(06.03.14) L'Unione Europea corrisponde ad un programma di riduzione a sudditi dei portatori di interessi diffusi mentre le lobby economiche, finanziarie e tecnocratiche concentrano sempre più potere all'ombra della Commissione. I Grandi Predatori sono l'ennesima prova
E' ora che le organizzazioni agricole prendano ferma posizione sui grandi carnivori
Les organisations agricoles doivent tenir de position ferme sur les grands carnivores
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(grâce à la collaboration avec leloupdesvoisins.canalblog.com ()
di Michele Corti
Anche le organizzazioni agricole ufficiali dicono - pur con qualche ambiguità - no al Manifesto ipocrita della Commissione europea sulla "coesistenza" con i grandi carnivori scritto dalla lobby autoreferenziale LCIE (studiosi partigiani pro lupo, pro orso, pro lince e WWF). In Francia organizzazioni agricole ufficiali e stakeholders rurali e montani hanno approvato una posizione comune con la quale si chiede espressamente che venga modificato l'anacronistico status di "specie super protetta". Ma bisogna cambiare la Convenzione di Berna
La "coesistenza", la "convivenza" presuppone che ci sia una volontà da parte di entrambi i partner del rapporto, altrimenti non è convivenza ma stupro continuato. Con i grandi predatori la "convivenza" è imposta dalla tecnocrazia verde, da una nuova forma di autoritarismo biopolitico, di controllo sociale e territoriale ("per interposta natura selvaggia") cheporta indietro di secoli la storia, rispristina il servaggio e legittima l'impossibilità, di chi è portatore di legittimi interessi di farli valere democraticamente.
Le decisioni sono assunte da una tecnocrazia che non risponde a nessuno, dove il "diritto divino" è stato sostituito da una "necessità ecologica" di uguale valore teologico, parimenti inconfutabile e parimenti affidata all'interpretazione di una casta sacerdotale che considera i "laici"con sommo disdegno.
Nel caso della gestione dei grandi predatori è alla lobby LCIE (large carnivores initiative Europe) che è stato demandato dalla tecnoburocrazia di Bruxelles (la DG ambiente) di scrivere la politica europea delle relative specie (orso, ghiottone, sciacallo, lupo, lince e speriamo che la lista non si allunghi).
La LCIE è una lobby capace di influenzare a proprio favore la Commissione Europea come tutti i poteri forti, capace di escludere dal processo decisionale i tapini portatori di interessi diffusi, i pastori, gli allevatori, i montanari. Capace di scrivere, in piena autosufficienza, le norme di "coesistenza" tra predatori e prede domestiche e di dettare agli allevatori i metodi di difesa dei loro animali domestici, i metodi di pascolamento, senza tenere conto di quanto essi dicono e pensano e dei loro interessi, senza sentire i loro rappresentanti, gli organismi tecnici e di ricerca del settore, gli esperti di parte pastoralista. Quanto più la EU inserisce altisonanti riferimenti ai principi di democrazia, partecipazione ,sussidiarietà quanto più nella sua prassi instaura il ritorno a forme di assolutismo. Nel caso del conflitto intorno ai grandi predatori la farsa è evidnete: quanto più si parla e si scrive di "coinvolgimento di popolazioni e di stakeholders" e quanto più si va avanti per la strada di affidare alla lobby LCIE la scrittura delle regole del gioco.
"Convivenza" o stupro continuato?
La "convivenza" tra predatori e animali domestici viene assunta aprioristicamente come realizzabile sempre e ovunquedalla LCIE. Il trucco è semplice: essa tiene conto solo di sé stessa e ignora le informazioni, le statistiche, le valutazioni, gli studi di parte pastoralista ma anche quelli ufficiali che mostrano come tale situazione per il pastoralismo e l'allevamento estensivo ha, in molte regioni europee, costi proibitivi, tali da compromettere la sostenibilità economica e sociale a medio-lungo termine dei sistemi di allevamento.
In assenza di una profonda revisione di tutta la materia sul regime di protezione di orsi e lupi venga non è possibile alcun riequilibrio, nessuna possibilità di ridurre efficacemente la pressione predatoria con un controllo da parte delle autorità pubbliche delle popolazioni dei predatori e l'attuazione di mezzi di difesa attiva (anche con l'uso delle armi). Da anni la lobby dei grandi carnivori (in particolare quella del lupo) incassa decine di milioni per "dimostrare" che la convivenza tra allevamento e grandi predatori è possibile. La "dimostrazione" si basa sull'aforisma di Goebbels: "Una menzogna ripetuta tre volte, diventa verità". In realtà con i tanti progetti LIFE, come LIFE COEX, i nostri bravi lobbysti (riempiendosi anche le tasche) hanno prodotto non tre ma trecento relazioni, pieghevoli, opuscoli, convegni in cui si "spiegava" che con i cani di guardiania e le recinzioni elettriche (e magari anche con la presenza 24 h su 24 del pastore novello servo della gleba) "si risolve il problema".
In realtà l'efficacia della propaganda, perché di pura e genuina propaganda si tratta, è affidata anche ad un altro fattore: chi racconta un'altra storia, chi suona un'altra campana deve essere messo a tacere. Non sono i metodi della Gestapo e del KGB ma metodi più subdoli: mancanza di accesso ai media, mancanza di risorse, delegittimazione e dileggio sfruttando la macchina dell'egemonia culturale urbanocentrica e il favore dell'intellighentsia di regime che a queste operazioni antidemocratiche, antisociali, fornisce volentieri etichetta di progressismo (del resto è su questo equivoco che si basa il potere post-moderno).
La duplice strategia ambiental-animalista: ala scientifica e ala militante
La LCIE rappresenta la parte "scientifica" del fronte animal-ambientalista, deve sostenere la finzione di una "convivenza possibile". Ma i lobbysti della LCIE sanno bene (pur non ammettenbdolo in pubblico) che i "mezzi di difesa passiva" non sono sufficienti, non sono abbastanza efficaci. Sanno benissimo che i predatori imparano presto ad aggirare le difese (come dimostrano gli attacchi all'interno delle recinzioni, i cani da protezione feriti e uccisi dai lupi). La visione "naturalista" che gli esponenti scientifici del fronte ambientalista rivestono di argomentazioni scientifiche, più o meno di comodo, è basata su un nucleoideologico (quando non parareligioso). Il lupo/orso deve essere "superprotetto" perché rappresenta molto di più in una specie importante nell'ecosistema: è - nelle parole delle lobby ambientaliste - una "specia carismatica", una "specie bandiera", una "specie ombrello". Concetti che hanno vaghe relazioni con i reali elementi di razionalità scientifica e con l'ecologia.
