vista di due ragazzini senza scarpe (ghevum i zócur de legn) ' i finissen puu de fáa regaj'. Risalire da Mesocco sono 1.800 m di dislivello poi non sarà stato uno scherzo ma chissà con quale fierezza i nostri piccoli eroi avranno trasportao quel zúcher.Mamma e zia, contente per lo zucchero, perdonano la marachella. Pragmatismo contadino.

Autoiniziato a náa de sfróos dopu ... uu cuminciáa a náa inánz'. 'Se te se rangévet mia era grami'. I 14 kg diventano mezzo quintale, ma con un trasporto più comodo. In fondo alla conca di S. Sisto sino agli anni '60 c'era una cava di pietra (piöt per i tetti). La cava era sotto il Picco Montagna vicinissima al confine (a ca 2.600 m). Della teleferica che portava già il materiale a S. Sisto e poi di qui a Starlegga ci sono ancora le tracce. Non sapevo che prima della guerra c'era anche una teleferica che portava giù i piöt in Svizzera. Contemporaneamente ai carichi di pietre che scendevano salivano i sacchi da mezzo quintale di zucchero, pronti per essere caricati su spalle robuste. Eravamo 20 uomini a fare il trasporto sino a dove adesso c'è il ponte (sulla strada, realizzata non molti anni fa che da Starleggia porta a Morone). Passata la valle c'era un camion ad aspettare.

 Alpe Morone, 1986

La guerra

La 'normale' vita da montanaro è bruscamente interrotta dalla guerra. Chiamato alle armi Dante va da recluta ad Aviano. Da qui passa alla mensa della scuola ufficiali dell'aviazione a Pordenore. Impara rapidamente da un professionista il mestiere e diventa cuoco. L'8 settembre scappa subito in borghese verso casa. Ha l'accortezza di scendere dal treno prima di Treviso poi con un commilitone padovano attraverso le campagne raggiunge la cascina della sua famiglia. Di qui in treno a Brescia, Bergamo e a casa.

L'attitudine a scappare è ormai acquista. Sfugge ad una retata nella quale vengono presi tutti i suoi compagni in fuga all'8 settembre e renitenti alla leva ('stavamo giocando a carte ...'). Sale in montagna con i partigiani ma l'esperienza è di brevissima durata. Durante un pesante rastrellamento, quando già la colonna delle Brigate Nere sta ridiscendendo a valle un compagno con una raffica di 'parabellum' uccide un milite. Vengono presi con le armi in pugno. Quindi tradotti a Morbegno e poi a Sondrio ('nel palazzo dei Balilla'). 'C'erano due fratelli di Talamona dei criminali, volevano impiccarmi, ma il capo di tutti i fascisti della Valtellina (comandava 3.000 fascisti), che era una brava persona, mi ha fatto consegnare ai tedeschi' 2.

I tedeschi lo portano nelle carceri di Bergamo e la condanna a morte viene pragmaticamente commutata in lavoro coatto in Germania. Un buon affare per i tedeschi e la salvezza per Dante. Intrapredente e volenteroso Dante lavora nel cantiere di uno stabilimento meccanico a 40 km da Kassel riesce a cavarsela bene e a instaurare ottimi rapporti con i compagni di lavoro tedeschi (marinai della Kriegsmarine che, data le scarse possibilità operative della flotta, sono destinati allo sforzo industriale bellico).

Il panorama dalla cà di Dante: a sinistra il Suretta, a destra l'Emet (3.209 m)

Anche in Germania l'esperienza di sfosaduur viene messa a frutto. Un suo compagno di notte produce pentole d'alluminio ma non ha lo spirito del venditore. Ci pensa Dante a commercializzare le pentole in cambio di 'filoni di pane e patate' dispensate anche ai compagni. Stesse doti di intraprendenza e solidarietà in fabbrica. Quando lo zuccherificio di Kassel viene bombardato dagli americani si fa 'coprire' dal compagno di lavoro-responsabile (che 'timbra') e va 'in fuga' a Kassel. Approfittando dell'allarme riesce a portare via dallo stabilimento bombardato una fodera (da letto ... ci si arrangia) piena di zucchero (non del tutto raffinato). Con lo zucchero era un po' che aveva imparato a trafficare (la vita di Dante è piena di ricorsi).

