(28.07.12) Quello che succede a Gerola alta è emblematico. C'è il Centro del Bitto storico, il formaggio più prezioso al mondo. Ma l'amministrazione si guarda bene dal mettere un solo cartello che informi il turista
Quando la montagna
non valorizza sè stessa
di Michele Corti
Confrontare la Val Grana con la Val Gerola (Valle del Bitto di Gerola) è deprimente. In Val Grana il turista è bombardato da informazioni e sollecitazioni sul formaggio Castelmagno. A Gerola Alta il Bitto storico è "invisibile" (se non fosse che il Centro del Bitto storico è in centro al paese). Un esempio illuminante di come la montagna sappia farsi male da sola
Chi arriva a Gerola alta può pensare di aver sbagliato paese. Di essersi confuso, di aver sbagliato strada. Non è questo il "cuore" della terra del Bitto storico? Possibile che amministrazione e cittadini non vogliano comunicare, esibire questa loro gloria? Solo gli iniziati possono cogliere un riferimento al Bitto storico nel cartello di benvenuto. Sotto lo stemma del comune c'è il logo dell'Ecomuseo: un calecc stilizzato sullo sfondo delle montagne che chiudono la valle (il calecc è la capanna casearia in muretto a secco sormontato da una tenda dove tutt'oggi in diversi alpeggi del Bitto storico si lavora il latte). Ma il riferimento all'Ecomuseo mette ancor di più in evidenza l'ingratitudine di Gerola o quantomeno dell'amministrazione per il Bitto storico. Senza questa grande risorsa, senza la casera di stagionatura del Bitto storico ("il Santuario del Bitto") forse l'Ecomuseo non sarebbe stato riconosciuto considerata la "concorrenza" del comune limitrofo (Albaredo) forte di notevoli entrature politiche. E cosa dire della "Sagra del Bitto" che potrebbe caratterizzarsi meglio e rilanciarsi con nuovi contenuti chiamandosi "Sagra del Bitto storico". Che senso ha parlare di Bitto generico a Gerola alta, cuore della civiltà del Bitto storico? È autolesionismo (a meno che sotto non ci siano considerazioni di opportunità politica che spingono all' "autotradimento").
A segnalare della produzione del Bitto "generico" (quello che si fa in tutta la provincia, anche senza latte di capra, con i mangimi e i fermenti selezionati) sono degli squallidi cartelloni stradali collocati nel fondovalle della bassa Valtellina e della Valchiavenna in mezzo ai campi di mais ceroso e alle stalle di Frisone. Anche il Bitto "generico" si fa comunque solo in alpeggio, in estate, e la collocazione di questi cartelli - che confondono le idee al turista-consumatore - la dice lunga della sensibilità dei "caporioni" dei grossi caseifici della provincia. Per loro il Bitto è solo un prodotto da giocare come richiamo strumentale per smerciare le altre produzioni di massa. La loro logica è aziendalista. Di valorizzare il territorio, il turismo sostenibile, non frega nulla. Del resto la politica locale (strettamente legata agli interessi economici forti) ha sposato l'idea di un agroalimentare industrializzato (carne di zebù congelata per la bresaola, grano duro canadese per i pizzoccheri, latte "di fuori" per i formaggi). La "tipicità valtellinese" usa l'immagine della montagna e i richiami folkloristici alla "tradizione" solo come specchietto per le allodole. Così va bene alla politica e ai circoli imprenditoriali. E così va bene alla Regione che - disinteressandosi della montagna - burocraticamente certifica le scelte della nomenklatura locale.
Le contraddizioni e i conflitti ci sono anche in Val Grana ma....
Gli stessi conflitti li troviamo anche in Val Grana ma qui il Castelmagno ha comunque creato una filiera, un valore aggiunto territoriale. Anche in Val Grana la Dop sta stretta e si parla di Castelmagno "nostrale" (foto sotto) e dei "produttori storici" (viene così reclamizzato quello della stagionatura "La Poiana" di Pradleves.