Chi non ha preoccupazioni di mantenere una maschera di rispettabilità scientifica parla invece apertamente di "lupo/orso quali simboli della rivincita della natura selvaggia". È una rivincita che nasconde il livore nichilista nei confronti della presenza delle comunità umane che violano la wilderness. Questi "sacerdoti" non mettono in discussione il "disturbo antropico" delle megalopoli che divorano energia e risorse non rinnovabili e rendendo difficili se non impossibile il riciclo naturale della materia. No. Essi individuano nell'uomo pastore, boscaiolo, cacciatore di montagna il "disturbo", l'usurpatore, l'elemento "abusivo". Gli piace vincere facile, prendersela con i deboli.
I gruppi più militanti sostengono apertis verbis che i pastori, gli allevatori devono essere eliminati sulla base dell'etica animalista vegana. Non è difficile rendersi conto però che:
1) dietro l'imposizione di una pressione predatoria insostenibile c'è, da parte degli ambientalisti "moderati" e della componente scientifica (che sostiene che "la natura si riequilibra da sola" e che l'uomo e gli animali domestici comportano un "disturbo" sull'ecosistema), lo stesso desiderio di pulizia etnica espresso con maggior baldanza dalle organizzazioni più radicali;
2) le campagne a favore del lupo e contro il consumo degli agnelli non mettono in discussione e non danneggiano il business industriale ma l'anello debole della catena, ovvero le piccole aziende contadine e pastorali, la cui messa fuori gioco favorisce il monopolio dell'agro food system. Forse qualcuno ha ancora dubbi circa il fatto che il "ritorno della natura selvaggia" da una parte e la politica degli OGM , del land grabbing, dell'avvelenamento "sostenibile" del cibo, dell'acqua, della terra, dall'altra siano due facce dell'identica medaglia?
Realtà fattuale non lamentele e piagnistei
Sostenendo tutto questo non si intede cadere nelle "lamentele" nelle quali il mondo agricolo è accusato di indulgere. Parliamo di fatti, non facciamo piagnistei. Nel gennaio 2013 si era tenuto a Bruxelles un seminario cui avevano partecipato anche stakehoders in rappresentanza di pastori, contadini, cacciatori. Il 5 dicembre, in un successivo seminario, erano presenti invece soloi rappresentanti del COPA, ovvero delle organizzazioni agricole professionali ufficiali. Per l'Italia c'era solo Domenico Mastrogiovanni della CIA (Confederazione italiana agricoltori) a rappresentare "l'altra campana". Un po' poco, anche perché la parte ambientalista (tra ambientalisti in servizio permanente effettivo e quelli in veste di scienziati e dirigenti di enti pubblici, altrettanto se non maggiormermente caratterizzati da orsolupofilia dei primi) è sempre ben rappresentata.
Tra i nomi dei partecipanti italiani spiccano la famiglia Boitani (Luigi Boitani è il guru della lupologia europea e indiscusso "papà dei lupi"), Groff (il "papà degli orsi trentini" e dirigente della Provincia Autonoma di Trento) poi c'erano i papaveri del Parco della Majella, Legambiente e un'altra accademica allieva di Boitani, la Salvadori.
Ecco la lista:
ANGELUCCI Simone Simone.angelucci@parcomajella.
ANTONUCCI Antonio
Antonio.antonucci@
BOITANI Luigi Luigi.boitani@uniromal.it Rome, ITALY Instituto Ecologia Applicata and Large Carnivore Initiative for Europe
BOITANI Caterina Caterina.boitani@iucn.org Brussels, BELGIUM IUCN
DI NINO Oremo direttore@parcomajella.it Sulmona, ITALY Majella National Park
GROFF Claudio claudio.groff@provincia.tn.it Trento, ITALY Alpine Convention Provincia Autonoma di Trento
MASTROGIOVANNI Domenico d.mastrogiovanni@cia.it Rome, ITALY CIA (copa-Cogeca)
NICOLETTI Antonio a.nicoletti@legambiente.it Rome, ITALY Legambiente Onlus
SALVATORI Valeria Valeria.salvatori@gmail.com Rome, ITALY Instituto de Ecologia Applicata
Le ragioni della mossa di limitare al COPA la rappresentanza dell' "altra campana" sono facilmente comprensibili: la COPA rappresenta anche (e soprattitto) l'agricoltura industriale e inquinante che fa il pieno dei premi della PAC ed è certo molto più "morbida" delle organizzazioni che rappresentano l'agricoltura contadina, l'agricoltura di montagna, il pastoralismo. Questi ultimi sono gli stakeholders spesso deboli che si confrontano direttamente con i grandi carnivori. Trattare con i primi, che non hanno certo voglia di entrare troppo in conflitto con la Commissione, è molto più conveniente per gli ambientalisti.
In Francia, in Italia, in Spagna (ma non solo) la situzione è ogni giorno più calda
Nell'ultimo anno, negli ultimi mesi, nelle ultime settimane, però, qualcosa è cambiato. Si ha l'impressione che le cose siano sfuggite di mano agli strateghi della LCIE, agli apprendisti stregoni, ai demiurghi di un mondo rinaturalizzato dove predatori, superpredatori, necrofagi, prede giocano al Teatro della natura, un Teatro dove l'uomo (quello che lavora con la natura per guadagnarsi il pane) è tolto di mezzo e intervengono loro, deus ex machina, i novelli dei, i super uomini che manovrano a distanza i fili degli attori del Teatro, ovvero le popolazioni dei loro pupilli in ossa, carne e pelliccia. Hanno imparato tanto bene a usare radiocollari, gps, fototrappole, chips e simili aggeggi, nel trasformare il Selvatico in una loro Creatura ibrida (tra tecnologia e "natura") che forse si son un po' troppo gasati. Nel trattempo i pastori, gli allevatori, ancora troppo numerosi e vitali (la parte ambienta-animalista avrebbe sperato che il conflitto esplodesse tra qualche anno), hanno deciso di dare battaglia. E hanno trovato simpatizzanti (vedi articolo).
