(28.08.13) Dopo un periodo di "quiescienza" riesplodono in Trentino gli impanti a biogas consortili. La trappola per incatenare gli allevatori ad un sistema zoocaseario economicamente e ambientalmente insostenibile
Dalla val di Non alla Valsugana
la fregola del biogas
di Michele Corti
arrivano i piazzisti di lusso a promozionare il biogas in val di Non. Tra pometi chimici e l'immagine di una montagna idilliaca tenuta su con lo scotch dell'orso Yoghi importato dalla Slovenia, di una tipicità alimentare che sa troppo spesso di prodotto industriale
Povera val di Non: non basta la monomelindacoltura (dai 40 trattamenti con pesticidi Consigliati dalla Fondafione Mach, braccio operativo di Mamma Provincia Autonoma in agricoltura). Non basta che i pesticidi utilizzati nei meleti siano sati oggetto, anche questa estate, di roventi polemiche. Non basta la notizia - esplosa a ferragosto - della presenza di pesticidi anche oltre i limiti di legge nel rio Robosc (vai al post di pesticidinograzie), un torrente che ha la disgrazia di attraversare i pometi. Ma anche povera Valsugana, dove resta aperto il problema dell'acciaieria di Borgo, mentre non sono dimenticati gli scandali della discarica nell'ex cava Monte Zaccon di Marter, comune di Roncegno e dei fanghi contaminati del bio-compostaggio (poi chiuso) di Levico.
Si vede che tutto questo non basta, ci vuole anche il biogas. Sia in Val di Non che in Valsugana.
Un biogas da grandi impianti consortili presentato qualche giorno fa in un convegno alla Mendola come un affare irresistibile per gli allevatori, per i residenti, per tutti.
La meteostar per incensare il progetto di biogas consortile nonesa
Per "lanciare" i progetto del grande impianto consortile si chiama la meteostar televisiva Luca Mercalli. Il quale si spreca in elogi. Ma il presidente della Società italiana di metereologia lo sa che con questa trovata si fossilizza per 20 anni un sistema zootecnico ancor meno sostenibile di quello della pianura padana e che con la montagna non c'entra niente? Lo sa che la maggior parte dell'alimentazione delle stalle nonese viene da centinaia di chilomentri di distanza? Certo anche le aziende padane utilizzano la soia globalizzata ma almeno la maggior parte del foraggio se la coltivano (male o bene) da sole. Sull'autostrada del Brennero c'è un bel traffico di fieno, mangimi e misceloni. Alla faccia delle emissioni! Lo sa il Mercalli che i grossi allevamenti nonesi interessati al biogas per "spingere" la produzione non mandano più le vacche (Frisone come nella pianura padana) al pascolo rimpinzandole di mangimi e misceloni anche in estate? Ma il pascolo - chieda agli specialisti se non ci crede - è un sink di CO2 e di CH4 senza contare che l'erba di pascolo cresce senza concimi chimici, pesticidi, lavorazioni del terreno e che ogni unità foraggera ottenuta dal pascolo sono emissioni e inquinamenti risparmiati.
La lezione di Fiavè dimenticata
Pare che la lezione dell'altopiano di Lomaso-Fiavè non sia servita a nulla. Dopo anni di polemiche il primo grande progetto di biogas consortile trentino venne decisamente affossato (2008), non solo per l'opposizione del locale Comitato No biogas (uno dei primi sorti in Italia), ma anche perché nel frattempo stava fallendo il più grosso caseificio del Trentino, sito proprio a Fiavè. Un fallimento (se ne parla nei post indicati nella colonna a fianco) che ha ingoiato tanti milioni di fondi pubblici e che ha indotto non pochi allevatori a ritenere meglio "far da sé", non solo per la vendita o la trasformazione del latte, ma anche per quella dei loro reflui zootecnici. Oggi, però, gli incentivi sono molto più alti di qualche anno fa e non mancano i personaggi del sottobosco tecnico-politico-amministrativo-professionale che spingono per riaprire la stagione dei biogas consortili. Ma nel contesto dell'economia zoocasearia trentina che senso ha? Ovviamente queste riflessioni strategiche non interssano molto a chi brama guadagni immediati. Ma parliamo di impianti destinati a durare 20 anni (e che incassano parecchie risorse pubbliche, oltre a "succhiare" dai tapini utenti elettrici).
