(26.10.12) È finita l'era dell'omertà. L'era in cui in Lombardia, nella "nordica" Valtellina, ci si proclamava "diversi" dal Sud ma ci si comportava in identico modo subendo in silenzio i soprusi, i ricatti e le angherie
Salone del gusto:
Un ricatto inaccettabile
di Michele Corti
Solo gesti di ribellione, di trasparenza, di onestà "eversiva" possono smontare il sistema di corruzione legate e illegale, ricatti, collusioni sul quale si regge il sistema politico-istituzionale-corporativo. le istituzioni e il "parapubblico" sono solo la punta dell'iceberg di un sistema di potentati diffusi che rendono complici, come in una immensa tela di ragno, tanti, troppi italiani. Non fosse così il sistema politico (la punta dell'iceberg) sarebbe già imploso. Il Bitto storico, un formaggio d'alpeggio fatto "all'antica" fatto da gente semplice ma determminata e onesta dentro tutto questo rappresenta un caso esemplare. Un caso che mette a nudo la miseria delle istituzioni, spesso paravento di cricche senza legittimità alcuna a gestire il potere che detengono. Le istituzioni non sono (purtroppo) "di tutti" ma "cosa loro" ed è meglio esserne consapevoli
Paolo Ciapparelli, presidente dei "ribelli del Bitto" ha accettato, per senso di responsabilità, di traslocare lo stand del più famoso presidio italiano al Salone del Gusto di Torino lontano da dove gli uomini della casta non volevano che stesse. Ma oggi intervoistato dichiara: "Voglio che escano i nomi di Renato Ciaponi e Marco Deghi, i nemici del bitto storico che ci hanno fatto subire questa angheria". Ciapparelli non parla a vanvera perché le "pressioni" (ma sarebbe ora di dire pane al pane e vino al vino e di chiamarle ricatti) sono state raccolte da Raffaella Ponzio, responsabile dei presidi italiani nell'ambito di Slow Food. È lei che si è rivolta a Ciapparelli per riferire del ricatto "o via il Bitto storico dal posto di fornte allo stand istituzionale della regione Lombardia o va via lo stand". Slow Food, come in altre circostanze, lasciava a Paolo la decisione ma era chiaro che gli si metteva sulle spalle una scelta troppo pesante.
Intanto la notizia rimbalza a Bergamo (dove il Bitto storico orobico ha grande considerazione e il titolone non è bello da vedere. In tutta questa faccenda la Regione Lombardia ha una responsabilità pesante con la sua delega in bianco alle caste valtellinesi politico-agroalimentari (tra l'altro è un ex-burocrate regionale). Non si capisce neppure perché Slow Food non abbia inteso resistere senza caricare al povero Ciapparelli il peso di tanta responsabilità. Perché non rimandare al mittente una minaccia che era un bluff palese (oltre che espressione di arroganza smisurata)?. Chi può credere che con lo stand quasi già finito di montare la Regione Lombardia si sarebbe ritirat? In quale cosmica figuraccia sarebbe incorsa? Conveniva veramente all'istituzione (e non ai proconsoli che per delega la rappresetavano copo degnamente a Torino) fare la parte dei bravacci che minacciano i piccoli eroici produttori del Bitto storico. No di certo. Redsta l'amaro in bocca e qualche interrogativo.
C'era una volta il Bitto del Duce ma oggi sul Bitto c'è aria di regime
L'Eco di Bergamo sempre attento alle vicende del Bitto storico ha colto la gravità di quanto avvenuto l'altro ieri mentre si allestivano gli stand del Salone del Gusto e oggi parla di "Bitto storico declassato". Un titolo che fa male ai tanti amici, sostenitori, estimatori del "vero" Bitto. Sempre oggi Ciaparelli dichiara: "Bisogna che degli autori di questi soprusi si sappiano nomi e cognomi" e oggi li fa: Renato Ciaponi e Marco Deghi, il primo attualmente assessore in Comunità Montana, ex-funzionario regionale e "uomo della casta". Quando era responsabile per lo Spafa (ex Servizio provinciale agricoltura e foreste della Regione Lombardia) del comparto zootecnico e caseario favorì il Bitto "omologato" esteso a tutta la provincia di Sondrio raccontando bugie come: "in tutti gli alpeggi della provincia di Sondrio si è sempre prodotto formaggio grasso, derivato da latte intero, le cui caratteristiche sono simili a quelle del Bitto" (Bitto: finalmente DOC. in: Alpesagia luglio 1995, pp. 48-50). Tutte le pubblicazioni scientifiche e tecniche comprese quelle di regione Lombardia asserivano il contrario. Ma per i burocrati è vero quello che dicono loro. Oggi Ciaponi ha due cadreghe che sarebbero ovunque incompatibili ma non nella Valtellina delle cricche. E' assessore in Comunità Montana di Morbegno e direttore del Consorzio turistico. Deghi è il direttore della Latteria sociale Valtellina e del "polo caseario" Valtellinese, uno che fa il bello e cattivo tempo nel comparto caseario e vorrebbe eliminare la spina nel fianco costituita - con la loro mera esistenza e resistenza dai "ribelli del Bitto," che si oppongono a questo monopolio basato su visioni industrialiste contrarie agli interessi dei contadini (semmai consone alle sole poche grandi aziende imprenditoriali legate alle caste locali). Va comunque precisato che la responsabilità di aver "sfrattato" il presidio del Bitto storico dal posto programmato insieme agli altri presidei lombardi è tutta di Regione Lombardia visto che lo stand che non voleva avere la vicinanza dei "sovversivi del Bitto" è quello istituzionale della Regione. Viene anche da chiedersi. Ma la minaccia di ritirare lo stand istituzionale era così credibile? Poteva Ciaponi prendere una tale decisione che avrebbe esposto la Regione Lombardia al ludibrio universale? Perché Slow Food non ha risposto che il Bitto storico era lì insieme ai presidi lombardi e che doveva restare lì?