In Francia un gruppo congiunto di Confédération paysanne, Fédération Nationale Ovine, FNSEA, Jeunes Agriculteurs e delle associazioni (Eleveurs et bergers du Vercors ; Eleveurs et montagnes ; Solidarité pastorale ; Le Cercle ; Fédération des acteurs ruraux; Association des bergers de Provence et des Alpes du sud ; Association des pâtres de haute montagne ha redatto un comunicato congiunto che non lascia spazio ad ambiguità: "Bisogna cambiare lo status di specie protetta del lupo". Nel comunicato si sostiene che:
"Lo stato si è lasciato scappare di mano la situazione, gli attacchi aumentano esponenzialmente sia nelle aree in cui la presenza del lupo è ormai attestata che nelle nuove aree di colonizzazione. Solo un cambiamento nella legislazione europea, in particolare una revisione del suo status nella direttiva Habitat, darà la possibilità allo stato di gestire questa popolazione. Il tetto di 24 prelievi per la stagione 2013-2014 non è stato sufficiente a fermare l'esplosione demografica e geografica dei lupi in Francia. Solo sette lupi peraltro sono stati in realtà abbattuti su 71 autorizzazioni rilasciate nel 2013 . Oltre ad essere impossibile eseguire gli abbattimenti nella maggior parte dell'anno questi prelievi sono costantemente oggetto di contestazioni giuridiche. Inoltre, nonostante l'attuazione di misure di protezione , più di 6.000 animali vengono ancora uccisi ogni anno. Gli agricoltori sono allo stremo perché, se non cambia nulla, sanno di essere condannati . Vi è quindi urgente bisogno di cambiare lo status della specie nella Convenzione di Berna e la direttiva Habitat per superare lo stallo di una convivenza impossibile tra lupi e pastorizia. Chiamiamo una riunione di crisi con i ministri di Ecologia e Agricoltura di modificare i testi europei e internazionali".
Va purtroppo osservato che il riferimento alla direttiva Habitat (voluto dalla Fnsea che rappresenta la Francia nel COPA) vede contrarie le associazioni degli stakeholders che ritengono invece necessario concentrarsi sulla revisione dell' art. 22 della Convenzione di Berna (richiesta peraltro anche dal Parlamento svizzero). La revisione della direttiva Habitat rischia di attirare le forze che vogliono difendere il pastoralismo e la ruralità in una palude di interminabili discussioni per un decennio lasciando marcire la situazione ovvero lasciando che il pastoralismo sia sempre più alla mercè dei grandi predatori (come vogliono gli ambiental-animalisti).
Lascia inquieti anche quel riferimento alle "compensazioni", alla monetizzazione del danno che le associazioni del pastoralismo rigettano. La COPA pensa di comprare l'accettazione sociale della presenza dei grandi predatori (e dell'impossibilità di contrastarli attivamente) con ulteriori forme di indennizzo. Forse serpeggia l'idea di sovvenzionare allevamenti-parafulmine destinati a soddisfare le esigenze alimentari dei grandi carnivori per "attutire il conflitto". Ma i pastori non accetteranno mai di allevare animali per farli sbranare da orsi e lupi.
E in Italia?
Negli ultimi mesi in Maremma, ne sud della Toscana, una decina di carcasse di lupo sono state esposte nelle piazze e lungo le strade come atto di protesta rispetto al disinteresse per la gravità dei danni da lupo che subiscono gli allevatori. Le tre principali organizzazioni hanno quindi lanciato una campagna di comunicazione dai toni insolitamente decisi "a sostegno della lotta contro i predatori delle greggi". Parole forti ma sino a che punto corrispondono alla volontà di schierarsi apertamente con i pastori e chiedere la revisione della Convenzione di Berna e l'avvio di programmi di controllo del predatore?
Qualche dubbio è lecito dal momento che, proprio in provincia di Grosseto, le organizzazioni agricole hanno partecipato (spartendosi la torta) a Hybryd Wolf, il solito progetto milionario per convincere che i "cattivi" non sono i lupi ma gli ibridi e i cani vaganti. In realtà i lupi sono alrettanto opportunisti degli "ibridi" e dirottare su di loro la colpa delle predazioni (e i comportamenti sempre meno timorosi nei confronti dell'uomo) rappresenta la solita astuta manovra propagandistica condotta con l'avallo di quelle organizzazioni che, sulla carta, dovrebbero tutelare gli allevatori.
Se ora la "triplice dei campi" usa parole dure lo fa forse più per il timore che la loro base le scarichi e tenda ad organizzarsi al di fuori delle strutture di rappresentanza istituzionalizzate.
In ogni caso, di fronte al Manifesto sui grandi carnivori della Commissione Europea, che mantiene lo status quo e prevede l' "accettazione" per di più consensuale della presenza dei prendi predatori, anche la Coldiretti ha assunto, come la maggior parte delle organizzazioni del COPA, un'atteggiamento fortemente critico. Era ora.
Ma i limiti di questo atteggiamento sono evidenti. La Coldiretti, in particolare, chiede la revisione della Direttiva Habitat relativamente all'articolo che concede le "deroghe". ovvero che consente, con un processo farragginoso (autorizzazioni preventive del Ministero dlel'ambiente), un limitato controllo del lupo (o dell'orso) qualora si constatino gravi danni economici o gravi squilibri nelle popolazioni di fauna selvatica.
È invece dalla Convenzione di Berna che bisogna partire per smantellare il castello normativo messo in piedi dalla strategia ambiental-animalista.
In ogni caso sono sempre meglio le tardive posizioni critiche delle organizzazioni agricole rispetto alla scarsissima attenzione si qui prestata al problema. Potremmo infatti chiederci: "dov'erano le organizzazioni agricole nei decenni trascorsi quando la lobby dei grandi carnivori ha costruito le condizioni per la loro "rivincita"? Distratte a dir poco. Per troppo tempo le organizzazioni agricole sono state inerti sulla base di un tacito "patto scellerato" con il fronte ambiental-animalista: "Voi non rompeteci le scatole sul fronte economicamente più polposo dei premi Pac, di un'agricoltura inquinante e superintensiva e poco sostenibile, dell'uso dei pesticidi e noi vi lasciamo carta bianca nella gestione dei Parchi e della fauna". Questo patto ha consentito al fronte ambiental-animalista di guadagnare molte posizioni strategiche. Di più: questa posizione opportunista ha consentito di avallare la tesi della lobby dei grandi carnivori circa l'accettazione da parte del mondo agricolo dell'espansione numerica e geografica dei predatori.
Le posizioni recenti della Coldiretti sui Parchi sono illuminanti: essa non chiede una revisione del concetto di "aree protette" che hanno posto tanti vincoli alle piccole attività agricole, forestali, pastorali. No chiede abbastanza spudoratamente di fare più posto alle organizzazioni agricole, chiede poltrone (e spartizione della torta dei finanziamenti che i Parchi continuano a ricevere mentre gli enti pubblici territoriali hanno le casse vuote).
Oggi, però, siamo ad un punto di svolta. Il conflitto sociale si fa aspro e le organizzazioni agricole non possono più mantenere la loro comoda posizione cerchiobottista e opportunista. La situazione è scappata di mano a tutti: ai potentati ambientalisti come a quelli agricoli che hanno lasciato ai primi ampie zone di "pascolo riservato".
