(26.10.12) Un intenso week end di cultura gastronomica territoriale a Nereto nel Teramano. A conferma della vitalità del modello dei luoghi del cibo identitario quali preziosa occasione per creare reti locali e sovralocali organizzate dal basso
Nereto e la capra in pentola
il ruolo della gastronomia come fattore di identità, di legame sociale
e stimolo di azioni efficaci di sviluppo locale e di web rurali
di Michele Corti
Lo scorso weed-end sono stato invitato a Nereto (TE) dove si parlava di capre e delle loro carni. Mi hanno invitato Francesco Galiffa e l'associazione culturale Ferdinando Ranalli. Galiffa presentava la sua opera "Dentro la pentola la capra gongola" (1) in cui viene spesso citato il mio saggio sulla storia sociale della capra in area alpina lombarda (2). E quindi da "ircologo" e "ircofilo" sono stato chiamato non solo a parlare (con vero piacere) di capre alla luce di quanto anche il libro di Galiffa mette in luce ma anche per contrubuire a creare (con altrettanto piacere) un web tra le Alpi e gli Appennini in nome della capra e della sua "rivincita sulla modernità".
Partiamo dal "nocciolo gastronomico"
La trasferta in Val Vibrata, per secoli terra di confine tra i regni napoletani e le terre pontificie, nonché patria di un piatto ormai noto a livello nazionale (la capra alla neretese) è stata quanto mai gratificante. Da tanti punti di vista. Innanzitutto da quello strettamente gastronomico (poi quello relativo ai miei interessi di studio - e di intervento - a favore dei sistemi locali di produzione agroalimentare a valenza identitaria).
Per chi come me ama la capra, ne sostiene il rinnovato ruolo nel contesto della "nuova agricoltura" e dello sviluppo rurale sostenibile è stato importante trovare conferma di una convinzione già da tempo maturata a proposito del grande interesse delle carni dell'animale adulto (grazie alla "sperimentazione sul campo" effettuata con gli amici caprai delle valli lombarde). Sono carni che si prestano a trasformazioni tradizionali e non (mocette, salamini, salsiccie, violini, cicitt, patè) ma anche a tante preparazioni dei tagli di carne fresca. Queste ultime rappresentano a mio giudizio altrettante frecce nella faretra della gastronomia agrituristica e rurale. All'opposto di una cucina "espressa" fatta di rapide cotture e, alla fine, facilmente replicabile in versione catering. Fuori da un contesto rurale (che significa trasmissione di competenze al di fuori di canali formali, controllo delle fonti di approvvigionamento all'origine) c'è da dubitare che un locale possa ottenere buoni risultati dal loro inserimento più o meno estemporaneo nel menù. A differenza poi di carni per certi versi analoghe come quelle della selvaggina ungulata (facimente disponibili dato il forte consumo in tagli congelati, sottovuoto, pronti per la pentola) la carne di capra richiede una preparazione ad hoc: lavaggi, marinature, sgrassature ecc. Per queste operazioni serve un minimo (o un massimo) di esperienza.
Tutto questo per sottolineare che un piatto di carne di capra ha un significato e un valore ben diverso da quelli tipo "cervo congelato e polenta" che in una vasta area alpina, spacciato come "tradizionale" è un po' come il kebab. Non molti lo sanno ma spesso i cervi sono allevati a insilato di mais e mangimi in allevamenti semi-intensivi e sono (almeno dal punto di vista alimentare) molto meno "selvatici" delle capre che sulle Alpi e gli Appennini restano buona parte dell'anno al pascolo.
Il panorama delle ricette a base di carne di capra
Avendo limitato il mio interesse sinora alle Alpi mi ero convinto che non fossero molti i modi di cucinare le carni di capra: generici stufati e spezzatini, cavra büida (preventivamente posta in salamoia e poi lessata), crava e fasoi (delle Alpi liguri). È stata quindi una vera scoperta conoscere (per diretta esperienza gustativa) la Capra alla neretese e, grazie a questa, attraverso il prezioso libro (1) del neretese Francesco Galiffa tante altre ricette. Galiffa ha preso spunto dal "piatto nazionale neretese" (come egli stesso lo chiama), per sviluppare una ricerca di storia locale finalizzata a conferire spessore storico e culturale al piatto collocata nel contesto di una più ampia trattazione del ruolo della capra, dell'allevamento caprino, della carne di capra nel contesto delle diverse culture ed epoche storiche.
