(27.04.13) A Varese il presidente di Confagricoltura attacca apertamente il km zero e il biologico rivendicando che sono loro, gli imprenditori agricoli, e non i contadini a sfamare la gente. Gli hanno risposto per le rime dei giovani produttori bio
Uscire dall'equivoco
contadini e agroindustriali non sono la stessa cosa
di Michele Corti
In vista dell'assemblea di domani di Confagricoltura Varesina il presidente Pasquale Gervasini ha anticipato i temi della giornata attaccando il biologico e la filiera corta in modo inusuale, almeno per i canoni ipocriti del "quieto vivere" che di solito vige in superficie nel "mondo agricolo"
Il dibattito aperto in vista dell'assemblea dell'Unione agricoltori di Varese rappresenta comunque un fatto positivo. Non un caso che il protagonista sia Pasquale Gewrvasini perché è uno senza peli sulla lingua, anche a rischio di figuracce come quando (correva la primavera di due anni fa) se ne uscì attaccanbdo i pastori (e la Coldiretti) per via delle "pecore giardiniere" che pascolavano nei prati della Whirlpool. Salvo poi scoprire che la ditta non aveva tolto un ora di lavoro ai giardinieri ma li aveva adibiti a compiti più "professionali" rspetto a quelli che è capace di svolgere un ovino.
In ogni caso viva Gervasini perché così si esce dall'unanimismo mortifero e si comincia a mettere sul piatto la prima questione dell'agricoltura: da una parte ci sono gli industriali agricoli, che puntano agli OGM, alle agroenergie, dall'altra i contadini. Non esiste il "mondo agricolo".
Nel mondo industriale (che, in quanto tale, non esiste e nessuno si sogna di definirlo così) c'è l'artigiano con due dipendenti, la fabrichetta e c'è... Marchionne.
Basta con l'equiparare il contadino senza dipendenti con i grossi imprenditori agricoli
Non sono tutti sullo stesso piano. In agricoltura sì. Tutto questo ha fatto un gran comodo storicamente agli agroindustriali perché ogni volta che si poneva il problema della tassazione dei redditi agricoli veniva abilmente messo davanti il povero contadino e... tutto è restato come prima. Con il reddito agrario e il reddito dominicale che solo nella terminologia rimandano a un mondo lontano, dove peraltro le differenze di classe erano abissali e nessuno si sognava qualla "unità del mondo agricolo" imposta già in parte sotto il fascismo delle corporazioni e poi - in modo molto più sostanziale - dalla Bonomiana (così si chiamava la Coldiretti). Quello che sembrava un cattivo affare si è rivelato alla lunga un affarone per i più grossi imprenditori agricoli.
Forse oggi dentro questa finzione cominciano in molti a sentirsi stretti. E così l' esponente varesino di Confagricoltura (come riferito da Varese News) attacca: "alcune scelte della politica nazionale e locale che non sempre sono andate nella direzione della tutela del settore primario". Perfettamente d'accordo ma forse chi legge pensa alle scelte sciagurate a favore delle agrienergie, all'applicazione dei premi unici Pac che premia grandi aziende, veri e propri incettatori di contributi e che lascia pastori e malghesi senza pascoli. Ovviamente no perché per Gervasini chi specula sul biogas è un "vero imprenditore".
L'agricoltura bucolica è il giocattolo che fa comodo agli agroindustrialisti per distrarre i contadini dal rivendicare e svolgere il loro ruolo di produttori di cibo sano e naturale
Gervasini ha spiegato che sono state prese decisioni avendo in mente un modello di agricoltura “agreste e bucolica”. Potremmo ancora essere d'accordo con lui, il contadino non vuole fare la comparsa nelle Fattorie didattiche alla Disney con la facciata di cartapesta, vuole poter produrre cibo perché questa è la sua vocazione. Ma il presidente dell'Unione chiarisce subito dopo cosa intende per "bucolico" e "agreste". Quello che non va per lui è che "Un'eccessiva attenzione per il chilometro zero e per il biologico ha finito per penalizzare gli imprenditori agricoli il cui compito è quello di sfamare un Paese affamato e non di giocare a fare i contadini nell'allegra fattoria. Per questo mi arrabbio quando dal Governo non arrivano segnali concreti, ma solo «di costume», quasi l'agricoltura fosse un fatto di tradizioni e non di economia, di reddito e di impresa".
Fa piacere sentir parlare così schiettamente. Però la tesi di Gervasini rappresenta una vera mistificazione. La sua Confederazione vorrebbe destinare centinaia se non milioni di ettari alle agrienergie. Non si sfama un paese con il biogas caro Gervasini. Reddito, però, se ne fa, tanto. Ma non reddito da imprenditori: rendita parassitaria, incasso sicuro senza rischi di denaro estorto per un meccanismo di stato dalle taste di tanti poveracci che devono pagare cara la bolletta della luce (la più cara d'Europa) per arricchire i suoi colleghi prenditori (non è un refuso, "im" non se lo meritano perché per vent'anni incassano senza rischio).
Con la monocoltura maidicola, con le lavorazioni intensive e profonde, con l'uso di pesanti trattrici, rimorchi, botti, i colleghi di Gervasini (ma anche gli agri-industriali targati Coldiretti e Cia) stanno distruggendo la fertilità della terra. Con il biogas stanno anche riducendo la restituzione di sostanza organica e, per l'effetto congiunto del cambiamento climatico (cui l'agroindustria e l'industria zootecnica collabirano attivamente) rischieremo la desertificazione e comunque un pesante calo di rese agricole (stanno calando in Europa dagli anni '90 per colpa di quei benefattori dell'umanià che sono gli agroindustrialisti).