Siamo alla resa dei conti
Di fronte al Manifesto della Commissione i margini di contrattazione sono nulli o quasi. Sono state le organizzazioni agricole a far credere alla DG ambiente, al mondo ambiental-animalista che potevano operare autoreferenzialmente. Ora non resta ad esse che una scelta: o rigettano il Manifesto, rifiutando di fare il gioco della Commissione e degli ambientalisti che non potrebbero più sostenere la tesi della "consensualità", o farsi sconfessare dagli stakeholders che, sempre più frequentemente, si devono confrontare con la pressione predatoria e gli impatti indiretti della presenza dei grandi predatori.
Le critiche al Manifesto da parte di COPA e Coldiretti (vedi sotto il comunicato integrale) sono pesanti. Essi sostengono che il documento tiene conto solo delle esigenze di conservazione (ma bisognerebbe parlare di espansione) dei grandi predatori senza minimamente accennare alla pressione economica che tali animali creano nelle aree agricole e rurali. Contestano che nella situazione attuale che vede le gestione della materia affidata ai soli soggetti interessati alla tutela dei predatori e ricordano a chi fa orecchie da mercante che la contrazione delle attività zootecniche estensive e pastorali, indotta da una crescente e insostenibile pressione predatoria, porta con sé il rischio di estinzione di numerose popolazioni autoctone di animali domestici a limitata diffusione per i quali è previsto un preciso impegno di tutela sulla base dell'adesione dell'Italia e della Ue alla Convenzione per la biodiversità. Due pesi e due misure, evidentemente.
A questo punto, considerato che per la DG ambiente e la parte ambiental-animalista lo status di super protezione del lupo non è rinunciabile (e non è neppure discutibile il monopolio conservazionista su tutta la materia della prevenzione dei danni e della gestione dei predatori), alle organizzazioni agricole europee non rimarrà che rigettare il Manifesto. Se non lo fanno, se inseguono impossibili compromessi si presteranno al gioco della lobby dei grandi carnivori che non aspetta altro che legittimare il suo autoritarismo, l'imposizione antidemocratica dell'ecopotere tecnocratico con la foglia di fico della "consensualità". Il mondo agricolo deve far sapere alla Commissione, al Parlamento all'opinione pubblica che la politica sulla reintroduzione dei grandi carnivori è portata avanti con la sua ferma opposizione. Deve far sapere che quello che si perpetua è un sopruso sociale di una minoranza agguerrita e arrogante (mossa più da interessi economici e di potere che da "amore per la natura") contro milioni di allevatori, pastori, abitanti delle aree rurali e montane.
Manifesto grandi carnivori, l'Ue dimentica l'agricoltura
(Comunicato Coldiretti)
27/02/2014 Il Presidium del Copa, l'organizzazione degli agricoltori europei, si è riunito per votare il Manifesto della Commissione Ue sui grandi carnivori, dall’orso al lupo, ma le Organizzazioni agricole, tra cui Coldiretti, degli Stati membri nei quali ci sono rilevanti problemi di convivenza tra tali specie e l’agricoltura hanno espresso, in maggioranza, la necessità di rivederne i principi. Il Copa ha, quindi, chiesto alla Dg Ambiente della Commissione di riformulare i contenuti del manifesto sulla base di quanto emerso dal confronto. Il documento, se opportunamente modificato dall’organismo comunitario, sarà dunque riesaminato dal Copa ad aprile, quando deciderà se approvarlo o meno.
L’Unione europea si sta ponendo come obiettivo la protezione e la gestione dei grandi carnivori europei, in considerazione del fatto che uno stato di conservazione soddisfacente per queste specie può essere raggiunto efficacemente soltanto attraverso una forte cooperazione tra i Paesi, un approccio di gestione del livello di popolazione ed un dialogo diffuso con le parti interessate.
Proprio per questo, lo scorso anno, la Direzione Generale Ambiente della Commissione europea ha lanciato una nuova iniziativa per i Grandi Carnivori con lo scopo di incoraggiare un dialogo attivo con tutte le parti interessate ed esplorare le modalità di promozione della coesistenza fra uomo e grandi carnivori in Europa. Questo processo si basa sui risultati di iniziative precedenti, come ad esempio la Guida sulla gestione del livello di popolazione dei grandi carnivori del 2008 o l’iniziativa per i grandi carnivori per l’Europa. Sono anche considerate le esperienze positive dei progetti Life e l’iniziativa europea per la caccia sostenibile del 2004.
Come primo passo di questo processo, la Dg Ambiente ha ospitato a Bruxelles il 25 gennaio 2013 un seminario che ha visto la partecipazione di più di 80 rappresentanti dei più vari interessi (allevatori di bestiame e di renne, cacciatori, proprietari terrieri, ambientalisti, biologi esperti di conservazione, gruppi per il benessere animale, politici, amministratori e giornalisti).
La parte principale del seminario è stata dedicata a piccoli gruppi di discussione nei quali i vari rappresentanti sono stati chiamati ad esprimersi su tre questioni chiave: la visione per il futuro dei paesaggi rurali, i principali ostacoli al raggiungimento di questa visione e proposte per superarli. Il metodo di confronto per “visioni” (detto visioning) è ritenuto utile a generare idee ed identificare i principali interessi dei partecipanti.
Per contribuire ulteriormente alla discussione sono stati forniti diversi studi e documenti. La Dg Ambiente è ora impegnata su diversi fronti per dare un seguito ai risultati del seminario. Prima di tutto è in corso la preparazione di quattro Piani di Azione per l’orso, la lince, il lupo e il ghiottone che prenderanno in considerazione le dimensioni sociali ed economiche della conservazione dei grandi carnivori e gli aspetti particolari di ciascuna popolazione. Le bozze di questi piani sono in fase di discussione.
Inoltre, saranno realizzate quattro iniziative pilota per testare vari meccanismi di risoluzione dei conflitti riguardanti diverse popolazioni di grandi carnivori. Queste azioni pilota saranno finalizzate al coinvolgimento delle parti interessate nel compimento di determinate azioni volte alla risoluzione di conflitti reali in contesti specifici. Infine, saranno intensificate le attività di comunicazione che includeranno una campagna mediatica per attirare l’attenzione sul destino dei grandi carnivori nell’Unione europea e per garantire una presentazione adeguata del dibattito sulla stampa nazionale ed europea.