Il contributo di Galiffa, che ha utilizzato per la sua indagine un'ampia messe di fonti letterarie e non, rappresenta un decisivo progresso in un campo di ricerche poco frequentato ed è stato con grande piacere che, conoscendo Francesco, ho potuto discutere con lui vari aspetti di "studi ircologici". L'aspetto più gratificante di questo scambio è consistito nel verificare come un altro studioso abbia saputo cogliere le valenze non solo socio-economiche ma anche socio-politiche dell'allevamento caprino e dei suoi "alti e bassi". L'aspetto più originale dello studio di Galiffa è consistito nel descrivere un modello alimentare a forte valenza identitaria che si afferma non tanto in un contesto pastorale quanto in un borgo ("città regia") sede di mercato, più prossimo alla costa che ai monti. Galiffa, utilizzando le statistiche disponibili per il XVIII e XIX secolo dimostra come le capre allevate a Nereto e nel circondario fossero pochissime.
La fortezza di Civitella del Tronto con lo sfondo dei Monti della Laga
Relazioni socio-territoriali
Le relazioni alla base dell'affermazione della capra come preparazione di carne emblematica (e, un tempo, principale) a Nereto sono complesse. Il ruolo di sede di mercato di Nereto e la sua collocazione sui percorsi della transumanza tra i Monti della Laga e i tratturi prossimi alla costa ha senza dubbio un ruolo decisivo. Le capre venivano scambiate dai pastori con salsa di pomodoro, concentrata con metodi artigianali ma in grado di conservarsi a lungo. Galiffa, però, osserva come questo scambio dovesse avere alla base una propensione al consumo alla carne di capra. La spiegazione la offre la composizione sociale della popolazione. Essa era costituita, almeno per quanto riguarda una parte dei contadini, da famiglie immigrate dalla montagna alle quali i proprietari (laici ed ecclesiastici) delle aree montane che avevano investito in terre prossime alla costa, ma che continuavano a risiedere in montagna, affidavano fondi a enfiteusi in quanto di loro fiducia. L'aspetto interessante è che nei paersi di montagna la tradizione del consumo di carne di capra andò scemando mentre a Nereto restò viva. Per comprendere meglio queste relazioni (che rappresentano un aspetto fondamentale del sistema agroalimentare locale a valenza identitaria) (1) va precisato che centri come Campli e Civitella del Tronto, distanti solo 20 km da Nereto, siano già considerati montani avendo alle spalle montagne di 1800 m (vedi sotto).
Linee di discendenza
Le relazioni di cui sopra spiegano perché la carne di capra si sia affermata a Nereto quale "piatto nazionale". Per spiegare perché questo piatto si sia mantenuto sino ad oggi subentrano altri ordini di considerazioni in cui si inseriscono storie personali e famigliari. Nel mantenere una tradizione rivestono un ruolo chiave figure con un certo carisma, capaci di trasmettere passione e saperi. Nel caso di Nereto, e della capra alla neretese, la preparazione della carne di capra, che per tutto il XIX secolo si era perpetrata quale pratica collettiva (ancora fortemente radicata nella memoria di testimoni del secolo scorso), agli inizi del XX secolo si intrecci con qualla di alcuni protagonisti: cuoche e poi giornalisti gastronomici.
L'Albergo-Ristorante Zio Mamo a Nereto
A Nereto due locali a conduzione famigliare hanno contribuito in modo determinante a rafforzare la tradizione della capra. Si tratta di un ristorante e di una cantina. Il primo fu aperto nel 1903 da Giulia Piattoni (la Piattona) cui successe la nuora Dina Lupini e quindi il nipote Mauro De Gregoris attuale gestore del locale attualmente denominato Zio Mamo (Albergo Ristorante - Pizzorante - Zio Mamo).
L'altro locale storico è quello di Teresa Di Gaetano (Tresenetta). La cuoca, che aveva appreso l'arte dei fornelli dalla madre Vincenza Impulliti, era nata nel 1903 e cessò l'attività solo nel 1975. nel 1971 ebbe la soddisfazione di ricevere il primo premio del concorso per la migliore preparazione di capra alla neretese in occasione della prima Sagra della capra alla neretese che si svolse nell'ambito del Festival de l'Unità della Val Vibrata. Mi sembra fortemente significativo, alla luce delle dinamiche che caratterizzano i SALVI, che sia stato proprio Vincenzo Di Giacobbe, il figlio di Tresenetta (il ragazzo della foto sotto a tavola con i genitori) a riprendere nel 2009 la Sagra in qualità di presidente del Circolo anziani di Nereto. Altro aspetto di grande importanza - perché stabilisce una relazione con i luoghi di allevamento della capra - è la ricerca da parte di Vincenzo di capre allevate al pascolo sui monti della Laga o Sibillini. Queste capre vengono poi affidate da Vincenzo alle mani esperte di cuoche del circolo nel contesto di una dimensione comunitaria e di continuità con la tradizione che può apparire esemplare.