Il 'bottino' viene diviso con i compagni di lavoro tedeschi. I tedeschi che dipinge Dante non sono quelli degli stereotipi: i marinai-meccanici erano bravi. Come aveva imparato, sulla sua pelle, a distinguere tra fascisti e fascisti Dante distingue ora anche  tra tedeschi e tedeschi ('era il poliziotto locale, che aveva anche il compito del controllo del campo, che era una carogna'). Alla fine della guerra, per non aspettare di essere trasportato dagli americani, con qualche compagno, in sella a bici rubate attraversa la Germania ('uno era riuscito ad avere una cartina stadale'). A Innsbruck gli americani li portano in una valle con altre migliaia di ex-prigionieri da rimpatriare in Italia. In questo caso la voglia di far da sé e di scappare non ha portato vantaggi: nel campo trovano i loro compagni di prigionia che si erano lasciati 'gestire' dagli americani.

Intanto che Dante parla della sua vita il tempo scorre. Ho imparato a rispettare i tempi della narrazione. Chi 'intervista' è interessato a certi aspetti ma il testimone che narra ha le sue priorità. La memoria personale ha delle gerarchie che non possono essere forzate. Bisogna lasciare parlare. Certo ci vuole tempo ma è proprio questo quello che distingue il turista da chi vuole capire, studiare, comprendere una realtà è il tempo. Devo ammettere che l'ansia di 'intervistare', interrogare, fotografare è stata in me inibita dalla lettura (non molti giorni fa) di un bel libro di Marco Aime (M. AIME, 2005). Un libro forse più bello di altri dello stesso autore, forse perché espressione di un vissuto personale. Aime è stato viaggiatore e accompagnatore turistico in paesi 'esotici' prima di divenire antropologo di mestiere. Aime parla dell'ansia di ottimizzazione del tempo del turista che vuole vedere (ma, soprattutto, fotografare, quante più cose possibili. Ciò vale anche per il turismo 'responsabile' che per offrire prodotti che reggano sul mercato deve assecondare l'ansia 'turistica' (che condiziona anche i 'turisti responsabili'):

Ne consegue una relativa compressione che va a scapito del tempo richiesto da ogni incontro che voglia dirsi tale e così, fra la fretta del turista e la lentezza del nativo, ancora una volta l'incontro si rompe'

Nel mio caso non si tratta di incontro tra 'turista' e 'nativo' ma l'idea che l'incontro 'che voglia dirsi tale' richieda tempo e non vada condizionato da ritmi estranei l'ho fatta mia. Così, dicevamo, il tempo passa. Dante ad un certo punto  si interrompe e scalda il minestrone. Me ne offre una scodella che consumo volentieri. Segue l'assaggio del formaggio (ma di questo dobbiamo parlare dopo). Nella foto sotto Dante ai fornelli; in primo piano la pentola per la lavorazione del latte. La differenza è che ora pietanze e latte si scaldano sul formello a gas invece che sul focolare.

Epopea del contrabbando

Fedele al principio: 'Se te se rangevet mia era grami' Dante appena tornato a casa non riesce a stare fermo. I ponti sul Po sono ancora bombardati ma gli viene in mente di andare a Genova a prendere il sale che era diventato merce rara. Passato il Po con i traghetti caricano (erano in due) il fatidico 'mezz quintal'. Ma arrivato a Pavia Dante pensa bene che 'chi l è el siit del riis'. Caricano l'altro mezzo quintale.

Spalloni di pianura per una volta, memorabile, nella vita. Ben più difficili da tarsportare saranno per Dante le bricolle degli anni che seguiranno su e giù per gli aspri sentieri, praterie, nevai, ghiaioni delle valli tra il Lario e la bassa Val Chiavenna e la bassa Val Mesolcina. Dante non stacca mai il cordone ombelicale con la terra, con le vacche. Ha sempre la sua vacca ma, preso dal contrabbando 'i práa ghi uu fáa segáa d un omm' [ho incaricato un uomo di fare il fieno]. I sentieri del contabbando si intecciano ancora una volta con quelli dell'alpeggio. Di più: i guadagni del contrabbando sono subito investiti in terreni, terreni su in montagna, sopra Stazzona pagati molto di più del loro valore (è 'la passione', onnipresente chiave interpretativa dell'agire contadino, che spiega l'agire apparentemente poco razionale agli occhi del calcolo economico, dell'egoismo, dell'individualismo cittadini).