La presenza di grandi carnivori nelle aree rurali è frutto di alcuni mutamenti, avvenuti in tali aree, ai quali hanno contribuito, in parte le misure di conservazione delle amministrazioni locali e la sensibilizzazione dell'opinione pubblica, da parte di alcune associazioni. La diffusione sul territorio dei grandi carnivori è il risultato di programmi di reintroduzione, progetti e iniziative promosse da diversi soggetti tra quali gli Enti parco, che non hanno, in assenza di partecipazione e di adeguato coinvolgimento delle popolazioni e delle categorie direttamente interessate, adeguatamente valutato gli impatti sulle attività tradizionali agro-silvo-pastorali esercitate in ambito montano e collinare. Almeno in Italia, infatti, il ritorno dei grandi carnivori è avvenuto in assenza di politiche mirate di gestione della presenza di tale fauna sul territorio con la naturale conseguenza del porsi di un problema serio di convivenza con le attività agricole non solo zootecniche, ma anche apicoltura e frutticoltura.
L'aumento della presenza dei grandi carnivori è al tempo stesso conseguenza, ma anche causa dei processi di abbandono dello spazio agro-silvo-pastorale e di aggravio delle difficoltà connesse all'esercizio delle attività tradizionali costrette a confrontarsi con sfavorevoli tendenze di mercato, vincoli burocratici e politiche agricole che non tengono in adeguata considerazione la specificità di questi ambiti. L'impatto dei grandi carnivori induce in particolare l'abbandono di vaste estensioni di pascoli riducendo la biodiversità e determinando conseguenze negative sul piano delle protezione idro-geologica e della prevenzione degli incendi boschivi.
La contrazione delle attività zootecniche estensive e pastorali porta con sé il rischio di estinzione di numerose popolazioni autoctone di animali domestici a limitata diffusione per i quali è previsto un preciso impegno di tutela sulla base dell'adesione dell'Italia e della Ue alla Convenzione per la biodiversità.
Il manifesto proposto dalla Commissione Ue sulla coesistenza dei grandi carnivori non è stato condiviso da Coldiretti in quanto in nessuno dei quattro punti viene fatta menzione della necessità di individuare idonee misure per la coesistenza nelle aree rurali tra l’attività agricola e la presenza di tali specie oggetto di tutela, con particolare riferimento al lupo, che in Italia, ma anche in altri paesi, è la specie che sta creando maggiori problemi.
In merito, al primo punto che fa riferimento alla direttiva Habitat si osserva che se tale provvedimento è lo strumento giuridico più appropriato per garantire la conservazione e la gestione dei grandi carnivori dall’altro lato, non offre attualmente agli agricoltori gli strumenti per essere compensati dei danni che questi subiscono dalla presenza dei grandi carnivori. Oltretutto le organizzazione agricole europee da tempo chiedono che la direttiva possa essere rivista lasciando maggiore flessibilità agli Stati membri rispetto agli aspetti tecnici riportati negli allegati della direttiva (relativi alle specie oggetto di misure di conservazione/protezione/gestione).
Anche per quanto riguarda il punto 3 del manifesto nella quale si propone l’accettazione della necessità di un dialogo costruttivo tra le parti interessate è di estrema vaghezza e non menziona le organizzazioni agricole come parti prioritariamente interessate a risolvere i conflitti legati alla presenza dei grandi carnivori ed alla necessità di individuare idonee misure di prevenzione e risarcimento dei danni.
In sostanza, il manifesto si pone come un’enunciazione di principi diretti esclusivamente a tutelare la sopravvivenza della specie dei grandi carnivori senza minimamente accennare alla pressione socio economica che tali animali creano nelle aree agricole e alla necessità di conciliare le due esigenze. Né tanto meno si profila come obiettivo di carattere generale quello di individuare soluzioni di prevenzione e risarcimento dei danni che siano diverse dagli interventi ipotizzabili nell’ambito dei Piani di Sviluppo Rurale.
Il Manifesto non costituisce quindi un documento di partenza condivisibile che possa essere una base comune per avviare nella Piattaforma che la Dg Ambiente intende costruire, a metà giugno, un dialogo costruttivo tra le parti.
Oltretutto trattandosi di un documento non emendabile a maggior ragione si ritiene di dover esprimere un parere negativo in toto. Il Manifesto avrebbe invece dovuto prevedere: la necessità di individuare più incisive misure di prevenzione e di mitigazione degli attacchi e un più adeguato risarcimento di tutti i danni diretti e indiretti subiti; il coinvolgimento, in tutte fasi di elaborazione e di gestione degli interventi di gestione dell'impatto dei predatori, anche di rappresentanti e tecnici espressione delle categorie interessate, correggendo una situazione attuale che vede le gestione della materia affidata ai soli soggetti interessati alla tutela dei predatori; la programmazione scientifica della consistenza dei popolamenti sui territori.
Coldiretti sta seguendo con estrema attenzione la tematica che rientra nella più grande problematica dei danni da fauna selvatica rispetto ai quali il disagio delle imprese agricole per la mancanza di adeguati strumenti di prevenzione e risarcimento, ingenerando perdite di reddito che non sono ammissibili. La tutela della conservazione delle specie non deve infatti entrare in conflitto con l’attività agricola non solo per ragioni di ordine economico ma anche perché l’abbandono di tale attività determina effetti negativi sull’ambiente e, quindi, tutti i fattori che possono indurre in crisi le aziende agricole devono essere adeguatamente risolti al fine di garantire lo sviluppo delle aree rurali e il mantenimento degli habitat.
Les organisations agricoles doivent tenir de position ferme
sur les grands carnivores
di Michele Corti
traduction française grâce à la collaboration avec leloupdesvoisins.canalblog.com
Les organisations agricoles officielles aussi disent non - même si c’est avec une certaine ambiguïté - au Manifeste hypocrite de la Commission européenne sur la «coexistence» avec les grands carnivores écrit par l'autoréférentielle LCIE (chercheurs partisans pro loup, pro ours, pro lynx et WWF). En France, les organisations agricoles officielles et les acteurs ruraux et de montagne ont adopté une position commune qui demande expressément à ce que le statut anachronique d'«espèce super protégée » soit modifié. Mais il faut changer la Convention de Berne.
Le «coexistence», la «cohabitation» présuppose qu'il y ait une volonté de la part des deux partenaires de la relation, sinon ce n'est pas de la cohabitation mais un viol permanent. La «cohabitation» avec les grands prédateurs est imposée par la technocratie verte, par une nouvelle forme d’autoritarisme biopolitique, de contrôle social et territorial («par nature sauvage interposée ») qui nous renvoie à d’autres époques, rétablit le servage et justifie l'impossibilité, pour ceux qui sont porteurs d'intérêts légitimes de les faire valoir démocratiquement.