Un po' di usurpazione
Anche a Nereto la rivendicazione del "piatto nazionale" è in qualche modo contestata e materia di una certa conflittualità. C'è un sano risentimento da parte dei neretesi nei confronti di un "sistema" che, per valorizzare alcuni imprenditori della ristorazione, ha cercato di avvalorare la tesi che a Nereto la tradizione della capra si fosse estinta. Il critico enogastronomico Antonio Paolini agli occhi dei neretesi ha la grave colpa di aver sostenuto come solo grazie ad un prestigioso locale del vicino centro costiero di Colonnella se la capra alla neretese abbia potuto tramandarsi ai nostri giorni divenendo una gloria gastronomica del teramano (4). La stessa vulgata, sempre a pro del suddetto locale di Colonnella, è stata diffusa (qualche edizione fa) al Salone del Gusto di Torino. I neretesi, piccati, fanno osservare che i vari esercizi pubblici di Nereto offrono immancabilmente la capra nella stagione "canonica" (da metà luglio a metà ottobre) ma che le casalinghe "over 50" sono ancor oggi capaci di preparare la capra in casa. Di più - e questo è un elemento molto interessante - i single o le casalinghe con minor tempo o esperienza possono procurarsi la capra alla neretese al supermercato. Qui - contrariamente a quanto si potrebbe temere - la preparazione esitata al reparto gastronomia è cucinata non già da personale improvvisato ma da esperte donne del posto (della serie: i cento modi con i quali la tradizione si riproduce e si rinnova). In realtà i neretesi sono orgogliosi che il loro piatto sia stato "esportato". Solo che vogliono legittimamante farne conoscere l'origine e far sapere come da loro la tradizione abbia una sua primogenitura e sia viva. Chi ritiene che un piatto legato a un sistema agroalimentale locale a valenza identitaria sia, alla fine, solo "una ricetta", un modo di assemblare materie prime può faticare a comprendere l'atteggiamento "patrimoniale" di una comunità rispetto ad una sua risorsa gastronomica. Non chi ha compreso che tali preparazioni sono espressione di una dimensione storica, sociale, culturale. Sono essi stessi un bene culturale "vivo", che non si trapianta a comando.
Web rurali
Il week-end neretese è stato un vero e proprio laboratorio di verifica di strumenti concettuali relativi ai sistemi agrolaimentari locali a valenza identitaria (6) ma riferibili anche al concetto di "web rurale" emerso di recente nell'ambito delle elaborazioni scientifiche sullo sviluppo rurale sostenibile (7). Alle relazioni "espropriative" o comunque non interattive messe in luce anche nel caso di Nereto fanno da contrappunto quelle che si incrivono nella creazione di una rete di interazioni positive. L'associazione culturale Ferdinando Ranalli di Nereto, consapevole del ruolo proattivo di un soggetto culturale nell'ambito di iniziative di sviluppo locale imperniate sulle risorse gastronomiche del territorio, non si è limitata a promuovere la ricerca sulla capra alla neretese di Francesco Galiffa e la relativa pubblicazione ma ha organizzato un gemellaggio gastronomico con Farindola. L'inaugurazione della manifestazione dedicata alla presentazione del libro di Galiffa ha previsto una cena a tema "Capra chiama capra" (sempre presso il ristorante Zio Mamo). Il menù è stato realizzato dalla signora Lucia Riccitelli della Trattoria dell'Orso di Farindola (PE). Comprendeva Stapezzoni al ragù di capra e Stufato di capra con fagioli. In più una selezione di formaggi tutti artigianali a latte crudo, non solo il famoso Pecorino di Farindola ma anche altri formaggi caprini e pecorini più "innovativi". Formaggi di ottima fattura (la cena era al venerdì sera ma ho potuto degustarli il sabato a pranzo) realizzati da ditte giovani che hanno puntato sull'allevamento di un numero di animali ridotto con accurata trasformazione aziendale e vendita diretta. "Non fanno in tempo a produrli" mi diceva Francesco Galiffa a tavola prima dell'inizio de convegno di sabato pomeriggio. Lo stesso convegno è stato improntato a questo spirito di "innesco di processi", di creazione di reti. A differenza di tante presentazioni stucchevoli ed autocelebrative quella del libro "Dentro la pentola la capra gongola" è servita a mettere in evidenza le finalità dell'iniziativa dell'associazione culturale di Nereto, quelle di una ricerca e di una pubblicazione non fine a sé stesse ma tali da rendere la comunità neretese consapevole delle proprie risorse culturali gastronomiche.
