(25.09.13) Deprime vedere che si propone di legare le prospettive della zootecnia di montagna non alla valorizzazione di prodotti di qualità nei circuiti del turismo enogastronomica... ma a quella delle speculazioni coproelettriche
Fermiamo la follia
del biogas in montagna
La Valsassina non c'entra nulla con il biogas
Mentre anche in pianura è iniziato un ripensamento sul biogas, i gatti e le volpi tentano di circuire anche gli allevatori di montagna proponendo le "biogas consortili d'altura". Così gli allevatori che già dipendono da chi ritira il latte e fornisce i mangimi dovranno anche vincolarsi con la fornitura di merda.
La
lobby biogassista non demorde. Progetti di biogas consortile sono
abortiti (o bloccati dagli abitanti) sull'altopiano di Fiavè in
Trentino e in Alta Valle Camonica. Suonando tutti i loro pifferi
magici i biogassisti stanno tentando di circuire l'alta Val di Non
(dove c'è un comitato No pesticidi pronto a mobilitarsi anche contro
il biogas) e la Valsugana (vedi post: Con
il biogas di montagna la biotruffa ci guadagna) . Nell'eldorado
del biogassismo, la Lombardia ora gli avvoltoi volteggiano sulla
Valsassina. Parlassimo di Lessinia (Verona) dove è montagna solo
altimentrica ma prevalgono stallozze di Frisone che vanno a mangime,
di bassa Valtellina e bassa Valcamonica la cosa non sarebbe poi tanto
più negativa di quello che è nella Bassa. Ma la Valsassina è
montagna vera. Non si fanno le trincee di insilato e si fa anche pascolo e
alpeggio. Cosa ci azzecca il biogas in Valsassina se non
sulla base di calcoli a tavolino di chi ha in mente di lucrarci sopra?
A parte ogni altro impatto nessuno si chiede se i digestati del biogas siano idonei nel contesto di un sistema come quello valsassinese basato su prati stabili e pascoli? Il digestato è un concime ammoniacale. Adatto alle colture primaverili (mais) perché, quando nel terreno si riattiva l'attività microbica, i processi ossidativi convertono l'ammoniaca (ben trattenuta dalla capacità di assorbimento del terreno) in nitrati che, se no sono assorbiti dalle radici, vengono lisciviati nell acque causando inquinamento. Già le cose vanno meno bene (in pianura) nell'uso sui cereali autunno-vernini perché le piogge invernali possono dilavare i nitrati formatisi in autunno con presenza di attività microbica.
Ma cosa serve una botta di ammoniaca ai prati stabili, che non hanno punte di fabbisogno di nutrizione azotata se non a causare inquinamento degli acquiferi?
Mentre in Svizzera il reddito è sostenuto per i servizi di mantenimento della manitagna, per lo sfalcio dei prati, per il mantenimento del paesaggio e della biodiversità nella Lombardia beceramente industrialista si arriva a sostenere che - visto che conferendo il latte alle centrali e agli industriali l'allevatore di montagna guadagna poco bisogna darli la possibilità di produrre energia elettrica sussidiata. le notizie della bassa Lombardia parlano di catene di incidenti, di proteste, di comitati che intendono dare filo da torcere agli speculatori. Pensare di calare in montagna il modello biogas improntato alla pura ricerca della quantità (di merda in questo caso) è puramente demenziale (se non ci fossero dietro interessi spregiudicati).
Piùmerda, più elettricità più soldi (per chi è ancora tutto da chiarire perché in questi casi agli allevatori che cadono nel tranello arrivano le briciole). Basta alpeggio (non si sprechi merda sui pascoli!) e se il biogas da un po' di soldini avanti con i mangimi e che i prati diventino roveti.
La Valsassina è un concentrato di tradizioni casearie di rilievo mondiale. "Ma anche a Bolzano fanno il biogas". Prima di tutto non fanno impianti consortili mega ma piccoli (lì sul serio) impianti aziendali dove il guadagno - giusto o meno che sia tutto l'ambaradan del biogas - resta in tasca al titolare dell'azienda agricola. Ma chi fa l'esempio di Bolzano pare dimenticarsi che in Südtirol dove, tranne qualche pregevole esempio di "nuova tradizione" artigianale, il latte va alla MILA per essere trasformato in prodotti industriali.
Quando parliamo di Valsassina parliamo del top mondiale della cultura casearia (i vecchi bergamini si rivolteranno nella tomba a sentir parlare che si vuole fare reddito conla merda e non lavorando il latte).
Qui è nata l'industria casearia italiana, qui (insieme alla Val Taleggio) nascono gli stracchini quadri (antenati del Taleggio) e quelli tondi (anternati del Gorgonzola), ma ci sono anche le robiole, i caprini (a coagulazione lattica come in Francia). Ci sono le grotte di stagionatura che hanno fatto la fortuna di Cademartori, Mauri.