Les décisions sont prises par une technocratie qui ne répond à personne, où le «droit divin» a été remplacé par une «nécessité écologique» de même valeur théologique, tout aussi irréfutable et tout autant confiée à l'interprétation d'une caste sacerdotale qui considère les «laïcs» avec le plus grand dédain.
Dans le cas de la gestion des
grands prédateurs, c’est au lobby de la LCIE (large carnivores
initiative Europe) que la technocratie de Bruxelles (la DG
Environnement) a demandé d’écrire la politique européenne pour
les espèce concernées (ours, glouton, chacal, loup, lynx et
espérons que la liste ne s’allonge pas).
Le LCIE est un lobby capable d'influencer la Commission européenne en sa faveur comme tous les pouvoirs forts, capables d'exclure du processus décisionnel les misérables ayant des intérêts connus, les bergers, les éleveurs, les montagnards. Capable d'écrire, en pleine autosuffisance, les règles de «cœxistence» entre prédateurs et proies domestiques et de dicter aux éleveurs les méthodes pour défendre leurs animaux, les méthodes de pâturage, sans tenir compte ni de ce qu'ils disent, ni de ce qu’ils pensent, ni de leurs intérêts, sans écouter leurs représentants, les organismes techniques et de recherche du secteur, les experts du coté pastoralisme. Plus l'UE introduit des références ronflantes aux principes de démocratie, participation, subsidiarité, plus elle instaure dans sa pratique le retour à une forme d’absolutisme. Dans le cas du conflit autour des grands prédateurs la farce est évidente : plus on parle et plus on écrit sur « l’implication des populations et des acteurs concernés » et plus on avance dans le sens de confier à la LCIE d'écrire les règles du jeu.
« Cohabitation » ou viol permanent ?
La «coexistence» entre prédateurs et animaux domestiques est supposée par la LCIE comme étant à priori toujours possible et partout. Le truc est simple : celle-ci ne tient compte que d’elle-même et ignore informations, statistiques, évaluations, études du coté du pastoralisme, mais aussi celles officielles qui montrent comment cette situation, dans de nombreuses régions d'Europe, a des coûts prohibitifs pouvant compromettre à moyen et long terme la soutenabilité économique et sociale des systèmes d’élevage.
En l'absence d'une profonde révision de tout ce qui concerne le régime de protection des ours et des loups, il ne peut y avoir aucun rééquilibrage, aucune possibilité de réduire efficacement la pression de prédation par un contrôle de la part des autorités publiques des populations de prédateurs et la mise en place de moyens de défense active (aussi avec usage des armes). Depuis des années, le lobby des grands carnivores (en particulier celui du loup) recueille des dizaines de millions pour «démontrer» que la cohabitation entre élevage et grands prédateurs est possible. La « démonstration» se base sur l’aphorisme de Goebbels: « Un mensonge répété trois fois devient une vérité ». En réalité, avec tant de projets LIFE, comme LIFE COEX, nos braves lobbyistes (en se remplissant les poches) ont produit mais non pas, trois mais trois cents rapports, dépliants, brochures, congrès dans lesquels on « explique » qu’avec des chiens de garde et des clôtures électriques (et peut-être même avec la présence 24h sur 24 du berger, le nouveau serf de la glèbe) « on résout le problème ».
En réalité l'efficacité de la
propagande, puisqu’il s’agit bien de pure et authentique
propagande, repose aussi sur un autre facteur : celui qui raconte une
autre histoire, qui a un autre son de cloche doit être réduit au
silence. Ce ne sont pas les méthodes de la Gestapo ni du KGB, mais
des méthodes plus subtiles : manque d'accès aux médias, manque de
ressources, délégitimation et raillerie en mettant à profit la
machine de l'hégémonie culturelle urbanocentrée et les faveurs de
l’intelligentsia du régime qui fournit volontiers à ces
opérations anti-démocratiques et anti-sociales l'étiquette de
progressisme (c’est d’ailleurs sur cette équivoque que se base
le pouvoir post-moderne).
La double stratégie écolo-animaliste : aile scientifique et aile militante
La LCIE représente le coté «scientifique » du font écolo-animaliste, elle doit soutenir la fiction de la «cohabitation possible ». Mais les lobbyistes de la LCIE savent bien (même s’ils ne l’admettent pas en public) que les « moyens de défense passive » ne sont pas suffisants et ne sont pas assez efficaces. Ils savent très bien que les prédateurs apprennent vite à contourner les défenses (comme le montre les attaques à l’intérieur des enclos, les chiens de protection blessés et tués par les loups). La vision «naturaliste» que les représentants scientifiques du front écologiste habillent d’argumentation scientifique, plus ou moins confortable, est basée sur un noyau idéologique (si ça n’est parareligieux). Le loup/ours doit être «super protégé» parce qu’il représente beaucoup plus qu’une espèce importante dans l’écosystème : il est -dans les propos des lobbies écologistes - une « espèce charismatique », une « espèce drapeau », une « espèce parapluie ». Concepts qui ont un rapport vague avec de vrais éléments de rationalité scientifique et avec l’écologie.
Ceux qui ne se préoccupent pas de garder un masque de respectabilité scientifique parlent ouvertement du « loup/ours en tant que symbole de la revanche de la nature sauvage ». C’est une revanche qui cache une rancoeur nihiliste à l’égard de la présence des communautés humaines qui viole la wilderness. Ces « prêtres » ne remettent pas en question le « dérangement anthropique » des mégalopoles qui dévorent de l’énergie et des ressources non renouvelables et rendent difficile si ça n’est impossible le recyclage naturel de la matière. Non. Ils voient dans l’homme berger, bûcheron, chasseur, de montagne le « dérangement », l’usurpateur, l’élément « abusif ». Il aime gagner facilement, s’en prendre aux faibles.
Les groupes les plus militants soutiennent explicitement que les bergers, les éleveurs doivent être éliminés sur la base de l’éthique animaliste végan. Il n’est pourtant pas difficile de se rendre compte que :
1) derrière l'imposition d'une pression de prédation insoutenable il y a - de la part des écologistes «modérés» et de la composante scientifique (qui affirme que « la nature se rééquilibre toute seule » et que l’homme et les animaux sont un «dérangement» pour l'écosystème), le même désir de purification ethnique que celui qui s'exprime avec plus de hardiesse chez les organisations plus radicales;
2) les campagnes en faveur du loup et contre la consommation de viande d’agneau ne remettent pas en question et ne nuisent pas au business industriel mais au maillon faible de la chaîne, à savoir les petites exploitations paysannes et pastorales, qui sont mises hors jeu en faveur du monopole du système agro-alimentaire. Est-ce que quelqu’un aurait encore des doutes sur le fait que le «retour de la nature sauvage » d'un coté et la politique des OGM, de l’accaparement des terres, de l’empoisonnement « soutenable » de la nourriture, de l’eau, de la terre, de l’autre coté, ne sont que les deux faces de la même médaille ?