Dante si procura merce da portare in Svizzera per barattarla cunt i sigarèt. Nell'immediato dopoguerra anche in Svizzera c'era carenza di generi alimentari e il riso (ma no solo) nava dent alla grande.  'Travi insèma el butéer de la Val di Rat' [raccoglievo il burro in Val dei Ratti] (la Valle dei Ratti, guarda caso, era quella dove Dante aveva iniziato la sua carriera di alpée a sei anni). I passi per andare in Svizzera sono quelli classici: S. Jorio, Vincino. 'Mi uu purtáa fö de tut' e cita alcuni esempi: biciclette, cani da caccia). Tutto un 'dent e fö'. Punto di riferimento per trattare la merce in Svizzera era sempre Roveredo. Nella bassa Mesolcina.

Ma dopo il periodo 'caldo' dell'immediato dopoguerra accetta di lavorare (anche) come stagionale 'nei boschi'. Il lavoro si svolge nella bellissima Val di Cama, una profonda valle laterale della Mesolcina in collegamento, con aspre bocchette, con le valli Bodengo (laterale bassa Val Chiavenna) e di Livo (alto Lario occidentale). Il lavoro di boscaiolo è integrato da quello di contrabbandiere (il prima diventa, però, quasi una copertura) 'me piasiva mia lauráa in de l busch'. Contrabbando spericolato 'ma semper de per mi, suul'. Con questo Dante vuole dire che non hai fatto lo spallone alle dipendenze di 'caporali' ma sempre in modo autonomo gestendosi la merce.

Il percorso da Cama prevedeva il passaggio della 'bucheta de Darengh3 quindi la discesa della Val Bodengo sino a Gordona, di qui al 'Punt del pass'. Si vanta che la Finanza non è mai riuscita a prendergli un sacco 'mi me n aan purtáa via gnáa vuun' [a me non sono mai riusciti a portarlo via]. Per la verità una volta il 'sacco' la Finanza è riuscita a prenderglielo ('ma me lo sono ripreso'). Quest'ultima è una vanteria comune nel mondo degli sfrosaduur. Episodi rischiosi ce ne sono stati: uno ha per teatro 'el punt de la maja vaca' sopra Roveredo. 'Serum in cinq'. Bagnati fradici. La neve era marcia dalla parte di qua mentre di là era ancora crostosa. 'Mi ghevi na vista bestiale e disi: ghè là quaj coss su l punt'. 'I guardi svizer che eren drée a guardamm cunt el binocolo e  i a muláa el can'. Segue una scena convulsa con Dante che 'ghe duu una stangada al can', il cane che torna coda tra le gambe dalle guardie,  queste che sparano, i contrabbandieri che si dividono e fanno perdere le tracce. Scena ancora più drammatica sopra Consiglio di Rumo. Finanza appostata che non lascia passare, Dante che si lancia di corsa inseguito da una raffica 'de parabellum'.  Atmosfere dense di coraggio, fatica, violenza, onore (e tradimento), generosità, smargiasseria.  Riprese dall'ormai copiosa memorialistica sul contrabbando moltiplicatesi in anni recenti (ma con un  un precedente 'alto' di un racconto gaddiano de l'Adalgisa dove, peraltro, le tinte che prevalevano erano quelle fosche  - C.E.GADDA, 1974).

Ora a distanza di tanti anni Dante ammette che si sentiva troppo sicuro di sé e che ha rischiato troppo. E' di quelli che non hanno paura di niente.

 

Il panorama dalla cà di Dante: a sinistra il Pizzo Groppera, a destra lo Stella con un residuo di nevaio

Sui grandi cantieri della Svizzera ma poi, per causa di forza maggiore, ritorno all'alpeggio

Lavorando 'ai busch' in Val Mesolcina viene a sapere che nel Vallese cercano manodopera per il cantiere di una grande diga. Paga molto elevata in confronto al lavoro di boscaiolo, ma lavoro durissimo e nocivo. Dante è sottoposto ad una visita medica accurata. Il lavoro è nei 'cassoni' in un'atmosfera infernale con l'aria resa irrespirabile dai martelli pneumatici. E' durata un mese perché 'a l mè socio a ghe vegniva fö el saangh di urecc; ma a mi  fava nagot'. Ma allora essere 'soci', l'amicizia, era una cosa importante. Dopo un mese, però, Dante ritorna dalla stessa impresa e viene destinato alla costruzione di una grande galleria sul Lago dei Quattro Cantoni. Il lavoro è sempre stagionale. I turni sono interminabili '32 ur de fila'. Da questo cantiere passa poi a cantieri a Zurigo città. Erano in corso grandi demolizioni per costruire grandi palazzi (cita una banca e la casa di riposo). Nel 48 subisce un grave incidente sul lavoro. Colpito da un blocco di cemento cade a terra e urta violentemente la testa subendo una commozione cerebrale. Deve tornare a casa. Ma appena a a casa si rimette subito a lavorare. Inizia da qui la seconda fase da alpeggiatore della durata di 13 anni. Tra le località che Dante cita di più relativamente a questo periodo vi è Livigno (con la Val Federia e il Foscagno). A Livigno il latte veniva portato alla Latteria.

