(25.07.12) Lactalis-Parmalat intende concentrare le unità di produzione. Ne fa le spese una realtà di eccellenza, legata al territorio come poche, economicamente sana e riconosciuta come un esempio di qualità nel campo lattiero
L'amaro MONDOLAT
La ex Carnini cessa la produzione
di Michele Corti
La Lactalis intende chiudere la linea di produzione del latte fresco e del burro a Villa Guardia e il caseificio di Cilavegna (Pv). Una chiusura che penalizza un'azienda sana che aveva costruito precocemente politiche di qualità, tracciabilità, filiera locale.
A Como, ma anche nelle limitrofe aree della provincia di Varese e di Sondrio, Carnini rappresentava molto più di un marchio, era un fatto di costume, un elemento di identità locale. Nel legame con il territorio la Carnini ha investito molto. Le sue campagne di fidelizzazione non erano fatte solo di "punti" ma anche di sinergia con il quotidiano locale ("La Provincia"), di una grande attenzione alle scuole. È doveroso sottolineare che - a differenza di tante imprese agroalimentari - la Carnini non vendeva fumo ma, attraverso la sua comunicazione, veicolava dei contenuti concreti e verificabili.
Una particolare attenzione alla qualità (a partire da quella organolettica) e una reale tracciabilità rappresentavano le leve perché il consumatore locale potesse riconoscere e vantare la superiorità del "nostro latte".
Consigliato dai pediatri
Il latte Carnini è consigliato dai pediatri, consapevoli dei controlli severi cui le aziende produttrici - tutte locali -sono sottoposte. Il sig. Mario Carnini, figlio del fondatore Stefano (che nel 1927 era arrivato a Villa Guardia dalla Valtellina) conosceva personalmente i conferenti. La qualità era costruita a partire dal rapporto con l'allevatore. Lo sapevano bene i produttori quanto la Carnini fosse rigorosa. Chi - come alcune grosse stalle della bassa Valchiavanna - aveva preso la strada della quantità (e non era in grado di garantire la qualità) aveva finito per conferire ad altri il latte. Dopo la vendita alla Parmalat nel 2000 le cose non sono cambiate.
Le prime sentinelle della qualità erano i "menalatte", gli autotrasportatori che conoscevano anch'essi molto bene gli allevatori. La prima verifica della qualità del latte la eseguivano loro. Se c'erano odori anomali non lo ritiravano. Per prevenire i problemi (odori, cellule somatiche elevate) la Carnini non si limitava a vietare l'uso di alimenti e foraggi che potevano compromettere la qualità del latte ma, attraverso tecnici di grande esperienza -supportava gli allevatori con consigli e raccomandazioni.
Così il latte non aveva bisogno di quelle manipolazioni che vengono necessariamente applicate negli stabilimenti di pastorizzazione e imbottigliamento del latte. Ci riferiamo in particolare alla deodorizzazione. Il latte che non arriverà più a Villa Guardia proseguirà verso gli impianti di Bergamo della Lactis e, quando tornerà al "polo logistico" proseguendo poi sino sulla tavola dei comaschi, non avrà più quei profumi. Sì, perché insieme agli odori cattivi la deodorizzazione (attuata nei grossi impianti industriali che trattano grossi quantitativi di latte di varia provenienza) si porta via anche i profumi. È la logica industriale. Se non puoi controllare la qualità all'origine "aggiusti" in latteria, in caseificio (vale anche per la cantina e l'oleificio ovviamente). Un vero peccato.
Un delitto togliere il burro Carnini
Forse, però, molti si accorgeranno di un cambiamento di qualità organolettica ancora più marcato nel burro. La fama del burro Carnini è molto radicata. Su questo punto posso spezzare una lancia anche sulla base dell'esperienza personale: quando diversi anni fa andavo in vacanza in estate in Valchiavenna (dove da decenni arrivavano i prodotti Carnini) riprendevo a consumare al mattino il burro con la marmellata cosa che a Milano non facevo più. Il gusto era indubbiamente più gradevole dei burri che, a casa, "passava il convento" e che facevano passare la voglia di spalmarlo sul pane. L'opinione diffusa in loco era che, tra i burri industriali, "Carnini è il migliore". Un fatto legato all'uso di creme ottenute direttamente dalla centrifugazione del latte. Un "lusso" che oggi le industrie non si permettono più. Con quello che costano i "burri grezzi" sul mercato internazionale si comprano stock di quelli, li si "rigenera" e si confeziona il burro (aggiungendo spesso il grasso ottenuto dal siero). Poi c'è il burro di affioramento (ottenuto nella produzuone dei Grana) ma anche quello è ottenuto da creme che subiscono drastici trattamenti termici e chimici (neutralizzazione con alcali dell'acidità sviluppatasi durante il processo di sosta del latte e affioramento insuperficie dei globuli di grasso). Il burro Carnini era diventato nel panorama penoso del burrificio mnazionale una perla rara.
La difficoltà delle "filiere corte industriali"
La Lactalis vuole chiudere anche il caseificio di Cilavegna (Pv). Forse i formaggi fanno meno parte del "vissuto" dei consumatori Carnini rispetto al latte pastorizzato e al burro ma è doveroso osservare che anche nella produzione casearia Carnini applicava standard di qualità elevati. Era la stagionatura il punto di forza dell'azienda che aveva alle spalle una grande esperienza legata alle radici valtellinesi dell'azienda. Mario Carnini suguiva la produzione di Bitto recandosi sugli alpeggi e fornendo consigli. La vicenda Bitto, come è noto, mi vede schierato in prima persona con il "Consorzio del bitto storico", però non si può riconoscere la passione di Carnini per il Bitto. Era un grande imprenditore ma con la moto da trial saliva - ogni estate sui "suoi" alpeggi. A Piantedo (il primo paese della Valtellina) la Carnini ha un magazzino di stagionatura (vove stagiona il Bitto). Non si è parlato della sua sorte ma è chiaro che a Lactalis fa gola il mercato delle Dop e, in particolare, del "gioiello" Bitto, così quella linea sarà mantenuta. Per fortuna che c'è il Bitto storico che non diventerà mai una pedina di una stragia di una multinazionale, che è riuscito a realizzare la sua casera di stagionatura e una filiera ed è l'esempio di una resistenza casearia possibile e vincente. Più sostenibile di una industria come Carnini che ha realizzato una "filiera corta industriale" virtuosa ma che, una volta che la palla passa alle multinazionali (prima Parmalat, poi Lactalis), non sfugge alle logiche della mondializzazione.
Con quanto risparmiato dalla "razionalizzazione" produttiva in Lombardia la Lactalis realizzerà un impianto modernissimo negli Stati Uniti. Questa è la logica del mondialat!
Va però detto che Carnini è una realtà particolare e sacrificarla alla logica della concentrazione industriale è forse miope.
A Villa Guardia non ci sono in gioco solo posti di lavoro (si parla di 20 o 30 esuberi) ma anche una realtà zootecnica, in larga parte di montagna, che - al di fuori dello schema costruito da Carnini - potrebbe essere messa in discussione. È dovere della politica farsi carico della situazione e verificare le soluzioni in grado di evitare lo smantellamento di una filiera che è un fiore all'occhiello per la Lombardia.