La réalité des faits et pas des lamentations et des pleurnicheries
En soutenant tout ça il ne s’agit pas de tomber dans les «lamentations» auxquelles le monde agricole est accusé de s’adonner. Parlons des faits, ne faisons pas de pleurnicheries. En janvier 2013, un séminaire a eu lieu à Bruxelles, y ont participé aussi des représentants des bergers, des agriculteurs, des chasseurs . Le 5 décembre, dans un séminaire ultérieur, il n’y avait que des représentants du COPA, c’est à dire des organisations professionnelles agricoles officielles. Pour l'Italie il n'y avait que Domenico Mastrogiovanni de la CIA ( Confédération italienne des agriculteurs ) pour représenter « l'autre son de cloche ». Vraiment léger, parce que coté écologiste (entre les écologistes en service permanent et ceux en habits de scientifiques et de dirigeants des organismes publics, autant si ça n’est plus caractérisés par leur orsolupophilie que les premiers) c’est toujours très bien représenté .
Parmi les noms des participants italiens se distingue la famille Boitani (Luigi Boitani est le gourou de la lupologie européenne, le «papa des loups » incontesté ), Groff ( le «père des ours du Trentin » et dirigeant de la province autonome de Trente ) et puis il y avait les huiles du Parc de la Majella, de Legambiente et Salvadori, une autre universitaire élève de Boitani.
Voici la liste :
Angelucci Simone Simone.angelucci@parcomajella.it Sulmona, Italy Majella National Park
Antonucci Antonio Antonio.antonucci@parcomajella.it Sulmona, Italy Majella National Park
Boitani Luigi Luigi.boitani@uniromal.it Rome, Italy Instituto Ecologia Applicata and Large Carnivore Initiative for Europe
Boitani Caterina Caterina.boitani@iucn.org Brussels, Belgium IUCN
Di Nino Oremo direttore@parcomajella.it Sulmona, Italy Majella National Park
Groff Claudio claudio.groff@provincia.tn.it Trento, Italy Alpine Convention Provincia Autonoma di Trento
Mastrogiovanni Domenico d.mastrogiovanni@cia.it Rome, Italy CIA (copa-Cogeca)
Nicoletti Antonio a.nicoletti@legambiente.it Rome, Italy Legambiente Onlus
Salvatori Valeria Valeria.salvatori@gmail.com Rome, Italy Instituto de Ecologia Applicata
Les raisons de la manoeuvre pour limiter la représentation de l’«autre son de cloche » au COPA sont faciles à comprendre: le COPA représente aussi (et surtout) l'agriculture industrielle et polluante qui fait le plein de primes de la PAC et qui est certainement beaucoup plus « souple » que les organisations représentant l'agriculture paysanne, l’agriculture de montagne, et le pastoralisme. Ces derniers sont les parties prenantes souvent faibles et qui se trouvent directement confrontées aux grands carnivores. Traiter avec les premiers, qui n’ont certainement pas envie d'entrer trop en conflit avec la Commission, est beaucoup plus intéressant pour les écologistes.
En France, en Italie, et en Espagne (et pas seulement ) la situation est chaque jour plus chaude
L’année dernière, ces derniers mois, ces dernières semaines, quelque chose pourtant a changé. On a l'impression que la situation est en train d’échapper aux stratèges de la LCIE, aux apprentis sorciers , aux démiurges d'un monde re-naturalisé où prédateurs, super prédateurs, charognards, proies jouent dans le Théâtre de la nature, un théâtre où l'homme (celui qui travaille avec la nature pour gagner sa vie) est viré, et ce sont eux qui interviennent, deus ex machina, les nouveaux dieux, les super hommes qui tirent à distance les ficelles des acteurs du théâtre, c’est à dire les populations de leurs chouchous en chair et en os et fourrure . Ils ont tellement bien appris à utiliser les colliers radio, les gps, les pièges photographiques, les puces et engins du genre, pour transformer le Sauvage en leur Créature hybride (entre technologie et «nature» ) que peut-être qu’ils se sont un peu trop gonflés à bloc. Pendant ce temps les bergers, les éleveurs, encore trop nombreux et vifs (le coté écolo-animaliste aurait souhaité que le conflit explose dans quelques années ) ont décidé de livrer bataille. Et ils ont trouvé des sympathisants.( cf La Spia della Maremma).
En France, un groupe relié à la Confédération Paysanne, la Fédération Nationale Ovin , la FNSEA, Jeunes Agriculteurs et des associations ( Eleveurs et Bergers du Vercors ; Eleveurs et Montagnes ; Solidarité pastorale ; Le Cercle ; Fédération des Acteurs Ruraux , l'Association des Bergers de Provence et des Alpes du sud ; l’Association des pâtres de haute montagne) ont rédigé une déclaration commune qui ne laisse aucune place à l'ambiguïté : « Nous devons changer le statut d’espèce protégée du loup » .
Dans ce communiqué il est dit que :
L'État
est dépassé par la situation tant dans les zones de présence
historique où les attaques explosent que dans les nouvelles zones
qu'ils colonisent jour après jour. Seule une modification de la
législation européenne, et plus particulièrement une révision de
son statut dans la directive Habitat, lui donnera une chance de gérer
cette population.
Le plafond de 24 prélèvements pour la saison 2013-2014 était déjà insuffisant pour enrayer l'explosion démographique et géographique des loups en France. Seuls sept loups ont finalement pu être prélevés sur les 71 autorisations pourtant délivrées en 2013. En plus d'être la plupart du temps impossibles à réaliser, ces prélèvements sont sans cesse attaqués juridiquement. Aussi, malgré la mise en place de moyens de protection, plus de 6000 bêtes sont encore tuées chaque année.
Les éleveurs sont à bout car si rien ne change ils se savent condamnés. Il y a donc urgence à modifier le statut de l'espèce dans la convention de Berne et la Directive Habitats pour sortir de l'impasse d'une cohabitation impossible entre loups et pastoralisme.
Nous
demandons une réunion de crise avec les ministres de l'Ecologie et
de l'Agriculture pour faire modifier les textes européens et
internationaux. l'Environnement et de l'Agriculture de modifier les
textes européens et internationaux".
Malheureusement
il faut noter que la référence à la directive Habitats (voulue par
la FNSEA qui représente la France au COPA ) ne va pas dans les sens
des associations des parties prenantes qui pensent au contraire qu’il
est nécessaire de se concentrer sur la révision de l'article 22 de
la Convention de Berne (ce qui est aussi demandé par le Parlement
suisse ).