Ghevi el camion (trasportatore-commerciante)

Dal '63 al 77' Dante l'attività principale di Dante è consistita nel trasportare e commerciare bestiame (bovino per lo più). 'Ghevi el camion'. Non erano pochi ai tempi a svolgere questo servizio e il lavoro non mancava. Oltre a trasportare le bestie in alpeggio (e farle ridiscendere) Dante caricava gli animali (vitelli e vacche a fine carriera principalmente) da portare all'ingrasso o al macello. Li comprava direttamente all'allevatore e li rivendeva. La sua conoscenza di tanti alpeggi e di tanti allevatori l'ha certo agevolato nel suo lavoro. Trattava non solo con gli allevatori della Valtellina e Valchiavenna ma anche con quelli dell'Alto Lario e della Valsassina. Il bestiame della montagna finiva in Brianza (i vitelli in particolare vicino a Missaglia), ma a volte anche direttamente a Milano. Dante ricorda bene come a Milano i vitelli della vecchia razza Bruna alpina (di ceppo svizzero originale) facessero una gran figura in confronto a quelli che provenivano dalle aziende della Bassa. Quanto alla frequentazione di Livigno e alle esperienze di contrabbando sono servire a Dante ad essere un protagonista (ma in tempi ancora 'eroici') del contrabbando di bestiame dalla Svizzera attraverso Livigno. Per farmi raccontare qualcosa di più gli dico che conosco bene il percorse del bestiame di contrabbando da Tre Palle attraverso la Val Pila sino all'Alpe Trela e poi giù per le Bocche di Trela scendendo a Isolaccia (dove c'erano i camion pronti a caricare). Nonostante questo Dante ha un certa ritrosia a parlare di questo 'traffico'  meno eroico di quello con le bricolle nel primo dopoguerra. Tra trasporto, commercio e un po' di contrabbando Dante, che è originario di Cercino (ma dopo la guerra la famiglia non aveva più nulla), ha acquistato con i frutto del suo lavoro  l'azienda a Dubino. E' sita nel Pian di Spagna quasi sul confine con la provincia di Como (comuni di Gera Lario e Sorico). Oggi è ancora titolare dell'azienda ma limitatamente ai cavalli; le vacche nutrici sono intestate alla figlia Clementina (hanno due partite IVA distinte). 'Mi i vach e i cavaj i uu semper tegnuu' ci tiene a sottolineare Dante. Però in formaggio non l'aveva mai fatto. Da ragazzo a Morone lo faceva la mamma. Nelle sue altre esperienze d'alpeggio non s'è mai prestata l'occasione (a Livigno, come visto il latte si usava già begli anno '60 portarlo giù in paese alla Latteria).

Ha imparato a fare il formaggio da solo già settantenne seguendo la 'ricetta' di uno zio 'de la mè pora dona' che portava le sue bestia alla vicina Alpe Vamlera.

Alpe Vamlera di dentro (c'è anche Vamlera e Vamlera di fuori). Queste baite sono visibili dalla strada che sale all'Alpe dei Piani e raggiungibili da un ramo della stessa.

Anche nella sua terza stagione d'alpeggio, all'età in cui gli altri sono in pensione, Dante ha continuato a mantenere un approccio 'ardimentoso', quasi temerario. Si vanta che quando era sugli Andossi cacciava su il bestiame dove nessuno osava farlo, 'su verso la cava' 4. Quando si parla di formaggio non posso fare a meno di scattare qualche foto. Mi incuriosiscono lo spino professionale e da rudèla appese al muro. Penso che a inizio stagione ci sia più latte e che probabilmente si usa caldèra vera e propria.

Spino e rudèla

La forma del giorno prima è ancora caricata da delle belle pietre scure. Però Dante quando vede che intendo fotografarla così, caricata, le toglie. Ci tiene a far vedere il suo formaggio 'nudo'..

Chiedo di vedere anche la piccola cantina. Ci sono una quindicina di forme a metà tra grosse formaggelle e piccoli formaggi (non più di 4 kg). E' formaggio grasso (salvo una leggera spannatura del latte mantenuto in caldaia dalla sera). Quello che assaggio 'non ha neanche un mese' ma data la ridotta dimesnione e la maturazione più rapida assomiglia molto ad un Bitto giovane. Ed è anche migliore di tanti Bitti fatti usando le 'bustine' e somministrando diversi kg di mangime alle bestie.