Al convegno il mio intervento ha sottolineato lo stretto legame tra il ruolo della capra nell'economia e nell'alimentazione e i cambiamenti politico-sociali rimarcando l'importanza del rilancio dell'allevamento caprino e della crescente diffusione dei prodotti ottenuti dalla capra nell'ambito di un modello di "nuova agricoltura" meno dipendente dai combustibili fossili e capace di creare sviluppo locale. Misono permesso in questa prospettiva di raccomandare ai soggetti che intendono valorizzare la capra alla neretese di non derogare dall'approvvigionamento di materia prima locale (8).
Sul ruolo dei nuovi processi di sviluppo locale ha svolto un approfondimento Everardo Minardi (Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Teramo) nella chiave degli impatti della crisi sul sistema manifatturiero adriatico e della necessità di stimolare iniziative non assistenziali basate su risorse endogene. Fabrizio Fatuzzo titolare dell' Azienda Ovindoli Cashmere(AQ) ha messo in evidenza come la capra, utilizzando grandi risorse semi-naturali dei pascoli appennici, possa trovare un suo spazio economico anche sfruttando la multifuzionalità (prodotti alimentari, fibre tessili, cosmetici, servizi di manutezione territoriale).
L' autore del libro, Francesco Galiffa, ha risposto alle domande e curiosità circa la scelta del titolo dell'opera. Ha tracciato il percorso di una ricerca che lo ha coinvolto fortemente sul piano personale (tanto da causargli disturbi visivi a seguito delle lunghe ore di "navigazione" sul web). Oltre che nella raccolta di testimonianze orali, alla ricerca di fonti scritte Galiffa si è impegnato anche nel reperire materiale iconografico, cartoline postali, francobolli sul tema della capra. La sua curiosità è stata attratta dall'inaspettato numero di materiali che descrivono l'uso della capra come animale da traino. Della appassionata ricerca su questo intrigante fronte (Francesco sta facendo un pensierino ad uno studio sul tema) testimonia la curiosa immagine che riporto sotto.
Il ruolo dell'associazione: fare da volano e sviluppare reti
Sia nell'ambito del convegno che nelle conversazioni a latere con Galiffa e Giuseppe Maretti (presidente dell'associazione culturale) è emersa la loro soddisfazione - testimoniata anche dai contenuti del convegno - circa l'efficacia del libro nell'innescare processi attivi nel tessuto della conunità e quindi accompagnarli promuovendo e mantenendo le reti necessarie a valorizzare le azioni locali. L'idea che le associazioni culturali non debba non più solo occuparsi di lettere, arti, archeologia ma anche di altre dimensioni della cultura è certo figlia della ridotta capacità delle istituzioni pubbliche di svolgere ruoli di promozione ma non va vista solo come una supplenza quanto come una più matura considerazione della natura dei processi comunitari, sociali e culturali in cui la dimensione culturale - a differenza del passato- "si mette in gioco" e diventa un fattore consapevole delle proprie potenzialità (specie in periodi di crisi, ricerca di nuovi valori e paradigmi). L'interesse riscontrato a Nereto per la capra, per quei processi legati al cibo quale fattore di socialità ma al tempo stesso di nuove economie mi induce a ritenere che il lavoro sviluppato qui intorno alla "capra alla neretese" possa rappresentare qualcosa di più di un esempio, e divenire uno "snodo" di una rete nazionale di gastronomia territoriale (quantomeno in tema di carne di capra). Del resto questa è stata l'intenzione degli amici neretesi quando mi hanno invitato alla loro manifestazione. Da parte mia l'impegno a creare connessioni tra le nostre realtà alpine e quelle come Nereto c'è e spero che presto si possano concretizzare delle iniziative. In un contesto in cui formule quali le guide di autorevoli giornalisti e i Saloni vari, dimostrano, per ragioni di costi ma non solo, i loro limiti specie per quanto riguarda la promozione e la comunicazione di realtà locali più "identitarie", autentiche, ricche di valori comunitari, di socializzazione, di tradizione viva. Il modello del web rurale può mettere in comune risorse e garantire visibilità senza affidarsi a organizzazioni "pesanti" (e poi inevitabilmente autoreferenziali e condizionanti) o personaggi carismatici. In modo democratico, partecipativo, orizzontale, dal basso. A Nereto è scoccata una scintilla (spero non solo nella mia testa).