La révision de la directive Habitats risque d'attirer les forces
qui veulent défendre le pastoralisme et la ruralité dans un
bourbier de débats sans fin pendant 10 ans en laissant pourrir la
situation, c’est à dire en laissant le pastoralisme être de plus
en plus à la merci des grands prédateurs (ce que veulent les
écolo-animalistes).
Ce qui laisse aussi des inquiétudes est
cette référence à la «compensation» , à la monétisation des
dommages que les associations du pastoralisme rejettent. Le COPA
pense acheter l'acceptation sociale de la présence des grands
prédateurs (et de l'impossibilité de s’y opposer activement) avec
des formes ultérieures de rémunération. Peut-être que s’insinue
l'idée de subventionner des élevages paratonnerres destinés à
répondre aux besoins alimentaires des grands carnivores pour
« atténuer le conflit ». Mais les bergers n’accepteront
jamais d' élever des animaux pour se les faire dévorer par des ours
et des loups.
Et en Italie ?
Ces derniers mois, en Maremme, au sud de la Toscane, une dizaine de carcasses de loups ont été exposées sur la place et le long des routes comme des actes de protestation par rapport au désintérêt pour la gravité des dommages que subissent les éleveurs à cause des loups. Les trois principales organisations ont donc lancé une campagne de communication sur un ton anormalement décidé « en soutien à la lutte contre les prédateurs des troupeaux ». Des paroles fortes mais jusqu’à quel point correspondent-elles à la volonté de se ranger ouvertement avec les bergers, et demander la révision de la Convention de Berne et le lancement d’un programme de contrôle du prédateur ?
Quelques doutes sont permis du moment que, justement dans la province de Grosseto, les organisations agricoles ont participé (en partageant le gâteau) à IbriWolf, un projet à hauteur de millions pour convaincre que les «mauvais» ne sont pas les loups mais les hybrides et les chiens errants. En réalité les loups sont tout autant opportunistes que les «hybrides» et reporter sur eux la prédation (et les comportements toujours moins craintifs à l’égard de l’homme) est encore la même manoeuvre rusée de propagande menée avec l’aval de ces organisations qui, sur le papier, devraient protéger les éleveurs.
Si aujourd’hui ce « trio des champs » utilise une parole forte, elles le font peut-être plus par peur que leur base ne les plaque pour tendre à s’organiser en dehors des structures de représentation institutionnalisées.
En tous cas, face au Manifeste sur les grands carnivores de la Commission Européenne, qui maintient le statu quo et prévoit une «acceptation » de la présence des grands prédateurs des plus consensuelles, même la Coldiretti a choisi, comme la majeure partie des organisations du COPA, une position fortement critique. Il était temps.
Mais les limites de cette attitude sont évidentes. La Coldiretti en particulier demande la révision de la Directive Habitats en fonction de l’article qui autorise des «dérogations ».
C’est à dire qui consent, avec un processus confus (autorisations préventive du Ministère de l’écologie), un contrôle limité du loup (ou de l’ours) au cas où l’on constate de graves dommages économiques ou de graves déséquilibres dans les populations de la faune sauvage.
C’est au contraire de la Convention de Berne qu’il faut partir, pour démanteler ce château législatif mis en place par la stratégie écolo-animaliste .
Dans tous les cas il vaut mieux des prises de positions critiques tardives de la part des organisations agricoles par rapport à l’attention tellement insuffisante qu’on accorde à ce problème.
Nous pourrions en effet nous demander : «où étaient les organisations agricoles les décennies passées quand le lobby des grands carnivores a fabriqué les conditions pour leur « revanche » ? Pour le moins distraites. Trop longtemps les organisations agricoles sont restées inertes sur la base d’un « pacte scélérat » tacite avec le front écolo-animaliste : « Vous, ne nous cassez pas les pieds sur le front économiquement plus juteux des primes de la Pac, sur l’agriculture polluante super intensive et peu soutenable, l’utilisation de pesticides, et nous, nous vous laissons carte blanche pour la gestion des Parcs et de la faune ». Ce pacte a permis au front écolo-animaliste de gagner beaucoup de positions stratégiques. De plus : cette position opportuniste a permis de cautionner la thèse du lobby des grands carnivores au sujet de l’acceptation de la part du monde agricole de l'expansion numérique et géographique des prédateurs.
Les récentes positions de la Coldiretti au sujet des Parcs sont éclairantes : elle ne demande pas une révision du concept de «zones protégées » qui ont créé tant de contraintes aux petites activités agricoles, forestières et pastorales. Elle ne demande pas assez effrontément de faire plus de place aux organisations agricoles, elle demande des fauteuils (et la répartition du gâteau des financements que les parcs continuent de recevoir alors que les administrations territoriales ont les caisses vides)
Mais aujourd’hui nous sommes à un virage. Le conflit social devient dur et les organisations agricoles ne peuvent plus maintenir leur positon opportuniste et commode qui ménage la chèvre et le chou.
La situation échappe à tout le monde : aux patentés écologistes comme à ceux agricoles qui ont laissé aux premiers de vastes zones de « pâturages réservés ».
Nous en sommes à l'heure des comptes.
Face au Manifeste de la Commission les marges de marchandage sont nulles ou presque.
Ce sont les organisations agricoles qui ont fait croire à la DG environnement, au monde écolo-animaliste qu’ils pouvaient agir avec autoréférentialité. Aujourd’hui il ne leur reste plus qu’un choix : ou ils rejettent le Manifeste, refusant de jouer le jeu de la Commission et des écologistes qui ne pourraient plus soutenir la thèse du «consensualisme », ou ils se font désavouer par les parties prenantes qui, toujours plus fréquemment, doivent se confronter à la pression de prédation et aux impacts indirects de la présence des grands prédateurs.
Les critiques du Manifeste de la part du COPA et de la Coldiretti (voir le communiqué intégral) sont lourdes. Elles soutiennent que le document ne tient compte que des exigences de la conservation (mais il faudrait parler d’expansion) des grands prédateurs sans la moindre allusion à la pression économique que ces animaux créent dans les zones agricoles et rurales.
Elles contestent la situation actuelle qui voit la gestion en la matière confiée uniquement aux acteurs concernés par la protection des prédateurs et rappellent à ceux qui font le sourde oreille que la contraction des activités d'élevage extensif et pastoral, induite par une pression de prédation croissante et insoutenable, porte en elle le risque d'extinction de nombreuses populations autochtones d'animaux domestiques à diffusion limitée pour lesquels il est prévu un engagement précis de protection sur la base de l'adhésion de l'Italie et de l'UE à la Convention pour la biodiversité. Deux poids, deux mesures, évidemment.