Un blasone caseario che è difficile trovare anche in Francia. Invece niente. Pare che, mentre in Valtaleggio si riesca a valorizzare la tradizione con lo Strachitunt (che ha ottenuto la Dop) e lo Stracchino all'antica), in Valsassina non si riesca a combinare nulla. È veramente deprimente pensare ad una valle così bella come la Valsassina che non è in grado di valorizzare in loco il latte e che, per rimediare a questa incapacità, punta a realizzare una centrale coproelettrica dove sarà la merda a sostenere l'economia zootecnica.
Con lo spettacolo delle cupole della centrale, l'inquinamento dei camini dei motori che bruciano biogas e che rigurgitano ragguardevoli quantitativi di polveri sottili, SO2, NOx, Composti organici volatili (e cancerogeni, come la formaldeide). Un biglietto da visita fantastico per la Valsassina. Una tomba sui futuri progetti di valorizzazione delle tradizioni casearie (che magari le future generazioni saranno in grado di intraprendere).
Va
spiegato ai turisti e ai residenti, ai proprietari delle seconde case
che la centrale a biogas ha una durata di 20 anni. Per gli allevatori
che cadono nel tranello la prospettiva è vincolarsi per venti anni
(le penali saranno fortissime perché se l'impianto non ha più merda
non può rispettare il contratto con il GSE). Niente cambiamenti del
sistema di produzione, niente diversificazione, niente
differenziazioni. Le opportunità che si presenteranno alla montagna
nei prossimi decenni (prima o poi bisognerà cambiare rotta e magare
adottare il metodo svizzero!) passeranno invano. Gli schiavi del
biogas dovranno continuare - nella malaugurata ipotesi di
realizzazione del progetto - a produrre merda.
Vai
a vedere anche:
Biogas
in montagna: che aberrazione
(di
Fausto Gusmeroli, ricercatore Fodazione Fojanini di Sondrio, docente
di agroecologia Università di Milano)
http://sgonfiailbiogas.blogspot.it/2011/07/biogas-in-montagna-che-aberrazione.html)
Il
Trentino dell'orso e delle montagne incontaminate tra pesticidi e
biogas
http://sgonfiailbiogas.blogspot.it/2013/08/piazzisti-di-lusso-per-il-biogas-di.html
Biogas in montagna, se ne e' discusso in Valsassina
BIOGAS: CASO STUDIO DI UN IMPIANTO
CONSORTILE IN VALSASSINA
Scritto da Cristina Rovelli
Nell'ambito delle seguitissime manifestazioni zootecniche valsassinesi, in programma
dal 27 al 29 settembre 2013, il sabato mattina è
stato impreziosito con un significativo convegno dedicato ai piccoli
impianti di biogas in montagna, ovvero il caso studio di un impianto
consortile in Valsassina, tenutosi presso la comunità montana
Valsassina a Barzio.
I temi affrontati hanno toccato
problematiche inerenti la quantificazione sperimentale del potenziale
metanigeno delle matrici organiche in ingresso all'impianto, la
logistica di conferimento dei materiali organici da utilizzare e lo
studio di fattibilità di un impianto consortile di biogas di piccola
taglia in Valsassina. Sono intervenuti diversi professionisti come
David Bolzonella dell'università di Verona, Remigio Berruto
dell'università di Torino e Marco Mezzadri dell'AIEL. Moderatore del
convegno Giacomo Camozzini che ha introdotto le autorità presenti
Alberto Denti e Davide Combi, Presidente e Assessore all'agricoltura
della comunità montana Valsassina, Carlo Signorelli, Assessore
all'agricoltura, ecologia, caccia e pesca della provincia di Lecco.
E' fuori discussione che la zootecnia di montagna sia un
settore in piena crisi rispetto alle produzioni di tipo industriale,
a causa dei costi di produzione sempre più crescenti in
contrapposizione a un riscontro economico decisamente non adeguato
alle spese sostenute. Il percorso verso un'integrazione armonica tra
territorio e produzioni deve viaggiare di pari passo, da un lato un
meritato riconoscimento economico, dall'altro un'ulteriore
integrazione al reddito tramite lo sviluppo dei biogas derivati da
fonti agricole che, in questi ultimi cinque anni, grazie anche agli
incentivi pubblici, è stato portato sempre come un esempio da
seguire sebbene non sempre, si siano considerati i contesti
ambientali in cui si operava.
Con questo convegno si è voluto
dare un significato concreto e non solo ideologico a concetti
attualissimi come quelli di “sostenibilità della zootecnia delle
aree montane” e “virtuosità economica, energetica ed ambientale
dei biogas”, con prodotti derivanti dagli allevamenti. Riuscire a
realizzare un impianto consortile in Valsassina potrebbe evitare
l'inevitabile chiusura di stalle di piccole dimensioni e soprattutto,
porterebbe ad un miglioramento dei parametri energetici ed
ambientali, sfruttando la produzione di energia rinnovabile grazie
alla digestione anaerobica di effluenti di allevamento.