L'Adige, 25 agosto 2013
Affarone per chi?
Gli esperti convocati al Passo della Mendola (e i media, vedi sotto) hanno sottolineato l' "affarone" dei 96 € (lordi) per vacca. Una cifra che serve a far brillare gli occhi agli allevatori ma che è solo la minima parte del guadagno (che evidentemente va in altre tasche). Gli allevatori forse non si rendono conto che perderanno la loro libertà imprenditoriale. Per 20 anni saranno vincolati a conferire liquame. Niente differenziazioni, niente conversioni a sistemi più sostenibili come stanno facendo moltissmi allevatori alpini. Sono ormai sempre di più quelli che, tanto per cominciare, cambiano razza (passando da Frisona e Brown Swiss a Pezzata rossa, Grigia, Pinzgauer, OB) e abbandonano il sistema di alimentazione "spinto" recuperando prati e pascoli. Recuperata autonomia imprenditoriale e uno "stile produttivo" consono alla montagna gli allevatori mandano anche a quel paese le "centrali" che gli pagano 45 centesimi il latte e pensano a lavorarsi il loro latte (anche perché, riducendo mangimi e intrugli, e aumentando pascolo e fieno è tornato un buon latte).
Poca lungimiranza
Purtroppo gli allevatori che preferiscono restare aggangiati all'ideologia produttivista, della palingenesi tecnologica - di cui il biogas rappresenta l'apogeo - non si rendono conto dei reali termini economici del problema. Quello che il "sistema" (industrial-bancario-politico-tecnoburocratico-clientelar-parassitario)
gli regala come premio di partecipazione al business del biogas se lo
riprende con gli interessi pagandogli meno il latte (tanto hanno il biogas, tiriamogli
pure il collo...) e continuando a produrre nel grande "polo bianco" del
sistema caseario industriale trentino caratterizzato da poca efficienza,
storie di buchi ripianati da "mamma provincia" e scarsa qualità dei
prodotti (la famosa mozzarella che è stata anche blu). Difficile non rendersi conto che quando ti vincoli per vent'anni a conferire migliaia di tonnellate di merda poi diventi un servo della gleba, non poi cambiare rotta. Anche se i prezzi dei mangimi andassero alle stelle. E lo sanno tutti che le produzioni mondiali, europee, nazionali sono in calo, che la popolazione cresce e crescono le agroenergie e i biocarburanti. Ma senza mangimi tutto questo sistema "pompato" non gira più. E sono
poi cos' sicuri i biogassisti e gli allevatori che cascano nella trappola che tra venti anni in Italia ci sarà una situazione tale per la quale i consumatori accetteranno ancora di essere vessati da un sistema speculativo di (pseudo) "energie rinnovabili"? Ci sono nazioni che hanno annullato il proprio debito sovrano, figuriamoci se in caso di rivaltamento politico sull'onda del fallimento del sistema paese saranno garantiti gli incentivi pregressi delle "tariffe onnicomprensive" e
dei certificati verdi.
Quanto al turismo non ci
vuole molto a demolire in qualche anno l'immagine di una valle (e del
Trentino intero). Le proteste dei nonesi, stufi di essere esposti alla
deriva dei pesticidi impiegati per produrre le mele, stanno piano piano
facendosi sentire in tutto il Trentino e anche più in là. Aggiungasi che
se la Val di Non diventa la valle del biogas poi non basteranno gli
orsi in fotografia sui poster a fare green washing.