Dante mi fa vedere la paletta che usa per somministrare un po' di mangime alle mucche in lattazione 'giusto per farle venire'. E' molto piccola. Per mungere le 3-4 mucche da latte (le altre, come visto hanno tutte sotto il vitello che 'tetta') le porta nella stalletta legate alla mangiatoia (foto sopra). Oggi ci meravigliamo che una persona possa riempire la giornata mungendo e lavorando il latte di 3-4 mucche ma un tempo lo si faceva anche per 1-2. Nell'economia di sussistenza contadina 1-2 mucche erano una ricchezza e andava 'coltivata'. Comunque ci sono anche le vacche nutrici da sorvegliare e spostare e il branco di cavalli. Il pascolo è ben tenuto ('prima era un disastro' ci tiene a sottolineare Dante). Intando ci siamo portati di nuovo all'aperto e mi preparo al congedo. Da quando è iniziata la 'ciciarada' sono passate quasi 6 ore. Arriva però un grosso pick-up. 'E' il mio genero'.

La macchina parcheggia e scendono il genero e la figlia. Il genero ha una ditta di idraulica e i due nipoti lavorano con il padre. Però la madre assicura che danno una mano anche in stalla a lei e al nonno. Abitano tutti insieme. Era un po' di giorni che la figlia e il genero non salivano  perché c'era da finire di fare il fieno. Di regola, però, salgono una volta la settimana. E' anche grazie al genero se la vecchia cà dei Ghislanzoni (della Bianchina') è stata resa abitabile e rimessa un po' in sesto. Del resto il genero dimostra di conoscere bene la situazione e la storia dell'alpe (è la fonte di alcune delle informazioni riferite all'inizio). La figlia Clementina, che in inverno accudisce le vacche e a cui sono intestate, conosce bene i proprietari  e riferisce  che i Bianchi Bazzi (la 'Bianchina' non c'è bisogno di dirlo) hanno garantito al papà che finché campa l'alpe la carica lui. E Dante, animato da una energia inesauribile, è ben intenzionato a salire per altre stagioni. E mi invita a venire a trovarlo l'anno prossimo. Vado pensando che qualche ragazzo potrebbe venire qui, dare una mano a Dante che potrebbe fare maestro d'alpeggio e di vita.  

 

 

Note

1. L'erbata è l'unità di diritto di pascolo per una 'bestia grossa' che nella denominazione si ricollega direttamente al latino medioevale: 'erbaticum', il termine che va per la maggiore in zona è 'vaccata', ma Dante utilizza il più elegante 'erbata').

2. La memorialistica, di parte RSI, riferisce che tale Rino Parenti, capo della GNR (o del partito?) finì in carcere dopo il 25 aprile ma non venne trovato alcun motivo per condannarlo a morte; G.ROCCO, 1992).

3. Lago di Darengo, in alta Val di Livo. E' l'unico lago alpino della provincia di Como.

4. Gli Andossi sono l'altipiano calcareo che separa il solco principale della Val S.Giacomo dalla valletta di Madesimo e che da qui all'Alpe dei Piani si domina completamente dall'alto.

 

Bibliografia

AIME M., 2005, L'incontro mancato. Turisti, nativi, immagini, Bollati Boringhieri, Torino.

BECKER C., 2002, Il comune di Chiavenna nel XII e XIII secolo. L’evoluzione politico-amministrativa e i mutamenti sociali in un comune periferico lombardo. Centro di studi storici valchiavennaschi. Raccolta di studi storici sulla Valchiavenna, XVII, Chiavenna (So).

ERBA G., GUSMEROLI F., RIZZI I., 1986. Alpeggi e pascoli in Valtellina. SPAFA, Sondrio, Supplemento a Rezia Agricola e Zootecnica n. 3/4, Poligrafiche Bolis, Bergamo.

GADDA C.E., 1974,  L'Adalgisa. Disegni milanesi. Con una nota di G. Contini. Einaudi, Torino.

SOCIETÀ AGRARIA DI LOMBARDIA, 1904. Atti della commissione d’inchiesta sui pascoli alpini. Vol I, Fasc. III “I pascoli alpini della Valtellina e del Chiavennese ”, Premiata Tipografia Agraria, Milano.

ROCCO G., 1992, Com'era rossa la mia valle. Greco & Greco, Milano.



 

 

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