Note
(1) F. Galiffa (2012) Dentro la pentola la capra gongola. Associazione culturale Ferdinando Ranalli di Nereto, stampa arti grafiche picene, Maltignano (AP).
(2) M. Corti (2006) Risorse silvo-pastorali, conflitto sociale e sistema alimentare: il ruolo della capra nelle comunità alpine della Lombardia e delle aree limitrofe in età moderna e contemporanea in: SM Annali di S. Michele, 19, pp. 235-340 (PDF)
(3) Per una definizione del SALVI (Sistema agroalimentare locale a valenza identitaria) che si intreccia con quelle proposte in letteratura di Sistema agroalimentare locale, ma anche di web rurale e altre cfr: M. Corti (2012) Prodotti agroalimentari di qualità a valenza identitaria: antica e nuova risorsa dell’agricoltura lombarda (sullo spunto di una ricerca commissionata a Éupolis dal Consiglio regionale) in: Confronti Autonomia Lombarda: Le Idee, I Fatti, Le Esperienze, n. 3. (in press).
(4) R. De Viti, A. Paolini (2009). Teramo "Il linguaggio dei sapori", Camera di Commercio, Castellalto, p. 78.
(5) Sulle Alpi siamo abituati ad una diversa stagionalità. Le capre sono molto sensibili sul piano riproduttivo all'influenza della latitudine che condiziona il fotoperiodo. Le monte avvengono sulle Alpi tra settembre e i primi di novembree la scelta di destinare al macello le capre viene fatta all'inizio dell'inverno quando le capre, in vista dei parti, devono essere ricoverate e alimentate con fieno. Sarebbe "rubato" il fieno - ottenuto spesso segando il prato a mano - per delle capre "vuote". Così, dopo una onorata carriera vengono trasformate in violini, mocette, salamini.
(6) M. Corti, op. cit.
(7) P. Milone, F. Ventura (a cura di) (2012) Reti rurali. Il futuro verde delle regioni europee. Donzelli, Roma.
(8) Alla successiva cena a base di capra alla neretese conversando con i commensali (esponenti della Pro Loco) mi è stato riferito che tentativi di puntare su "capre dell'Est" sono stati fatti ma che la qualità non è confrontable a quella delle capre locali dei monti tra Abruzzo, Marche e Umbria.
(9)F. Galiffa, op. cit., p. 131.
Il libro di Francesco Galizza è una miniera di ricette (molte inedite) su come cucinare la capra. Molti agriturismi e allevatori saranno riconoscenti. Con il consenso dell'autore Ruralpini pubblicherà presto le ricette tratte dall'opera dell'amico di Nereto. Intanto propongo una classica versione della capra alla neretese. Buon appetito.
Ricetta della capra alla neretese di Teresa di Gaetano Versione (dettata dalla figlia Domenica Di Giacobbe)
Ingredienti: 5 kg di carne di capra (1/2 kg a persona), 2-3 cipolle grandi, chiodi di garofano, qualche foglia di alloro, olio di frantoio, vino bianco, peperoni rossi, sale q. b., peperoncino piccante a piacere. Preparazione: Prima di mettere a cuocere la carne bisogna eseguire alcune operazioni preliminari: viene pulita per bene eliminando l 'peli residui e lavata accuratamente; va tolta la sottopelle e va sgrassata; infine, è ridotta in pezzi non molto grandi. In un tegame capiente si fanno scaldare le cipolle steccate con i chiodi di garofano; si versa la carne e si fa soffriggere; si uniscono le foglie di alloro, il vino bianco e successivamente l'acqua, in quantità tale da ricoprire la carne. Si lascia cuocere, aggiungendo, se necessario, altra acqua calda. Quando la cottura è a buon punto si unisce il pomodoro, possibilmente fresco. Nel frattempo si lavano, si puliscono e si tagliano i 'peperoni', quelli a forma di corno, che sono fatti appassire in olio d'oliva. A cottura quasi ultimata i peperoni, scolati dell'olio di frittura, vanno uniti alla carne. In sostituzione di quelle fritti, si possono utilizzare peperoni crudi, calcolando bene i tempi per la loro cottura (9).