Grazie all'agroindustria la maggior parte delle acque italiane è contaminata con i pesticidi cui contribuiscono ampiamente risicoltori e maiscoltori. L'agroindustria andrebbe definita più correttamente agriusura perché - a parte la crescente finanziarizzazione - non "coltiva" ma sfrutta il terreno, le risorse biologiche, animali e vegetali. Le spreme mome un limone per il massimo profitto e le rottama. Ci sono contadini che coltivano e agriusurai che sfruttano Una bella differenza.
O mangi sta minestra...
Potremmo aggiungere l'accumulo di metalli pesanti nei terreni, la riduzione della biodiversità ecc. ecc. Ma non è solo un problema di cosa mangeremo domani. Già oggi le rese sono in calo e sulla qualità del prodotto agroindustriale ci sarebbe parecchio da dire. Nei prodotti alimentari diminuisce la quantità totale di residui di pesticidi ma aumenta il numero di principi attivi. Assumiamo un cocktail di sostanze xenobiotiche che ormai sappiamo produrre, a minime concentrazioni, gravi perturbazioni anche nella sfera genetica (gli interferenti endocrini determinano effetti epigenetici che si ripercuotono attraverso le cellule germinali anche sulle generazioni successive).
"Sfamare" dicono. Ma come? Quando in Africa alcuni paesi si rifutavano di accettare aiuti alimentari OGM veniva fatto valere il ricatto: "o mangi questa minestra...". No la "filiera corta" non è folklore. Se ci fosse solo l'offerta dell'agroindustria, se ci fosse solo cibo industriale negli ipermercati saremmo tutti costratti a ... "saltare dalla finesta". A mangiare cibi di plastica, cibi magari taroccati con un packaging alla Mulino Bianco. Se per "bucolico" si intende un cibo autentico che rivendica una differenza dalle imitazioni industriali, che valorizza la biodiversità invece che gli OGM, allora non siamo certo d'accordo con Gervasini
Non è una prospettiva incoraggiante sapere che l'agroindustria vuole sì sfamarci, ma con quello che fa comodo a lei.
Molto più incoraggiante è sapere che si sta ricostituendo, pur con qualche sbavatura folkloristica, una rete di produzione, di autoproduzione, di coproduzione di cibo contadina e neocontadina. Sfamare senza pestici non è lo stesso che sfamare con i pesticidi, gli Ogm ecc.
È nato un dibattito non anestetizzato
In ogni caso meglio la franchezza di Gervasini di tanta melassa che sentiamo da decenni. Alla fine va ringraziato perché ha gettato un sasso in uno stagno putrido. E a provocato l'orgogliosa risposta di alcuni giovani contadini bio che hanno replicato scrivendo a Varese News con una bella lettera che ci piace riportare di seguito per esteso
Gentile direttore,
27/04/2013
Le premesse all'assemblea di Confagricoltura spiegate da Pasquale
Gervasini, così caustiche nei confronti dell'agricoltura biologica,
della vendita diretta, ci spingono a qualche considerazione.
Ci stupisce essere indicata come “causa dei mali” quell'agricoltura
contadina che in tempi di crisi è un vero e proprio laboratorio per una
nuova modalità di lavoro possibile; quell'agricoltura contadina che ha
portato ad un aumento di occupazione nel settore primario con una
molteplicità di funzioni: prima di tutto produrre cibo.
Siamo agricoltori biologici a Calcinate del Pesce. Tre ettari di orto
con vendita diretta. Quattro redditi derivati dal lavoro nei campi e da
un integrazione con lavori forestali e ambientali.
Vendita diretta a un pubblico alla ricerca di cibi buoni, sani e nutrienti, un pubblico che cerca una relazione con chi produce.
Abbiamo cercato di fare riferimento in questi anni ai valori
dell'agricoltura contadina: fertilità del terreno, scelta di razze e
specie adatte all'ambiente, tutela del territorio, autonomia e
interdipendenza. Autonomia significa avere un numero di animali
proporzionato ai terreni da cui trarre il loro sostentamento, significa
fare il formaggio con il proprio latte, significa usare il letame per
concimare l'orto, proporre la verdura di stagione finchè c'è, poi basta.
Questa è l'autonomia agricola.
La stagione dell'agricoltura industriale è messa in crisi da tempo.
Perdita di fertilità, compattamento dei suoli, inquinamento, monotonia
del paesaggio agrario, insicurezza alimentare, l'uso immorale di suoli
agricoli per la produzione di mais da energia, insostenibilità sociale ,
ambientale ed economica di un modello di allevamento che prevede
l'approvvigionamento di materie prime dai paesi del sud del mondo.
L'agricoltura non è solo un fatto di tradizione, è un fatto di cultura,
di memoria, di attenzione, si sobrietà contro lo spreco insostenibile di
cibo, di diversità: diversità gastronomica che, in Italia soprattutto,
prevede una diversità agricola.
Agricoltura è anche necessità di reddito che premi finalmente la fatica e non il profitto di chi specula.
Massimo Crugnola, Luisa Broggini Ortobiobroggini - Varese