Però non è solo la Coop ad aver avviato una produzione su larga scala. Vi sono anche altre aziende della filiera che sono venute da fuori (persino da Roma e da Milano) per investire nell' (ex) re dei formaggi che aveva raggiunto quotazioni notevoli (si pagava 60 mila lirette al kg) ed era diventato oggetto di falsificazioni. Così si è puntato alla quantità sino a cadere in grossi infortuni (sequesti di partite avariate) che hanno molto compromesso l'immagine. Chi insiste in questa politica è convinto che ci vorrà del tempo prima che all'estero si accorgano che al nome glorioso non corrisponde più una qualità all'altezza della reputazione.
Sono state costruite grosse stalle come quella della foto sotto condotta da un imprenditore zootecnico della pianura che ha sdoppiato l'attività. La stalla che vediamo è in comune di Monterosso Grana al limite del "confine" della Dop. Nonostante qui ci siano un po' di prati i foraggi non bastano di certo. la grande produzione di Castelmagno è possibile perché il disciplinare per "assicurare un legame con il territorio" (sic) impone di raggiungere il 10% (dieci per cento) di autosufficienza foraggera. La gente poi dice che ogni tanto si vedono cisterne di latte sospette ma queste sono le "voci" che si riscontrano anche in altre zonde di produzione di formaggi Dop.
Nonostante le evidenti ombre (che riguardano alimentazione e qualità del prodotto) la filiera "tira" e si autosostiene. In ogni trattoria e pizzeria ti offrono gli gnocchi al Castelmagno (le osterie più qualificate anche diversi altri piatti a base del formaggio-simbolo). Così non è possibile visitare la Val Grana senza aver mangiato gli gnocchi al Castelmagno. Persino i piccoli alberghi e le locande (foto sotto) sono "marchiate" Castelmagno. Ci vuole poco a capire che tutto ciò garantisce un ritorno reciproco, rafforza l'immagine del prodotto e dell'offerta turistica
A Gerola niente di tutto questo. Per trovare una "osteria del Bitto storico" bisogna recarsi all'Osteria del Crotto di Morbegno (la città a valle dove il torrente Bitto sfocia nell'Adda). Trattasi di una Osteria del circuito Slow Food e capofila del circuito Slow Cooking. Lavorare nella prospettiva della filiera implica un minimo d impegno, di collaborazione. Quando si è bloccati dalle piccole rivalità e gelosia che subentrano nelle piccole comunità in crisi demografica anche piccoli passi in direzione reciproca sono difficili. Tutti i locali, i rifugi, le trattorie della valle del Bitto dovrebbero offrire almeno un piatto con il Bitto storico e poterlo proporre in degustazione (con un minimo di stagionature in crescendo). In Val Grana lo fanno anche le pizzerie. Alla fine c'è un ritorno per tutti. C'è un plus di credibilità, di prestigio che circola tra tutti. Il prodotto offerto a ogni angolo è più credibile ma anche l'offerta turistica. la Val Gerola può diventare la meta di un pellegrinaggio mondiale del gusto. Bisogna fare tutti qualcosa, però.
Intanto pare opportuno segnalare quanto si fa in Val Grana. Forse può sembrare eccessivo ma bisogna mettersi dalla parte del turista. Abituato al bombardamento quotidiano di informazioni (comprese quelle commerciali) rischia di non notare per nulla anche cose importanti se non viene a contatto in modo ripetuto, coerente con un messaggio.
Al Bitto storico non ci vuole molto a dimostrare che il vero re è lui (basta guardare i prezzi) ma non è in gioco un titolo olimpico. Si chiamino pure "re" anche altri formaggi di eccellenza. Alla fine i prodotti storici sono molto diversi e una classifica non ha senso. A nessuno si nega l'orgoglio per le proprie tradizioni, anzi.
Mentre il Bitto "generico" (gestito da soggetti che non hanno interesse specifico e tantomeno passione) non ha neppure una "strada del Bitto" Il Bitto storico è andato oltre e ha creato i "percorsi dei principi delle Orobie", itinerari a piedi attraverso le Orobie (in provovincia di Lecco, Bergamo e Sondrio) che ricalcano le antiche direttrici commerciali del Bitto (verso Branzi ma anche Cusio, Ornica, Mezzoldo in Val Brembana, verso la Val Varrone e Varenna nel lecchese).
In Val Grana fanno molto per il Castelmagno. In Val Gerola dovrebbero prendere esempio. E non si tratta solo di iniziative costose. Spesso conta il fatto di "tenerci" e di far vedere che si tiene ad un prodotto locale.