L'articolo dell'Eco di Bergamo
Formaggi in guerra Il Bitto dei ribelli declassato a Torino
Nello stand al Salone del gusto spostato in secondo piano dalla Regione «Sgraditi a istituzioni e valtellinesi». Ma per Slow Food è un'eccellenza
«Sfrattati», seppure solo di qualche decina di metri, dallo stand lombardo al «Salone del gusto» di Torino
Giovanni Ghisalberti
(26.10.12) «Sfrattati», seppure solo di qualche decina di metri, dallo stand lombardo al
«Salone del gusto» di Torino. La guerra del Bitto Storico continua, a
colpi anche di metri, quelli della più importante fiera agroalimentare
italiana organizzata da Slow Food, in corso fino a lunedì nel capoluogo
piemontese.
Bitto e Bitto Storico: due consorzi
Cos'è successo?
Serve innanzitutto una premessa: da circa 16 anni è in corso una guerra
tra l'associazione del Bitto Storico, formaggio che si produce in
un'area molto limitata delle Orobie (anche su quattro alpeggi brembani,
seppure dalle mani di casari valtellinesi), e il Consorzio valtellinese
del Bitto che, invece, ha confini di produzione molto più ampi (tutta la
provincia di Sondrio e anche in alta Val Brembana). I primi, i
«ribelli», sono sostenitori di una rigida produzione «all'antica», con
un regolamento che vieta l'uso di fermenti caseari e di mangimi
nell'alimentazione degli animali (vacche e capre): solo erba d'alpeggio.
Metodi che garantiscono una qualità di assoluta eccellenza e hanno
fatto del Bitto Storico un gioiello caseario di valore mondiale.
Il
Consorzio valtellinese, invece, ha derogato alla tradizione storica,
consentendo l'uso di mangimi, come nella più diffusa produzione
industriale e di pianura, e allargando l'area di produzione. Ebbene, i
produttori di Bitto Storico sono ospiti della kermesse torinese nello
stand della Regione Lombardia. E, anche perché l'associazione
rappresenta uno degli storici presìdi Slow Food, l'organizzazione gli
aveva assegnato una posizione di primissimo piano, proprio davanti al
Consorzio valtellinese. Ma, prima dell'apertura, i «ribelli», sono stati
«allontanati». Arrabbiato, ma ormai abituato alla guerra, Paolo
Ciapparelli, alla guida dei produttori di Bitto Storico: «Era stata
l'organizzazione a posizionarci davanti - spiega - visto il nostro
grande prestigio conquistato in questi anni. E proprio loro, con
sorpresa, mi hanno avvisato mercoledì: un funzionario della Direzione
regionale agricoltura della Lombardia imponeva che noi fossimo spostati.
Non potevamo stare davanti al tavolo del Consorzio istituzionale».
«Addirittura
- scrive sul suo sito Internet Michele Corti, docente di zootecnia
montana e studioso del Bitto - minacciavano di ritirare la presenza al
Salone se il presidio del Bitto Storico non fosse stato spostato». A
quel punto Ciapparelli e i suoi, seppure con dispiacere, hanno accettato
l'«invito» della Regione e si sono trasferiti qualche decina di metri
lontano, in posizione più defilata.
«Avanti senza istituzioni» «Purtroppo
- prosegue Ciapparelli - a qualcuno dà fastidio che noi siamo più
bravi, che siamo riusciti a portare questo formaggio a livelli mondiali
senza il sostegno delle istituzioni. E anziché difenderlo viene
attaccato. Ma non è certo una colpa avere un grande prodotto, come è un
peccato che non si riesca a promuoverlo adeguatamente. In questo modo
non si fa altro che penalizzare chi, invece, grazie a quanto costruito
in questi anni, potrebbe rendere ancora più forte il turismo
enogastronomico».
Ciapparelli - ospite, peraltro, lunedì sera alla trasmissione Rai «Che tempo che fa» di Fazio, come rappresentante di un
presidio bandiera per Slow Food - prosegue, ciò nonostante, nella sua
battaglia. Promuovendo anche gli altri formaggi orobici. Domani, alle
12, parlerà infatti del progetto dei «Formaggi principi delle Orobie»,
marchio sotto il quale ci sono anche Strachitunt Valtaleggio, Stracchino
all'antica, Agrì di Valtorta, Branzi Ftb e Formai de mut, riuniti per
la comune origine orobica.